932 resultados para Incollaggi, Single-lap joint, Effetto di bordo, CFRP, Analisi numerica, FEM


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La necessità di sincronizzare i propri dati si presenta in una moltitudine di situazioni, infatti il numero di dispositivi informatici a nostra disposizione è in continua crescita e, all' aumentare del loro numero, cresce l' esigenza di mantenere aggiornate le multiple copie dei dati in essi memorizzati. Vi sono diversi fattori che complicano tale situazione, tra questi la varietà sempre maggiore dei sistemi operativi utilizzati nei diversi dispositivi, si parla di Microsoft Windows, delle tante distribuzioni Linux, di Mac OS X, di Solaris o di altri sistemi operativi UNIX, senza contare i sistemi operativi più orientati al settore mobile come Android. Ogni sistema operativo ha inoltre un modo particolare di gestire i dati, si pensi alla differente gestione dei permessi dei file o alla sensibilità alle maiuscole. Bisogna anche considerare che se gli aggiornamenti dei dati avvenissero soltanto su di uno di questi dispositivi sarebbe richiesta una semplice copia dei dati aggiornati sugli altri dispositivi, ma che non è sempre possibile utilizzare tale approccio. Infatti i dati vengono spesso aggiornati in maniera indipendente in più di un dispositivo, magari nello stesso momento, è pertanto necessario che le applicazioni che si occupano di sincronizzare tali dati riconoscano le situazioni di conflitto, nelle quali gli stessi dati sono stati aggiornati in più di una copia ed in maniera differente, e permettano di risolverle, uniformando lo stato delle repliche. Considerando l' importanza e il valore che possono avere i dati, sia a livello lavorativo che personale, è necessario che tali applicazioni possano garantirne la sicurezza, evitando in ogni caso un loro danneggiamento, perchè sempre più spesso il valore di un dispositivo dipende più dai dati in esso contenuti che dal costo dello hardware. In questa tesi verranno illustrate alcune idee alternative su come possa aver luogo la condivisione e la sincronizzazione di dati tra sistemi operativi diversi, sia nel caso in cui siano installati nello stesso dispositivo che tra dispositivi differenti. La prima parte della tesi descriverà nel dettaglio l' applicativo Unison. Tale applicazione, consente di mantenere sincronizzate tra di loro repliche dei dati, memorizzate in diversi dispositivi che possono anche eseguire sistemi operativi differenti. Unison funziona a livello utente, analizzando separatamente lo stato delle repliche al momento dell' esecuzione, senza cioè mantenere traccia delle operazioni che sono state effettuate sui dati per modificarli dal loro stato precedente a quello attuale. Unison permette la sincronizzazione anche quando i dati siano stati modificati in maniera indipendente su più di un dispositivo, occupandosi di risolvere gli eventuali conflitti che possono verificarsi rispettando la volontà dell' utente. Verranno messe in evidenza le strategie utilizzate dai suoi ideatori per garantire la sicurezza dei dati ad esso affidati e come queste abbiano effetto nelle più diverse condizioni. Verrà poi fornita un' analisi dettagiata di come possa essere utilizzata l' applicazione, fornendo una descrizione accurata delle funzionalità e vari esempi per renderne più chiaro il funzionamento. Nella seconda parte della tesi si descriverà invece come condividere file system tra sistemi operativi diversi all' interno della stessa macchina, si tratta di un approccio diametralmente opposto al precedente, in cui al posto di avere una singola copia dei dati, si manteneva una replica per ogni dispositivo coinvolto. Concentrando l' attenzione sui sistemi operativi Linux e Microsoft Windows verranno descritti approfonditamente gli strumenti utilizzati e illustrate le caratteristiche tecniche sottostanti.

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La tesi è relativa all'implementazione di un modulo per la comunicazione sicura tramite SSL/TLS sviluppato in JAVA che aggiunge il supporto del protocollo HTTPS a JOLIE. Le politiche di SSL/TLS vengono applicate mediante l'utilizzo dell'API SSLEngine, che viene descritta accuratamente. La tesi contiene inoltre un caso d'uso in cui viene utilizzato JOLIE per sviluppare un servizio di autenticazione integrata (single sign-on) tra l'ELMS Webstore del programma Microsoft MSDNAA e l'Università di Bologna.

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La crescente attenzione verso un utilizzo attento, sostenibile ed economicamente efficiente della risorsa idrica rende di primaria importanza il tema delle perdite idriche e della gestione efficiente dei sistemi idrici. La richiesta di controlli dell’uso dell’acqua è stata avanzata a livello mondiale. Il problema delle perdite idriche nei Paesi industrializzati è stato così affrontato con specifiche normative e procedure di best practice gestionale per avanzare una valutazione delle perdite idriche e una limitazione degli sprechi e degli usi impropri. In quest’ambito, la pressione gioca un ruolo fondamentale nella regolazione delle perdite reali. La regolazione delle pressioni nelle diverse ore del giorno consente, infatti, di poter agire su queste ultime perdite, che aumentano all’aumentare della pressione secondo una cosiddetta legge di potenza. La motivazione della presente tesi è originata dalla necessità di quantificare il livello di perdita idrica in un sistema acquedottistico in relazione alla pressione all’interno del sistema stesso. Per avere una stima realistica che vada al di là della legge della foronomia, si vuole valutare l’influenza della deformabilità della condotta in pressione fessurata sull’entità delle perdite idriche, con particolare attenzione alle fessurazioni di tipo longitudinale. Tale studio è condotto tramite l’introduzione di un semplice modello di trave alla Winkler grazie al quale, attraverso un’analisi elastica, si descrive il comportamento di una generica condotta fessurata longitudinalmente e si valuta la quantità d’acqua perduta. I risultati ottenuti in condizioni specifiche della condotta (tipo di materiale, caratteristiche geometriche dei tubi e delle fessure, etc.) e mediante l’inserimento di opportuni parametri nel modello, calibrati sui risultati forniti da una raffinata modellazione tridimensionale agli elementi finiti delle medesime condotte, verranno poi confrontati con i risultati di alcune campagne sperimentali. Gli obiettivi del presente lavoro sono, quindi, la descrizione e la valutazione del modello di trave introdotto, per stabilire se esso, nonostante la sua semplicità, sia effettivamente in grado di riprodurre, in maniera realistica, la situazione che si potrebbe verificare nel caso di tubo fessurato longitudinalmente e di fornire risultati attendibili per lo studio delle perdite idriche. Nella prima parte verrà approfondito il problema della perdite idriche. Nella seconda parte si illustrerà il semplice modello di trave su suolo elastico adottato per l’analisi delle condotte in pressione fessurate, dopo alcuni cenni teorici ai quali si è fatto riferimento per la realizzazione del modello stesso. Successivamente, nella terza parte, si procederà alla calibrazione del modello, tramite il confronto con i risultati forniti da un’analisi tridimensionale agli elementi finiti. Infine nella quarta parte verrà ricavata la relazione flusso-pressione con particolare attenzione all’esponente di perdita, il cui valore risulterà superiore a quello predetto dalla teoria della foronomia, e verrà verificata l’effettiva validità del modello tramite un confronto con i risultati sperimentali di cui è stata fatta menzione in precedenza.

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Effects of the conflict between reason and passion in Bernard Mandeville’s moral, economic and political thought My PhD dissertation focuses on Bernard Mandeville (1670-1732), a Dutch philosopher who moved to London in his late twenties. The aspect of Mandeville’s thought I take into account in my research is the conflicting relation between reason and passions, and the consequences that Mandeville’s view of this conflict has in the development of his theory of human nature which, I argue, is what grounds his moral, economic and, above all, political theory. According to Mandeville, reason is fundamentally weak. Passions influence with more strength human actions, and, eventually, are the ones which motivate them. The role of reason is merely instrumental, restricted to finding appropriate means in order to reach the desired ends, which are capricious and inconstant, since they all come from unstable passions. Reason cannot take decisions meant to act in the long term, pursuing an object which has not a selfish and temporary nature. There is no possibility, thus, that men’s actions aim just to achieve a good and just society, without their interests being directly involved. The basically selfish root of every desire leads Mandeville to claim that there is neither benevolence nor altruism which guides human behaviour. Hence he expresses a judgement on the moral character of human beings, always busy with their self-satisfaction, and hardly ever considering what would be good on a wider perspective, including other people’s sake. The anthropological features ascribed to men by Mandeville, are those which lead him to prefer a political system where governors are not supposed to have particular abilities, either from an intellectual or from a moral point of view, and peace and order are preserved by the bureaucratic machine, which is meant to work with the least effort on the part of the politicians, and no big harm can be done even by corrupted or wicked governors. This system is adopted with an eye at remedying human deficiencies: Mandeville takes into primary account, when he thinks of how to build a peaceful and functioning society, that everyone is concerned with his selfish interest, and that the rationality of a single politician, or of a group of them belonging to a same generation, cannot find a good “solution” to govern men able to last over the long period, and to work in different ages. This implies a refusal of the Hobbesian theory of the pactum subjectionis, which has the character of a rational and definitive choice, and leads Mandeville to consider the order which arises spontaneously, without any plan or rational intervention.

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Lo studio riportato in questa tesi ha come scopo l’osservazione e la comprensione dei processi molecolari associati alla deposizione di CaCO3 nei polimorfi di calcite e aragonite nel mollusco gasteropode Haliotis rufescens. In particolare l’attenzione si è focalizzata sullo strato glicoproteico (green layer) che si trova inserito all’interno dell’ipostraco o strato madreperlaceo. Studi precedenti suggeriscono l’ipotesi che il green layer sia una struttura polifunzionale che svolge un ruolo attivo nell’induzione di crescita dei cristalli di carbonato di calcio nella conchiglia. All’analisi microscopica il green layer si presenta come un foglietto trilaminato. Sugli strati esterni è depositata aragonite nella forma prismatica da una parte e sferulitica dall’altra. All’interno è racchiuso un core proteico, formato da glicoproteine e ricco di chitina. Questa struttura tripartita conferisce al guscio calcareo nuove proprietà meccaniche, come la resistenza alle fratture molto maggiore rispetto al minerale naturale. Il green layer è stato trattato in ambiente alcalino, l’unico in grado di solubilizzarlo. È stato ottenuto del materiale proteico che è stato caratterizzato utilizzando SDS-PAGE, colorato con Blu Comassie e all’argento per visualizzarne la componente peptidica. Il green layer è fluorescente, sono state quindi eseguite analisi spettroscopiche sull’estratto peptidico per determinarne le proprietà chimo fisiche (dipendenza dal pH dell’intensità di fluorescenza). Sono stati eseguiti esperimenti di crescita dei cristalli di CaCO3 in ambiente saturo di CaCl2 in assenza e presenza del peptide e in assenza e presenza di Mg++. I cristalli sono stati osservati al microscopio elettronico a scansione (SEM) e al microscopio confocale. Da un punto di vista spettroscopico si osserva che, eccitando l’estratto alcalino del green layer a 280 nm e 295 nm, lunghezze d’onda caratteristiche degli aminoacidi aromatici, si ottiene uno spettro di emissione che presenta una forte banda centrata a 440 nm e una spalla a circa 350 nm, quest’ultima da ascrivere all’emissione tipica di aminoacidi aromatici. L’emissione di fluorescenza dell’estratto dal green layer dipende dal pH per tutte le bande di emissione; tale effetto è particolarmente visibile per lo spettro di emissione a 440 nm, la cui lunghezza d’onda di emissione e l’intensità dipendono dalla ionizzazione di aminoacidi acidi (pKa = 4) e dell’istidina (pKa = 6.5 L’emissione a 440 nm proviene invece da un’eccitazione il cui massimo di eccitazione è centrato a 350 nm, tipica di una struttura policiclica aromatica. Poiché nessun colorante estrinseco viene isolato dalla matrice del green layer a seguito dei vari trattamenti, tale emissione potrebbe derivare da una modificazione posttraduzionale di aminoacidi le cui proprietà spettrali suggeriscono la formazione di un prodotto di dimerizzazione della tirosina: la ditirosina. Questa struttura potrebbe essere la causa del cross-link che rende resistente il green layer alla degradazione da parte di agenti chimici ed enzimatici. La formazione di ditirosina come fenomeno post-traduzionale è stato recentemente acquisito come un fenomeno di origine perossidativa attraverso la formazione di un radicale Tyr ed è stato osservato anche in altri organismi caratterizzati da esoscheletro di tipo chitinoso, come gli insetti del genere Manduca sexta. Gli esperimenti di cristallizzazione in presenza di estratto di green layer ne hanno provato l’influenza sulla nucleazione dei cristalli. In presenza di CaCl2 avviene la precipitazione di CaCO3 nella fase calcitica, ma la conformazione romboedrica tipica della calcite viene modificata dalla presenza del peptide. Inoltre aumenta la densità dei cristalli che si aggregano a formare strutture sferiche di cristalli incastrati tra loro. Aumentando la concentrazione di peptide, le sfere a loro volta si uniscono tra loro a formare strutture geometriche sovrapposte. In presenza di Mg++, la deposizione di CaCO3 avviene in forma aragonitica. Anche in questo caso la morfologia e la densità dei cristalli dipendono dalla concentrazione dello ione e dalla presenza del peptide. È interessante osservare che, in tutti i casi nei quali si sono ottenute strutture cristalline in presenza dell’estratto alcalino del green layer, i cristalli sono fluorescenti, a significare che il peptide è incluso nella struttura cristallina e ne induce la modificazione strutturale come discusso in precedenza. Si osserva inoltre che le proprietà spettroscopiche del peptide in cristallo ed in soluzione sono molto diverse. In cristallo non si ha assorbimento alla più corta delle lunghezze d’onda disponibili in microscopia confocale (405 nm) bensì a 488 nm, con emissione estesa addirittura sino al rosso. Questa è un’indicazione, anche se preliminare, del fatto che la sua struttura in soluzione e in cristallo è diversa da quella in soluzione. In soluzione, per un peptide il cui peso molecolare è stimato tra 3500D (cut-off della membrana da dialisi) e 6500 D, la struttura è, presumibilmente, totalmente random-coil. In cristallo, attraverso l’interazione con gli ioni Ca++, Mg++ e CO3 -- la sua conformazione può cambiare portando, per esempio, ad una sovrapposizione delle strutture aromatiche, in modo da formare sistemi coniugati non covalenti (ring stacking) in grado di assorbire ed emettere luce ad energia più bassa (red shift).

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Ambient Intelligence (AmI) envisions a world where smart, electronic environments are aware and responsive to their context. People moving into these settings engage many computational devices and systems simultaneously even if they are not aware of their presence. AmI stems from the convergence of three key technologies: ubiquitous computing, ubiquitous communication and natural interfaces. The dependence on a large amount of fixed and mobile sensors embedded into the environment makes of Wireless Sensor Networks one of the most relevant enabling technologies for AmI. WSN are complex systems made up of a number of sensor nodes, simple devices that typically embed a low power computational unit (microcontrollers, FPGAs etc.), a wireless communication unit, one or more sensors and a some form of energy supply (either batteries or energy scavenger modules). Low-cost, low-computational power, low energy consumption and small size are characteristics that must be taken into consideration when designing and dealing with WSNs. In order to handle the large amount of data generated by a WSN several multi sensor data fusion techniques have been developed. The aim of multisensor data fusion is to combine data to achieve better accuracy and inferences than could be achieved by the use of a single sensor alone. In this dissertation we present our results in building several AmI applications suitable for a WSN implementation. The work can be divided into two main areas: Multimodal Surveillance and Activity Recognition. Novel techniques to handle data from a network of low-cost, low-power Pyroelectric InfraRed (PIR) sensors are presented. Such techniques allow the detection of the number of people moving in the environment, their direction of movement and their position. We discuss how a mesh of PIR sensors can be integrated with a video surveillance system to increase its performance in people tracking. Furthermore we embed a PIR sensor within the design of a Wireless Video Sensor Node (WVSN) to extend its lifetime. Activity recognition is a fundamental block in natural interfaces. A challenging objective is to design an activity recognition system that is able to exploit a redundant but unreliable WSN. We present our activity in building a novel activity recognition architecture for such a dynamic system. The architecture has a hierarchical structure where simple nodes performs gesture classification and a high level meta classifiers fuses a changing number of classifier outputs. We demonstrate the benefit of such architecture in terms of increased recognition performance, and fault and noise robustness. Furthermore we show how we can extend network lifetime by performing a performance-power trade-off. Smart objects can enhance user experience within smart environments. We present our work in extending the capabilities of the Smart Micrel Cube (SMCube), a smart object used as tangible interface within a tangible computing framework, through the development of a gesture recognition algorithm suitable for this limited computational power device. Finally the development of activity recognition techniques can greatly benefit from the availability of shared dataset. We report our experience in building a dataset for activity recognition. Such dataset is freely available to the scientific community for research purposes and can be used as a testbench for developing, testing and comparing different activity recognition techniques.

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In case of severe osteoarthritis at the knee causing pain, deformity, and loss of stability and mobility, the clinicians consider that the substitution of these surfaces by means of joint prostheses. The objectives to be pursued by this surgery are: complete pain elimination, restoration of the normal physiological mobility and joint stability, correction of all deformities and, thus, of limping. The knee surgical navigation systems have bee developed in computer-aided surgery in order to improve the surgical final outcome in total knee arthroplasty. These systems provide the surgeon with quantitative and real-time information about each surgical action, like bone cut executions and prosthesis component alignment, by mean of tracking tools rigidly fixed onto the femur and the tibia. Nevertheless, there is still a margin of error due to the incorrect surgical procedures and to the still limited number of kinematic information provided by the current systems. Particularly, patello-femoral joint kinematics is not considered in knee surgical navigation. It is also unclear and, thus, a source of misunderstanding, what the most appropriate methodology is to study the patellar motion. In addition, also the knee ligamentous apparatus is superficially considered in navigated total knee arthroplasty, without taking into account how their physiological behavior is altered by this surgery. The aim of the present research work was to provide new functional and biomechanical assessments for the improvement of the surgical navigation systems for joint replacement in the human lower limb. This was mainly realized by means of the identification and development of new techniques that allow a thorough comprehension of the functioning of the knee joint, with particular attention to the patello-femoral joint and to the main knee soft tissues. A knee surgical navigation system with active markers was used in all research activities presented in this research work. Particularly, preliminary test were performed in order to assess the system accuracy and the robustness of a number of navigation procedures. Four studies were performed in-vivo on patients requiring total knee arthroplasty and randomly implanted by means of traditional and navigated procedures in order to check for the real efficacy of the latter with respect to the former. In order to cope with assessment of patello-femoral joint kinematics in the intact and replaced knees, twenty in-vitro tests were performed by using a prototypal tracking tool also for the patella. In addition to standard anatomical and articular recommendations, original proposals for defining the patellar anatomical-based reference frame and for studying the patello-femoral joint kinematics were reported and used in these tests. These definitions were applied to two further in-vitro tests in which, for the first time, also the implant of patellar component insert was fully navigated. In addition, an original technique to analyze the main knee soft tissues by means of anatomical-based fiber mappings was also reported and used in the same tests. The preliminary instrumental tests revealed a system accuracy within the millimeter and a good inter- and intra-observer repeatability in defining all anatomical reference frames. In in-vivo studies, the general alignments of femoral and tibial prosthesis components and of the lower limb mechanical axis, as measured on radiographs, was more satisfactory, i.e. within ±3°, in those patient in which total knee arthroplasty was performed by navigated procedures. As for in-vitro tests, consistent patello-femoral joint kinematic patterns were observed over specimens throughout the knee flexion arc. Generally, the physiological intact knee patellar motion was not restored after the implant. This restoration was successfully achieved in the two further tests where all component implants, included the patellar insert, were fully navigated, i.e. by means of intra-operative assessment of also patellar component positioning and general tibio-femoral and patello-femoral joint assessment. The tests for assessing the behavior of the main knee ligaments revealed the complexity of the latter and the different functional roles played by the several sub-bundles compounding each ligament. Also in this case, total knee arthroplasty altered the physiological behavior of these knee soft tissues. These results reveal in-vitro the relevance and the feasibility of the applications of new techniques for accurate knee soft tissues monitoring, patellar tracking assessment and navigated patellar resurfacing intra-operatively in the contest of the most modern operative techniques. This present research work gives a contribution to the much controversial knowledge on the normal and replaced of knee kinematics by testing the reported new methodologies. The consistence of these results provides fundamental information for the comprehension and improvements of knee orthopedic treatments. In the future, the reported new techniques can be safely applied in-vivo and also adopted in other joint replacements.

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La gestione di sorgenti multiple di disturbo in AMP: il caso delle Isole Tremiti Il seguente lavoro di tesi valuta l’efficacia di protezione di un’area marina protetta (AMP) sui popolamenti di differenti habitat compresi in zone a diverso regime di tutela. Questo tema è molto sentito sia dal punto di vista scientifico, poiché le AMP rappresentano uno esperimento di esclusione delle attività antropiche ad ampia scala, sia dal punto di vista socio-economico per l’interesse che sono in grado di generare nelle comunità locali. Tuttavia, ad oggi, gli studi che abbiano dimostrato l’efficacia di protezione delle AMP sono pochi e sono per lo più diretti sulle specie di maggior interesse commerciale. In generale, c’è un’evidente mancanza di protezione in molte AMP del Mediterraneo e di aree extra-mediterranee che può essere attribuita a diversi fattori, tra cui le caratteristiche fisiche dei siti dove sono state istituite, le modalità di gestione e le numerose attività illegali che vengono svolte all’interno dei loro confini. Inoltre, nelle aree protette, spesso, anche le attività lecite non sono adeguatamente regolamentate, limitando ulteriormente il perseguimento degli obiettivi istitutivi e la tutela della biodiversità marina. Testare le ipotesi sull’efficacia di protezione delle AMP è, quindi, di fondamentale importanza per capire quali tipi di impatti sono maggiormente presenti e per poter fornire agli Enti gestori informazioni utili per migliorare l’amministrazione delle AMP. In particolare, l’AMP dell’arcipelago delle Isole Tremiti, istituita da oltre venti anni, è un’area protetta che presenta molte criticità, come dimostrato in precedenti campagne di monitoraggio condotte dal Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa). In questo contesto, la presente tesi è stata sviluppata con lo scopo di quantificare l’effetto della regolamentazione di diverse attività umane sui popolamenti del subtidale, della frangia e delle praterie di Posidonia oceanica nell’AMP delle Isole Tremiti a diverse scale spaziali per un periodo di circa dieci anni. Questo lavoro, inoltre, rientra in un progetto finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare al CoNISMa volto ad impostare un’attività di monitoraggio sperimentale e di mitigazione in questa AMP. I campionamenti sono stati condotti tra Giugno e Settembre 2010 e i dati raccolti sono stati integrati a quelli ottenuti nei precedenti monitoraggi svolti nelle Isole Tremiti. I risultati hanno mostrato che: 1) ci sono differenze significative consistenti nel tempo tra il subtidale dell’isola di Pianosa e quello delle altre isole dell’arcipelago; 2) i popolamenti nella frangia di Pianosa, di San Domino e di Caprara non presentano differenze significative; 3) c’è un’elevata variabilità a scala di sito nelle praterie di Posidonia oceanica, ma non si osserva una differenza tra località protette ed impattate. La differenza riscontrata nel subtidale tra zona a protezione integrale (Pianosa) e le altre isole dell’arcipelago (controlli) non è però attribuibile ad un effetto della protezione. Infatti, il subtidale di Pianosa è caratterizzato da un barren molto esteso con elevate percentuali di spugne rosse incrostanti, di alghe rodoficee incrostanti e di ricci di mare, mentre nelle isole di San Domino e di Caprara c’è una maggiore diversità data da alghe corallinacee articolate, alghe erette, idrozoi, ascidiacei e numerose spugne. Diversi fattori possono aver agito nel determinare questo risultato, ma molto probabilmente la cospicua attività di pesca illegale che viene praticata a Pianosa combinata all’attività di grazing degli erbivori, non controllati dai predatori, limita il recupero dei popolamenti. Al contrario, l’assenza di differenze nei popolamenti della frangia delle tre isole campionate fa ipotizzare la mancanza di impatti diretti (principalmente il calpestio) su questo habitat. Per quanto riguarda la Posidonia oceanica i risultati suggeriscono che si stia verificando un ancoraggio indiscriminato su tutte le praterie delle Isole Tremiti e che molto probabilmente si tratta di praterie in forte regressione, come indicano anche le ricerche condotte dall’Università di Bari. C’è bisogno, tuttavia, di ulteriori studi che aiutino a comprendere meglio la variabilità nella riposta dei popolamenti in relazione alle diverse condizioni ambientali e al diverso sforzo di gestione. In conclusione, dai risultati ottenuti, emerge chiaramente come anche nell’AMP delle Isole Tremiti, ci sia una scarsa efficacia di protezione, così come è stato rilevato per la maggior parte delle AMP italiane. Per risolvere le costanti conflittualità che perdurano nelle Isole Tremiti e che non permettono il raggiungimento degli obiettivi istitutivi dell’AMP, è assolutamente necessario, oltre che far rispettare la regolamentazione vigente incrementando il numero di guardacoste sull’isola durante tutto l’anno, procedere, eventualmente, ad una rizonizzazione dell’AMP e sviluppare un piano di gestione in accordo con la popolazione locale adeguatamente sensibilizzata. Solo in questo modo sarà possibile ridurre le numerose attività illegali all’interno dell’AMP, e, allo stesso tempo, rendere gli stessi cittadini una componente imprescindibile della conservazione di questo arcipelago.

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The aim of this work is to investigate whether the actual position of a stimulus is more relevant than intuitive knowledge about the direction of an object's movement and the participants’ intention (Michaels 1988; Hommel, 1993; Proctor, Van Zandt, Lu and Weeks, 1993; Ansorge, 2000). To investigate this we used a spatial compatibility task in 4 experiments replicating what had be done by Hommel (1993) and Micheals (1988), but changing a single aspect of the procedure: neither the movement nor the effects of the action were visible to the participant. The experimental task asked them to simply imagine an action in movement.

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Subduction zones are the favorite places to generate tsunamigenic earthquakes, where friction between oceanic and continental plates causes the occurrence of a strong seismicity. The topics and the methodologies discussed in this thesis are focussed to the understanding of the rupture process of the seismic sources of great earthquakes that generate tsunamis. The tsunamigenesis is controlled by several kinematical characteristic of the parent earthquake, as the focal mechanism, the depth of the rupture, the slip distribution along the fault area and by the mechanical properties of the source zone. Each of these factors plays a fundamental role in the tsunami generation. Therefore, inferring the source parameters of tsunamigenic earthquakes is crucial to understand the generation of the consequent tsunami and so to mitigate the risk along the coasts. The typical way to proceed when we want to gather information regarding the source process is to have recourse to the inversion of geophysical data that are available. Tsunami data, moreover, are useful to constrain the portion of the fault area that extends offshore, generally close to the trench that, on the contrary, other kinds of data are not able to constrain. In this thesis I have discussed the rupture process of some recent tsunamigenic events, as inferred by means of an inverse method. I have presented the 2003 Tokachi-Oki (Japan) earthquake (Mw 8.1). In this study the slip distribution on the fault has been inferred by inverting tsunami waveform, GPS, and bottom-pressure data. The joint inversion of tsunami and geodetic data has revealed a much better constrain for the slip distribution on the fault rather than the separate inversions of single datasets. Then we have studied the earthquake occurred on 2007 in southern Sumatra (Mw 8.4). By inverting several tsunami waveforms, both in the near and in the far field, we have determined the slip distribution and the mean rupture velocity along the causative fault. Since the largest patch of slip was concentrated on the deepest part of the fault, this is the likely reason for the small tsunami waves that followed the earthquake, pointing out how much the depth of the rupture plays a crucial role in controlling the tsunamigenesis. Finally, we have presented a new rupture model for the great 2004 Sumatra earthquake (Mw 9.2). We have performed the joint inversion of tsunami waveform, GPS and satellite altimetry data, to infer the slip distribution, the slip direction, and the rupture velocity on the fault. Furthermore, in this work we have presented a novel method to estimate, in a self-consistent way, the average rigidity of the source zone. The estimation of the source zone rigidity is important since it may play a significant role in the tsunami generation and, particularly for slow earthquakes, a low rigidity value is sometimes necessary to explain how a relatively low seismic moment earthquake may generate significant tsunamis; this latter point may be relevant for explaining the mechanics of the tsunami earthquakes, one of the open issues in present day seismology. The investigation of these tsunamigenic earthquakes has underlined the importance to use a joint inversion of different geophysical data to determine the rupture characteristics. The results shown here have important implications for the implementation of new tsunami warning systems – particularly in the near-field – the improvement of the current ones, and furthermore for the planning of the inundation maps for tsunami-hazard assessment along the coastal area.

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Leaf rust caused by Puccinia triticina is a serious disease of durum wheat (Triticum durum) worldwide. However, genetic and molecular mapping studies aimed at characterizing leaf rust resistance genes in durum wheat have been only recently undertaken. The Italian durum wheat cv. Creso shows a high level of resistance to P. triticina that has been considered durable and that appears to be due to a combination of a single dominant gene and one or more additional factors conferring partial resistance. In this study, the genetic basis of leaf rust resistance carried by Creso was investigated using 176 recombinant inbred lines (RILs) from the cross between the cv. Colosseo (C, leaf rust resistance donor) and Lloyd (L, susceptible parent). Colosseo is a cv. directly related to Creso with the leaf rust resistance phenotype inherited from Creso, and was considered as resistance donor because of its better adaptation to local (Emilia Romagna, Italy) cultivation environment. RILs have been artificially inoculated with a mixture of 16 Italian P. triticina isolates that were characterized for virulence to seedlings of 22 common wheat cv. Thatcher isolines each carrying a different leaf rust resistance gene, and for molecular genotypes at 15 simple sequence repeat (SSR) loci, in order to determine their specialization with regard to the host species. The characterization of the leaf rust isolates was conducted at the Cereal Disease Laboratory of the University of Minnesota (St. Paul, USA) (Chapter 2). A genetic linkage map was constructed using segregation data from the population of 176 RILs from the cross CL. A total of 662 loci, including 162 simple sequence repeats (SSRs) and 500 Diversity Arrays Technology markers (DArTs), were analyzed by means of the package EasyMap 0.1. The integrated SSR-DArT linkage map consisted of 554 loci (162 SSR and 392 DArT markers) grouped into 19 linkage blocks with an average marker density of 5.7 cM/marker. The final map spanned a total of 2022 cM, which correspond to a tetraploid genome (AABB) coverage of ca. 77% (Chapter 3). The RIL population was phenotyped for their resistance to leaf rust under artificial inoculation in 2006; the percentage of infected leaf area (LRS, leaf rust susceptibility) was evaluated at three stages through the disease developmental cycle and the area under disease progress curve (AUDPC) was then calculated. The response at the seedling stage (infection type, IT) was also investigated. QTL analysis was carried out by means of the Composite Interval Mapping method based on a selection of markers from the CL map. A major QTL (QLr.ubo-7B.2) for leaf rust resistance controlling both the seedling and the adult plant response, was mapped on the distal region of chromosome arm 7BL (deletion bin 7BL10-0.78-1.00), in a gene-dense region known to carry several genes/QTLs for resistance to rusts and other major cereal fungal diseases in wheat and barley. QLr.ubo-7B.2 was identified within a supporting interval of ca. 5 cM tightly associated with three SSR markers (Xbarc340.2, Xgwm146 e Xgwm344.2), and showed an R2 and an LOD peak value for the AUDPC equal to 72.9% an 44.5, respectively. Three additional minor QTLs were also detected (QLr.ubo-7B.1 on chr. 7BS; QLr.ubo-2A on chr. 2AL and QLr.ubo-3A on chr. 3AS) (Chapter 4). The presence of the major QTL (QLr.ubo-7B.2) was validated by a linkage disequilibrium (LD)-based test using field data from two different plant materials: i) a set of 62 advanced lines from multiple crosses involving Creso and his directly related resistance derivates Colosseo and Plinio, and ii) a panel of 164 elite durum wheat accessions representative of the major durum breeding program of the Mediterranean basin. Lines and accessions were phenotyped for leaf rust resistance under artificial inoculation in two different field trials carried out at Argelato (BO, Italy) in 2006 and 2007; the durum elite accessions were also evaluated in two additional field experiments in Obregon (Messico; 2007 and 2008) and in a green-house experiment (seedling resistance) at the Cereal Disease Laboratory (St. Paul, USA, 2008). The molecular characterization involved 14 SSR markers mapping on the 7BL chromosome region found to harbour the major QTL. Association analysis was then performed with a mixed-linear-model approach. Results confirmed the presence of a major QTL for leaf rust resistance, both at adult plant and at seedling stage, located between markers Xbarc340.2, Xgwm146 and Xgwm344.2, in an interval that coincides with the supporting interval (LOD-2) of QLr.ubo-7B.2 as resulted from the RIL QTL analysis. (Chapter 5). The identification and mapping of the major QTL associated to the durable leaf rust resistance carried by Creso, together with the identification of the associated SSR markers, will enhance the selection efficiency in durum wheat breeding programs (MAS, Marker Assisted Selection) and will accelerate the release of cvs. with durable resistance through marker-assisted pyramiding of the tagged resistance genes/QTLs most effective against wheat fungal pathogens.

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Da 25 anni la letteratura scientifica internazionale riporta studi su varie specie di microcrostacei copepodi ciclopoidi dei generi Macrocyclops, Megacyclops e Mesocyclops predatori di larve di 1a e 2a età di culicidi. Si tratta di prove di predazione in laboratorio e in pieno campo, in diverse aree del pianeta nessuna delle quali riguarda l’Italia o il resto d’Europa, contro principalmente Aedes aegypti (L.), Ae. albopictus (Skuse) e altre specie del genere Anopheles e Culex. L’allevamento massale di copepodi ciclopoidi appare praticabile e questo, assieme alle buone prestazioni predatorie, rende tali ausiliari candidati assai interessanti contro le due principali specie di zanzare, Culex pipiens L. e Ae. albpopictus, che nelle aree urbane e periurbane italiane riescono a sfruttare raccolte d’acqua artificiali di volume variabile e a regime idrico periodico o permanente. Pertanto lo scopo dello studio è stato quello di arrivare a selezionare una o più specie di copepodi candidati per la lotta biologica e valutarne la possibilità applicativa nell’ambito dei programmi di controllo delle zanzare nocive dell’ambiente urbano. L’argomento del tutto nuovo per il nostro paese, è stato sviluppato attraverso varie fasi ciascuna delle quali propedeutica a quella successiva. •Indagine faunistica nell’area di pianura e costiera sulle specie di ciclopoidi associate a varie tipologie di raccolte d’acqua naturali e artificiali (fossi, scoline, canali, risaie e pozze temporanee). I campionamenti sono stati condotti con l’obiettivo di ottenere le specie di maggiori dimensioni (≥1 mm) in ristagni con diverse caratteristiche in termini di qualità dell’acqua e complessità biocenotica. •Prove preliminari di predazione in laboratorio con alcune specie rinvenute negli ambienti campionati, nei confronti delle larve di Ae. albopictus e Cx. pipiens. Le prestazioni di predazione sono state testate sottoponendo ai copepodi larve giovani di zanzare provenienti da allevamento e calcolato il numero giornaliero di larve attaccate. •Implementazione di un allevamento pilota della specie valutata più interessante, Macrocyclops albidus (Jurine) (Cyclopoida, Cyclopidae, Eucyclopinae), per i risultati ottenuti in laboratorio in termini di numero di larve predate/giorno e per le caratteristiche biologiche confacenti agli ambienti potenzialmente adatti ai lanci. Questa parte della ricerca è stata guidata dalla finalità di mettere a punto una tecnica di allevamento in scala in modo da disporre di stock di copepodi dalla primavera, nonchè da criteri di economicità nell’impianto e nella sua gestione. •Prove di efficacia in condizioni di semicampo e di campo in raccolte d’acqua normalmente colonizzate dai culicidi in ambito urbano: bidoni per lo stoccaggio di acqua per l’irrigazione degli orti e tombini stradali. In questo caso l’obiettivo principale è stato quello di ottenere dati sull’efficienza del controllo di M. albidus nei confronti della popolazione culicidica selvatica e sulla capacità del copepode di colonizzare stabilmente tali tipologie di focolai larvali. Risultati e conclusioni Indagine faunistica e prove di predazione in laboratorio L’indagine faunistica condotta nell’area costiera ferrarese, in quella ravennate e della pianura bolognese ha portato al rinvenimento di varie specie di ciclopoidi mantenuti in laboratorio per la conduzione delle prove di predazione. Le specie testate sono state: Acanthocyclops robustus (G. O. Sars), Macrocyclops albidus (Jurine), Thermocyclops crassus (Fischer), Megacyclops gigas (Claus). La scelta delle specie da testare è stata basata sulla loro abbondanza e frequenza di ritrovamento nei campionamenti nonché sulle loro dimensioni. Ciascuna prova è stata condotta sottoponendo a un singolo copepode, oppure a gruppi di 3 e di 5 esemplari, 50 larve di 1a età all’interno di contenitori cilindrici in plastica con 40 ml di acqua di acquedotto declorata e una piccola quantità di cibo per le larve di zanzara. Ciascuna combinazione “copepode/i + larve di Ae. albopictus”, è stata replicata 3-4 volte, e confrontata con un testimone (50 larve di Ae. albopictus senza copepodi). A 24 e 48 ore sono state registrate le larve sopravvissute. Soltanto per M. albidus il test di predazione è stato condotto anche verso Cx. pipiens. Messa a punto della tecnica di allevamento La ricerca è proseguita concentrando l’interesse su M. albidus, che oltre ad aver mostrato la capacità di predare a 24 ore quasi 30 larve di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, dalla bibliografia risulta tollerare ampi valori di temperatura, di pH e alte concentrazioni di vari inquinanti. Dalla ricerca bibliografica è risultato che i ciclopoidi sono facilmente allevabili in contenitori di varia dimensione e foggia somministrando agli stadi di preadulto alghe unicellulari (Chlorella, Chilomonas), protozoi ciliati (Paramecium, Euplotes), rotiferi e cladoceri. Ciò presuppone colture e allevamenti in purezza di tali microrganismi mantenuti in parallelo, da utilizzare come inoculo e da aggiungere periodicamente nell’acqua di allevamento dei ciclopoidi. Nel caso di utilizzo di protozoi ciliati, occorre garantirne lo sviluppo che avviene a carico di flora batterica spontanea a sua volta cresciuta su di un substrato organico quale latte, cariossidi bollite di grano o soia, foglie di lattuga, paglia di riso bollita con cibo secco per pesci, lievito di birra. Per evitare il notevole impegno organizzativo e di manodopera nonché il rischio continuo di perdere la purezza della colonia degli organismi da utilizzare come cibo, le prove comparative di allevamento hanno portato ad un protocollo semplice ed sufficientemente efficiente in termini di copepodi ottenibili. Il sistema messo a punto si basa sull’utilizzo di una popolazione mista di ciliati e rotiferi, mantenuti nell'acqua di allevamento dei copepodi mediante la somministrazione periodica di cibo standard e pronto all’uso costituito da cibo secco per gatti. Prova di efficacia in bidoni da 220 l di capacità La predazione è stata studiata nel biennio 2007-2008 in bidoni da 220 l di capacità inoculati una sola volta in aprile 2007 con 100 e 500 esemplari di M. albidus/bidone e disposti all’aperto per la libera ovideposizione della popolazione culicidica selvatica. L’infestazione preimmaginale culicidica veniva campionata ogni due settimane fino ad ottobre, mediante un retino immanicato a maglia fitta e confrontata con quella dei bidoni testimone (senza copepodi). Nel 2007 il tasso di riduzione medio delle infestazioni di Ae. albopictus nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è del 99,90% e del 100,00% rispettivamente alle dosi iniziali di inoculo di 100 e 500 copepodi/bidone; per Cx. pipiens L. tale percentuale media è risultata di 88,69% e di 84,65%. Similmente, nel 2008 si è osservato ad entrambe le dosi iniziali di inoculo una riduzione di Ae. albopictus del 100,00% e di Cx. pipiens del 73,3%. La dose di inoculo di 100 copepodi per contenitore è risultata sufficiente a garantire un rapido incremento numerico della popolazione che ha raggiunto la massima densità in agosto-settembre e un eccellente controllo delle popolazioni di Ae. albopictus. Prova di efficacia in campo in serbatoi per l’acqua irrigua degli orti La prova è stata condotta a partire dalla metà di agosto 2008 interessando 15 serbatoi di varia foggia e capacità, variabile tra 200 e 600 l, utilizzati per stoccare acqua orti famigliari nel comune di Crevalcore (BO). Ai proprietari dei serbatoi era chiesto di gestire il prelievo dell’acqua e i rifornimenti come da abitudine con l’unica raccomandazione di non svuotarli mai completamente. In 8 contenitori sono stati immessi 100 esemplari di M.albidus e una compressa larvicida a base di Bacillus thuringiensis var. israelensis (B.t.i.); nei restanti 7 è stata soltanto immessa la compressa di B.t.i.. Il campionamento larvale è stato settimanale fino agli inizi di ottobre. Dopo l’introduzione in tutti i serbatoi sono stati ritrovati esemplari di copepodi, nonostante il volume di acqua misurato settimanalmente sia variato da pochi litri, in qualche bidone, fino a valori della massima capacità, per effetto del prelievo e dell’apporto dell’acqua da parte dei gestori degli orti. In post-trattamento sono state osservate differenze significative tra le densità larvali nelle due tesi solo al 22 settembre per Ae.albopictus Tuttavia in termini percentuali la riduzione media di larve di 3a-4a età e pupe nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è stata de 95,86% per Ae. albopictus e del 73,30% per Cx. pipiens. Prova di efficacia in tombini stradali Sono state condotte due prove in due differenti località, interessando 20 tombini (Marano di Castenaso in provincia di Bologna nel 2007) e 145 tombini (San Carlo in provincia di Ferrara nel 2008), quest’ultimi sottoposti a spurgo e pulizia completa nei precedenti 6 mesi l’inizio della prova. L’introduzione dei copepodi nei tombini è stata fatta all’inizio di luglio nella prova di Marano di Castenaso e alla fine di aprile e giugno in quelli di San Carlo, a dosi di 100 e 50 copepodi/tombino. Prima dell’introduzione dei copepodi e successivamente ogni 2 settimane per due mesi, in ogni tombino veniva campionata la presenza culicidica e dei copepodi con dipper immanicato. Nel 2007 dopo l’introduzione dei copepodi e per tutto il periodo di studio, mediamente soltanto nel 77% dei tombini i copepodi sono sopravvissuti. Nel periodo di prova le precipitazioni sono state scarse e la causa della rarefazione dei copepodi fino alla loro scomparsa in parte dei tombini è pertanto da ricercare non nell’eventuale dilavamento da parte della pioggia, quanto dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua. Tra queste innanzitutto la concentrazione di ossigeno che è sempre stata molto bassa (0÷1,03 mg/l) per tutta la durata del periodo di studio. Inoltre, a questo fattore probabilmente è da aggiungere l’accumulo, a concentrazioni tossiche per M. albidus, di composti organici e chimici dalla degradazione e fermentazione dell’abbondante materiale vegetale (soprattutto foglie) in condizioni di ipossia o anossia. Nel 2008, dopo il primo inoculo di M. albidus la percentuale di tombini che al campionamento presentano copepodi decresce in modo brusco fino a raggiungere il 6% a 2 mesi dall’introduzione dei copepodi. Dopo 40 giorni dalla seconda introduzione, la percentuale di tombini con copepodi è del 6,7%. Nell’esperienza 2008 è le intense precipitazioni hanno avuto probabilmente un ruolo determinante sul mantenimento dei copepodi nei tombini. Nel periodo della prova infatti le piogge sono state frequenti con rovesci in varie occasioni di forte intensità per un totale di 342 mm. Sotto questi livelli di pioggia i tombini sono stati sottoposti a un continuo e probabilmente completo dilavamento che potrebbe aver impedito la colonizzazione stabile dei copepodi. Tuttavia non si osservano influenze significative della pioggia nella riduzione percentuale dei tombini colonizzati da copepodi e ciò fa propendere all’ipotesi che assieme alla pioggia siano anche le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua a impedire una colonizzazione stabile da parte di M. albidus. In definitiva perciò si è dimostrato che i tombini stradali sono ambienti ostili per la sopravvivenza di M. albidus, anche se, dove il ciclopoide si è stabilito permanentemente, ha dimostrato un certo impatto nei confronti di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, che tuttavia è risultato non statisticamente significativo all’analisi della varianza. Nei confronti delle larve di Culex pipiens il copepode non permette livelli di controllo soddisfacente, confermando i dati bibliografici. Nei confronti invece di Ae. albopictus la predazione raggiunge buoni livelli; tuttavia ciò non è compensato dalla percentuale molto alta di tombini che, dopo periodi di pioggia copiosa o singoli episodi temporaleschi o per le condizioni di anossia rimangono senza i copepodi. Ciò costringerebbe a ripetute introduzioni di copepodi i cui costi attualmente non sono inferiori a quelli per trattamenti con prodotti larvicidi. In conclusione la ricerca ha portato a considerare Macrocyclops albidus un interessante ausiliario applicabile anche nelle realtà urbane del nostro paese nell’ambito di programmi integrati di contrasto alle infestazioni di Aedes albopictus. Tuttavia il suo utilizzo non si presta a tutti i focolai larvali ma soltanto a raccolte di acqua artificiali di un certo volume come i bidoni utilizzati per stoccare acqua da impiegare per l’orto e il giardino familiare nelle situazioni in cui non è garantita la copertura ermetica, lo svuotamento completo settimanale o l’utilizzo di sostanze ad azione larvozanzaricida.

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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.

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Il tennis è uno sport molto diffuso che negli ultimi trent’anni ha subito molti cambiamenti. Con l’avvento di nuovi materiali più leggeri e maneggevoli la velocità della palla è aumentata notevolmente, rendendo così necessario una modifica a livello tecnico dei colpi fondamentali. Dalla ricerca bibliografica sono emerse interessanti indicazioni su angoli e posizioni corporee ideali da mantenere durante le varie fasi dei colpi, confrontando i giocatori di altissimo livello. Non vi sono invece indicazioni per i maestri di tennis su quali siano i parametri più importanti da allenare a seconda del livello di gioco del proprio atleta. Lo scopo di questa tesi è quello di individuare quali siano le variabili tecniche che influenzano i colpi del diritto e del servizio confrontando atleti di genere differente, giocatori di livello di gioco diverso (esperti, intermedi, principianti) e dopo un anno di attività programmata. Confrontando giocatori adulti di genere diverso, è emerso che le principali differenze sono legate alle variabili di prestazione (velocità della palla e della racchetta) per entrambi i colpi. Questi dati sono simili a quelli riscontrati nel test del lancio della palla, un gesto non influenzato dalla tecnica del colpo. Le differenze tecniche di genere sono poco rilevanti ed attribuibili alla diversa interpretazione dei soggetti. Nel confronto di atleti di vario livello di gioco le variabili di prestazione presentano evidenti differenze, che possono essere messe in relazione con alcune differenze tecniche rilevate nei gesti specifici. Nel servizio i principianti tendono a direzionare l’arto superiore dominante verso la zona bersaglio, abducendo maggiormente la spalla ed avendo il centro della racchetta più a destra rispetto al polso. Inoltre, effettuano un caricamento minore degli arti inferiori, del tronco e del gomito. Per quanto riguarda il diritto si possono evidenziare queste differenze: l’arto superiore è sempre maggiormente esteso per il gruppo dei principianti; il tronco, nei giocatori più abili viene utilizzato in maniera più marcata, durante la fase di caricamento, in movimenti di torsione e di inclinazione laterale. Gli altri due gruppi hanno maggior difficoltà nell’eseguire queste azioni preparatorie, in particolare gli atleti principianti. Dopo un anno di attività programmata sono stati evidenziati miglioramenti prestativi. Anche dal punto di vista tecnico sono state notate delle differenze che possono spiegare il miglioramento della performance nei colpi. Nel servizio l’arto superiore si estende maggiormente per colpire la palla più in alto possibile. Nel diritto sono da sottolineare soprattutto i miglioramenti dei movimenti del tronco in torsione ed in inclinazione laterale. Quindi l’atleta si avvicina progressivamente ad un’esecuzione tecnica corretta. In conclusione, dal punto di vista tecnico non sono state rilevate grosse differenze tra i due generi che possano spiegare le differenze di performance. Perciò questa è legata più ad un fattore di forza che dovrà essere allenata con un programma specifico. Nel confronto fra i vari livelli di gioco e gli effetti di un anno di pratica si possono individuare variabili tecniche che mostrano differenze significative tra i gruppi sperimentali. Gli evoluti utilizzano tutto il corpo per effettuare dei colpi più potenti, utilizzando in maniera tecnicamente più valida gli arti inferiori, il tronco e l’arto superiore. I principianti utilizzano prevalentemente l’arto superiore con contributi meno evidenti degli altri segmenti. Dopo un anno di attività i soggetti esaminati hanno dimostrato di saper utilizzare meglio il tronco e l’arto superiore e ciò può spiegare il miglioramento della performance. Si può ipotizzare che, per il corretto utilizzo degli arti inferiori, sia necessario un tempo più lungo di apprendimento oppure un allenamento più specifico.

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The aim of this PhD thesis is to study accurately and in depth the figure and the literary production of the intellectual Jacopo Aconcio. This minor author of the 16th century has long been considered a sort of “enigmatic character”, a profile which results from the work of those who, for many centuries, have left his writing to its fate: a story of constant re-readings and equally incessant oversights. This is why it is necessary to re-read Aconcio’s production in its entirety and to devote to it a monographic study. Previous scholars’ interpretations will obviously be considered, but at the same time an effort will be made to go beyond them through the analysis of both published and manuscript sources, in the attempt to attain a deeper understanding of the figure of this man, who was a Christian, a military and hydraulic engineer and a political philosopher,. The title of the thesis was chosen to emphasise how, throughout the three years of the doctorate, my research concentrated in equal measure and with the same degree of importance on all the reflections and activities of Jacopo Aconcio. My object, in fact, was to establish how and to what extent the methodological thinking of the intellectual found application in, and at the same time guided, his theoretical and practical production. I did not mention in the title the author’s religious thinking, which has always been considered by everyone the most original and interesting element of his production, because religion, from the Reformation onwards, was primarily a political question and thus it was treated by almost all the authors involved in the Protestant movement - Aconcio in the first place. Even the remarks concerning the private, intimate sphere of faith have therefore been analysed in this light: only by acknowledging the centrality of the “problem of politics” in Aconcio’s theories, in fact, is it possible to interpret them correctly. This approach proves the truth of the theoretical premise to my research, that is to say the unity and orderliness of the author’s thought: in every field of knowledge, Aconcio applies the rules of the methodus resolutiva, as a means to achieve knowledge and elaborate models of pacific cohabitation in society. Aconcio’s continuous references to method can make his writing pedant and rather complex, but at the same time they allow for a consistent and valid analysis of different disciplines. I have not considered the fact that most of his reflections appear to our eyes as strongly conditioned by the time in which he lived as a limit. To see in him, as some have done, the forerunner of Descartes’ methodological discourse or, conversely, to judge his religious theories as not very modern, is to force the thought of an author who was first and foremost a Christian man of his own time. Aconcio repeats this himself several times in his writings: he wants to provide individuals with the necessary tools to reach a full-fledged scientific knowledge in the various fields, and also to enable them to seek truth incessantly in the religious domain, which is the duty of every human being. The will to find rules, instruments, effective solutions characterizes the whole of the author’s corpus: Aconcio feels he must look for truth in all the arts, aware as he is that anything can become science as long as it is analysed with method. Nevertheless, he remains a man of his own time, a Christian convinced of the existence of God, creator and governor of the world, to whom people must account for their own actions. To neglect this fact in order to construct a “character”, a generic forerunner, but not participant, of whatever philosophical current, is a dangerous and sidetracking operation. In this study, I have highlighted how Aconcio’s arguments only reveal their full meaning when read in the context in which they were born, without depriving them of their originality but also without charging them with meanings they do not possess. Through a historical-doctrinal approach, I have tried to analyse the complex web of theories and events which constitute the substratum of Aconcio’s reflection, in order to trace the correct relations between texts and contexts. The thesis is therefore organised in six chapters, dedicated respectively to Aconcio’s biography, to the methodological question, to the author’s engineering activity, to his historical knowledge and to his religious thinking, followed by a last section concerning his fortune throughout the centuries. The above-mentioned complexity is determined by the special historical moment in which the author lived. On the one hand, thanks to the new union between science and technique, the 16th century produces discoveries and inventions which make available a previously unthinkable number of notions and lead to a “revolution” in the way of studying and teaching the different subjects, which, by producing a new form of intellectual, involved in politics but also aware of scientific-technological issues, will contribute to the subsequent birth of modern science. On the other, the 16th century is ravaged by religious conflicts, which shatter the unity of the Christian world and generate theological-political disputes which will inform the history of European states for many decades. My aim is to show how Aconcio’s multifarious activity is the conscious fruit of this historical and religious situation, as well as the attempt of an answer to the request of a new kind of engagement on the intellectual’s behalf. Plunged in the discussions around methodus, employed in the most important European courts, involved in the abrupt acceleration of technical-scientific activities, and especially concerned by the radical religious reformation brought on by the Protestant movement, Jacopo Aconcio reflects this complex conjunction in his writings, without lacking in order and consistency, differently from what many scholars assume. The object of this work, therefore, is to highlight the unity of the author’s thought, in which science, technique, faith and politics are woven into a combination which, although it may appear illogical and confused, is actually tidy and methodical, and therefore in agreement with Aconcio’s own intentions and with the specific characters of European culture in the Renaissance. This theory is confirmed by the reading of the Ars muniendorum oppidorum, Aconcio’s only work which had been up till now unavailable. I am persuaded that only a methodical reading of Aconcio’s works, without forgetting nor glorifying any single one, respects the author’s will. From De methodo (1558) onwards, all his writings are summae, guides for the reader who wishes to approach the study of the various disciplines. Undoubtedly, Satan’s Stratagems (1565) is something more, not only because of its length, but because it deals with the author’s main interest: the celebration of doubt and debate as bases on which to build religious tolerance, which is the best method for pacific cohabitation in society. This, however, does not justify the total centrality which the Stratagems have enjoyed for centuries, at the expense of a proper understanding of the author’s will to offer examples of methodological rigour in all sciences. Maybe it is precisely because of the reforming power of Aconcio’s thought that, albeit often forgotten throughout the centuries, he has never ceased to reappear and continues to draw attention, both as a man and as an author. His ideas never stop stimulating the reader’s curiosity and this may ultimately be the best demonstration of their worth, independently from the historical moment in which they come back to the surface.