978 resultados para Vega, Diego, 1968-


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La tesi analizza una parte della politica estera dell’amministrazione Johnson, e più specificamente l’avvio del dialogo con l’Urss in materia di non proliferazione e controllo degli armamenti e la revisione della China policy, inquadrando entrambe nell’adattamento della cold war strategy all’evoluzione sistema internazionale, argomentando che la distensione intesa come rilassamento delle tensioni e ricerca di terreno comune per il dialogo, fosse perlomeno uno degli strumenti politici che l’amministrazione scelse di usare. Il primo capitolo analizza i cambiamenti che interessarono il Blocco sovietico e il movimento comunista internazionale tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, soprattutto la rottura dell’alleanza sino-sovietica, e l’impatto che essi ebbero sul sistema bipolare su cui si basava la Guerra Fredda. Il capitolo secondo affronta più specificamente l’evoluzione delle relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il perseguimento di una politica di distensione, dopo la crisi dei missili cubani, e in che relazione si trovasse ciò con lo status della leadership sovietica a seguito dei cambiamenti che avevano avuto luogo. Soffermandosi sulla questione del controllo degli armamenti e sul percorso che portò alla firma del Trattato di Non-proliferazione, si analizza come la nuova rotta intrapresa col dialogo sulle questioni strategiche sia stato anche un cambiamento di rotta in generale nella concezione della Guerra Fredda e l’introduzione della distensione come strumento politico. Il terzo capitolo affronta la questione della modifica della politica verso Pechino e il processo tortuoso e contorto attraverso cui l’amministrazione Johnson giunse a distaccarsi dalla China policy seguita sino ad allora.

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Questa tesi presenta i risultati di una ricerca qualitativa condotta presso la scuola primaria Diego Fabbri di Forlì. Si è voluto indagare sul fenomeno della mediazione linguistica ad opera di bambini in relazione con la scelta del sistema scolastico italiano di impartire un’educazione di tipo interculturale. Ci si è quindi concentrati sul percorso di accoglienza riservato agli alunni stranieri neo-arrivati. In particolare si sono analizzate le strategie messe in atto dall’istituto e dagli insegnanti per favorire l’integrazione all’interno di classi multiculturali, nonché il ruolo riservato ai compagni, sia italiani che stranieri. La prima parte del testo costituisce un quadro teorico indirizzato a meglio comprendere gli obiettivi e i risultati dello studio. Il primo capitolo verte sulle tematiche dell’immigrazione e dell’integrazione. Vengono qui esposti i principali modelli di acculturazione sviluppati dai vari paesi del mondo e in diverse epoche storiche, con particolare riferimento al contesto europeo e alle scelte operate dall’Italia nei confronti degli stranieri presenti sul suo territorio. Il secondo capitolo presenta poi il tema dell’educazione interculturale. A partire da una riflessione concettuale e terminologica sulla dicotomia fra multicultura e intercultura, si analizza la linea di pensiero seguita dalla scuola italiana nella gestione della crescente diversità etnica e culturale all’interno delle classi. Il terzo capitolo affronta il fenomeno del child language brokering o mediazione linguistica ad opera di bambini. Ne sono valutati aspetti positivi e negativi, soffermandosi specialmente sulle particolarità del contesto scolastico e dell’interazione fra pari. Gli ultimi due capitoli riguardano invece la parte operativa del lavoro di ricerca. Nel quarto capitolo è presentata la metodologia applicata, con un approfondimento sulla combinazione delle tecniche dell’osservazione e dell’intervista e la conduzione di una ricerca con i bambini. Infine, nel quinto capitolo, sono analizzati i dati raccolti sul campo.

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La tesi è una ricerca di storia politica che affianca due diverse “storie” di centro-sinistra, quella nazionale e quella che vide protagonista la Democrazia Cristiana del Trentino. Lo studio analizza i fatti attraverso il filtro delle DC come se quello trentino e quello nazionale fossero due partiti, per poi tentare di capire ciò che accadeva alla loro sinistra alla ricerca dei diversi pesi e dei differenti equilibri che al centro e alla periferia si manifestavano nei rapporti con il PSI e con il PCI, e per osservare le reazioni della Chiesa così da valutare se le gerarchie romane e quelle trentine interagirono in modo differente sugli sviluppi delle rispettive esperienze politiche di quegli anni. Il testo è organizzato in quattro capitoli. Il primo e il secondo (speculari e dedicati allo stesso lustro: 1955-1960) rappresentano un confronto tra i differenti iter d’avvicinamento al centro-sinistra che la politica nazionale e quella trentina sperimentarono nella seconda metà degli anni Cinquanta. Nel terzo capitolo (1960-1964) e nel quarto (1964-1968) le vicende nazionali e quelle locali sono invece raccontate in modo intrecciato, ripercorrendo le diverse fasi dell’alleanza tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista, e nel contempo dando conto della trasformazione del Trentino da una realtà di tipo agricolo ad una di tipo industriale, del passaggio da una comunità di tipo cattolico tradizionale ad una che si accinge a vivere in un contesto secolarizzato, e da una società che si autopercepisce come periferica ad una che ospita una delle contestazioni studentesche più peculiari, incisive e note d’Italia.

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La ricerca affronta il rapporto tra il Partito comunista italiano e le organizzazioni della sinistra extraparlamentare nate nel biennio 1968-1969. Sulla base di documentazione d’archivio e fonti a stampa, vengono ricostruite ed analizzate le relazioni tra questi due soggetti nel periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo, quando i principali gruppi politici della sinistra extraparlamentare si dotarono di una struttura organizzativa più stabile che segnava una discontinuità con l’esperienza precedente. Nel corso della prima metà degli anni Settanta, i rapporti tra il PCI e queste organizzazioni furono complessi e talvolta contraddittori. Il conflitto si consumò prevalentemente sulla reciproca pretesa di possedere l’esclusiva rappresentanza politica del fermento sociale che attraversava il paese in quegli anni: il PCI rappresentando se stesso come l’unica forza politica capace di mediare tra movimenti sociali e istituzioni; i gruppi della sinistra parlamentare come «avanguardie» di un irrealizzabile progetto «rivoluzionario».

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Fourteen non-terrorist attackers of public figures in Germany between 1968 and 2004 were intensively studied, with a particular focus on warning behaviors, attack behaviors, and the relationship between psychiatric diagnosis, symptoms, and motivations for the assault. A large proportion of the attackers were severely mentally ill, and most likely to be in the potentially lethal rather than the non-lethal group. A new typology of seven warning behaviors was applied to the data, and all were present, most frequently fixation and pathway warning behavior, and least frequently a direct threat. Psychiatric diagnosis could be closely linked to motivation when analyzed at the level of symptom and content of thought, often delusional. Most of the attacks were directed at political figures, and the majority occurred after 1995.

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This project looked at the various responses, both political and aesthetic, to the end of socialist realism and the return of pre-war modernism as a desirable ideal. It considered both the built environment and objects of daily use (furniture, radios, TV sets, etc.) in several countries of the region, including Estonia, Hungary, Poland, Russia and Romania, also comparing developments there with corresponding ones in the west. Among particular aspects considered were the effects of Kruschev's speech in December 1954 to workers in construction, machine-building and design industries, in which he argued against monumentalism and criticised both "classical architecture" and socialist realism. The team see the real issue in interpreting Eastern European architecture as its lack of a critical edge, since official discourses took the place of any form of criticism and architects sought to implement the "official line". Megastructures became increasingly popular from the 1960s onwards and in Romania, for instance, came to dominate the city in the late 1980s. Such structures proved an efficient way to control the environment in countries plagued by prefabrication and social housing, and the group see the exhibition of inflated concrete grids as perhaps the most important feature of Eastern European architecture in the 1960s and 1970s. They also point out the rarity of glass and steel architecture in the east, where the preferred material was concrete, a material seen as "revolutionary" as it was the product of heavy industry and was grey, i.e. the workers' colour. Tactile elements were more important here than the visual elements favoured in the west, and a solidity more in line with the dominant ideology than the ephemeral qualities of glass.

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In May of 1968, workers at the Kingston mine, a branch of the Calumet Division of Universal Oil Products walked off the site in protest of a safety issue involving a man-car. Knowing their contracts were due for negotiation in just a few months, the workers quickly returned, only to find themselves striking yet again just three months later, when negotiations failed. Requesting pay equal to that of the workers at the nearby White Pine mine was unacceptable to the heads of Universal Oil, the corporation which bought the long running Calumet & Hecla just a year earlier in 1968. The strike would last for nine months, ending in a total shutdown of all mining operations on the Keweenaw Peninsula, and bring an economic hardship to the area that would take decades to recover from. The Copper Strike of 1968-1969 is often forgotten, though extremely important to the story of the copper industry in Michigan, as well as to the United States. This paper has not yet been submitted.