959 resultados para Impatto ambientale, Certificazione LEED, Risparmio energetico, Piastrelle ceramiche


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Questo documento descrive gran parte del lavoro svolto durante un periodo di studio di sei mesi all’International Centre for Geohazards (ICG) di Oslo. Seguendo la linea guida dettata nel titolo, sono stati affrontati diversi aspetti riguardanti la modellazione numerica dei pendii quali l’influenza delle condizioni al contorno e delle proporzioni del modello, la back-analysis di eventi di scivolamento e l’applicazione delle analisi di stabilità monodimensionali. La realizzazione di semplici modelli con il programma agli elementi finiti PLAXIS (Brinkgreve et al., 2008) ha consentito di analizzare le prestazioni dei modelli numerici riguardo all’influenza delle condizioni al contorno confrontandoli con un calcolo teorico del fattore di amplificazione. Questa serie di test ha consentito di stabilire alcune linee guida per la realizzazione di test con un buon livello di affidabilità. Alcuni case-history, in particolare quello di Las Colinas (El Salvador), sono stati modellati allo scopo di applicare e verificare i risultati ottenuti con i semplici modelli sopracitati. Inoltre sono state svolte analisi di sensitività alla dimensione della mesh e ai parametri di smorzamento e di elasticità. I risultati hanno evidenziato una forte dipendenza dei risultati dai parametri di smorzamento, rilevando l’importanza di una corretta valutazione di questa grandezza. In ultima battuta ci si è occupati dell’accuratezza e dell’applicabilità dei modelli monodimensionali. I risultati di alcuni modelli monodimensionali realizzati con il software Quiver (Kaynia, 2009) sono stati confrontati con quelli ottenuti da modelli bidimensionali. Dal confronto è risultato un buon grado di approssimazione accompagnato da un margine di sicurezza costante. Le analisi monodimensionali sono poi state utilizzate per la verifica di sensitività. I risultati di questo lavoro sono qui presentati e accompagnati da suggerimenti qualitativi e quantitativi per la realizzazione di modelli bidimensionali affidabili. Inoltre si descrive la possibilità di utilizzare modelli monodimensionali in caso d’incertezze sui parametri. Dai risultati osservati emerge la possibilità di ottenere un risparmio di tempo nella realizzazione di importanti indagini di sensitività.

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Il proliferare di dispositivi di elaborazione e comunicazione mobili (telefoni cellulari, computer portatili, PDA, wearable devices, personal digital assistant) sta guidando un cambiamento rivoluzionario nella nostra società dell'informazione. Si sta migrando dall'era dei Personal Computer all'era dell'Ubiquitous Computing, in cui un utente utilizza, parallelamente, svariati dispositivi elettronici attraverso cui può accedere a tutte le informazioni, ovunque e quantunque queste gli si rivelino necessarie. In questo scenario, anche le mappe digitali stanno diventando sempre più parte delle nostre attività quotidiane; esse trasmettono informazioni vitali per una pletora di applicazioni che acquistano maggior valore grazie alla localizzazione, come Yelp, Flickr, Facebook, Google Maps o semplicemente le ricerche web geo-localizzate. Gli utenti di PDA e Smartphone dipendono sempre più dai GPS e dai Location Based Services (LBS) per la navigazione, sia automobilistica che a piedi. Gli stessi servizi di mappe stanno inoltre evolvendo la loro natura da uni-direzionale a bi-direzionale; la topologia stradale è arricchita da informazioni dinamiche, come traffico in tempo reale e contenuti creati dagli utenti. Le mappe digitali aggiornabili dinamicamente sono sul punto di diventare un saldo trampolino di lancio per i sistemi mobili ad alta dinamicità ed interattività, che poggiando su poche informazioni fornite dagli utenti, porteranno una moltitudine di applicazioni innovative ad un'enorme base di consumatori. I futuri sistemi di navigazione per esempio, potranno utilizzare informazioni estese su semafori, presenza di stop ed informazioni sul traffico per effettuare una ottimizzazione del percorso che valuti simultaneamente fattori come l'impronta al carbonio rilasciata, il tempo di viaggio effettivamente necessario e l'impatto della scelta sul traffico locale. In questo progetto si mostra come i dati GPS raccolti da dispositivi fissi e mobili possano essere usati per estendere le mappe digitali con la locazione dei segnali di stop, dei semafori e delle relative temporizzazioni. Queste informazioni sono infatti oggi rare e locali ad ogni singola municipalità, il che ne rende praticamente impossibile il pieno reperimento. Si presenta quindi un algoritmo che estrae utili informazioni topologiche da agglomerati di tracciati gps, mostrando inoltre che anche un esiguo numero di veicoli equipaggiati con la strumentazione necessaria sono sufficienti per abilitare l'estensione delle mappe digitali con nuovi attributi. Infine, si mostrerà come l'algoritmo sia in grado di lavorare anche con dati mancanti, ottenendo ottimi risultati e mostrandosi flessibile ed adatto all'integrazione in sistemi reali.

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In questa tesi è stato studiato l’effetto dell’esposizione della diatomea Skeletonema marinoi, una specie molto comune nel Nord Adriatico e importante per il suo annuale contributo alla produzione primaria, agli erbicidi maggiormente utilizzati nella pianura Padana e riscontrati in acque dolci e salmastre di zone limitrofe al mare Adriatico. Gli erbicidi scelti consistono in terbutilazina e metolachlor, i più frequentemente riscontrati sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee dell’area Padana, noti per avere un effetto di inibizione su vie metaboliche dei vegetali; inoltre è stato valutato anche l’effetto di un prodotto di degradazione della terbutilazina, la desetilterbutilazina, presente anch’esso in concentrazioni pari al prodotto di origine e su cui non si avevano informazioni circa la tossicità sul fitoplancton. L’esposizione delle microalghe a questi erbicidi può avere effetti che si ripercuotono su tutto l’ecosistema: le specie fitoplanctoniche, in particolare le diatomee, sono i produttori primari più importanti dell’ecosistema: questi organismi rivestono un ruolo fondamentale nella fissazione del carbonio, rappresentando il primo anello della catena alimentari degli ambienti acquatici e contribuendo al rifornimento di ossigeno nell’atmosfera. L’effetto di diverse concentrazioni di ciascun composto è stato valutato seguendo l’andamento della crescita e dell’efficienza fotosintetica di S. marinoi. Per meglio determinare la sensibilità di questa specie agli erbicidi, l’effetto della terbutilazina è stato valutato anche al variare della temperatura (15, 20 e 25°C). Infine, dal momento che gli organismi acquatici sono solitamente esposti a una miscela di composti, è stato valutato l’effetto sinergico di due erbicidi, entrambi somministrati a bassa concentrazione. Le colture di laboratorio esposte a concentrazioni crescenti di diversi erbicidi e, in un caso, anche a diverse temperature, indicano che l’erbicida al quale la microalga mostra maggiore sensibilità è la Terbutilazina. Infatti a parità di concentrazioni, la sensibilità della microalga alla Terbutilazina è risultata molto più alta rispetto al suo prodotto di degradazione, la Desetilterbutilazina e all’erbicida Metolachlor. Attraverso l’analisi di densità algale, di efficienza fotosintetica, di biovolume e di contenuto intracellulare di Carbonio e Clorofilla, è stato dimostrato l’effetto tossico dell’erbicida Terbutilazina che, agendo come inibitore del trasporto degli elettroni a livello del PS-II, manifesta la sua tossicità nell’inibizione della fotosintesi e di conseguenza sulla crescita e sulle proprietà biometriche delle microalghe. E’ stato visto come la temperatura sia un parametro ambientale fondamentale sulla crescita algale e anche sugli effetti tossici di Terbutilazina; la temperatura ideale per la crescita di S. marinoi è risultata essere 20°C. Crescendo a 15°C la microalga presenta un rallentamento nella crescita, una minore efficienza fotosintetica, variazione nei valori biometrici, mostrando al microscopio forme irregolari e di dimensioni inferiori rispetto alle microalghe cresciute alle temperature maggiori, ed infine incapacità di formare le tipiche congregazioni a catena. A 25° invece si sono rivelate difficoltà nell’acclimatazione: sembra che la microalga si debba abituare a questa alta temperatura ritardando così la divisione cellulare di qualche giorno rispetto agli esperimenti condotti a 15° e a 20°C. Gli effetti della terbutilazina sono stati maggiori per le alghe cresciute a 25°C che hanno mostrato un calo più evidente di efficienza fotosintetica effettiva e una diminuzione di carbonio e clorofilla all’aumentare delle concentrazioni di erbicida. Sono presenti in letteratura studi che attestano gli effetti tossici paragonabili dell’atrazina e del suo principale prodotto di degradazione, la deetilatrazina; nei nostri studi invece non sono stati evidenziati effetti tossici significativi del principale prodotto di degradazione della terbutilazina, la desetilterbutilazina. Si può ipotizzare quindi che la desetilterbutilazina perda la propria capacità di legarsi al sito di legame per il pastochinone (PQ) sulla proteina D1 all’interno del complesso del PSII, permettendo quindi il normale trasporto degli elettroni del PSII e la conseguente sintesi di NADPH e ATP e il ciclo di riduzione del carbonio. Il Metolachlor non evidenzia una tossicità severa come Terbutilazina nei confronti di S. marinoi, probabilmente a causa del suo diverso meccanismo d’azione. Infatti, a differenza degli enzimi triazinici, metolachlor agisce attraverso l’inibizione delle elongasi e del geranilgeranil pirofosfato ciclasi (GGPP). In letteratura sono riportati casi studio degli effetti inibitori di Metolachlor sulla sintesi degli acidi grassi e di conseguenza della divisione cellulare su specie fitoplanctoniche d’acqua dolce. Negli esperimenti da noi condotti sono stati evidenziati lievi effetti inibitori su S. marinoi che non sembrano aumentare all’aumentare della concentrazione dell’erbicida. E’ interessante notare come attraverso la valutazione della sola crescita non sia stato messo in evidenza alcun effetto mentre, tramite l’analisi dell’efficienza fotosintetica, si possa osservare che il metolachlor determina una inibizione della fotosintesi.

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Il progetto di percorso urbano ‘S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a conservare e a trasmettere al futuro, facilitandone la lettura e senza cancellarne le tracce del passaggio nel tempo, le opere d’interesse storico, artistico e ambientale; esso si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche costituite da tali opere, proponendosi, inoltre, come atto d’interpretazione critica non verbale ma espressa nel concreto operare’ (G.Carbonara) Celate all’interno di edifici privati, ritrovate quasi sempre fortuitamente, ai più sconosciute, le pitture murali del Trecento riminese necessitano un processo di valorizzazione. Si tratta di portarle alla luce una seconda volta creando un percorso di riscoperta di queste opere nascoste, di cui raramente si è più sentito parlare dopo il clamore sollevato dalla mostra del 1935 organizzata da Brandi. Si parla quindi di un percorso conoscitivo. Un percorso urbano che tocchi i luoghi dove queste sono ancora conservate: l’antica chiesa di San Michelino in foro (oggi divisa tra più proprietari privati), la chiesa di Sant’Agostino, la cappella del campanile della chiesa di Santa Maria in Corte, la cappella del Crocifisso in San Nicolò al porto. Le chiese costituiranno le tappe di un percorso che si articolerà attraverso le strade medievali della città. Si verrà a creare quindi un percorso non solo alla scoperta delle pitture murali del XIII e XIV secolo, ma alla scoperta della Rimini del Trecento, delle sue vie, del suo sviluppo urbano. Si affronterà il problema del restauro delle pitture murali, ma sempre preoccupandosi della buona conservazione e del mantenimento del monumento nel suo insieme. Pittura murale e architettura sono, come sostiene Philippot, inscindibili: trattando una pittura murale, il restauratore tratta sempre e solo una parte di un insieme più vasto, che costituisce il tutto al quale egli si dovrà riferire, tanto dal punto di vista estetico e storico, quanto dal punto di vista tecnico . Per ogni chiesa si prevederà quindi, oltre al progetto di restauro della pittura, anche un progetto di fruizione dello spazio architettonico e di riconfigurazione dello stesso, quando necessario, ragionando caso per caso. Si è deciso di porre come origine del percorso l’antica chiesa di San Michelino. La motivazione di questa scelta risiede nel fatto che in questo edificio si è individuato il luogo adatto ad ospitare uno spazio espositivo dove raccontare la Rimini del Trecento. Uno spazio espositivo al servizio della città, con la progettazione del quale si cercherà di restituire unità agli ambienti dell’antica chiesa, oggi così frazionati tra troppi proprietari. Da San Michelino si continuerà verso la chiesa di Sant’Agostino, dove si trovano affreschi del Trecento riminese già molto noti e studiati. Ciò che si rende necessario in questo caso è la riconfigurazione architettonica e spaziale degli affreschi della parte bassa della cappella del campanile, staccati e trasferiti su pannelli negli anni ’70, oltre alla previsione di un sistema di monitoraggio degli affreschi stessi. La terza tappa del percorso sarà la chiesa di Santa Maria in Corte. Il ciclo di affreschi si trova all’interno della cappella del campanile, oggi chiusa al pubblico ed esclusa dallo spazio della chiesa dopo gli interventi barocchi. Abbiamo quindi pensato di proporre una soluzione che permetta una più agevole fruizione della cappella, progettando un’illuminazione e un percorso d’accesso adeguati. Più complesso è il caso di San Nicolò al porto, individuata come ultima tappa del percorso. Si tratta in questo caso della riconfigurazione di un intero isolato, che nel tempo ha perso totalmente il suo significato urbano riducendosi ad una sorta di spartitraffico. Qui si rendeva necessaria inoltre la progettazione di una nuova chiesa, presentando quella attuale seri problemi statici.

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Il progetto di percorso urbano ‘S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a conservare e a trasmettere al futuro, facilitandone la lettura e senza cancellarne le tracce del passaggio nel tempo, le opere d’interesse storico, artistico e ambientale; esso si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche costituite da tali opere, proponendosi, inoltre, come atto d’interpretazione critica non verbale ma espressa nel concreto operare’ (G.Carbonara) Celate all’interno di edifici privati, ritrovate quasi sempre fortuitamente, ai più sconosciute, le pitture murali del Trecento riminese necessitano un processo di valorizzazione. Si tratta di portarle alla luce una seconda volta creando un percorso di riscoperta di queste opere nascoste, di cui raramente si è più sentito parlare dopo il clamore sollevato dalla mostra del 1935 organizzata da Brandi. Si parla quindi di un percorso conoscitivo. Un percorso urbano che tocchi i luoghi dove queste sono ancora conservate: l’antica chiesa di San Michelino in foro (oggi divisa tra più proprietari privati), la chiesa di Sant’Agostino, la cappella del campanile della chiesa di Santa Maria in Corte, la cappella del Crocifisso in San Nicolò al porto. Le chiese costituiranno le tappe di un percorso che si articolerà attraverso le strade medievali della città. Si verrà a creare quindi un percorso non solo alla scoperta delle pitture murali del XIII e XIV secolo, ma alla scoperta della Rimini del Trecento, delle sue vie, del suo sviluppo urbano. Si affronterà il problema del restauro delle pitture murali, ma sempre preoccupandosi della buona conservazione e del mantenimento del monumento nel suo insieme. Pittura murale e architettura sono, come sostiene Philippot, inscindibili: trattando una pittura murale, il restauratore tratta sempre e solo una parte di un insieme più vasto, che costituisce il tutto al quale egli si dovrà riferire, tanto dal punto di vista estetico e storico, quanto dal punto di vista tecnico . Per ogni chiesa si prevederà quindi, oltre al progetto di restauro della pittura, anche un progetto di fruizione dello spazio architettonico e di riconfigurazione dello stesso, quando necessario, ragionando caso per caso. Si è deciso di porre come origine del percorso l’antica chiesa di San Michelino. La motivazione di questa scelta risiede nel fatto che in questo edificio si è individuato il luogo adatto ad ospitare uno spazio espositivo dove raccontare la Rimini del Trecento. Uno spazio espositivo al servizio della città, con la progettazione del quale si cercherà di restituire unità agli ambienti dell’antica chiesa, oggi così frazionati tra troppi proprietari. Da San Michelino si continuerà verso la chiesa di Sant’Agostino, dove si trovano affreschi del Trecento riminese già molto noti e studiati. Ciò che si rende necessario in questo caso è la riconfigurazione architettonica e spaziale degli affreschi della parte bassa della cappella del campanile, staccati e trasferiti su pannelli negli anni ’70, oltre alla previsione di un sistema di monitoraggio degli affreschi stessi. La terza tappa del percorso sarà la chiesa di Santa Maria in Corte. Il ciclo di affreschi si trova all’interno della cappella del campanile, oggi chiusa al pubblico ed esclusa dallo spazio della chiesa dopo gli interventi barocchi. Abbiamo quindi pensato di proporre una soluzione che permetta una più agevole fruizione della cappella, progettando un’illuminazione e un percorso d’accesso adeguati. Più complesso è il caso di San Nicolò al porto, individuata come ultima tappa del percorso. Si tratta in questo caso della riconfigurazione di un intero isolato, che nel tempo ha perso totalmente il suo significato urbano riducendosi ad una sorta di spartitraffico. Qui si rendeva necessaria inoltre la progettazione di una nuova chiesa, presentando quella attuale seri problemi statici.

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Nel tentativo di rispondere alle esigenze valutate in seguito all’analisi del centro storico in base a differenti profili investigativi, si è formulato un programma di intervento con obiettivi e strategie codificate. In modo particolare viene privilegiata l’indagine effettuata a livello sociale sulla popolazione del centro storico, ambito di ricerca necessario per una buona premessa per un progetto che ha come oggetto l’abitare. Da queste considerazioni nasce l’idea del progetto dove il tema della residenza si inserisce in un contesto urbano in stretta relazione con il tessuto storico della città di Forlì. L’individuazione dell’area di progetto, situata in una posizione di confine tra due realtà differenti, il centro storico e la circonvallazione che lo racchiude, suggerisce la necessità di stabilire attraverso collegamenti perdonali e ciclabili fra l’area in esame e la periferia esterna una configurazione dinamica, dove il vuoto urbano che si presenta è lo scenario ideale per ristabilire una porta moderna alla città, ricomponendo la leggibilità tra la sfera naturale e quella insediativa. Alla scala urbana l’obiettivo è quello di stabilire il ruolo di centralità dell’area, nel suo insieme, restituendo ai fatti urbani della città le funzioni di interesse pubblico generale. La zona oggetto di discussione è un nodo urbano in cui coesistono manufatti di pregio architettonico e storico come quello della Filanda in oggetto e dell’Ex Complesso conventuale della Ripa, in grado di essere potenziali contenitori di funzioni pubbliche di alto livello, e aree verdi da riqualificare, con forte propensione all’uso pubblico, come gli Orti di via Curte. Sotto questo profilo deve essere valutata anche la tematica del rapporto con l’architettura antica, tenendo in considerazione l’effetto di impatto che i nuovi interventi avranno sull’esistente. È dunque il sito di progetto che detta le metodologie di approccio legate alla necessità di un intervento sostenibile e non invasivo. Partendo da queste considerazioni si sviluppano le tematiche legate alla flessibilità e alle sue coniugazioni. La società contemporanea che ci impone ogni giorno modelli di vita sempre nuovi e la necessità di movimento e trasformazione, ci mette di fronte più che mai al bisogno di progettare spazi non rigidi, ma aperti alle molteplici possibilità d’uso e ai cambiamenti nel tempo. La flessibilità viene dunque concepita in relazione ai concetti di complessità e sostenibilità. Se da una parte è necessario riconoscere la molteplicità dei modi d’uso con i quali l’oggetto dovrà confrontarsi ed assumere il carattere aleatorio di qualsiasi previsione relativa ai modelli di comportamento dell’utenza, dall’altra occorre cogliere all’interno del progetto della residenza flessibile la possibilità di pervenire a un costruire capace di riconfigurarsi di volta in volta, adattandosi alle differenti condizioni d’uso, senza dover procedere a drastiche modifiche che impongono la dismissione di materiali e componenti. Il sistema della stratificazione a secco può essere quello che attualmente meglio risponde, per qualità ed economicità, ai concetti della biologia dell’abitare e della casa intelligente, nozioni che acquisiscono sempre più importanza all’interno di una nuova concezione della progettazione. Si sceglie dunque di riportare la Filanda, quanto possibile, alla riconfigurazione originaria, prima che la corte interna fosse completamente saturata di depositi e magazzini come ci si presenta oggi e di concepire una nuova configurazione di quello che diventa un isolato urbano integrato nel tessuto storico, e nodo strutturante per un’area più vasta. Lavorando sulla residenza occorre mettere in primo piano il protagonista dell’architettura che si va a progettare: l’uomo. Per questo la scala urbana e la dimensione umana devono essere concepite parallelamente e la progettazione della cellula di base che si struttura secondo le modalità premesse di flessibilità e sostenibilità si sovrappone all’obiettivo di individuare all’interno del vuoto urbano, una nuova densità, dove il dialogo tra pubblico e privato sia il presupposto per lo sviluppo di un piano integrato e dinamico.

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Il progetto di riqualificazione della Caserma Sani si ispira allʼinteresse nei confronti delle tematiche del recupero edilizio e urbano. Esso nasce dallʼintenzione di reintegrare unʼarea urbana in via di dismissione nel suo contesto attraverso lʼinserimento di nuove funzioni che rispondano alle esigenze di questa parte di città e nel contempo riqualificare i fabbricati esistenti attraverso un progetto di recupero e completamento che favorisca il dialogo del complesso esistente con il sistema urbano circostante. La volontà di riuso della maggioranza degli edifici facenti parte del vecchio impianto si basa su considerazioni legate alla natura stessa del sito: lʼintenzione è quella di conservarne la memoria, non tanto per il suo valore storico-architettonico, ma perché nel caso specifico della Caserma più che di memoria è opportuno parlare di scoperta, essendo, per propria natura militare, un luogo da sempre estraneo alla comunità e al suo contesto, chiuso e oscurato dal limite fisico del muro di cinta. La caserma inoltre si compone di edifici essenzialmente funzionali, di matrice industriale, la cui versatilità si legge nella semplicità e serialità morfologica, rendendoli “organismi dinamici” in grado di accogliere trasformazioni e cambi di funzione. Il riuso si muove in parallelo ai concetti di risignificazione e riciclaggio, dividendosi in modo egualmente efficace fra presupposti teorici e pratici. Esso costituisce una valida alternativa alla pratica della demolizione, nel caso in cui questa non sia specificatamente necessaria, e alle implicazione economiche e ambientali (smaltimento dei rifiuti, impiego dei trasporti e fondi economici, ecc.) che la accompagnano. Alla pratica del riuso si affianca nel progetto quella di completamento e ampliamento, arricchendo il vecchio sistema di edifici con nuove costruzioni che dialoghino discretamente con la preesistenza stabilendo un rapporto di reciproca complementarietà. Il progetto di riqualificazione si basa su più ampie considerazioni a livello urbano, che prevedono lʼintegrazione dellʼarea ad un sistema di attraversamento pedonale e ciclabile che colleghi da nord a sud le principali risorse verdi del quartiere passando per alcuni dei principali poli attrattori dellʼarea, quali la Stazione Centrale, il Dopolavoro Ferroviario adibito a verde attrezzato, il nuovo Tecno Polo che sorgerà grazie al progetto di riqualificazione previsto per lʼex Manifattura Tabacchi di Pier Luigi Nervi e il nuovo polo terziario che sorgerà dalla dismissione delle ex Officine Cevolani. In particolare sono previsti due sistemi di collegamento, uno ciclo-pedonale permesso dalla nuova pista ciclabile, prevista dal nuovo Piano Strutturale lungo il sedime della vecchia ferrovia che correrà da nord a sud collegando il Parco della Montagnola e in generale il centro storico al Parco Nord, situato oltre il limite viario della tangenziale. Parallelamente alla pista ciclabile, si svilupperà allʼinterno del tessuto un ampio viale pedonale che, dal Dopolavoro Ferroviario (parco attrezzato con impianti sportivi) collegherà la grande area verde che sorgerà dove ora giacciono i resti delle ex Industrie Casaralta, adiacenti alla Caserma Sani, già oggetto di bonifica e in via di dismissione, incontrando lungo il suo percorso differenti realtà e funzioni: complessi residenziali, terziari, il polo culturale e le aree verdi. Allʼinterno dellʼarea della Caserma sarà integrato agli edifici, nuovi e preesistenti, un sistema di piazze pavimentate e percorsi di attraversamento che lo riuniscono al tessuto circostante e favoriscono il collegamento da nord a sud e da est a ovest di zone della città finora poco coinvolte dal traffico pedonale, in particolare è il caso del Fiera District separato dal traffico veloce di Via Stalingrado rispetto alla zona residenziale della Bolognina. Il progetto lascia ampio spazio alle aree verdi, le quali costituiscono più del 50 % della superficie di comparto, garantendo una preziosa risorsa ambientale per il quartiere. Lʼintervento assicura lʼinserimento di una molteplicità di funzioni e servizi: residenze unifamiliari e uno studentato, uffici e commercio, una biblioteca, un auditorium e un polo museale.

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L'elaborato di tesi sviluppato ha come obiettivo l'ottimizzazione della Supply Chian di contesti manufatturieri con particolare attenzione alle procedure di approvvigionamento dei materiali e al problema dei materiali "mancanti" in produzione.Viene esposto il risultato di un’attività di analisi di due casi reali per l’ottimizzazione dell'impatto logistico del problema dell'alimentazione di sistemi di fabbricazione e montaggio. Lo studio è stato affrontato definendo un approccio basato su una duplice analisi del processo, top-down e bottom-up. Le due analisi condotte hanno permesso di procedere alla mappatura dell’intero processo end to end (che inizia con le richieste del cliente e termina con la consegna dei prodotti allo stesso) e di individuare le criticità in esso presenti, sulla base delle quali sono state fornite una serie di linee guida per la risoluzione del problema dei mancanti. I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’ottimizzazione dell’area di pianificazione permette di migliorare la qualità dei dati in ingresso all’intero processo con conseguente diminuzione del numero di materiali mancanti. Tuttavia, la trasversalità dell’argomento ai processi aziendali impedisce la definizione di un approccio al problema focalizzato su un’area specifica. Infine, è stata eseguita una bozza di valutazione economica per la stima dei tempi di recupero degli investimenti necessari.

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Il lavoro svolto nella presente tesi di laurea si sviluppa all’interno del progetto di ricerca europeo SmooHs (Smart Monitoring of Historic Structures-Monitoraggio intelligente di edifici e strutture storiche) nell’ambito del 7 Programma Quadro della Commissione Europea. Gli edifici storici sono caratterizzati da elementi architettonici, materiali e soluzioni progettuali uniche e pertanto da valorizzare. Al fine si salvaguardare tali beni storici si richiede una conoscenza approfondita dei processi di deterioramento, legati spesso a fattori ambientali, e una loro rilevazione immediata. Il monitoraggio continuo dei possibili parametri che influenzano i suddetti processi può contribuire significativamente, ma un’applicazione estesa di questa tecnica è finora fallita a causa dei costi elevati di sistemi completi di monitoraggio; per questo sono stati osservati solitamente pochi parametri. L’obiettivo del progetto prevede lo sviluppo di strumenti di monitoraggio e diagnostica competitivi per gli specialisti nel settore che vada al di là del mero accumulo di dati. La normativa, in particolare le Linee Guida per l’applicazione al patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’Ordinanza PCM-3274 del 2005, evidenziano l’importanza di raggiungere un elevato livello di informazione dell’oggetto e del suo comportamento strutturale attraverso un percorso conoscitivo pluriramificato. “Si ha pertanto la necessità di affinare tecniche di analisi ed interpretazione dei manufatti storici mediante fasi conoscitive dal diverso grado di attendibilità, anche in relazione al loro impatto. La conoscenza può infatti essere conseguita con diversi livelli di approfondimento, in funzione dell’accuratezza delle operazioni di rilievo, delle ricerche storiche e delle indagini sperimentali” (Linee guida per l’applicazione all patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’ordinanza PCM-3274, 2005). Per quanto riguarda la caratterizzazione meccanica dei materiali, la normativa cita “Tecniche diagnostiche non distruttive di tipo indiretto, quali prove soniche ed ultrasoniche, consentono di valutare l’omogeneità dei parametri meccanici nelle diverse parti della costruzione, ma non forniscono stime quantitative attendibili dei loro valori, in quanto essi vengono desunti dalla misura di altre grandezze”. Non viene identificata una procedura univoca di prove non distruttive per ciascuna tipologia edilizia, pertanto ci domandiamo quale sia la procedura più idonea da utilizzare, considerando il tipo di risultato che si vuole ottenere. Si richiedono quindi degli studi di fattibilità di diverse tecniche non distruttive, soprattutto tecniche per immagini che diano un risultato più immediato da comprendere. Per questo scopo è stato impostato un programma di ricerca per valutare l’efficacia di una tecnica non distruttiva, la tomografia sonica, su provini in muratura costruiti nei laboratori del LaRM (Laboratorio di Resistenza dei Materiali del DISTART dell’Università di Bologna), reputando questa la strada da percorrere verso una diagnostica strutturale sempre più dettagliata. I provini in muratura di laterizio PNDE e PNDF, presentano al loro interno dei difetti (in polistirolo espanso) di geometria e posizione nota e diverse tessiture murarie (muratura di laterizio tradizionale e muratura a sacco). Nel capitolo 2 vengono descritte le caratteristiche e le basi teoriche delle prove soniche e di altre tecniche non distruttive, al fine di poterne fare un confronto. La tomografia sonica è definita e sono illustrate le sue peculiarità; vengono inoltre riportati alcuni esempi di applicazioni della stessa su strutture storiche lignee e murarie. Nel capitolo 3 sono presentati i provini oggetto di studio ed introdotto qualche accenno sulla natura delle murature di laterizio. Sono specificati i corsi e le sezioni verticali sui quali viene sperimentata la tomografia; essi hanno precise caratteristiche che permettono di eseguire una sperimentazione mirata all’individuazione di anomalie in una sezione e al riconoscimento di diverse tessiture murarie. Nel capitolo 4 è illustrata la procedura di acquisizione dei dati in laboratorio e di rielaborazione degli stessi nella fase di post-processing. Dopo aver scelto, in base alla risoluzione, la distanza che intercorre tra le stazioni di misura, sono stati progettati i vari percorsi uscenti da ogni stazione trasmittente, andando a definire i ray-paths delle sezioni sia orizzontali che verticali. I software per il calcolo dei tempi di volo (in ambiente LabView) e per l’inversione degli stessi (Geotom) sono presentati e vengono definite le istruzioni per l’utilizzo. Il capitolo 5 assieme al capitolo 6, mostra i risultati ottenuti dall’inversione dei tempi di volo. Per i diversi corsi orizzontali e sezioni verticali sono riportate le mappe di velocità ottenute al variare di diversi parametri di settaggio impostati nel software tomografico. Le immagini tomografiche evidenziano le caratteristiche interne delle sezioni studiate, in base alla risoluzione geometrica della tecnica. Nel capitolo 7 e 8 sono mostrati i risultati delle prove soniche dirette applicate sia sui corsi verticali sia sulle sezioni verticali. Le stazioni di misura considerate sono le stesse utilizzate per la tomografia. Il capitolo 9 riporta il confronto tra le mappe di velocità prodotte dalla tomografia sonica e gli istogrammi delle velocità registrate nelle prove soniche dirette. Si evidenziano le differenze nell’individuazione di difetti tra due metodologie differenti. Infine sono riportate le conclusioni sul lavoro svolto. I limiti e i vantaggi della tecnica tomografica vengono desunti dai risultati ottenuti per varie tipologie di sezioni, a confronto anche con risultati di prove soniche dirette. Ciò ci porta a definire la fattibilità di utilizzo della tomografia sonica nella diagnosi delle strutture in muratura.

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In the present work, the multi-objective optimization by genetic algorithms is investigated and applied to heat transfer problems. Firstly, the work aims to compare different reproduction processes employed by genetic algorithms and two new promising processes are suggested. Secondly, in this work two heat transfer problems are studied under the multi-objective point of view. Specifically, the two cases studied are the wavy fins and the corrugated wall channel. Both these cases have already been studied by a single objective optimizer. Therefore, this work aims to extend the previous works in a more comprehensive study.

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Le aree costiere hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo economico, sociale e politico della maggior parte dei paesi; esse supportano infatti diversi ecosistemi produttivi che rendono disponibili beni e servizi. L'importanza economica delle aree costiere è destinata a una considerevole crescita a causa del costante aumento delle popolazioni, delle industrie e delle attività  ricreazionali che si concentrano sempre di più sulle coste e ciò può provocare un'alterazione delle linee di costa, imputabile a più fattori e un deterioramento delle condizioni naturali. E' necessario anche tenere da conto dei processi erosivi, sia imputabili a cause naturali (correnti oceaniche, movimenti di marea; azione del vento) sia a cause antropiche (subsidenza del terreno indotta dall'uomo, dragaggio al largo, riduzione del rifornimento di sedimento dai fiumi, distruzione di letti algali, paludi e dune sabbiose). A questo panorama va poi aggiunto il problema dell'innalzamento del livello del mare e dell'aumento delle frequenze di tempeste, come conseguenza del cambiamento climatico globale. In questo contesto quindi, le strutture rigide di difesa contro l'erosione e le mareggiate sono diventate molto comuni nelle aree costiere, coinvolgendo in alcune regioni più della metà della linea di costa. Il meccanismo di difesa attuato dalle barriere consiste nel provocare una riduzione dell'energia delle onde e conseguentemente in una limitazione della quantità di sedimento che viene da loro rimosso dalla spiaggia. La presenza di strutture rigide di difesa generalmente comporta una perdita di habitat di fondale molle e, a causa delle variazioni idrodinamiche che la loro presenza comporta, anche delle comunità ad esso associate, sia su scala locale, che su scala regionale. Uno dei problemi che tali strutture possono indurre è l'eccessiva deposizione di detrito prodotto dalle specie che si insediano sul substrato duro artificiale, che normalmente non fanno parte delle comunità "naturali" di fondo molle circostanti le strutture. Lo scopo di questo studio è stato quello di cercare di evidenziare gli effetti che la deposizione di tale detrito potesse avere sulle comunita meiobentoniche di fondale molle. A tale fine è stata campionata un'area antistante la località di Lido di Dante (RA), la quale è protetta dal 1996 da una struttura artificiale, per fronteggiare il problema dell'erosione della zona, in aumento negli ultimi decenni. La struttura è costituita da una barriera semisoffolta e tre pennelli, di cui uno completamente collegato alla barriera. A circa 50 m dalla barriera, e alla profondità di 4 m circa, è stato allestito un esperimento manipolativo in cui è stato valutato l'effetto della deposizione delle due specie dominanti colonizzanti la barriera, Ulva sp. e Mitili sp. sull'ambiente bentonico, e in particolare sulla comunità  di meiofauna. Ulva e Mitili sono stati posti in sacche di rete che sono state depositate sul fondo al fine di simulare la deposizione naturale di detrito, e tali sacche hanno costituito i trattamenti dell'esperimento, i quali sono stati confrontati con un Controllo, costituito da sedimento non manipolato, e un Controllo Procedurale, costituito da una sacca vuota. Il campionamento è stato fatto in tre occasioni nel giugno 2009 (dopo 2 giorni, dopo 7 giorni e dopo 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento) per seguire la dinamica temporale degli effetti del detrito. Per ogni combinazione tempo/trattamento sono state prelevate 4 repliche, per un totale di 48 campioni. Successivamente sono stati prelevati ulteriori campioni di meiofauna in condizioni naturali. In particolare sono stati raccolti in due Posizioni diverse, all'Interno e all'Esterno del pennello posto più a Sud, e su due substrati differenti, rispettivamente Ulva proveniente dalle barriere e sedimento privo di detrito. Per ogni combinazione Posizione/Substrato sono state prelevate 3 repliche, ottenendo un totale di 12 campioni. Tutti i campioni prelevati sono stati poi trattati in laboratorio tramite la procedura di filtratura, pulizia e centrifuga indicata dal protocollo. A questa fase è seguito il sorting al microscopio, durante il quale la meiofauna è stata identificata ed enumerata a livello di taxa maggiori. Per quanto riguarda il taxon più abbondante, quello dei Nematodi, si è proceduto anche all'analisi della distribuzione della biomassa per classi di taglia, in quanto descrittore funzionale delle comunità. Per la costruzione degli spettri di biomassa per classi di taglia sono state misurate la lunghezza e larghezza dei primi 100 Nematodi presenti nei campioni. A partire da tali valori dimensionali è stata calcolata la biomassa di ogni individuo, usata poi per la costruzione dei size spectra, tramite tre metodiche messe a confronto: "Nematode Biomass Spectra" (NBS), "Normalised Nematode Biomass Spectra"(NNBS), "Mean Cumulative Biomass Spectra" (MC-NBS). Successivamente la composizione e la struttura della comunità meiobentonica, in termini di consistenza numerica e di rapporti reciproci di densità degli organismi che la compongono e variabili dimensionali, sono state analizzate mediante tecniche di analisi univariate e multivariate. Ciò che emerge generalmente dai risultati dell'esperimento è la mancanza di interazione significativa tra i due fattori, tempi e trattamenti, mentre sono risultati significativi i due fattori principali, considerati singolarmente. Tali esiti sono probabilmente imputabili all'elevata variabilità fra campioni dei trattamenti e delle patches di controllo. Nonostante ciò l'analisi dei risultati ottenuti permette di effettuare alcune considerazioni interessanti. L'analisi univariata ha mostrato che nel confronto tra trattamenti non ci sono differenze significative nel numero medio di taxa rinvenuti, mentre il livello di diversità e di equidistribuzione degli individui nei taxa differisce in maniera significativa, indicando che la struttura delle comunità varia in funzione dei trattamenti e non in funzione del tempo. Nel trattamento Ulva si osservano le densità più elevate della meiofauna totale imputabile prevalentemente alla densità dei Nematodi. Tuttavia, i valori di diversità e di equiripartizione non sono risultati più elevati nei campioni di Ulva, bensì in quelli di Mitili. Tale differenza potrebbe essere imputabile all'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni di Mitili. Questo andamento è stato giustificato dai differenti tempi di degradazione di Mitili e Ulva posti nelle sacche durante l'esperimento, dai quali emerge una più rapida degradazione di Ulva; inoltre la dimensione ridotta della patch analizzata, i limitati tempi di permanenza fanno sì che l'Ulva non rappresenti un fattore di disturbo per la comunità analizzata. Basandosi su questo concetto risulta dunque difficile spiegare l'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni del trattamento Mitili, in quanto i tempi di degradazione durante l'esperimento sono risultati più lenti, ma è anche vero che è nota l'elevata resistenza dei Nematodi ai fenomeni di ipossia/anossia creata da fenomeni di arricchimento organico. E' possibile però ipotizzare che la presenza delle valve dei Mitili aumenti la complessità dell'habitat e favorisca la colonizzazione da parte di più specie, tra cui specie predatrici. Tale effetto di predazione potrebbe provocare la riduzione dell'abbondanza media dei Nematodi rispetto a Ulva e al Controllo, in quanto i Nematodi costituiscono circa l'85% della meiofauna totale rinvenuta nei campioni. A tale riduzione numerica, però, non corrisponde un decremento dei valori medi di biomassa rilevati, probabilmente a causa del fatto che l'arricchimento organico dovuto ai Mitili stessi favorisca la permanenza degli individui più facilmente adattabili a tali condizioni e di dimensioni maggiori, oppure, la colonizzazione in tempi successivi delle patches a Mitili da parte di individui più grandi. Anche i risultati dell'analisi multivariata sono in accordo con quanto rilevato dall'analisi univariata. Oltre alle differenze tra tempi si evidenzia anche un'evoluzione della comunità nel tempo, in particolar modo dopo 7 giorni dall'allestimento dell'esperimento, quando si registrano il maggior numero di individui meiobentonici e il maggior numero di taxa presenti. Il taxon che ha risentito maggiormente dell'influenza dei tempi è quello degli Anfipodi, con densità maggiori nei campioni prelevati al secondo tempo e sul trattamento Ulva. E'importante considerare questo aspetto in quanto gli Anfipodi sono animali che comprendono alcune specie detritivore e altre carnivore; le loro abitudini detritivore potrebbero quindi aumentare il consumo e la degradazione di Ulva, spiegando anche la loro abbondanza maggiore all'interno di questo trattamento, mentre le specie carnivore potrebbero concorrere al decremento del numero medio di Nematodi nei Mitili. Un risultato inatteso della sperimentazione riguarda l'assenza di differenze significative tra trattamenti e controlli, come invece era lecito aspettarsi. Risultati maggiormente significativi sono emersi dall'analisi del confronto tra sedimento privo di detrito e sedimento contenente Ulva provenienti dal contesto naturale. Relativamente all'area esterna alla barriera, sono stati confrontati sedimento privo di detrito e quello sottostante l'Ulva, nelle condizioni sperimentali e naturali. Globalmente notiamo che all'esterno della barriera gli indici univariati, le densità totali di meiofauna, di Nematodi e il numero di taxa, si comportano in maniera analoga nelle condizioni sperimentali e naturali, riportando valori medi maggiori nei campioni prelevati sotto l'Ulva, rispetto a quelli del sedimento privo di detrito. Differente appare invece l'andamento delle variabili e degli indici suddetti riguardanti i campioni prelevati nell'area racchiusa all'interno della barriera, dove invece i valori medi maggiori si rilevano nei campioni prelevati nel sedimento privo di detrito. Tali risultati possono essere spiegati dall'alterazione dell'idrodinamismo esercitato dalla barriera, il quale provoca maggiori tempi di residenza del detrito con conseguente arricchimento di materia organica nell'area interna alla barriera. Le comunità dei sedimenti di quest'area saranno quindi adattate a tale condizioni, ma la deposizione di Ulva in un contesto simile può aggravare la situazione comportando la riduzione delle abbondanze medie dei Nematodi e degli altri organismi meiobentonici sopracitata. Per quel che riguarda i size spectra la tecnica che illustra i risultati in maniera più evidente è quella dei Nematode Biomass Spectra. I risultati statistici fornitici dai campioni dell'esperimento, non evidenziano effetti significativi dei trattamenti, ma a livello visivo, l'osservazione dei grafici evidenzia valori medi di biomassa maggiori nei Nematodi rilevati sui Mitili rispetto a quelli rilevati su Ulva. Differenze significative si rilevano invece a livello dei tempi: a 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento infatti, le biomasse dei Nematodi misurati sono più elevate. Relativamente invece ai size spectra costruiti per l'ambiente naturale, mostrano andamento e forma completamente diversi e con differenze significative tra l'interno e l'esterno della barriera; sembra infatti che la biomassa nella zona interna sia inibita, portando a densità maggiori di Nematodi, ma di dimensioni minori. All'esterno della barriera troviamo invece una situazione differente tra i due substrati. Nel sedimento prelevato sotto l'Ulva sembra infatti che siano prevalenti le classi dimensionali maggiori, probabilmente a causa del fatto che l'Ulva tende a soffocare le specie detritivore, permettendo la sopravvivenza delle specie più grosse, composte da predatori poco specializzati, i quali si cibano degli organismi presenti sull'Ulva stessa. Nel sedimento privo di detrito, invece, la distribuzione all'interno delle classi segue un andamento completamente diverso, mostrando una forma del size spectra più regolare. In base a questo si può ipotizzare che la risposta a questo andamento sia da relazionarsi alla capacità di movimento dei Nematodi: a causa della loro conformazione muscolare i Nematodi interstiziali di dimensioni minori sono facilitati nel movimento in un substrato con spazi interstiziali ridotti, come sono nel sedimento sabbioso, invece Nematodi di dimensioni maggiori sono più facilitati in sedimenti con spazi interstiziali maggiori, come l'Ulva. Globalmente si evidenzia una risposta della comunità  bentonica all'incremento di detrito proveniente dalla struttura rigida artificiale, ma la risposta dipende dal tipo di detrito e dai tempi di residenza del detrito stesso, a loro volta influenzati dal livello di alterazione del regime idrodinamico che la struttura comporta. Si evince inoltre come dal punto di vista metodologico, le analisi univariate, multivariate e dei size spectra riescano a porre l'accento su diverse caratteristiche strutturali e funzionali della comunità. Rimane comunque il fatto che nonostante la comunità scientifica stia studiando metodiche "taxonomic free" emerge che, se da un lato queste possono risultare utili, dall'altro, per meglio comprendere l'evoluzione di comunità, è necessaria un'analisi più specifica che punti all'identificazione almeno delle principali famiglie. E'importante infine considerare che l'effetto riscontrato in questo studio potrebbe diventare particolarmente significativo nel momento in cui venisse esteso alle centinaia di km di strutture artificiali che caratterizzano ormai la maggior parte delle coste, la cui gestione dovrebbe tenere conto non soltanto delle esigenze economico-turistiche, e non dovrebbe prescindere dalla conoscenza del contesto ambientale in cui si inseriscono, in quanto, affiancati a conseguenze generali di tali costruzioni, si incontrano molti effetti sitospecifici.

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L’obiettivo dell’elaborato è analizzare la fattibilità tecnica ed economica di un impianto di prelievo d’acqua da falda artesiana per lo scambio termico nell’impianto frigorifero centralizzato dell’ospedale civile nuovo di Imola. Esso provvede a fornire acqua refrigerata a tutte le unità di trattamento aria (u.t.a.) del complesso ospedaliero ed è finalizzato a garantire per ogni locale le specifiche condizioni igrometriche , nonchè il benessere degli operatori e dei pazienti della struttura. Il lavoro di progettazione ha riguardato il dimensionamento di componenti e reti idrauliche con l’ausilio del software “EPANET” (programma per la simulazione di reti idrauliche). L’idea che ha guidato il presente elaborato è stata la creazione di un “ciclo” dell’acqua tale per cui l’acqua di scarto delle torri evaporative viene utilizzata per l’irrigazione degli orti nei pressi dei quale sorge il pozzo e successivamente, va ad alimentare la falda stessa. Le scelte progettuali hanno quindi dovuto considerare questo importante vincolo e sono state tese alla minimizzazione dei consumi d’acqua e , quindi, alla sostenibilità ambientale dell’intero impianto. In generale, infatti non è detto che la soluzione economicamente più vantaggiosa lo sia anche dal punto di vista ambientale. La soluzione adottata con rilancio dell’acqua agli orti limita il prelievo medio giornaliero d’acqua di falda di 20 m3/gg durante il periodo estivo. E’stato dimostrato come il progetto sia tecnicamente fattibile e generi valore per l’impresa con indice di rendimento IR(VAN/Capitale investito) pari a 1,29 per i primi 20 anni e pari a 2,06 per n anni di funzionamento dell’impianto con un tempo di recupero del capitale investito pari a sei anni.

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La presente dissertazione illustra lo studio, svolto in ambito di Tesi di Laurea Specialistica, della difesa delle aree di pianura prospicienti il tratto medio inferiore del Fiume Po dalle cosiddette piene al limite della prevedibilità, ovvero quelle aventi intensità al di sopra della quale le procedure di stima statistica perdono di significato a causa della mancanza di eventi osservati confrontabili (Majone, Tomirotti, 2006). In questo contesto si è definito come evento di piena al limite della prevedibiltà un evento con tempo di ritorno pari a cinquecento anni. Lo studio ha necessariamente preso in considerazione e riprodotto attraverso una schematizzazione concettuale le esondazioni all'esterno delle arginature maestre che si verificherebbero in conseguenza ad un evento estremo, quale quello preso in esame, nei comparti idraulici prospicienti l'asta fluviale. Detti comparti sono costituiti dalle zone di pianura latistanti l’asta fluviale, classificate dall'Autorità di Bacino come Fascia C e suddivise in base alla presenza degli affluenti principali del fiume Po e delle principali infrastrutture viarie e ferroviarie situate in tale fascia. Il presente studio persegue l’obiettivo di analizzare alcune politiche di intervento per la mitigazione del rischio alluvionale alternative al sovralzo e ringrosso arginale e ricade all'interno delle linee strategiche individuate dall' AdB-Po per la mitigazione del rischio residuale, ossia quello che permane anche in presenza di opere di difesa progettate e verificate con riferimento ad un ben preciso tempo di ritorno (nel caso in esame Trit = 200 anni). Questa linea di intervento si traduce praticamente individuando sul territorio aree meno "sensibili", in virtù del minor valore o dell'inferiore vulnerabilità dei beni in esse presenti, e dunque adatte ad accogliere i volumi di piena esondabili in occasione di quegli eventi di piena incompatibili con i presidi idraulici preesistenti, le sopra richiamate piene al limite della prevedibilità. L'esondazione controllata dei volumi di piena in tali aree avrebbe infatti il fine di tutelare le aree di maggior pregio, interessate da centri abitati, infrastrutture e beni di vario tipo; tale controllo è da considerarsi auspicabile in quanto sedici milioni di persone abitano la zona del bacino del Po e qui sono concentrati il 55% del patrimonio zootecnico italiano, il 35% della produzione agricola e il 37% delle industrie le quali però sostengono il 46% dei posti di lavoro (fonte AdB-Po). Per questi motivi il Po e il suo bacino sono da considerare come zone nevralgiche per l’intera economia italiana e una delle aree europee con la più alta concentrazione di popolazione, industrie e attività commerciali. Dal punto di vista economico, l’area è strategica per il Paese garantendo un PIL che copre il 40% di quello nazionale, grazie alla presenza di grandi industrie e di una quota rilevante di piccole e medie imprese, nonché d’attività agricole e zootecniche diffuse. Il punto di partenza è stato il modello numerico quasi-bidimensionale precedentemente sviluppato dal DISTART nel 2008 con il software HEC-RAS, la cui schematizzazione geometrica copriva unicamente l'alveo del Fiume (Fasce A e B secondo la denominazione adottata dall'AdB-Po) e le cui condizioni iniziali e al contorno rispecchiavano un evento con tempo di ritorno pari a duecento anni. Si è proceduto dunque alla definizione di nuove sollecitazioni di progetto, volte a riprodurre nelle sezioni strumentate del Po gli idrogrammi sintetici con tempo di ritorno di cinquecento anni messi a punto dal D.I.I.A.R. (Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale e del Rilevamento, DIIAR, 2001) del Politecnico di Milano. Il modello stesso è stato poi aggiornato e considerevolmente modificato. Il risultato consiste in un nuovo modello matematico idraulico di tipo quasi-bidimensionale che, attraverso una schematizzazione concettuale, riproduce il comportamento idraulico in occasione di eventi di piena al limite della prevedibilità per tutte e tre le Fasce Fluviali considerate nel Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico redatto dall'AdB-Po (Fasce A, B C, v. PAI, 1999). I diversi comparti idraulici in cui può essere suddivisa la Fascia C sono stati inseriti nel modello e geometricamente descritti in termini di curve di riempimento, ricavate a partire dal DTM del Bacino del Po attraverso opportune elaborazioni in ambiente GIS (Geographic Information System). Una volta predisposto il modello sono state condotte due tipologie di simulazioni. Una prima serie è stata volta alla definizione in maniera iterativa dei punti critici degli argini maestri, ovvero quelli nei quali si prevedeva avvenisse la tracimazione, e alla modellazione in essi della formazione di brecce, decisive per una corretta riproduzione del fenomeno di esondazione all'esterno delle arginature maestre nell'attuale configurazione; bisogna infatti considerare che le arginature maestre vengono comunemente progettate con il solo fine di contenere le portate di piena in alveo, e che dunque un’eventuale tracimazione induce fenomeni erosivi che solitamente portano all'apertura di una breccia nel manufatto (rotta arginale). Un'ulteriore simulazione ha permesso di valutare l'evoluzione del fenomeno sotto l'ipotesi di un intervento di consolidamento degli argini maestri nei tratti critici (interessati dai sormonti) e quindi di rotta arginale impedita. Il confronto dei risultati ottenuti ha evidenziato i benefici associati ad una laminazione controllata dell'evento di piena all'esterno delle arginature. In questo contesto il termine "controllata" è esclusivamente associato al fenomeno di rotta arginale, come detto inibita per lo scenario ipotetico. I benefici di tale controllo si hanno in termini di volumi, di portate esondate e di tiranti attesi nei comparti idraulici. Lo strumento modellistico predisposto nell’ambito della Tesi di Laurea Specialistica si presta ad essere utilizzato a supporto dell’identificazione su ampia scala delle zone della Fascia C meno “sensibili”, in quanto meno vulnerabili ai fenomeni di allagamento. Questo ulteriore passaggio costituisce il punto di partenza per delineare le strategie ottimali di laminazione controllata in Fascia C degli eventi al limite della prevedibilità al fine della riduzione del rischio idraulico nelle aree di pianura prospicienti il Po, aspetto che verrà affrontato in sviluppi successivi del presente lavoro.