936 resultados para Alternaria brown spot


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Il lavoro di ricerca tenta di inquadrare sotto nuove prospettive una problematica ormai classica all’interno della semiotica della pubblicità: l’analisi dello spot. I punti chiave del lavoro – e la pretesa di una certa differenza rispetto a lavori con oggetti affini – consistono sostanzialmente in tre aspetti. Innanzitutto, vi è un ritorno alle origini flochiane nella misura in cui non solo il contesto complessivo e le finalità che la ricerca si propone sono fortemente ancorati all’interno di obiettivi di marketing, ma tutto lo studio nella sua interezza nasce dal dialogo concreto tra metodologia di analisi semiotica e prassi concreta all’interno degli istituti di ricerca di mercato. La tesi non presenta quindi una collezione di analisi di testi pubblicitari condotte in modo autoriferito, quanto piuttosto di “messe alla prova” della metodologia, funzionali alla definizione di disegni di ricerca per la marketing research. Questo comporta un dialogo piuttosto stretto con metodologie affini (sociologia qualitativa e quantitativa, psicologia motivazionale, ecc.) nella convinzione che la priorità accordata all’oggetto di analisi sia sovraordinata rispetto all’ortodossia degli strumenti metodologici. In definitiva, lo spot è sempre e comunque analizzato all’interno di una prospettiva brand-centrica che ha ben in mente la semiotica della situazione di consumo rispetto alla quale lo spot agisce da leva di valorizzazione per l’acquisto. In secondo luogo, gli oggetti analizzati sono piuttosto vari e differenziati: non solo lo spot nella sua versione audiovisiva definitiva (il “girato”), ma anche storyboard, animatic, concept (di prodotto e di comunicazione). La prospettiva generativa greimasiana va a innestarsi su problematiche legate (anche) alla genesi dello spot, alla sua progettazione e riprogettazione/ottimizzazione. La tesi mostra quindi come una semiotica per le consulenze di marketing si diriga sul proprio oggetto ponendogli domande ben circoscritte e finalizzate a un obiettivo specifico, sostanzialmente derivato dal brief contenente le intenzioni comunicazionali del cliente-azienda. Infine, pur rimanendo all’interno di una teoria semiotica generativa (sostanzialmente greimasiana e post greimasiana), la ricerca adotta una prospettiva intrinsecamente multidisciplinare che se da un lato guarda a problematiche legate al marketing, al branding e alla comunicazione pubblicitaria e d’impresa tout court, dall’altro ritorna alle teorie dell’audiovisivo, mostrando affinità e differenze rispetto a forme audiovisive standard (il “film”) e a mutuazioni da nuove estetiche (la neotelevisione, il videoclip, ecc). La tesi si mostra solidamente convinta del fatto che per parlare di efficacia discorsiva sia imprescindibile approfondire le tematiche riguardanti il sincretismo espressivo e le specifiche modalità di manifestazione stilistica. In questo contesto, il lavoro si compone di quattro grandi aree tematiche. Dopo una breve introduzione sull’attualità del tema “spot” e sulla prospettiva analiticometodologica adottata (§ 1.), nel secondo capitolo si assume teoreticamente che i contenuti dello spot derivino da una specifica (e di volta in volta diversa) creolizzazione tra domini tematici derivanti dalla marca, dal prodotto (inteso tanto come concept di prodotto, quanto come prodotto già “vestito” di una confezione) e dalle tendenze socioculturali. Le tre dimensioni vengono valutate in relazione all’opposizione tra heritage, cioè continuità rispetto al passato e ai concorrenti e vision, cioè discontinuità rispetto alla propria storia comunicazionale e a quella dei concorrenti. Si esplorano inoltre altri fattori come il testimonial-endorser che, in quanto elemento già intrinsecamente foriero di elementi di valorizzazione, va a influire in modo rilevante sul complesso tematico e assiologico della pubblicità. Essendo la sezione della tesi che prende in considerazione il piano specificatamente contenutistico dello spot, questa parte diventa quindi anche l’occasione per ritornare sul modello delle assiologie del consumo di Jean-Marie Floch, approntando alcune critiche e difendendo invece un modello che – secondo la prospettiva qui esposta – contiene punti di attualità ineludibili rispetto a schematizzazioni che gli sono successive e in qualche modo debitrici. Segue una sezione (§ 3.) specificatamente dedicata allo svolgimento e dis-implicazione del sincretismo audiovisivo e quindi – specularmente alla precedente, dedicata alle forme e sostanze del contenuto – si concentra sulle dinamiche espressive. Lo spot viene quindi analizzato in quanto “forma testuale” dotata di alcune specificità, tra cui in primis la brevità. Inoltre vengono approfondite le problematiche legate all’apporto di ciascuna specifica sostanza: il rapporto tra visivo e sonoro, lo schermo e la sua multiprospetticità sempre più evidente, il “lavoro” di punteggiatura della musica, ecc. E su tutto il concetto dominante di montaggio, intrinsecamente unito a quello di ritmo. Il quarto capitolo ritorna in modo approfondito sul rapporto tra semiotica e ricerca di mercato, analizzando sia i rapporti di reciproca conoscenza (o non conoscenza), sia i nuovi spazi di intervento dell’analisi semiotica. Dopo aver argomentato contro un certo scetticismo circa l’utilità pragmatica dell’analisi semiotica, lo studio prende in esame i tradizionali modelli di valutazione e misurazione dell’efficacia pubblicitaria (pre- e post- test) cercando di semiotizzarne il portato. Ne consegue la proposta di disegni di ricerca semiotici modulari: integrabili tra loro e configurabili all’interno di progetti semio-quali-quantitativi. Dopo aver ridefinito le possibilità di un’indagine semiotica sui parametri di efficacia discorsiva, si procede con l’analisi di un caso concreto (§ 5.): dato uno spot che si è dimostrato efficace agli occhi dell’azienda committente, quali possono essere i modi per replicarne i fattori di successo? E come spiegare invece quelli di insuccesso delle campagne successive che – almeno teoricamente – erano pensate per capitalizzare l’efficacia della prima? Non si tratta quindi di una semiotica ingenuamente chiamata a “misurare” l’efficacia pubblicitaria, che evidentemente la marketing research analizza con strumenti quantitativi assodati e fondati su paradigmi di registrazione di determinati parametri sul consumatore (ricordo spontaneo e sollecitato, immagine di marca risultante nella mente di user e prospect consumer, intenzione d’acquisto stimolata). Piuttosto l’intervento qui esposto si preoccupa più funzionalmente a spiegare quali elementi espressivi, discorsivi, narrativi, siano stati responsabili (e quindi prospetticamente potranno condizionare in positivo o in negativo in futuro) la ricezione dello spot. L’analisi evidenzia come elementi apparentemente minimali, ancorati a differenti livelli di pertinenza siano in grado di determinare una notevole diversità negli effetti di senso. Si tratta quindi di un problema di mancata coerenza tra intenzioni comunicative e testo pubblicitario effettivamente realizzato. La risoluzione di tali questioni pragmatiche conduce ad approfondimenti teoricometodologici su alcuni versanti particolarmente interessanti. In primo luogo, ci si interroga sull’apporto della dimensione passionale nella costruzione dell’efficacia e nel coinvolgimento dello spettatore/consumatore. Inoltre – e qui risiede uno dei punti di maggior sintesi del lavoro di tesi – si intraprende una proficua discussione dei modelli di tipizzazione dei generi pubblicitari, intesi come forme discorsive. Si fanno quindi dialogare modelli diversi ma in qualche misura coestensivi e sovrapponibili come quelli di Jean Marie Floch, Guido Ferraro, Cosetta Saba e Chiara Giaccardi. Si perviene così alla costruzione di un nuovo modello sintetico, idealmente onnipervasivo e trasversale alle prospettive analizzate.

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It was decided to carry out a morphological and molecular characterization of the Italian Alternaria isolatescollected from apple , and evaluate their pathogenicity and subsequently combining the data collected. The strain collection (174 isolates) was constructed by collecting material (received from extension service personnel) between June and August of 2007, 2008, and 2009. A Preliminary bioassays were performed on detached plant materials (fruit and leaf wounded and unwounded), belonging to the Golden cultivar, with two different kind of inoculation (conidial suspension and conidial filtrate). Symptoms were monitored daily and a value of pathogenicity score (P.S.) was assigned on the basis of the diameter of the necrotic area that developed. On the basis of the bioassays, the number of isolates to undergo further molecular analysis was restricted to a representative set of single spore strains (44 strains). Morphological characteristics of the colony and sporulation pattern were determined according to previous systematic work on small-spored Alternaria spp. (Pryor and Michaelides, 2002 and Hong et al., 2006). Reference strains (Alternaria alternata, Alternaria tenuissima, Alternaria arborescens and four Japanese strains of Alternaria alternata mali pathotype), used in the study were kindly provided by Prof. Barry Pryor, who allows a open access to his own fungal collection. Molecular characterization was performed combining and comparing different data sets obtained from distinct molecular approach: 1) investigation of specific loci and 2) fingerprinting based on diverse randomly selected polymorphic sites of the genome. As concern the single locus analysis, it was chosen to sequence the EndoPG partial gene and three anonymous region (OPA1-3, OPA2- and OPa10-2). These markers has revealed a powerful tool in the latter systematic works on small-spored Alternaria spp. In fact, as reported in literature small-spored Alternaria taxonomy is complicated due to the inability to resolve evolutionary relationships among the taxa because of the lack of variability in the markers commonly used in fungi systematic. The three data set together provided the necessary variation to establish the phylogenetic relationships among the Italian isolates of Alternaria spp. On Italian strains these markers showed a variable number of informative sites (ranging from 7 for EndoPg to 85 for OPA1-3) and the parsimony analysis produced different tree topologies all concordant to define A. arborescens as a mophyletic clade. Fingerprinting analysis (nine ISSR primers and eight AFLP primers combination) led to the same result: a monophyleic A. arborescens clade and one clade containing both A. tenuissima and the A. alternata strains. This first attempt to characterize Italian Alternaria species recovered from apple produced concordant results with what was already described in a similar phylogenetic study on pistachio (Pryor and Michaelides, 2002), on walnut and hazelnut (Hong et al., 2006), apple (Kang et al., 2002) and citurus (Peever et al., 2004). Together with these studies, this research demonstrates that the three morphological groups are widely distributed and occupy similar ecological niches. Furthermore, this research suggest that these Alternaria species exhibit a similar infection pattern despite the taxonomic and pathogenic differences. The molecular characterization of the pathogens is a fundamental step to understanding the disease that is spreading in the apple orchards of the north Italy. At the beginning the causal agent was considered as Alteraria alternata (Marshall and Bertagnoll, 2006). Their preliminary studies purposed a pathogenic system related to the synthesis of toxins. Experimental data of our bioassays suggest an analogous hypothesis, considering that symptoms could be induced after inoculating plant material with solely the filtrate from pathogenic strains. Moreover, positive PCR reactions using AM-toxin gene specific primers, designed for identification of apple infecting Alternaria pathovar, led to a hypothesis that a host specific toxin (toxins) were involved. It remains an intriguing challenge to discover or not if the agent of the “Italian disease” is the same of the one previously typified as Alternaria mali, casual agent of the apple blotch disease.

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Nonostante lo sforzo sempre crescente mirato allo studio delle malattie che colpiscono le sclerattinie, ancora poco si sa circa distribuzione, prevalenza, host range e fattori che concorrono alla comparsa di queste patologie, soprattutto nell’area indopacifica. Questo studio si propone quindi lo scopo di documentare la presenza della Brown Band Disease all’interno delle scogliere madreporiche dell’Arcipelago delle Maldive. Nell’arco di tempo tra Novembre e Dicembre 2013 è stata effettuata una valutazione di tipo quantitativo di tale patologia su tre isole appartenenti l’Atollo di Faafu, rispettivamente Magoodhoo, Filitheyo e Adangau. Queste tre isole sono caratterizzate da un diverso sfruttamento da parte dell’uomo: la prima isola è abitata da locali, la seconda caratterizzata dalla presenza di un resort e l’ultima, un’isola deserta. Al fine di valutare prevalenza, distribuzione e host range della BrBD sono stati effettuati belt transect (25x2 m), point intercept transect e analisi chimico fisiche delle acque. La Brown Band Disease è risultata essere diffusa tra le isole con prevalenze inferiori al 0,50%. Queste non hanno mostrato differenze significative tra le isole, facendo quindi ipotizzare che i diversi valori osservati potrebbero essere imputati a variazioni casuali e naturali. In tutta l’area investigata, le stazioni più profonde hanno mostrato valori di prevalenza maggiori. La patologia è stata registrata infestare soprattutto il genere Acropora (con prevalenza media totale inferiore all’1%) e in un solo caso il genere Isopora. È stato dimostrato come sia presente una correlazione negativa tra densità totale delle sclerattinie e la prevalenza della Brown Band sul genere Acropora. É stato inoltre notato come vi fosse una correlazione positiva tra la prevalenza della BrBD e la presenza del gasteropode Drupella sulle colonie già malate. Poiché il principale ospite della patologia è anche il più abbondante nelle scogliere madreporiche maldiviane, si rendono necessari ulteriori accertamenti e monitoraggi futuri della BrBD.

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White spot lesion (WSL) infiltration has been recommended immediately after debonding of orthodontic brackets. It is however not clear if established inactive WSLs can also be masked through infiltrationOrthodontic treatment of a 19-year-old patient had to be terminated prematurely due to development of multiple WSLs of varying severity. Three months after debonding, the patient presented for lesion infiltration. After etching with 15% HCl gel and re-wetting of the dried surfaces it seemed that a good outcome could be expected. Lesion infiltration led to complete masking of less severe WSLs. The visual appearance of moderate and severe WSLs was improved but they were still visible after treatment.Inactive WSLs may not represent an increased caries risk, but patients are often bothered esthetically. Infiltration by repeated etching might be a viable approach even for inactive WSLs. Controlled clinical trials are needed to investigate the long-term performance of this technique.

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Nearly 500 brown dwarfs have been discovered in recent years. The majority of these brown dwarfs exist in the solar neighborhood, yet determining their fundamental properties (mass, age, temperature & metallicity) has proved to be quite difficult, with current estimates relying heavily on theoretical models. Binary brown dwarfs provide a unique opportunity to empirically determine fundamental properties, which can then be used to test model predictions. In addition, the observed binary fractions, separations, mass ratios, & orbital eccentricities can provide insight into the formation mechanism of these low-mass objects. I will review the results of various brown dwarf multiplicity studies, and will discuss what we have learned about the formation and evolution of brown dwarfs by examining their binary properties as a function of age and mass.

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The formation of aerosols is a key component in understanding cloud formation in the context of radiative forcings and global climate modeling. Biogenic volatile organic compounds (BVOCs) are a significant source of aerosols, yet there is still much to be learned about their structures, sources, and interactions. The aims of this project were to identify the BVOCs found in the defense chemicals of the brown marmorated stink bug Halymorpha halys and quantify them using gas chromatography-mass spectrometry (GC/MS) and test whether oxidation of these compounds by ozone-promoted aerosol and cloud seed formation. The bugs were tested under two conditions: agitation by asphyxiation and direct glandular exposure. Tridecane, 2(5H)-furanone 5-ethyl, and (E)-2-decenal were identified as the three most abundant compounds. H. halys were also tested in the agitated condition in a smog chamber. It was found that in the presence of 100-180 ppm ozone, secondary aerosols do form. A scanning mobility particle sizer (SMPS) and a cloud condensation nuclei counter (CCNC) were used to characterize the secondary aerosols that formed. This reaction resulted in 0.23 microg/ bug of particulate mass. It was also found that these secondary organic aerosol particles could act as cloud condensation nuclei. At a supersaturation of 1%, we found a kappa value of 0.09. Once regional populations of these stink bugs stabilize and the populations estimates can be made, the additional impacts of their contribution to regional air quality can be calculated.

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White-nose syndrome (WNS) is an emerging infectious disease of hibernating bats linked to the death of an estimated 5.7 million or more bats in the northeastern United States and Canada. White-nose syndrome is caused by the cold-loving fungus Pseudogymnoascus destructans (Pd), which invades the skin of the muzzles, ears, and wings of hibernating bats. Previous work has shown that WNS-affected bats arouse to euthermic or near euthermic temperatures during hibernation significantly more frequently than normal and that these too-frequent arousals are tied to severity of infection and death date. We quantified the behavior of bats during these arousal bouts to understand better the causes and consequences of these arousals. We hypothesized that WNS-affected bats would display increased levels of activity (especially grooming) during their arousal bouts from hibernation compared to WNS-unaffected bats. Behavior of both affected and unaffected hibernating bats in captivity was monitored from December 2010 to March 2011 using temperature-sensitive dataloggers attached to the backs of bats and infrared motion-sensitive cameras. The WNS-affected bats exhibited significantly higher rates of grooming, relative to unaffected bats, at the expense of time that would otherwise be spent inactive. Increased self-grooming may be related to the presence of the fungus. Elevated activity levels in affected bats likely increase energetic stress, whereas the loss of rest (inactive periods when aroused from torpor) may jeopardize the ability of a bat to reestablish homeostasis in a number of physiologic systems.

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Preliminary results of a randomized trial have suggested that total lesion coverage with drug-eluting stents (DES) is not necessary in the presence of diffuse disease of nonuniform severity. In the present study, we report long-term results of this trial.

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We have measured high-precision infrared parallaxes with the Canada-France-Hawaii Telescope for a large sample of candidate young (approximate to 10-100 Myr) and intermediate-age (approximate to 100-600 Myr) ultracool dwarfs, with spectral types ranging from M8 to T2.5. These objects are compelling benchmarks for substellar evolution and ultracool atmospheres at lower surface gravities (i.e., masses) than most of the field population. We find that the absolute magnitudes of our young sample can be systematically offset from ordinary (older) field dwarfs, with the young late-M objects being brighter and the young/dusty mid-L (L3-L6.5) objects being fainter, especially at J band. Thus, we conclude the "underluminosity" of the young planetary-mass companions HR 8799b and 2MASS J1207-39b compared to field dwarfs is also manifested in young free-floating brown dwarfs, though the effect is not as extreme. At the same time, some young objects over the full spectral type range of our sample are similar to field objects, and thus a simple correspondence between youth and magnitude offset relative to the field population appears to be lacking. Comparing the kinematics of our sample to nearby stellar associations and moving groups, we identify several new moving group members, including the first free-floating L dwarf in the AB Dor moving group, 2MASS J0355+11. Altogether, the effects of surface gravity (age) and dust content on the magnitudes and colors of substellar objects appear to be degenerate. (C) 2013 WILEY-VCH Verlag GmbH & Co. KGaA, Weinheim

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The formation of aerosols is a key component in understanding cloud formation in the context of radiative forcings and global climate modeling. Biogenic volatile organic compounds (BVOCs) are a significant source of aerosols, yet there is still much to be learned about their structures, sources, and interactions. The aims of this project were to identify the BVOCs found in the defense chemicals of the brown marmorated stink bug Halymorpha halys and quantify them using gas chromatography-mass spectrometry (GC/MS) and test whether oxidation of these compounds by ozone-promoted aerosol and cloud seed formation. The bugs were tested under two conditions: agitation by asphyxiation and direct glandular exposure. Tridecane, 2(5H)-furanone 5-ethyl, and (E)-2-decenal were identified as the three most abundant compounds. H. halys were also tested in the agitated condition in a smog chamber. It was found that in the presence of 100-180 ppm ozone, secondary aerosols do form. A scanning mobility particle sizer (SMPS) and a cloud condensation nuclei counter (CCNC) were used to characterize the secondary aerosols that formed. This reaction resulted in 0.23 mu g/bug of particulate mass. It was also found that these secondary organic aerosol particles could act as cloud condensation nuclei. At a supersaturation of 1%, we found a kappa value of 0.09. Once regional populations of these stink bugs stablilize and the populations estimates can be made, the additional impacts of their contribution to regional air quality can be calculated. Implications: Halymorpha halys (brown marmorated stink bugs) are a relatively new invasive species introduced in the United States near Allentown, Pennsylvania. The authors chemically speciated the bugs' defense pheromones and found that tridecane, 5-ethyl-2(5H)-furanone, and (E)-2-decenal dominated their emissions. Their defense emissions were reacted with atmospherically relevant concentrations of ozone and resulted in 0.23 g of particulate matter per emission per bug. Due to the large population of these bugs in some regions, these emissions could contribute appreciably to a region's PM2.5 (particulate matter with an aerodynamic diameter 2.5 m) levels.