891 resultados para RITUAL FUNERARIO
Resumo:
Il continuo sdoppiamento e la riverberazione sono le matrici di sviluppo di questa tesi, in cui le ricerche di Grotowski legate al Parateatro e al Teatro delle Fonti sono indagate e interpretate a partire da un pensiero polivalente che prende avvio nella sociologia della cultura e si radica in un terreno antropologico. La ricerca si configura come un’interpretazione possibile delle scelte operate da Grotowski e, complessivamente, dal Teatro Laboratorio, nel contesto delle trasformazioni socio-culturali successive agli anni Sessanta verificando come nel periodo dal '70 all'82 le scelte stesse rispecchino i valori culturali dell’epoca.La ricerca ricorre alla categoria della “festa” - intesa come realtà quotidiana elevata alla forma rituale, attraverso gli elementi culturali e identitari del gruppo di appartenenza - e, a partire da essa, sovrappone criticamente la logica dell’“identità in performance” con la nozione di “Incontro” elaborata da Grotowski. Questa logica è, successivamente, problematizzata attraverso il “diamante culturale”, un dispositivo di analisi della sociologia della culturache, a sua volta, è discusso eridimensionato a partire dalpresuppostodi “Decostruzione” e dall’idea di “Decondizionamento”legata al lavoro del Performer, inteso come individuo.Tre immagini e un’incognita rivelano i campi d’azioneed i principi che permeano l’intera ricerca raddoppiandosi e congiungendo l’immagine del Performer come individuo riflessivo. L’immagine riflessa si configura nel contrasto fra apparenza e presenza: nella domanda posta da Grotowski “che si può fare con la propria solitudine?” si evidenzia uno dei problemi a cui deve far fronte l’individuo in una determinata struttura culturale e, al contempo, viene suggerita una possibilità di amplificazione della percezione di “se stesso” da parte dell’Attore-Performer come Individuo.
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La ricerca si propone di sondare in maniera completa e approfondita la rappresentazione del banchetto nel testo letterario e, in senso più ampio, nel testo inteso come sistema di segni (siano essi parole, gesti, espressioni facciali, modi di esprimersi, mezzi di comunicazione in genere). Il banchetto è una ‘messa in scena’ che assume nel testo letterario e nei linguaggi espressivi dell’arte contemporanea diverse funzioni a livello tematico e stilistico. Nel lavoro si analizza ognuna di queste funzioni: la funzione denotativa, connotativa, strutturale, metaforica, metanarrativa e stilistica e comunicativa. La linea di analisi tracciata si conclude con un particolare focus sulla rappresentazione del banchetto nel testo letterario e nei media come strumento di comunicazione all’interno di un altro mezzo di comunicazione. Con questa premessa la candidata termina con il capitolo conclusivo dedicando spazio all’immagine del pasto postmoderno. Il banchetto, in quanto rito simbolico, media contenuti legati all’universo culturale, rivela connessioni con la realtà storico-sociale, con l’assetto profondo dell’identità individuale e collettiva, costituendo un polo di aggregazione di diverse dimensioni di umanità. Nonostante l’estrema duttilità alla quale si presta l’immaginario del banchetto sul piano artistico e concettuale, nella quotidianità il momento conviviale continua per l’uomo postmoderno a evocare sentimenti e valori tradizionali ai quali ispirarsi.
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In questa tesi viene presentata una ricerca di campo che si configura come esempio di un’antropologia applicata alle dinamiche lavorative all’interno di un’azienda ICT italiana. Fulcro della trattazione è la riflessione sui diversi aspetti di un’analisi antropologica del clima aziendale, condotta sulla base di una rilevazione dei processi lavorativi presso una società italiana specializzata in progetti di digital marketing. Il lavoro associato alle tecnologie di ultima generazione non è impersonale o dettato soltanto da regole esterne, ma piuttosto un lavoro dal forte carattere rituale, sociale, morale e performativo, dove soggetti, ruoli, idee, scelte e problematiche si intrecciano secondo modalità uniche ed irripetibili, rintracciabili anche attraverso l’etnografia. E’ dunque necessario dare visibilità al ruolo attivo dei lavoratori nel loro essere contemporaneamente individui e soggetti che lavorano. Partendo da una riflessione su lavoro e tecnologia all’interno di un quadro interdisciplinare che vede coinvolte - insieme all’antropologia - la sociologia, l’economia e la storia, ci si sofferma sulle potenzialità dell’antropologia del lavoro. Dopo aver ripercorso tutti i passi della ricerca di campo presso l’azienda, viene condivisa una più ampia considerazione sul ruolo dell’antropologia applicata al lavoro in contesti aziendali. Infine l’esperienza di antropologa in azienda viene posta a confronto con un’altra attività svolta dalla stessa autrice in ambito accademico nel campo dell’antropologia dell’educazione. Gli studi presi in considerazione e le esperienze concrete offrono la possibilità di affrontare il tema dell’antropologia del lavoro all’interno di una più vasta riflessione sulla necessità di sviluppare un’antropologia applicata in Italia. Essa non occupa ancora un posto rilevante nello scenario della vita pubblica, ma molti sono gli sforzi che si stanno compiendo in questa direzione. Uno sguardo positivo verso il futuro e la consapevolezza di un’antropologia che è insieme azione, impegno, partecipazione e sperimentazione etnografica concludono la tesi.
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Playground is intended to open a window into a world, however familiar it may first appear, that resonates with one of our universal compassions and the icons of contemporary life: the act and ritual of taking photographs. This project aims to magnify the extraordinary in the ordinary, revealing facial expressions, gestures or body language of the subjects behind their own visual recording device. It is about the drama of people in their private moments, when their face or body language reveals the most hidden parts of their inner world in public places. The interplay between private and public, individual and social are the main inhabitants of this photographic project.
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Ponds are ubiquitous in the Maithil region of Nepal, and they figure prominently in folk narratives and ceremonial paintings produced by women there. I argue that in Maithil women's folktales, as in their paintings, the trope of ponds shifts the imaginative register toward women's perspectives and the importance of women's knowledge and influence in shaping Maithil society, even as this register shift occurs within plots featuring male protagonists. I argue further that in the absence of a habit of exegesis in their expressive arts, and given the cross-referential, dialogic nature of expressive practices, a methodology that draws into interpretive conversation the multitude of expressive forms exercised by Maithil women enhances analytical access to Maithil women's collective perspectives on their social and cosmological worlds.
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As a female-only festival in a significantly gender-segregated society, sāmā cakevā provides a window into Maithil women’s understandings of their society and the sacred, cultural subjectivities, moral frameworks, and projects of self-construction. The festival reminds us that to read male-female relations under patriarchal social formations as a dichotomy between the empowered and the disempowered ignores the porous boundaries between the two in which negotiations and tradeoffs create a symbiotic reliance. Specifically, the festival names two oppositional camps—the male world of law and the female world of relationships—and then creates a male character, the brother, who moves between the two, loyal to each, betraying, in a sense, each, but demonstrating, by his movements, the currents and avenues of power. This article makes available to other scholars of South Asian culture and society an extended description and analysis of this distinctive festival, while also contributing to the scholarly discussion of women’s expressive traditions.
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This thesis focuses on “The “great hunting” among the Baka pygmies of the Southeastern Cameroon. A contribution to Anthropology of environment. The problematic in the study is the confrontation of great hunting among the Baka with the institutional, socio-economic and ecological change in forest. The goal is to analyze the mechanisms of adaptation of this game against these changes that affect the Baka environment. The proposed hypothesis suggests that Baka Pygmies have restructured the preparatory ceremonies of the great hunting following changes that occurred in their environmental milieu. Certain ritual animals have been substituted. Hunting lands, tools, methods and periods were also modified. The great hunting is opened to Baka hunters and non Baka hunters. Qualitative techniques, including observation, interviews and focus group discussions were used for data collection. The observations allowed us to understand the reality of driving forces in the forest as well as tools for hunting, hunting land and even the species sought. Interviews and focus group discussions were consolidated data on the ancient practice of hunting for rituals like Jengi and Beka, on the current practice of this hunting and on the impact of the of the modification of this hunting practice on the Baka culture. The results of this research show that the Baka have taken important measure to adapt their great hunting to the changing time and space. But the restructuring of this hunting varies from one village to another. As and when we leave the depths of the forest to the city of Yokadouma the great hunting is practiced less and less. Baka use illegal hunting tools and even fully protected species in their great hunting and in rituals celebrations. The overexploitation of forest resources, the creation of protected areas, full protection of certain large mammals and the action of ecoguards are something of an obstacle to the ancient practice of hunting for ritual. In most of camp where hunting is no more existing, ritual ceremonies are less and less celebrated. The study is divided into five chapters. The first chapter is related to the literature review, the theoretical framework, the definition of concepts, the second focuses on the geographical presentation of the study area, the third chapter looks at factors affecting the great hunting, the fourth chapter deal with the changes observed in the Baka’s great hunting, and the fifth chapter examines consequences of the restriction or suppression of the hunt on the Baka socio culture.
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Lining the streets inside the city's gates, clustered in its center, and thinly scattered among its back quarters were Augsburg's taverns and drinking rooms. These institutions ranged from the poorly lit rooms of backstreet wine sellers to the elaborate marble halls frequented by society's most privileged members. Urban drinking rooms provided more than food, drink, and lodging for their guests. They also conferred upon their visitors a sense of social identity commensurate with their status. Like all German cities, Augsburg during the sixteenth and seventeenth centuries had a history shaped by the political events attending the Reformation, the post-Reformation, and the Thirty Years' War; its social and political character was also reflected and supported by its public and private drinking rooms. In Bacchus and Civic Order: The Culture of Drink in Early Modern Germany, Ann Tlusty examines the social and cultural functions served by drinking and tavern life in Germany between 1500 and 1700, and challenges existing theories about urban identity, sociability, and power. Through her reconstruction of the social history of Augsburg, from beggars to council members, Tlusty also sheds light on such diverse topics as social ritual, gender and household relations, medical practice, and the concerns of civic leaders with public health and poverty. Drunkenness, dueling, and other forms of tavern comportment that may appear "disorderly" to us today turn out to be the inevitable, even desirable result of a society functioning according to its own rules.
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Der Pilsudski-Kult ist ein typischer politischer Kult, der durch die Komponenten Mythos, Ritual und Symbole sowie durch eine damit einhergehende Institutionalisierung definiert wird. In den Ausdrucks- und Vermittlungsformen ähneln sich politische Kulte, während die inhaltlichen Aspekte Bezug auf die jeweiligen Traditionen und den historischen Kontext nehmen müssen. Da der Totenkult um Pilsudski auf dem Personenkult aufbaut, wird dieser seit dem Ersten Weltkrieg bis 1935 skizziert und im Folgenden die Begräbnisfeierlichkeiten als Katalysator und Auftakt des Totenkultes, der Totenkult selbst bis 1939 und die Ausdrucksformen und Funktionen des Kultes bis 1939 dargestellt. Anschließend wird dessen Entwicklung im Zweiten Weltkrieg, in der Pilsudski-nahen Emigration, während der Volksrepublik Polen und in der Dritten Republik untersucht. Es soll verdeutlicht werden, dass man den Pilsudski-Kult jederzeit politisch instrumentalisierte, wobei der Mythos als inhaltlicher Bestandteil jeweils nuanciert wurde. Er erhielt legitimatorische und über die Zeit der Zweiten Republik hinausführend identitätsstiftende Funktionen und beeinflusste das historische Gedächtnis.