643 resultados para Misura, rumore, Mosfet, amplificatore


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Il lavoro di tesi consiste nella caratterizzazione, nell’analisi a ritroso e di stabilità attuale di un fenomeno franoso avvenuto a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna. La caratterizzazione è comprensiva di analisi geomorfologica dell’area, indagine sismo-stratigrafica e indagine geotecnica di laboratorio. Quindi è stato definito il meccanismo di rottura della frana e sono stati cartografati gli elementi morfologici costituenti l’area di frana. L’indagine geofisica si basa su tecniche ad onde di superficie e include misure tromografiche di rumore sismico ambientale e misure attive multicanale. Queste forniscono, rispettivamente, le curve H/V e gli spettri di velocità di fase e di gruppo, dalle quali è possibile ricavare informazioni di carattere stratigrafico. La caratterizzazione fisico meccanica del materiale pelitico marnoso, prelevato sul piano di scorrimento basale, include analisi granulometrica, determinazione dei limiti di consistenza e test di taglio anulare per ottenere il valore di angolo di attrito residuo. Le informazioni ottenute dalle indagini hanno consentito di definire il modello geologico tecnico del fenomeno, che viene rappresentato rispetto a quattro sezioni, tre relative alla situazione attuale e una relativa al versante prefrana. Sulla base di questi sono state condotte delle analisi a ritroso, che hanno consentito di ricavare le condizioni idrauliche del versante al momento della rottura, per differenti combinazioni di geometria del cuneo e diagramma di spinta dell’acqua. Grazie ai risultati ottenuti in modalità backward, sono state effettuate le analisi di stabilità della scarpata attuale, aventi lo scopo di determinare la distanza orizzontale tra scarpata e frattura di trazione che determinerebbe una situazione di instabilità. Infine sono state condotte analisi di sensitività rispetto ai parametri geometrici del cuneo, di resistenza del materiale e di riempimento idraulico della frattura dii trazione.

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Con l’aumento del consumo mondiale di risorse energetiche del pianeta, è diventato sempre più necessario utilizzare sistemi energetici che sfruttino al meglio la fonte di energia che li alimenta. Una delle soluzioni in questo ambito è quella proposta dagli Organic Rankine Cycle (ORC). Questi sistemi recuperano energia termica altrimenti non utilizzabile per le temperature troppo basse e sfruttano sorgenti termiche con ampi range di temperatura. L’elaborato volge all’analisi sperimentale delle prestazioni di un sistema Micro-ORC di piccola taglia, con rendimento termodinamico massimo dichiarato dal costruttore del 10 %. Inizialmente vengono descritti i fluidi organici e i sistemi che ne fanno uso, descrivendo anche esempi bibliografici di banchi prova per interpretare al meglio i risultati ottenuti con quello disponibile, che viene poi descritto, comprendendo i circuiti di asservimento dell’acqua calda e fredda, i punti di misura e il programma di acquisizione dati. Ci si concentra poi sulla descrizione e l’utilizzo dei codici implementati per l’elaborazione dei dati acquisiti. Questi hanno permesso di osservare gli andamenti temporali delle grandezze fondamentali per il sistema e valutarne la ripetibilità del comportamento nel corso di differenti prove. Vengono proposte infine le mappe di funzionamento per l’intero impianto e per i vari sotto-sistemi, offrendone un’interpretazione e inquadrandone i punti di lavoro ottimali. Attraverso la loro osservazione si sono dedotte le condizioni necessarie per avere un funzionamento ritenuto stabile del sistema ed è stato possibile ottimizzare le procedure svolte durante le fasi di test e di acquisizione dati. Sarà oggetto di studi futuri l’ottimizzazione dell’impianto, prolungando i tempi di esercizio a parità di carico elettrico e frequenza imposta alla pompa, con il fine di ottenere delle curve di prestazioni confrontabili con quelle presenti in bibliografia per altri sistemi ORC.

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Scopo di questo lavoro è l’individuazione di una metodica che permetta la valutazione dosimetrica interna dei lavoratori in Medicina Nucleare, dell’I.R.S.T. I radionuclidi impiegati hanno elevata volatilità e tempi di dimezzamento molto brevi quindi, diventa di fondamentale importanza la misura della concentrazione in aria. come radioisotopo d'interesse è stato considerato il F-18. Per la misura della contaminazione in aria è stato utilizzato un sistema progettato dall’azienda MecMurphil (MP-AIR). L’aria attraversa un beaker Marinelli, posto in un pozzetto schermato in piombo (5/6 cm di spessore più rivestimento in rame di 3 mm) nel quale è inserito un rivelatore a scintillazione NaI(Tl) a basso fondo in modalità di campionamento continuo. Attraverso il software MAIR-C, collegato al rivelatore, è stato possibile calibrarlo in energia, FWHM e efficienza. I locali analizzati, poiché quotidianamente frequentati dal personale, sono: Laboratorio caldo, Corridoio, Attesa calda, Camere degenza, e Radiofarmacia. Mediante l’uso di fogli di calcolo, è stata determinata la concentrazione media presente nei diversi locali. I risultati ottenuti hanno mostrato che la concentrazione massima di F-18 è nella radiofarmacia.Le persone con accesso ai locali “caldi” sono state classificate, sulla base delle attività da loro svolte in: medici, TSRM, infermieri e radiofarmacisti. Per ognuna di queste figure è stato stimato il tempo di permanenza all’interno dei locali.Si è proceduto, poi, alla validazione del metodo utilizzato per il calcolo della dose interna per inalazione, applicando quanto riportato nella pubblicazione I.C.R.P. 66, che ha come scopo principale quello di determinare i limiti annuali d’introduzione dei radionuclidi per i lavoratori.Le metodiche, applicate al solo radioisotopo F-18, permettono di ricavare una prima stima della dose inalata dagli operatori, aprendo un’ ampia gamma di possibili sviluppi futuri.

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Questa tesi si inserisce nell’ambito del progetto WA104-NESSiE al CERN per il quale era richiesto lo sviluppo di un tracciatore di particelle cariche da utilizzare in presenza di campi magnetici e avente una risoluzione sulla posizione ricostruita di 1-2 mm. Il lavoro di tesi ha riguardato l'analisi dei dati raccolti con un prototipo del tracciatore composto da barre di scintillatori a sezione triangolare, accoppiati a SiPM i cui segnali sono acquisiti in modalità analogica. Il prototipo è stato esposto a particelle cariche presso la linea di fascio T9 del PS del CERN nel maggio 2016. La catena di analisi è stata validata con dati provenienti da una simulazione Monte Carlo basata su Geant4 che fornisce la risposta del tracciatore al passaggio di particelle cariche (pioni e muoni) a diversi impulsi (1-10 GeV/c). Successivamente, è stata fatta un'analisi preliminare dei dati reali e un confronto con la simulazione Monte Carlo. La risoluzione ottenuta per pioni di 5 GeV è di ∼ 2 mm, compatibile con il valore ottenuto dalla simulazione Monte Carlo di ∼ 1.5 mm. Questi risultati sono stati ricavati analizzando una frazione degli eventi acquisiti durante il test beam. Una misura più accurata della risoluzione del tracciatore può essere ottenuta introducendo alcune correzioni, come ad esempio l’allineamento dei piani, la ricalibrazione dei segnali dei singoli canali e, infine, analizzando l’intero campione.

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La tesi in oggetto affronta il problema di realizzare un circuito per la gestione della corrente di una batteria ricaricabile. Il circuito esegue fasi di carica e scarica a corrente costante e programmabile. La batteria impiegata nel sistema è considerata carica a 5 V e scarica a 3 V. Un'alimentazione di 15 V viene fornita da una fonte esterna. Per la progettazione del circuito di carica, viene studiato il transitorio della batteria da 3 V a 5 V. Il circuito di scarica effettua invece il comportamento opposto, facendo fluire corrente dalla batteria, che decresce da 5 V a 3 V, con il flusso di potenza diretto verso l'alimentazione esterna. Entrambe le fasi vengono effettuate in maniera programmabile: variando la tensione di un MOSFET a canale p viene fornita la corrente costante scelta in un intervallo che varia da 100 mA a 5 A, come richiesto dalle specifiche di progetto. Per selezionare in quale modalità deve operare il circuito, si è utilizzata una rete a pass transistor. I convertitori posti a monte del circuito e la logica pass transistor sono stati impiegati nel circuito per la loro semplicità di impiego. Tali scelte, in un secondo momento, potranno esser riviste per impiegare soluzioni migliori e più efficienti. Il circuito realizzato soddisfa le specifiche di progetto.

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Lo studio delle regioni più interne degli ammassi globulari risulta fondamentale per la ricerca di buchi neri di massa intermedia (IMBH). La scoperta di tali oggetti avrebbe un impatto sostanziale su un gran numero di problemi astrofisici aperti, dalla formazione dei buchi neri supermassicci, all'interpretazione delle Ultra Luminous X-ray Sources, fino allo studio delle onde gravitazionali. Il presente lavoro di tesi si inserisce all'interno di un progetto osservativo mirato a studiare la dinamica interna degli ammassi globulari e volto ad investigare la presenza di IMBH nel centro di tali sistemi tramite l'analisi sistematica dei profili di dispersione di velocità e di rotazione. In questo elaborato presentiamo lo studio della cinematica del core dell'ammasso globulare NGC 6266, realizzato con lo spettrografo a campo integrale IFU-SINFONI, assistito da un sistema di ottiche adattive. Grazie all'utilizzo dell'ottica adattiva, SINFONI è in grado di realizzare osservazioni ad alta risoluzione spaziale e misurare la velocità radiale di stelle individuali anche nelle regioni più interne degli ammassi globulari, dove le misure spettroscopiche tradizionali falliscono a causa dell'elevato crowding stellare. Questo ci ha permesso di determinare il profilo centrale della dispersione di velocità di NGC 6266 dalla misura delle velocità radiali individuali di circa 400 stelle, localizzate negli 11 arcsec più interni dell'ammasso. Utilizzando dati complementari, provenienti da osservazioni realizzate con lo spettrografo multi-oggetto FLAMES, siamo stati in grado di costruire il profilo di dispersione di velocità di NGC 6266 fino ad una distanza radiale di 250 arcsec. Il profilo di dispersione di velocità osservato permette di escludere la presenza di un IMBH di massa superiore a 2500 masse solari e mostra un calo nella regione centrale, simile a quello rilevato in un numero crescente di ammassi globulari, che potrebbe indicare la presenza di anisotropia tangenziale.

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L’acqua è uno dei principali fattori per la crescita socio-economica e lo sviluppo del continente africano. Il continente africano dispone di ingenti risorse idriche, ma le complessità naturali caratteristiche di alcune regioni del continente e la frequente assenza di una corretta pianificazione della loro gestione ne riduce ad oggi il potenziale in maniera significativa. L’utilizzo delle risorse idriche in Africa è destinato ad incrementare sensibilmente nel corso dei prossimi decenni, come risultato della crescita demografica e dei fabbisogni nell’agricoltura. Le risorse idriche sotterranee giocano un importante ruolo in tale scenario in quanto molti paesi africani caratterizzati da scarsità d’acqua dispongono di sostanziali riserve idriche sotterranee e l’accesso a tali risorse, ancorché limitate, è largamente diffuso nel continente. Si stima che il totale delle risorse idriche sotterranee sia di 0,66 milioni di km cubi. Le risorse sotterranee sono largamente distribuite: i maggiori volumi sono localizzati nei larghi acquiferi sedimentari nelle regioni del nord Africa. Per molti paesi africani pozzi appropriatamente ubicati sono in grado di sostenere le comunità con l’estrazione manuale mediante pompe con una portata di 0,1-0,3 l/s. Grandi impianti di produzione da acquifero (>5 l/s), che siano adatti per lo sviluppo urbano o produzioni agricole intensive, non sono ancora diffusi e sono limitati ad aree particolari. La disponibilità ed accessibilità delle acque sotterranee in gran parte dell’Africa è favorevole ad uno sviluppo rurale piuttosto che urbano. Il maggiore fattore limitante per una gestione sostenibile delle risorse sotterranee è dato dalla necessità di identificare se le acque sotterranee sono rinnovabili (ed in quale misura) o meno, al fine di programmare le corrette politiche gestionali nel tempo.

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Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare a fondo il concetto sovrastruttura ferroviaria senza ballast e sottolinearne pregi e difetti rispetto a quella tradizionale con pietrisco, al fine di identificare chiaramente quando e dove i sistemi senza massicciata forniscono prestazioni migliori. L'aumento dei costi di manutenzione delle sovrastrutture ferroviarie al giorno d'oggi stanno aprendo la strada a nuovi sistemi, la maggior parte sviluppati in paesi che hanno linee di velocità elevate e tanti altri paesi si stanno preparando per aggiornare le proprie linee esistenti, nonché per creare nuove linee ferroviarie ad alta velocità. In molti casi i sistemi senza ballast sembrano avere le potenzialità per offrire un servizio per linee ad alta velocità più efficiente rispetto alle tracce tradizionali con ballast, soprattutto a causa della loro maggiore stabilità strutturale, del basso bisogno di manutenzione e del lungo ciclo di vita. Il primo capitolo è dedicato alla descrizione della struttura del binario tradizionale con ballast analizzando gli strati che formano la sovrastruttura. Il secondo capitolo è dedicato alla descrizione di varie tipologie, utilizzate nel mondo, di sovrastrutture ferroviarie senza ballast, di ognuna di esse sono state elencate le caratteristiche costruttive e prestazionali. Il terzo capitolo è dedicato al confronto tra le due tipologie di sovrastruttura, sono state descritte le capacità elastiche e deformative delle due soluzioni, il degrado cui incorrono le due soluzioni, gli stati sollecitanti a cui sono sottoposte e la risposta delle stesse. Di particolare importanza è il confronto di costo dei due sistemi e il rumore e le vibrazioni generate da questi; infatti negli ultimi anni questi sono gli aspetti fondamentali su cui si basa la scelta di un sistema costruttivo; a seguito di questo confronto è stato possibile trarre le conclusioni.

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Il cuore è uno dei principali organi vitali dell’organismo umano e la sua fisiologica attività è indispensabile per sostenere uno stile di vita conforme alle esigenze del singolo individuo. Le aritmie cardiache, alterazioni del ritmo, possono compromettere o limitare la vita di un paziente che ne è affetto. Specifiche aritmie cardiache vengono trattate con l’impianto di dispositivi cardiaci impiantabili, i defibrillatori, che generano una stimolazione elettrica nel tessuto cardiaco allo scopo di ripristinare un ritmo cardiaco fisiologico. Il presente elaborato descrive come tali dispositivi siano in grado di correggere le aritmie cardiache, garantendo la sicurezza del paziente e permettendogli di svolgere le normali attività quotidiane . Il primo capitolo andrà ad analizzare il cuore dal punto di vista anatomico e fisiologico per capirne il funzionamento non affetto da patologie. Il secondo capitolo concentrerà l’analisi sui defibrillatori impiantabili per stimolazione cardiaca (ICD), facendo luce sulla storia, sulle funzioni primarie,sui componenti interni,sulle patologie legate all’utilizzo,sulle tipologie presenti in commercio e sul metodo d’impianto. Il terzo capitolo è incentrato sul monitoraggio remoto degli ICD (home-monitoring), attraverso il quale il paziente può trasmettere per via transtelefonica al centro cardiologico di riferimento i dati tecnici e clinici desumibili dall’interrogazione del dispositivo impiantato, senza necessità di ricorrere al controllo ambulatoriale tradizionale. L’home-monitoring nei pazienti portatori di dispositivo impiantabile si è dimostrato efficace per l’individuazione di malfunzionamenti e di instabilità cliniche in misura sovrapponibile rispetto al controllo ambulatoriale tradizionale, offrendo però significativi vantaggi in termini di qualità della vita e di gestione delle risorse sanitarie. Infine saranno presentate le conclusioni di tale elaborato.

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While it is well known that exposure to radiation can result in cataract formation, questions still remain about the presence of a dose threshold in radiation cataractogenesis. Since the exposure history from diagnostic CT exams is well documented in a patient’s medical record, the population of patients chronically exposed to radiation from head CT exams may be an interesting area to explore for further research in this area. However, there are some challenges in estimating lens dose from head CT exams. An accurate lens dosimetry model would have to account for differences in imaging protocols, differences in head size, and the use of any dose reduction methods.

The overall objective of this dissertation was to develop a comprehensive method to estimate radiation dose to the lens of the eye for patients receiving CT scans of the head. This research is comprised of a physics component, in which a lens dosimetry model was derived for head CT, and a clinical component, which involved the application of that dosimetry model to patient data.

The physics component includes experiments related to the physical measurement of the radiation dose to the lens by various types of dosimeters placed within anthropomorphic phantoms. These dosimeters include high-sensitivity MOSFETs, TLDs, and radiochromic film. The six anthropomorphic phantoms used in these experiments range in age from newborn to adult.

First, the lens dose from five clinically relevant head CT protocols was measured in the anthropomorphic phantoms with MOSFET dosimeters on two state-of-the-art CT scanners. The volume CT dose index (CTDIvol), which is a standard CT output index, was compared to the measured lens doses. Phantom age-specific CTDIvol-to-lens dose conversion factors were derived using linear regression analysis. Since head size can vary among individuals of the same age, a method was derived to estimate the CTDIvol-to-lens dose conversion factor using the effective head diameter. These conversion factors were derived for each scanner individually, but also were derived with the combined data from the two scanners as a means to investigate the feasibility of a scanner-independent method. Using the scanner-independent method to derive the CTDIvol-to-lens dose conversion factor from the effective head diameter, most of the fitted lens dose values fell within 10-15% of the measured values from the phantom study, suggesting that this is a fairly accurate method of estimating lens dose from the CTDIvol with knowledge of the patient’s head size.

Second, the dose reduction potential of organ-based tube current modulation (OB-TCM) and its effect on the CTDIvol-to-lens dose estimation method was investigated. The lens dose was measured with MOSFET dosimeters placed within the same six anthropomorphic phantoms. The phantoms were scanned with the five clinical head CT protocols with OB-TCM enabled on the one scanner model at our institution equipped with this software. The average decrease in lens dose with OB-TCM ranged from 13.5 to 26.0%. Using the size-specific method to derive the CTDIvol-to-lens dose conversion factor from the effective head diameter for protocols with OB-TCM, the majority of the fitted lens dose values fell within 15-18% of the measured values from the phantom study.

Third, the effect of gantry angulation on lens dose was investigated by measuring the lens dose with TLDs placed within the six anthropomorphic phantoms. The 2-dimensional spatial distribution of dose within the areas of the phantoms containing the orbit was measured with radiochromic film. A method was derived to determine the CTDIvol-to-lens dose conversion factor based upon distance from the primary beam scan range to the lens. The average dose to the lens region decreased substantially for almost all the phantoms (ranging from 67 to 92%) when the orbit was exposed to scattered radiation compared to the primary beam. The effectiveness of this method to reduce lens dose is highly dependent upon the shape and size of the head, which influences whether or not the angled scan range coverage can include the entire brain volume and still avoid the orbit.

The clinical component of this dissertation involved performing retrospective patient studies in the pediatric and adult populations, and reconstructing the lens doses from head CT examinations with the methods derived in the physics component. The cumulative lens doses in the patients selected for the retrospective study ranged from 40 to 1020 mGy in the pediatric group, and 53 to 2900 mGy in the adult group.

This dissertation represents a comprehensive approach to lens of the eye dosimetry in CT imaging of the head. The collected data and derived formulas can be used in future studies on radiation-induced cataracts from repeated CT imaging of the head. Additionally, it can be used in the areas of personalized patient dose management, and protocol optimization and clinician training.

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Purpose

The objective of our study was to test a new approach to approximating organ dose by using the effective energy of the combined 80kV/140kV beam used in fast kV switch dual-energy (DE) computed tomography (CT). The two primary focuses of the study were to first validate experimentally the dose equivalency between MOSFET and ion chamber (as a gold standard) in a fast kV switch DE environment, and secondly to estimate effective dose (ED) of DECT scans using MOSFET detectors and an anthropomorphic phantom.

Materials and Methods

A GE Discovery 750 CT scanner was employed using a fast-kV switch abdomen/pelvis protocol alternating between 80 kV and 140 kV. The specific aims of our study were to (1) Characterize the effective energy of the dual energy environment; (2) Estimate the f-factor for soft tissue; (3) Calibrate the MOSFET detectors using a beam with effective energy equal to the combined DE environment; (4) Validate our calibration by using MOSFET detectors and ion chamber to measure dose at the center of a CTDI body phantom; (5) Measure ED for an abdomen/pelvis scan using an anthropomorphic phantom and applying ICRP 103 tissue weighting factors; and (6) Estimate ED using AAPM Dose Length Product (DLP) method. The effective energy of the combined beam was calculated by measuring dose with an ion chamber under varying thicknesses of aluminum to determine half-value layer (HVL).

Results

The effective energy of the combined dual-energy beams was found to be 42.8 kV. After calibration, tissue dose in the center of the CTDI body phantom was measured at 1.71 ± 0.01 cGy using an ion chamber, and 1.73±0.04 and 1.69±0.09 using two separate MOSFET detectors. This result showed a -0.93% and 1.40 % difference, respectively, between ion chamber and MOSFET. ED from the dual-energy scan was calculated as 16.49 ± 0.04 mSv by the MOSFET method and 14.62 mSv by the DLP method.

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As silicon based devices in integrated circuits reach the fundamental limits of dimensional scaling there is growing research interest in the use of high electron mobility channel materials, such as indium gallium arsenide (InGaAs), in conjunction with high dielectric constant (high-k) gate oxides, for Metal-Oxide-Semiconductor Field Effect Transistor (MOSFET) based devices. The motivation for employing high mobility channel materials is to reduce power dissipation in integrated circuits while also providing improved performance. One of the primary challenges to date in the field of III-V semiconductors has been the observation of high levels of defect densities at the high-k/III-V interface, which prevents surface inversion of the semiconductor. The work presented in this PhD thesis details the characterization of MOS devices incorporating high-k dielectrics on III-V semiconductors. The analysis examines the effect of modifying the semiconductor bandgap in MOS structures incorporating InxGa1-xAs (x: 0, 0.15. 0.3, 0.53) layers, the optimization of device passivation procedures designed to reduce interface defect densities, and analysis of such electrically active interface defect states for the high-k/InGaAs system. Devices are characterized primarily through capacitance-voltage (CV) and conductance-voltage (GV) measurements of MOS structures both as a function of frequency and temperature. In particular, the density of electrically active interface states was reduced to the level which allowed the observation of true surface inversion behavior in the In0.53Ga0.47As MOS system. This was achieved by developing an optimized (NH4)2S passivation, minimized air exposure, and atomic layer deposition of an Al2O3 gate oxide. An extraction of activation energies allows discrimination of the mechanisms responsible for the inversion response. Finally a new approach is described to determine the minority carrier generation lifetime and the oxide capacitance in MOS structures. The method is demonstrated for an In0.53Ga0.47As system, but is generally applicable to any MOS structure exhibiting a minority carrier response in inversion.

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A RET network consists of a network of photo-active molecules called chromophores that can participate in inter-molecular energy transfer called resonance energy transfer (RET). RET networks are used in a variety of applications including cryptographic devices, storage systems, light harvesting complexes, biological sensors, and molecular rulers. In this dissertation, we focus on creating a RET device called closed-diffusive exciton valve (C-DEV) in which the input to output transfer function is controlled by an external energy source, similar to a semiconductor transistor like the MOSFET. Due to their biocompatibility, molecular devices like the C-DEVs can be used to introduce computing power in biological, organic, and aqueous environments such as living cells. Furthermore, the underlying physics in RET devices are stochastic in nature, making them suitable for stochastic computing in which true random distribution generation is critical.

In order to determine a valid configuration of chromophores for the C-DEV, we developed a systematic process based on user-guided design space pruning techniques and built-in simulation tools. We show that our C-DEV is 15x better than C-DEVs designed using ad hoc methods that rely on limited data from prior experiments. We also show ways in which the C-DEV can be improved further and how different varieties of C-DEVs can be combined to form more complex logic circuits. Moreover, the systematic design process can be used to search for valid chromophore network configurations for a variety of RET applications.

We also describe a feasibility study for a technique used to control the orientation of chromophores attached to DNA. Being able to control the orientation can expand the design space for RET networks because it provides another parameter to tune their collective behavior. While results showed limited control over orientation, the analysis required the development of a mathematical model that can be used to determine the distribution of dipoles in a given sample of chromophore constructs. The model can be used to evaluate the feasibility of other potential orientation control techniques.

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Questa tesi verte sulla traduzione di ricette scritte a mano o tramandate oralmente da diverse generazioni di alcune famiglie russe. Anche tali ricette, e non solo quelle riportate nei libri di cucina stampati, contengono preziose informazioni sulle abitudini alimentari dei russi, nonché sulla loro vita quotidiana e sulla storia del loro paese. Ho intervistato alcuni membri di queste famiglie e inviato un questionario online ad altri. Ho fotografato o chiesto di mandarmi fotografie delle ricette trascritte a mano da loro stessi o da alcuni familiari su libri o fogli conservati in casa. Alcune di queste ricette sono state scritte decenni fa, altre sono rielaborazioni più recenti di ricette tradizionali della famiglia o invenzioni delle ultime generazioni. Nella prima parte della mia tesi ho analizzato le tappe fondamentali della letteratura culinaria russa e i processi con cui le ricette tradizionali vengono tramandate alle generazioni successive, sia sotto forma di libri di cucina scritti da chef e autorità nel campo, sia in ambito familiare, trascritte a mano su fogli e quaderni oppure insegnate direttamente, in forma orale. In seguito sono riportate le traduzioni delle ricette: dal boršč della mamma di Kristina, una mia compagna di università alla Moscow State Univesity, alle antiche ricette della bisnonna della mia professoressa Maria Arapova, ancora scritte con l’ortografia prerivoluzionaria, alle specialità di Marzhan, 15 anni, ma già abilissima ai fornelli. Le ricette sono precedute da una breve introduzione sulla storia del piatto oppure da memorie e aneddoti familiari legati ad esso che mi sono stati raccontati durante le interviste o nelle risposte al questionario. Segue un’analisi dei principali problemi affrontati durante la traduzione. In primo luogo, quelli legati al genere testuale: la ricetta è un testo prescrittivo, il che rende l’efficacia della traduzione un aspetto cruciale, ed è anche una tipologia testuale ricca di elementi culturally specific, ad esempio ingredienti e unità di misura. In secondo luogo, vengono analizzate le difficoltà legate al tipo particolare di ricette tradotte: testi ad uso domestico e familiare, ricchi di omissioni e spesso scritti in una grafia difficile da decifrare.

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La tesi tratta della formulazione dell'assioma della scelta fatta da Zermelo e di alcune sue forme equivalenti. Inoltre si parlerà della sua storia, delle critiche che gli sono state mosse e degli importanti teoremi che seguono direttamente dall'assioma. Viene anche trattato il paradosso di Hausdorff che introduce il problema della misura e il paradosso di Banach-Tarscki.