763 resultados para critique of historicism


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Pós-graduação em Linguística e Língua Portuguesa - FCLAR

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Pós-graduação em Ciências Sociais - FFC

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Pós-graduação em Psicologia - FCLAS

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In this work we make a study of the dissertations of Master of Education, at the State University of Londrina, in the period 1995 to 2006. It aims to provide support to other researchers who may be interested in the topic and find material available for further studies, examining the organization of the program to detect their social involvement with the city of Londrina and its regional environment, specifically north of Paraná. His character is descriptive census. The mapping these productions show significant contributions to the construction of educational policies at the local level, but mainly in education and training of teachers for higher education in the region and also meet the teacher network municipal and state. It also provides a critique of their training students to act in society and in the production and transmission of knowledge but also for the collective construction of the university.

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O texto aqui apresentado foi originalmente elaborado para o debate sobre a crítica de arte no I Congresso de Jornalismo realizado em São Paulo, pela Revista Cult, em Maio de 2009. Tendo como campo de trabalho a prática artística e a docência e envolvida no processo de formação de artistas desde 1982, meu objetivo foi argumentar a favor de um entendimento da crítica como dispositivo da arte e, portanto, atributo não só de críticos, mas também de artistas. Defendo a idéia da manutenção de um ‘estado de crítica' para o contexto brasileiro a partir de uma relação dialógica e internacionalizada, envolvendo também a fala crítica de artistas. Para isso reporto às práticas adotadas no século XX pelos artistas que colaboraram para inserir a obra de arte no campo programático da auto-crítica e da crítica ao sistema, evidenciando assim a posição destes como agente ativos no sistema

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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

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La tesi è incentrata sui recenti sviluppi della narrativa testimoniale dell’America Latina. Verranno presi in considerazione gli ultimi contributi critici dedicati al rapporto tra finzione e realtà in letteratura, e sarà dato spazio alla costruzione narrativa della realtà e alla nascita del testimonio, come genere a sé, che raccoglie alcune delle principali opere latinoamericane degli ultimi quaranta anni. Nello specifico, l’indagine riguarderà la rappresentazione letteraria della violenza nella narrativa di denuncia di tre autori ispoanoamericani: la novela negra di Enrique Serna, il poliziesco testimoniale di Rodolfo Walsh e la scrittura estrema di Roberto Bolaño. Obiettivo della ricerca è capire in che modo i tre scrittori hanno raccontato le loro verità alternative, provando a salvaguardare la memoria, e quali effetti hanno ottenuto. Verranno analizzate non solo le tematiche affrontate, facendo riferimento quindi al contesto storico, politico e sociale al quale si rifanno, ma saranno illustrate anche le differenti tecniche di costruzione del romanzo, dell’intreccio e della trama, e verrà isolato il ruolo del testimone (diretto o indiretto) e delle fonti, per cogliere le differenze ma anche le similitudini stilistiche e narrative di ognuna delle opere. Più in generale, dimostreremo come e quanto i testi di questi autori costituiscano in realtà una forte critica al sistema imperante e diano voce alle categorie sociali altrimenti emarginate.

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Il presente lavoro di ricerca si propone di discutere il contributo che l’analisi dell’evoluzione storica del pensiero politico occidentale e non occidentale riveste nel percorso intellettuale compiuto dai fondatori della teoria contemporanea dell’approccio delle capacità, fondata e sistematizzata nei suoi contorni speculativi a partire dagli anni Ottanta dal lavoro congiunto dell’economista indiano Amartya Sen e della filosofa dell’Università di Chicago Martha Nussbaum. Ci si ripropone di dare conto del radicamento filosofico-politico del lavoro intellettuale di Amartya Sen, le cui concezioni economico-politiche non hanno mai rinunciato ad una profonda sensibilità di carattere etico, così come dei principali filoni intorno ai quali si è imbastita la versione nussbaumiana dell’approccio delle capacità a partire dalla sua ascendenza filosofica classica in cui assume una particolare primazia il sistema etico-politico di Aristotele. Il pensiero politico moderno, osservato sotto il prisma della riflessione sulla filosofia della formazione che per Sen e Nussbaum rappresenta la “chiave di volta” per la fioritura delle altre capacità individuali, si organizzerà intorno a tre principali indirizzi teorici: l’emergenza dei diritti positivi e sociali, il dibattito sulla natura della consociazione nell’ambito della dottrina contrattualista e la stessa discussione sui caratteri delle politiche formative. La sensibilità che Sen e Nussbaum mostrano nei confronti dell’evoluzione del pensiero razionalista nel subcontinente che passa attraverso teorici antichi (Kautylia e Ashoka) e moderni (Gandhi e Tagore) segna il tentativo operato dai teorici dell’approccio delle capacità di contrastare concezioni politiche contemporanee fondate sul culturalismo e l’essenzialismo nell’interpretare lo sviluppo delle tradizioni culturali umane (tra esse il multiculturalismo, il comunitarismo, il neorealismo politico e la teoria dei c.d. “valori asiatici”) attraverso la presa di coscienza di un corredo valoriale incentrato intorno al ragionamento rintracciabile (ancorché in maniera sporadica e “parallela”) altresì nelle tradizioni culturali e politiche non occidentali.

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Philosophers and laymen alike have often used morality to invite misconceptions of human life into ethics, and also of ethics into human life. The Kant/Williams discourse provides a rich backdrop on which to consider these misconceptions. But the misconceptionsof morality involved are just as numerous and just as serious. One thing that the Kant/Williams discourse shows is this: that ethics can be neither contained by nor cultivated without morality. Though much of Williams’ critique of Kantian morality is quite astute, thephilosophical and ethical wisdoms of morality abound in spite of these. Morality understands the fundamental condition of moral loss, and the sometimes irreducible quandaries that this condition places human beings in. It understands the nature of the moral law, and theintricacies that the levels of letter and spirit invite into human life. Perhaps more importantly, it understands the uncompromising relationship between moral loss and moral law, and how the human navigation of this relationship leads into the ethical realm via giving rise to ethical conviction. Finally, for all of its pressures, morality abounds in valuable wisdoms for the one discovering that the human soul occupies a place of ethical significance in the world. It is responsible for pointing out, grounding and providing a framework for some of the most fundamental truths about the world and human beings; and these are essential to any viable ethical theory and sensible conception of human life.

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The objective for this thesis is to outline a Performance-Based Engineering (PBE) framework to address the multiple hazards of Earthquake (EQ) and subsequent Fire Following Earthquake (FFE). Currently, fire codes for the United States are largely empirical and prescriptive in nature. The reliance on prescriptive requirements makes quantifying sustained damage due to fire difficult. Additionally, the empirical standards have resulted from individual member or individual assembly furnace testing, which have been shown to differ greatly from full structural system behavior. The very nature of fire behavior (ignition, growth, suppression, and spread) is fundamentally difficult to quantify due to the inherent randomness present in each stage of fire development. The study of interactions between earthquake damage and fire behavior is also in its infancy with essentially no available empirical testing results. This thesis will present a literature review, a discussion, and critique of the state-of-the-art, and a summary of software currently being used to estimate loss due to EQ and FFE. A generalized PBE framework for EQ and subsequent FFE is presented along with a combined hazard probability to performance objective matrix and a table of variables necessary to fully implement the proposed framework. Future research requirements and summary are also provided with discussions of the difficulties inherent in adequately describing the multiple hazards of EQ and FFE.

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"The disaster does not primarily lie in people and in the way that they perceive the circumstances, rather in the circumstances that doom people to powerlessness and apathy - circumstances which they could, however, change" (Adorno, 1966, p. 189). When Karl Marx writes to Friedrich Sorge in his letter of the 19.10.1877, regarding his critique of the opinion of his opponents Dühring & Co., that one must deal with "a whole crowd of immature students and pompous doctors who claim to give socialism a 'higher, ideal' turn, that is to say, to replace the materialistic basis (that demands serious, objective study if one wants to operate on it)… with modern mythology by means of their goddesses of justice, freedom, equality and fraternité" (Marx, 1973, p. 303; cf. Schiller, 1993, p. 199 onwards), this thus refers to fundamental problems with the concept of "justice" up until today. As the debate shows, it concerns the contextualization of the term "justice", its meaning in historically concrete as well as socio-political circumstances, and therefore a social analysis that is both representation and critique. Essentially it also concerns the question of the relationship between ideas and reality and the development of standards of historical systematic 'nature' out of social frameworks (see Frey, 1978; Theunissen, 1989).

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In 1996 and in 1997, Congress ordered the Secretary of Health and Human Services to undertake a process of negotiated rulemaking, which is authorized under the Negotiated Rulemaking Act of 1990, on three separate rulemaking matters. Other Federal agencies, including the Environmental Protection Agency and the Occupational Health and Safety Administration, have also made use of this procedure. As part of the program to reinvent government, President Clinton has issued an executive order requiring federal agencies to engage in some negotiated rulemaking procedures. I present an analytic, interpretative and critical approach to looking at the statutory and regulatory provisions for negotiated rulemaking as related to issues of democratic governance surrounding the problem of delegation of legislative power. The paradigm of law delineated by Jürgen Habermas, which sets law the task of achieving social or value integration as well as integration of systems, provides the background theory for a critique of such processes. My research questions are two. First, why should a citizen obey a regulation which is the result of negotiation by directly interested parties? Second, what is the potential effect of negotiated rulemaking on other institutions for deliberative democracy? For the internal critique I argue that the procedures for negotiated rulemaking will not produce among the participants the agreement and cooperation which is the legislative intent. For the external critique I argue that negotiated rulemaking will not result in democratically-legitimated regulation. In addition, the practice of negotiated rulemaking will further weaken the functioning of the public sphere, as Habermas theorizes it, as the central institution of deliberative democracy. The primary implication is the need to mitigate further development of administrative agencies as isolated, self-regulating systems, which have been loosened from the controls of democratic governance, through the development of a robust public sphere in which affected persons may achieve mutual understanding. ^

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Chapter 2 by Luca Di Blasi (...) gives us an insight into the history of nihilism, specifically by exposing a continuity (or else a cycle or repetition) between the earliest debates on the subject in the turn of the nineteenth century and latest ones in the turn of the twenty-first Di Blasi emphasizes the fact that the struggle between philosophy and religion, reason and faith, was a pertinent motif in Jacobi’s critique of Fichte’s philosophy and in Hegel’s response to this critique. A similar problematic, and similar dynamic, recurs two centuries later, where debates around the concept of nihilism among thinkers like Vattimo, Derrida, Habermas, and Žižek again revolve around the relation between religion, science, secularism, and “post-secularism.” Beginning with Hegel, Di Blasi’s chapter ends with a focus on Žižek as a “neo-Hegelian” showing how, in attacking his contemporaries, Žižek mirrors and revives Hegel’s approach in his critique of Jacobi and Fichte. Suggestively, Žižek informs us that now “the circle is closed” and that “to be a Hegelian today does not mean to assume the superfluous burden of some metaphysical past, but to regain the ability to begin from the beginning...”