909 resultados para P19 embryonal carcinoma cells
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Induction of immunity against antigens expressed on tumor cells might prevent or delay recurrence of the disease. Six patients operated on for colorectal carcinoma were immunized with human monoclonal anti-idiotypic antibodies (h-Ab2) against the mouse 17-1A anti-colon carcinoma antibody, mimicking a nominal antigen (GA733-2). All patients developed a long-lasting T-cell immunity against the extracellular domain of GA733-2 (GA733-2E) (produced in a baculovirus system) and h-Ab2. This was shown in vitro by specific cell proliferation (DNA-synthesis) assay as well as by interleukin 2 and interferon gamma production and in vivo by the delayed-type hypersensitivity reaction. Five patients mounted a specific humoral response (IgG) against the tumor antigen GA733-2E (ELISA) and tumor cells expressing GA733-2. Epitope mapping using 23 overlapping peptides of GA733-2E revealed that the B-cell epitope was localized close to the N terminus of GA733-2. Binding of the antibodies to the tumor antigen and to one 18-aa peptide was inhibited by h-Ab2, indicating that the antibodies were able to bind to the antigen as well as to h-Ab2. The results suggest that our h-Ab2 might be able to induce an anti-tumor immunity which may control the growth of tumor cells in vivo.
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mac25, the subject of this report, was selected by the differential display of mRNA method in a search for genes overexpressed in senescent human mammary epithelial cells. mac25 had previously been cloned as a discrete gene, preferentially expressed in normal, leptomeningial cells compared with meningioma tumors. mac25 is another member of the insulin growth factor-binding protein (IGFBP) family. Insulin-like growth factors are potent mitogens for mammary epithelial cells, and the IGFBPs have been shown to modulate this mitogenic activity. We report here that mac25, unlike most IGFBPs, is down-regulated at the transcription level in mammary carcinoma cell lines, suggesting a tumor-suppressor role. The gene was mapped to chromosome 4q12. We found that mac25 accumulates in senescent cells and is up-regulated in normal, growing mammary epithelial cells by all-trans-retinoic acid or the synthetic retinoid fenretinide. These findings suggest that mac25 may be a downstream effector of retinoid chemoprevention in breast epithelial cells and that its tumor-suppressive role may involve a senescence pathway.
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The squamous cell carcinoma antigen (SCCA) is a member of the ovalbumin family of serine proteinase inhibitors (serpins). A neutral form of the protein is found in normal and some malignant squamous cells, whereas an acidic form is detected exclusively in tumor cells and in the circulation of patients with squamous cell tumors. In this report, we describe the cloning of the SCCA gene from normal genomic DNA. Surprisingly, two genes were found. They were tandemly arrayed and flanked by two other closely related serpins, plasminogen activator inhibitor type 2 (PAI2) and maspin at 18q21.3. The genomic structure of the two genes, SCCA1 and SCCA2, was highly conserved. The predicted amino acid sequences were 92% identical and suggested that the neutral form of the protein was encoded by SCCA1 and the acidic form was encoded by SCCA2. Further characterization of the region should determine whether the differential expression of the SCCA genes plays a causal role in development of more aggressive squamous cell carcinomas.
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The efficacy of combination therapy with a "suicide gene" and a cytokine gene to treat metastatic colon carcinoma in the liver was investigated. Tumor in the liver was generated by intrahepatic injection of a colon carcinoma cell line (MCA-26) in syngeneic BALB/c mice. Recombinant adenoviral vectors containing various control and therapeutic genes were injected directly into the solid tumors, followed by treatment with ganciclovir. While the tumors continued to grow in all animals treated with a control vector or a mouse interleukin 2 vector, those treated with a herpes simplex virus thymidine kinase vector, with or without the coadministration of the mouse interleukin 2 vector, exhibited dramatic necrosis and regression. However, only animals treated with both vectors developed an effective systemic antitumoral immunity against challenges of tumorigenic doses of parental tumor cells inoculated at distant sites. The antitumoral immunity was associated with the presence of MCA-26 tumor-specific cytolytic CD8+ T lymphocytes. The results suggest that combination suicide and cytokine gene therapy in vivo can be a powerful approach for treatment of metastatic colon carcinoma in the liver.
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Nel sesso maschile il carcinoma della prostata (CaP) è la neoplasia più frequente ed è tra le prime cause di morte per tumore. Ad oggi, sono disponibili diverse strategie terapeutiche per il trattamento del CaP, ma, come comprovato dall’ancora alta mortalità, spesso queste sono inefficaci, a causa soprattutto dello sviluppo di fenomeni di resistenza da parte delle cellule tumorali. La ricerca si sta quindi focalizzando sulla caratterizzazione di tali meccanismi di resistenza e, allo stesso tempo, sull’individuazione di combinazioni terapeutiche che siano più efficaci e capaci di superare queste resistenze. Le cellule tumorali sono fortemente dipendenti dai meccanismi connessi con l’omeostasi proteica (proteostasi), in quanto sono sottoposte a numerosi stress ambientali (ipossia, carenza di nutrienti, esposizione a chemioterapici, ecc.) e ad un’aumentata attività trascrizionale, entrambi fattori che causano un accumulo intracellulare di proteine anomale e/o mal ripiegate, le quali possono risultare dannose per la cellula e vanno quindi riparate o eliminate efficientemente. La cellula ha sviluppato diversi sistemi di controllo di qualità delle proteine, tra cui gli chaperon molecolari, il sistema di degradazione associato al reticolo endoplasmatico (ERAD), il sistema di risposta alle proteine non ripiegate (UPR) e i sistemi di degradazione come il proteasoma e l’autofagia. Uno dei possibili bersagli in cellule tumorali secretorie, come quelle del CaP, è rappresentato dal reticolo endoplasmatico (RE), organello intracellulare deputato alla sintesi, al ripiegamento e alle modificazioni post-traduzionali delle proteine di membrana e secrete. Alterazioni della protestasi a livello del RE inducono l’UPR, che svolge una duplice funzione nella cellula: primariamente funge da meccanismo omeostatico e di sopravvivenza, ma, quando l’omeostasi non è più ripristinabile e lo stimolo di attivazione dell’UPR cronicizza, può attivare vie di segnalazione che conducono alla morte cellulare programmata. La bivalenza, tipica dell’UPR, lo rende un bersaglio particolarmente interessante per promuovere la morte delle cellule tumorali: si può, infatti, sfruttare da una parte l’inibizione di componenti dell’UPR per abrogare i meccanismi adattativi e di sopravvivenza e dall’altra si può favorire il sovraccarico dell’UPR con conseguente induzione della via pro-apoptotica. Le catechine del tè verde sono composti polifenolici estratti dalle foglie di Camellia sinesis che possiedono comprovati effetti antitumorali: inibiscono la proliferazione, inducono la morte di cellule neoplastiche e riducono l’angiogenesi, l’invasione e la metastatizzazione di diversi tipi tumorali, tra cui il CaP. Diversi studi hanno osservato come il RE sia uno dei bersagli molecolari delle catechine del tè verde. In particolare, recenti studi del nostro gruppo di ricerca hanno messo in evidenza come il Polyphenon E (estratto standardizzato di catechine del tè verde) sia in grado, in modelli animali di CaP, di causare un’alterazione strutturale del RE e del Golgi, un deficit del processamento delle proteine secretorie e la conseguente induzione di uno stato di stress del RE, il quale causa a sua volta l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR. Nel presente studio su due diverse linee cellulari di CaP (LNCaP e DU145) e in un nostro precedente studio su altre due linee cellulari (PNT1a e PC3) è stato confermato che il Polyphenon E è capace di indurre lo stress del RE e di determinare l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR, le quali possono fungere da meccanismo di sopravvivenza, ma anche contribuire a favorire la morte cellulare indotta dalle catechine del tè verde (come nel caso delle PC3). Considerati questi effetti delle catechine del tè verde in qualità di induttori dell’UPR, abbiamo ipotizzato che la combinazione di questi polifenoli bioattivi e degli inibitori del proteasoma, anch’essi noti attivatori dell’UPR, potesse comportare un aggravamento dell’UPR stesso tale da innescare meccanismi molecolari di morte cellulare programmata. Abbiamo quindi studiato l’effetto di tale combinazione in cellule PC3 trattate con epigallocatechina-3-gallato (EGCG, la principale tra le catechine del tè verde) e due diversi inibitori del proteasoma, il bortezomib (BZM) e l’MG132. I risultati hanno dimostrato, diversamente da quanto ipotizzato, che l’EGCG quando associato agli inibitori del proteasoma non produce effetti sinergici, ma che anzi, quando viene addizionato al BZM, causa una risposta simil-antagonistica: si osserva infatti una riduzione della citotossicità e dell’effetto inibitorio sul proteasoma (accumulo di proteine poliubiquitinate) indotti dal BZM, inoltre anche l’induzione dell’UPR (aumento di GRP78, p-eIF2α, CHOP) risulta ridotta nelle cellule trattate con la combinazione di EGCG e BZM rispetto alle cellule trattate col solo BZM. Gli stessi effetti non si osservano invece nelle cellule PC3 trattate con l’EGCG in associazione con l’MG132, dove non si registra alcuna variazione dei parametri di vitalità cellulare e dei marcatori di inibizione del proteasoma e di UPR (rispetto a quelli osservati nel singolo trattamento con MG132). Essendo l’autofagia un meccanismo compensativo che si attiva in seguito all’inibizione del proteasoma o allo stress del RE, abbiamo valutato che ruolo potesse avere tale meccanismo nella risposta simil-antagonistica osservata in seguito al co-trattamento con EGCG e BZM. I nostri risultati hanno evidenziato, in cellule trattate con BZM, l’attivazione di un flusso autofagico che si intensifica quando viene addizionato l’EGCG. Tramite l’inibizione dell’autofagia mediante co-somministrazione di clorochina, è stato possibile stabilire che l’autofagia indotta dall’EGCG favorisce la sopravvivenza delle cellule sottoposte al trattamento combinato tramite la riduzione dell’UPR. Queste evidenze ci portano a concludere che per il trattamento del CaP è sconsigliabile associare le catechine del tè verde con il BZM e che in futuri studi di combinazione di questi polifenoli con composti antitumorali sarà importante valutare il ruolo dell’autofagia come possibile meccanismo di resistenza.
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O carcinoma epidermóide bucal (CEC) é uma neoplasia maligna com alta morbidade e mortalidade e de difícil tratamento. O tratamento convencional para o CEC inclui cirurgia e radioterapia, seguida ou não de quimioterapia. Apesar de serem amplamente difundidos, esses tratamentos podem ser ineficazes para alguns CECs resistentes. A terapia fotodinâmica (PDT) oncológica tem sido utilizada para o tratamento adjuvante do CEC bucal, principalmente nos casos menos invasivos e que necessitam de redução do tumor para a ressecção cirúrgica. Contudo, semelhantemente aos tratamentos convencionais, a PDT pode também induzir o aparecimento de populações celulares resistentes, fato já descrito para carcinoma cutâneo, adenocarcinoma de cólon e adenocarcinoma mamário. A hipótese de que células de CEC bucal possam desenvolver resistência à PDT ainda não foi testada. Portanto, o objetivo deste trabalho foi verificar se células de CEC bucal (SCC9) desenvolvem resistência a ciclos repetidos de PDT mediada pelo ácido 5- aminolevulínico (5-ALA-PDT) e avaliar se nesse processo ocorre modificação da expressão de marcadores relacionados a sobrevivência celular (NF?B, Bcl-2, iNOS, mTOR e Akt). Foi utilizada linhagem de células de CEC bucal (SCC9), submetida às seguintes condições: 1) Controle - células cultivadas sem nenhum tratamento; 2) ALA - células incubadas com 5-ALA (1mM durante 4 horas); 3) LED - tratadas com iluminação LED (630nm, 5,86J/cm2, 22,5J, 150mW, 150s); 4) PDT - tratadas com 5- ALA-PDT, com os protocolos do grupo ALA e LED combinados, gerando dose letal de 90%. Inicialmente foi realizado somente um ciclo de PDT, sendo avaliada a viabilidade celular em todos os grupos após 24, 48, 72 e 120h da irradiação. Também foi realizado ensaio de detecção da fragmentação de DNA (TUNEL) e análise por imunofluorescência da expressão das proteínas NF?B, Bcl-2, iNOS, pmTOR e pAkt nas células viáveis. Como resultado desse primeiro tratamento com 5-ALA-PDT, observou-se que as células sobreviventes ao tratamento apresentaram intensa marcação para pmTOR e exibiram potencial de crescimento durante o período analisado. Após esses ensaios, as células que sobreviveram a essa primeira sessão foram coletadas, replaqueadas e novamente cultivadas, sendo então submetidas a novo ciclo de 5-ALA-PDT. Esse processo foi realizado 5 vezes, variando-se a intensidade de irradiação à medida que se observava aumento na viabilidade celular. As populações celulares que exibiram viabilidade 1,5 vezes maior do que a detectada no primeiro ciclo PDT foram consideradas resistentes ao tratamento. Os mesmos marcadores analisados no primeiro ciclo de PDT foram novamente avaliados nas populações resistentes. Foram obtidas quatro populações celulares resistentes, com viabilidade de até 4,6 vezes maior do que a do primeiro ciclo de PDT e irradiação com LED que variou de 5,86 a 9,38J/cm2. A população mais resistente apresentou ainda menor intensidade de protoporfirina IX, maior capacidade de migração e modificação na morfologia nuclear. As populações resistentes testadas exibiram aumento na expressão de pNF?B, iNOS, pmTOR e pAkt, mas não da proteína anti-apoptótica Bcl- 2. Ensaio in vivo foi também conduzido em ratos, nos quais CEC bucal foi quimicamente induzido e tratado ou não com 5-ALA-PDT. Houve intensa expressão imuno-histoquímica das proteínas pNF?B, Bcl-2, iNOS, pmTOR e pAkt em relação ao controle não tratado, nas células adjacentes à área de necrose provocada pela PDT. Concluiu-se que as células de CEC bucal tratadas com 5-ALA-PDT a uma dose de 90% de letalidade desenvolveram viabilidade crescente após ciclos repetidos do tratamento, bem como exibiram superexpressão de proteínas relacionadas à sobrevivência celular, tanto in vitro quanto in vivo. Esses fatos, aliados à maior capacidade de migração, sugerem a aquisição de fenótipo de resistência à 5-ALAPDT. Esse aspecto deve ser cuidadosamente considerado no momento da instituição dessa terapia para os CECs bucais.
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Nos últimos anos, notou-se aumento da incidência de carcinoma espinocelular de orofaringe (CECOF) associado ao HPV. Sabe-se que CECOF associado ao HPV apresenta melhor prognóstico do que CECOF não infectado por HPV. Inúmeros estudos em carcinoma cervical demonstram alterações de TLRs, isto provavelmente devido às associações das oncoproteínas E6 e E7 com estes receptores. Em humanos, existem 10 TLRs identificados, os quais colaboram na resposta imune contra bactérias, fungos e vírus, bem como colaboram na promoção ou regressão do tumor. Esta influência do TLR na carcinogênese tem sido alvo de inúmeros estudos devido à ligação entre inflamação e o câncer. O presente trabalho teve como objetivo verificar diferenças na expressão e função de receptores Toll-like em carcinoma espinocelular de orofaringe (CECOF). Para tal, foram utilizados trinta e sete espécimes diagnosticados como CECOF e a expressão imuno-histoquímica das proteínas p16 e TLR4 analisadas. Duas linhagens de CECOF HPV16 + e duas CECOF HPV-. foram utilizadas para análise da expressão de TLR1-10, IL-6 e IL-8, por qPCR. A detecção dos principais TLRs (TLR1, TLR2, TLR6 e TLR4) foi feita por citometria de fluxo. Para ativação da via de sinalização de TLR2, e posterior análise da expressão de IL6 e IL8, as células foram estimuladas com peptidoglicano. Para verificar a expressão e função de TLR4, as células foram estimuladas com LPS e LPS UP para posterior análise de IL-6 e IL-8, por ELISA. Os resultados demonstraram diferenças na expressão gênica de TLR1 e TLR6 entre as linhagens HPV- e o grupo HPV+ e diferenças na expressão proteica de TLR9. TLR2 apresentou aumento da expressão proteica em todas as linhagens e demonstra desencadeamento da resposta imune, com secreção de IL6 e IL8 nas linhagens HPV- (SCC72 e SCC89) e em uma das linhagens HPV+ (SCC2). Interessantemente, TLR4 não apresentou diferenças significativas na expressão gênica e proteica. Entretanto, as linhagens HPV+ não demonstraram resposta pró-inflamatória mesmo quando estimuladas com LPS e LPS ultra puro, agonista específico de TLR4. Assim, este trabalho contribui para estabelecer o perfil da expressão dos receptores Toll-like em linhagens celulares de CECOF HPV- e HPV+, e aponta para alterações ocorridas na via de sinalização mediada por TLR4. Além disso, nossos resultados abrem portas para futuros estudos na avaliação de alterações causadas no sistema imune inato pelo HPV, em carcinomas espinocelulares de orofaringe.
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Immunotoxins are chimeric proteins composed of an antibody domain that specifically directs the action of the toxic domain, resulting in the death of the targeted cells. Over recent years, immunotoxins have been widely studied and the number of different constructions has increased exponentially. Protein engineering has allowed the design of optimized versions of immunotoxins with an improved tumor binding affinity, stability or cytotoxic efficacy, although sometimes this has compromised the safety of the patient in terms of undesirable adverse secondary reactions. A triple mutant at three Trp residues (HtA3DW) of the ribotoxin hirsutellin A retains its specific ribonucleolytic activity, although cell internalization capacity is lacking.This toxin variant has been fused to the single chain variable fragment A33 (scFvA33). This immunoconjugate (IMTXA33HtA3DW) was produced in the methylotrophic yeast Pichia pastoris and purified using nickelnitrilotriacetic acid affinity chromatography. Both target and toxic domains were characterized. The immunotoxin showed an exquisite specific binding against GPA33-positive culture cells, which results in the death of the targeted cells because of specific ribonucleolytic activity against ribosomes of the engineered hirsutellin A variant. IMTXA33HtA3DW represents a promising structure in the search for an improved immunotoxin without compromising the safety of patients.
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Trabalho Final do Curso de Mestrado Integrado em Medicina, Faculdade de Medicina, Universidade de Lisboa, 2014
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Background: Encapsulation in hepatocellular carcinoma is associated with decreased invasiveness and improved survival in several series. Although active fibrogenesis by myofibroblasts has been demonstrated in the capsule, it is unclear if the capsule results from a general increase in peritumoral fibrosis, or an inherently less invasive tumor phenotype. The relationship between collagen deposition within tumor stroma, presence of cirrhosis and invasiveness also needs clarification. Methods: We performed immunohistochemistry for collagens I, III, IV and VI on sections of encapsulated and non-encapsulated hepatocellular carcinoma, arising in cirrhotic and non-cirrhotic livers. Staining was graded semi-quantitatively in tumor stromal elements and adjacent parenchymal sinusoids. The relationship of this staining with encapsulation, cirrhosis, and vascular invasion was analyzed. Results: Formation of a discrete capsular layer was associated with reduced vascular invasion, but not with a pervasive increase in peritumoral fibrosis. Increased collagen I content of tumor stroma and adjacent parenchymal sinusoids was associated with non-encapsulated tumors and vascular invasion. The presence of cirrhosis had little effect on capsule composition. Conclusions: Encapsulation of hepatocellular carcinoma reflects reduced invasiveness, rather than increased peritumoral collagen synthesis, which may instead enhance invasion. Increased intratumoral collagen I protein is also associated with increased tumor invasiveness. Pre-existing cirrhosis has little effect on tumor progression, possibly because the characteristics of cirrhosis are overwhelmed by tumor-induced changes in the adjacent parenchyma.(C) 2003 Blackwell Publishing Asia Pty Ltd.
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Dendritic cells (DC) from distinct DC subsets are essential contributors to normal human immune responses. Despite this, reliable assays that enable DC to be counted precisely have been slow to evolve. We have now developed a new single-platform flow cytometric assay based on TruCOUN(TM) beads and the whole blood Lyse/No-Wash protocol that allows precise counting of the CD14(-) blood DC subsets: CD11c(+)CD16(-) DC, CD11c(+)CD16(+) DC, CD123(hi) DC, CD1c(+) DC and BDCA-3(+) DC. This assay requires 50 mul of whole blood; does not rely on a hematology blood analyser for the absolute DC counts; allows DC counting in EDTA samples 24 It after collection; and is suitable for cord blood and peripheral blood. The data is highly reproducible with intra-assay and inter-assay coefficients of variation less than 3% and 11%, respectively. This assay does not produce the DC-T lymphocyte conjugates that result in DC counting abnormalities in conventional gradient-density separation procedures. Using the TruCOUNT assay, we established that absolute blood DC counts reduce with age in healthy individuals. In preliminary studies, we found a significantly lower absolute blood CD11c(+)CD16(+) DC count in stage III/IV versus stage I/II breast carcinoma patients and a lower absolute blood CD123(hi) DC count in multiple myeloma patients, compared to age-matched controls. These data indicate that scientific progress in DC counting technology will lead to the global standardization of DC counting and allow clinically meaningful data to be obtained. (C) 2003 Elsevier B.V. All rights reserved.
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Merkel cell carcinoma (MCC) is a rare aggressive skin tumor which shares histopathological and genetic features with small-cell lung carcinoma (SCLC), both are of neuroendocrine origin. Comparable to SCLC, MCC cell lines are classified into two different biochemical subgroups designated as 'Classic' and 'Variant'. With the aim to identify typical gene-expression signatures associated with these phenotypically different MCC cell lines subgroups and to search for differentially expressed genes between MCC and SCLC, we used cDNA arrays to pro. le 10 MCC cell lines and four SCLC cell lines. Using significance analysis of microarrays, we defined a set of 76 differentially expressed genes that allowed unequivocal identification of Classic and Variant MCC subgroups. We assume that the differential expression levels of some of these genes reflect, analogous to SCLC, the different biological and clinical properties of Classic and Variant MCC phenotypes. Therefore, they may serve as useful prognostic markers and potential targets for the development of new therapeutic interventions specific for each subgroup. Moreover, our analysis identified 17 powerful classifier genes capable of discriminating MCC from SCLC. Real-time quantitative RT-PCR analysis of these genes on 26 additional MCC and SCLC samples confirmed their diagnostic classification potential, opening opportunities for new investigations into these aggressive cancers.
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Immunotherapy strategies aimed at increasing human Valpha24(+)Vbeta11(+) natural killer T (NKT) cell numbers are currently a major focus. To provide further information towards the goal of NKT cell-based immunotherapy, we assessed the effects of age, cancer status and prior anticancer treatment on NKT cell numbers and their expansion capacity following alpha-galactosylceramide (alpha-GalCer) stimulation. The percentage and absolute number of peripheral blood NKT cells was assessed in 40 healthy donors and 109 solid cancer patients ( colorectal ( n = 33), breast ( n = 10), melanoma ( n = 17), lung ( n = 8), renal cell carcinoma ( n = 10), other cancers ( n = 31)). Responsiveness to alpha-GalCer stimulation was also assessed in 28 of the cancer patients and 37 of the healthy donors. Natural killer T cell numbers were significantly reduced in melanoma and breast cancer patients. While NKT numbers decreased with age in healthy donors, NKT cells were decreased in these cancer subgroups despite age and sex adjustments. Prior radiation treatment was shown to contribute to the observed reduction in melanoma patients. Although cancer patient NKT cells were significantly less responsive to alpha-GalCer stimulation, they remained capable of substantial expansion. Natural killer T cells are therefore modulated by age, malignancy and prior anticancer treatment; however, cancer patient NKT cells remain capable of responding to alpha-GalCer-based immenotherapies.
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AIM: To investigate the biological features of A549 cells in which epidermal growth factor (EGF) receptors expression were suppressed by RNA interference (RNAi). METHODS: A549 cells were transfected using short small interfering RNAs (siRNAs) formulated with Lipofectamine 2000. The EGF receptor numbers were determined by Western blotting and flowcytometry. The antiproliferative effects of sequence specific double stranded RNA (dsRNA) were assessed using cell count, colony assay and scratch assay. The chemosensitivity of transfected cells to cisplatin was measured by MTT. RESULTS: Sequence specific dsRNA-EGFR down-regulated EGF receptor expression dramatically. Compared with the control group, dsRNA-EGFR reduced the cell number by 85.0 %, decreased the colonies by 63.3 %, inhibited the migration by 87.2 %, and increased the sensitivity of A549 to cisplatin by four-fold. CONCLUSION: Sequence specific dsRNA-EGFR were capable of suppressing EGF receptor expression, hence significantly inhibiting cellular proliferation and motility, and enhancing chemosensitivity of A549 cells to cisplatin. The successful application of dsRNA-EGFR for inhibition of proliferation in EGF receptor overexpressing cells can help extend the list of available therapeutic modalities in the treatment of non-small-cell lung carcinoma (NSCLC).