778 resultados para Nanosatelliti Cubesat struttura
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La presente ricerca si focalizza su alcuni processi chiave dello sviluppo larvale del mitili M. galloprovincialis: la biomineralizzazione, in quanto elemento fondamentale per la formazione della conchiglia; lo sviluppo ed il mantenimento della struttura cellulare, in quanto il progredire dello sviluppo comporta molteplici cambiamenti a tutti i livelli; la detossificazione, in quanto capace di fornire l’adeguata protezione. Lo studio ha visto l’impiego di tecniche molecolari (RT-qPCR) al fine di valutare l’espressione di geni codificanti per l’enzima anidrasi carbonica, la proteina extrapalliale, il recettore 5-HT1, la proteina actina, i trasportatori di membrana P-gp e Mrp, e gli enzimi catalasi e glutatione S-transferasi. È stata poi esaminata l’attività dell’enzima protein-chinasi A e si è caratterizzato il sistema MXR. Inoltre si è cercato di valutare il coinvolgimento di meccanismi cAMP/PKA-dipendenti nella regolazione dell’espressione di geni sopra menzionati. A tale scopo, sono stati utilizzati i composti farmaceutici propranololo e carbamazepina, che, da studi precedenti, sono noti interferire nella regolazione della via di trasduzione cAMP/PKA dipendente nel mitilo. I risultati di questa ricerca permettono di affermare che lo sviluppo larvale è un processo continuo in cui vi sono costanti cambiamenti fisiologici. L’espressione basale dei trascritti studiati ha mostrato evidenti variazioni nel tempo tra uova fertilizzate, trocofore e veliger, con un trend generale di sovraregolazione. E’ emerso anche che durante il suo sviluppo, il mitilo mediterraneo non presenta lo stesso tipo di regolazione della trascrizione riscontrabile nell’esemplare adulto. La modulazione dell’espressione da parte dei farmaci utilizzati ha comportato sovra- o sotto-espressione dei geni esaminati, indicando il possibile coinvolgimento di vie di regolazione della trascrizione affidate alla trasduzione del segnale neuroendocrino e del pathway cAMP/PKA dipendente
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Il volume raccoglie al suo interno il risultato complessivo della progettazione di uno stadio per la città di Bogotà, e più specificatamente per la localidad di Usme. Il progetto rappresenta la sintesi architettonica del processo conoscitivo del luogo, rielaborato in maniera da offrire una soluzione coerente a problematiche di tipo urbano, sociale e archiettonico. L'intervento si configura come una riqualificazione ambientale e territoriale dell'area delle cave di Usme, nel tentativo di fornire alla città uno spazio sportivo e al contempo sociale, che comprenda al suo interno una struttura di servizi attualmente insufficienti nella zona, con l'obbiettivo di valorizzare il sito di progetto in maniera da sfruttarne tutte le potenzialità. La riqualificazione verrà operata ricercando il collegamento della cava alle zone adiacenti e attraverso l'inserimento dello stadio che andrà a costituire un polo attrattivo non soltanto per la localidad di Usme ma per l'intera Bogotà.
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Il progetto si sviluppa a partire dalla lettura di Berlino come città costituita da parti, una serie di forme urbane, brani di città, ognuno con una propria identità, tuttora chiaramente leggibili. All’interno di questo sistema frammentario è stata effettuata un’analisi più approfondita degli spazi verdi, reinterpretando il Piano per Berlino del paesaggista Peter Joseph Lenné. Egli pone al centro della pianificazione urbana la struttura del verde pubblico, cogliendo il dato di Berlino come città fatta di frammenti. Il nostro progetto individua sul segno del boulevard a nord, disegnato da Lenné, una serie di spazi verdi di diversa natura e di poli aggregativi di rilevanza socio culturale. Il parco diventa un’estensione del polo culturale in cui poter realizzare attività all’aperto: un catalizzatore di vita urbana, luogo di aggregazione per la popolazione. Lo sviluppo di una parte della tesi a Berlino ci ha permesso di conoscere la città e di comprendere a pieno l’importanza che i luoghi di socializzazione, gli spazi condivisi hanno per i berlinesi. Il progetto di un polo culturale, comprendente biblioteca, atelier, laboratori e residenze per artisti, nel quartiere Friedrichshain, si inserisce all’interno del più ampio sistema di parchi e poli aggregativi.
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Lo studio della forma circolare, la più dinamica e flessibile tra le figure geometriche, è alla base del nostro intervento progettuale. La sua analisi deriva dallo studio accurato e approfondito della civiltà Muisca, popolazione precolombiana che si insediò nel nostro territorio di progetto, la localidad de Usme. Posizionata a sud di Bogotà, presenta un territorio prevalentemente montuoso segnato da numerosi corsi fluviali. La popolazione indigena, nella visione del cosmo e conseguentemente in tutti gli aspetti della vita, attinge a principi basati sui quattro elementi della terra. Ispirate dal modo in cui l’acqua veniva venerata e rispettata dalla cultura Muisca, il nostro interesse si è concentrato su questo elemento. La morfologia e l’idrografia del territorio ci hanno suggerito l’idea strutturante del progetto: definire un parco fluviale lungo le rive del rio Tunjuelo, fiume che caratterizza l’area e costituisce la più importante risorsa idrica di Bogotà. Il percorso lungo l’asse verde si configura come una passeggiata naturale e permette la definizione di luoghi di incontro, di aggregazione e di conoscenza del territorio. Lungo il parco fluviale sorgono le architetture, puntuali e dislocate in successione: una torre dell’acqua, localizzata nel punto più alto dell’area di progetto, una piazza-mercato, luogo di incontro e di scambio ed una cisterna dell’acqua, posizionata alla quota più bassa. I singoli progetti collaborano tra loro funzionalmente: la torre, serbatoio idrico, distribuisce l’acqua prelevata dalla cisterna, tanto alle abitazioni circostanti quanto all’intervento progettuale nella sua complessità. In tal maniera la struttura architettonica, fluviale e del verde coesistono all’interno dell’area, partecipando alla definizione di un sistema completo e autosufficiente. Un circuito di elementi che ben convive con l’idea della forma circolare, generatrice dei progetti architettonici. L’architettura circolare, che ben si presta a dialogare con la natura, si pone come obbiettivo quello di dare una nuova immagine alla localidad.
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L’oggetto di questa tesi di laurea è un intervento di recupero e riprogettazione di un edificio non completato, destinato a 24 alloggi di edilizia residenziale pubblica, situato a Rovigo. Questo è stato oggetto di una lunga ed articolata vicenda caratterizzata da continue interruzioni del cantiere, principalmente causate da una cattiva esecuzione dei lavori da parte dell’impresa costruttrice. Allo stato attuale è presente la sola struttura metallica assemblata sulle fondazioni in calcestruzzo armato; tutto il fabbricato risulta abbandonato e congelato da diversi anni dopo i primi collaudi che hanno stabilito la non idoneità del telaio in acciaio. L’obiettivo del progetto è dunque quello di recuperare le fondazioni esistenti e di riprogettare l’edificio in una chiave più attuale e sostenibile. E’ stato effettuato un sopralluogo per comprendere più da vicino le problematiche relative all’area di progetto, oltre ad un’attenta analisi delle documentazioni riguardanti il progetto originario in modo da correggere eventuali punti deboli. Le strategie non hanno tenuto conto dunque solamente di un’ottima efficienza energetica o di un’offerta di alloggi adeguata alla domanda della situazione abitativa attuale, ma anche di tutte le problematiche che sono derivate dalla cattiva gestione del progetto originario. Le scelte progettuali, infatti, sono state il risultato anche delle necessità di limitare tempi e costi di un intervento per il quale sono state sprecate fin troppe risorse, soprattutto economiche. La fase progettuale è stata affiancata dalla realizzazione di simulazioni effettuate tramite software di calcolo (Termolog EpiX 6 e DIALux evo) che hanno permesso di ottenere ottimi risultati per quanto riguarda prestazione energetica e comfort luminoso indoor.
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Il sito archeologico della città romana di Suasa, nell’entroterra marchigiano, costituisce l'area di intervento della Tesi di Laurea. Il tema progettuale riguarda la musealizzazione del sito e del relativo scavo nell'ambito marchigiano. Si è stabilito come obiettivo progettuale quello di rievocare, proteggere e conservare le tracce archeologiche e la città nel suo insieme. Il progetto mette in evidenza l’estensione dell’insediamento urbano attraverso la riproposizione in superficie di tutte le tracce rinvenute mediante i sondaggi effettuati dagli archeologi. Particolare attenzione è stata posta a Fòro, Domus dei Coiedii e Decumano, attraverso lo scavo di una finestra archeologica con lo scopo di avvicinare il visitatore alla quota degli scavi. Osservando i resti si è concluso che l’atteggiamento progettuale dovesse differenziarsi a seconda dei casi con interventi mirati e specifici: il Decumano, di cui è evidente un'ampia parte del basolato, è stato preservato dal continuo passaggio dei visitatori mediante l’inserimento di una passerella sopraelevata e traslata rispetto ad esso; L'intento progettuale riguardante il Fòro è quello di rievocarne la forma e la relazione che esso instaurava con la città e col paesaggio circostante. La scelta architettonica è ricaduta sulla riproposizione in volume dell'edificio, attraverso la semplificazione della sagoma e l'utilizzo di tecnologie moderne, senza tuttavia negare i principi compositivi romani. Tale involucro viene posizionato al di sopra del dato preesistente senza punti di contatto con esso, mentre la struttura vi poggia direttamente. Atteggiamento differente è stato adottato per la musealizzazione della Domus dei Coiedii; l’intenzione progettuale è, in questo caso, conseguenza della necessità di coprire e rendere fruibile ed apprezzabile, oltre che proteggere, l'intero scavo, in quanto le tracce risultano essere più consistenti e costituite inoltre da una ricca compagine di elementi musivi in un buono stato di conservazione. Definiti tali obiettivi è risultato necessario studiare un percorso museografico interno.
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ABITARE NUOVI SPAZI tratta della riqualificazione funzionale ed energetica di un edificio residenziale situato all’interno dell’area costruita secondo il Piano per l’Edilizia Economica e Popolare di Bologna durante gli anni ’70 e ’80. Il caso studio si trova nella zona Corticella del quartiere Navile, a nord del centro storico di Bologna. Le principali criticità riscontrate a livello urbano riguardano la frammentazione degli spazi pubblici e la scarsa qualità dei percorsi ciclo-pedonali. Nelle proposte d’intervento è stata quindi prestata particolare attenzione alla qualità degli spazi e ai percorsi esterni, vere e proprie matrici per la riqualificazione del tessuto esistente. È possibile ricondurre tali obiettivi a tre punti fondamentali: liberare, ordinare, e connettere lo spazio. Passando alla scala architettonica, le principali criticità riguardano il taglio degli alloggi, l’illuminazione e le prestazioni energetiche dell’involucro edilizio. Tenendo conto delle preesistenze, l’approccio al progetto è stato quello di conservare ed adeguare, nonché di conferire all’edificio una forte identità attraverso un progetto architettonico che preveda la definizione di nuovi spazi sia all’interno che all’esterno dell’involucro edilizio esistente. Questi si manifestano sia con l’aggiunta di importanti volumetrie che si relazionano con l’edificio come dei veri e propri “parassiti”, sia con demolizioni di alcune parti che permettono all’ambiente esterno di entrare all’interno della struttura.
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"Abitare nuovi spazi" tratta della riqualificazione funzionale ed energetica di un edificio residenziale situato all’interno dell’area costruita secondo il Piano per l’Edilizia Economica e Popolare di Bologna durante gli anni ’70 e ’80. Il caso studio si trova nella zona Corticella del quartiere Navile, a nord del centro storico di Bologna. Le principali criticità riscontrate a livello urbano riguardano la frammentazione degli spazi pubblici e la scarsa qualità dei percorsi ciclo-pedonali. Nelle proposte d’intervento è stata quindi prestata particolare attenzione alla qualità degli spazi e ai percorsi esterni, vere e proprie matrici per la riqualificazione del tessuto esistente. È possibile ricondurre tali obiettivi a tre punti fondamentali: liberare, ordinare, e connettere lo spazio. Passando alla scala architettonica, le principali criticità riguardano il taglio degli alloggi, l’illuminazione e le prestazioni energetiche dell’involucro edilizio. Tenendo conto delle preesistenze, l’approccio al progetto è stato quello di conservare ed adeguare, nonché di conferire all’edificio una forte identità attraverso un progetto architettonico che preveda la definizione di nuovi spazi sia all’interno che all’esterno dell’involucro edilizio esistente. Questi si manifestano sia con l’aggiunta di importanti volumetrie che si relazionano con l’edificio come dei veri e propri “parassiti”, sia con demolizioni di alcune parti che permettono all’ambiente esterno di entrare all’interno della struttura.
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In questo lavoro di tesi è stata investigata la possibilità di utilizzare particolari composti inorganici chiamati metallo-esacianometallati per la produzione elettrochimica di idrogeno. In particolare, elettrodi di glassy carbon (GC) sono stati modificati con TiO2-esacianometallati, come il cobalto-esacianoferrato (CoHCF), indio-esacianoferrato (InHCF) e nichel-cobalto esacianoferrato (NiCoHCF) e le loro performance per la produzione elettrocatalitica di idrogeno sono state esaminate con e senza esposizione alla luce UV. La spettroscopia IR e diffrazione dei raggi X di polveri (XRD) sono stati utilizzate per studiare la morfologia e la struttura dei campioni di TiO2 modificata con metallo-esacianoferrati. La caratterizzazione elettrochimica è stata eseguita attraverso voltammetria ciclica (CV) e cronopotenziometria. Per ottimizzare le condizioni, l'influenza di alcuni parametri tra cui la quantità di catalizzatori nella composizione dell’elettrodo ed il pH dell'elettrolita di supporto sono stati esaminati nel processo di produzione di idrogeno. Gli studi effettuati utilizzando gli elettrodi modificati, evidenziano la migliore performance quando l’elettrodo è modificato con TiO2-InHCF ed è esposto a luce UV. L'elettrodo proposto mostra diversi vantaggi tra cui un lungo ciclo di vita, basso costo, ottima performance e facilità di preparazione su larga scala, potrebbe quindi essere considerato un candidato ideale per la produzione elettrocatalitica di idrogeno.
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Questo elaborato si concentra sullo studio della trasformata di Fourier e della trasformata Wavelet. Nella prima parte della tesi si analizzano gli aspetti fondamentali della trasformata di Fourier. Si definisce poi la trasformata di Fourier su gruppi abeliani finiti, richiamando opportunamente la struttura di tali gruppi. Si mostra che calcolare la trasformata di Fourier nel quoziente richiede un minor numero di operazioni rispetto a calcolarla direttamente nel gruppo di partenza. L'ultima parte dell'elaborato si occupa dello studio delle Wavelet, dette ondine. Viene presentato quindi il sistema di Haar che permette di definire una funzione come serie di funzioni di Haar in alternativa alla serie di Fourier. Si propone poi un vero e proprio metodo per la costruzione delle ondine e si osserva che tale costruzione è strettamente legata all'analisi multirisoluzione. Un ruolo cruciale viene svolto dall'identità di scala, un'identità algebrica che permette di definire certi coefficienti che determinano completamente le ondine. Interviene poi la trasformata di Fourier che riduce la ricerca dei coefficienti sopra citati, alla ricerca di certe funzioni opportune che determinano esplicitamente le Wavelet. Non tutte le scelte di queste funzioni sono accettabili. Ci sono vari approcci, qui viene presentato l'approccio di Ingrid Daubechies. Le Wavelet costituiscono basi per lo spazio di funzioni a quadrato sommabile e sono particolarmente interessanti per la decomposizione dei segnali. Sono quindi in relazione con l'analisi armonica e sono adottate in un gran numero di applicazioni. Spesso sostituiscono la trasformata di Fourier convenzionale.
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Negli ultimi anni si è osservato un crescente sviluppo della ricerca nel campo dei materiali luminescenti per le loro diverse applicazioni reali e potenziali, fra cui l’impiego in dispositivi elettroluminescenti, quali OLEDs (Organic Light-Emitting Diodes) e LECs (Light-Emitting Electrochemical Cells). In modo particolare, si rivolge grande attenzione ai complessi ciclometallati di Ir(III) grazie alle peculiari caratteristiche che li contraddistinguono fra i materiali luminescenti, come l'emissione fosforescente, alte rese quantiche di emissione, lunghi tempi di vita e buona stabilità nei dispositivi. Oltre a tali caratteristiche uno dei principali vantaggi presentati dai complessi di Ir(III) è la possibilità di modulare la lunghezza d'onda di emissione modificando la struttura dei leganti ciclometallanti e ancillari. Considerata la versatilità di questi sistemi e la loro conseguente rilevanza, diverse sono state le strategie applicate per l'ottenimento di complessi di Ir(III) generalmente neutri e cationici; al contrario pochi esempi di complessi di Ir(III) anionici sono attualmente riportati in letteratura. Lo scopo del mio lavoro di tesi è stato quindi quello di sintetizzare tre nuovi complessi anionici luminescenti di Ir(III) con tre diversi leganti ciclometallanti. Il piano di lavoro è stato suddiviso in stadi successivi, partendo dalla sintesi dei tre leganti ciclometallanti, impiegati poi nella preparazione dei dimeri di Ir(III) precursori dei miei complessi; infine facendo reagire questi ultimi con un legante ancillare bisanionico, derivato dal di(1H-tetrazol-5-il)metano, si è giunti all'ottenimento di tre complessi anionici luminescenti di Ir(III). Dopo questa prima parte, il lavoro di tesi è proseguito con la caratterizzazione spettroscopica dei tre complessi anionici e la determinazione delle loro proprietà fotofisiche tramite la registrazione di spettri di assorbimento, di emissione e la determinazione delle rese quantiche di emissione e dei tempi di vita. Infine si è preparato un “soft salt” costituito da un complesso anionico e uno cationico di Ir(III) le cui caratteristiche sono tutt'ora oggetto di studio del gruppo di ricerca presso il quale ho svolto il mio lavoro di tesi.
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Intervenire su un sistema urbano che si fa portatore di storia e tradizioni complesse, nel tentativo di addurvi una risoluzione attraverso la costruzione logica del luogo, comporta l’imparare a leggere tra le sfumature di quei fatti da cui, quel luogo, è stato plasmato. Fatti passati o attuali, le cui potenzialità, forma e struttura offrono delle modalità di comprendere lo spazio della città, fissando gli eventi che hanno segnato le sue vicende architettoniche. L’atto progettuale trae origine dalla volontà di assolvere a necessità e bisogni espressi dalla città, pensando la vicenda architettonica come un momento di riflessione, cercando un equilibrio nella dinamica urbana tra la città in continua evoluzione ed il sistema progettuale fissato.
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Il tema delle coperture in ambito archeologico è particolarmente presente nel dibattito architettonico attuale per le implicazioni che una tale struttura comporta nella relazione con un manufatto antico, nella lettura che ne può dare al pubblico e anche nello sviluppo di tecniche costruttive che consenta di coprire grandi luci interferendo il meno possibile con lo strato archeologico. I temi sviluppati in questa tesi di laurea partono dagli studi intrapresi durante il Laboratorio di Laurea “Archeologia e Progetto di Architettura” nell’anno accademico 2013-2014, che si è occupato delle analisi della città romana di Suasa, nel territorio marchigiano, con l’obiettivo di confrontarsi con le tematiche della musealizzazione e della progettazione in un ambito delicato come quello archeologico con tutte le sue particolarità. La tesi si occupa del progetto strutturale della copertura iniziato in gruppo con due miei colleghi, Thomas Fabbri e Sara Salvigni, la cui prima parte si è conclusa nel 2015 nella loro tesi di laurea intitolata Rileggere le tracce: valorizzazione e musealizzazione della città romana di Suasa.
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Il presente lavoro ha riguardato lo studio della trasformazione one-pot in fase gas di 1,2-propandiolo ad acido propionico, impiegando il pirofosfato di vanadile (VPP), (VO)2P2O7, e due differenti sistemi a base di bronzi di tungsteno con struttura esagonale (HTB), gli ossidi misti W1V0,3 e W1Mo0,5V0,1. Il processo richiede un catalizzatore con due differenti funzionalità: una acida, principalmente di tipo Brønsted, fornita nel VPP dai gruppi P-OH presenti sulla sua superficie, e negli HTB dai gruppi W-OH sulla loro superficie e dagli ioni H+ nei canali esagonali dell’ossido; e una ossidante, fornita nel VPP dal V, e negli HTB da V e Mo incorporati nella struttura esagonale. I risultati delle prove di reattività hanno consentito di dedurre gli aspetti principali dello schema della reazione one-pot di disidratazione-ossidazione dell’1,2-propandiolo ad acido propionico. I catalizzatori provati non possiedono la combinazione ottimale di proprietà acide e redox necessarie per ottenere elevate rese in acido propionico. Le scarse proprietà ossidanti portano a un accumulo di propionaldeide, che reagisce con l’1,2-propandiolo a dare diossolani, e inoltre dà luogo alla formazione di altri sottoprodotti. È perciò necessario incrementare le proprietà ossidanti del catalizzatore, in modo da accelerare la trasformazione della propionaldeide ad acido propionico, ed evitare quindi che le proprietà acide del catalizzatore, necessarie per compiere il primo stadio di disidratazione di 1,2-propandiolo, siano causa di reazioni parassite di trasformazione dell’aldeide stessa.
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L’aumento della frequenza di accadimento e dell’intensità di eventi di tempesta rappresenta una seria minaccia per gli ambienti costieri, in particolare per quelli dominati da spiagge sabbiose. Nel seguente lavoro di tesi si è voluto approfittare di un evento di flooding che ha interessato la spiaggia di Cesenatico (Febbraio 2015), provocando un lieve arretramento della linea di riva, per valutare la risposta del comparto macrobentonico a uno shift da zona intertidale a quella di primo subtidale. I dati relativi al periodo post-disturbo (after), mostrano variazioni sia dal punto di vista dell’ambiente fisico che delle comunità bentoniche ad esso associate; per quanto riguarda i campioni del 2015, si è osservata una diminuzione della media granulometrica e un aumento della materia organica rispetto al 2011 (before). Si evidenziano differenze anche tra le comunità bentoniche before e after l’evento, con valori di abbondanza, numero di taxa e diversità maggiori in after, nonché dell’intera struttura di comunità in cui si osservano variazioni di dominanza di particolari specie e l’insediamento di specie non presenti prima dell’evento. In before c’è una dominanza di S. squamata, un polichete fossatorio tipico dell’intertidale. In after è risultato che molte più specie concorrono nel determinare i pattern osservati, ed emerge una netta dominanza di L. mediterraneum e dei tanaidacei del genere Apseudes. I valori delle variabili ambientali e biotiche sono stati utilizzati per costruire un modello previsionale FNB (fuzzy naive Bayes) che è stato utilizzato con i dati abiotici relativi all’after per prevedere i pattern di comunità. Dalle simulazioni si osserva che i pattern spaziali del macrobenthos seguono l’evoluzione dell’intero sistema, confermando uno shift da intertidale a primo subtidale e può essere usato come base per comprendere gli effetti di un flooding costiero su sistemi vulnerabili qual è la spiaggia di Cesenatico.