836 resultados para Eflorescência salina


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Le prove non distruttive che sono state studiate in questa tesi sono il monitoraggio termografico, le prove soniche, la tecnica tomografica sonica e l’indagine tramite georadar. Ogni capitolo di applicazione in sito o in laboratorio è sempre preceduto da un capitolo nel quale sono spiegati i principi fondamentali della tecnica applicata. I primi cinque capitoli riguardano un problema molto diffuso nelle murature, cioè la risalita capillare di umidità o di soluzione salina all’interno delle stesse. Spiegati i principi alla base della risalita capillare in un mezzo poroso e della tecnica termografica, sono state illustrate le tre prove svolte in laboratorio: una prova di risalita (di umidità e di salamoia) su laterizi, una prova di risalita di salamoia su tripletta muraria monitorata da sensori e una prova di risalita di umidità su muretto fessurato monitorata tramite termografia ad infrarossi. Nei capitoli 6 e 7 sono stati illustrati i principi fondamentali delle prove soniche ed è stata presentata un’analisi approfondita di diverse aree del Duomo di Modena in particolare due pareti esterne, un pilastro di muratura e una colonna di pietra. Nelle stesse posizioni sono state effettuate anche prove tramite georadar (Capitoli 11 e 12) per trovare analogie con le prove soniche o aggiungere informazioni che non erano state colte dalle prove soniche. Nei capitoli 9 e 10 sono stati spiegati i principi della tomografia sonica (tecnica di inversione dei tempi di volo e tecnica di inversione delle ampiezze dei segnali), sono stati illustrati i procedimenti di elaborazione delle mappe di velocità e sono state riportate e commentate le mappe ottenute relativamente ad un pilastro di muratura del Duomo di Modena (sezioni a due quote diverse) e ad un pilastro interno di muratura della torre Ghirlandina di Modena.

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A full set of geochemical and Sr, Nd and Pb isotope data both on bulk-rock and mineral samples is provided for volcanic rocks representative of the whole stratigraphic succession of Lipari Island in the Aeolian archipelago. These data, together with petrographic observations and melt/fluid inclusion investigations from the literature, give outlines on the petrogenesis and evolution of magmas through the magmatic and eruptive history of Lipari. This is the result of nine successive Eruptive Epochs developing between 271 ka and historical times, as derived from recentmost volcanological and stratigraphic studies, combined with available radiometric ages and correlation of tephra layers and marine terrace deposits. These Eruptive Epochs are characterized by distinctive vents partly overlapping in space and time, mostly under control of the main regional tectonic trends (NNW-SSE, N-S and minor E-W). A large variety of lava flows, scoriaceous deposits, lava domes, coulees and pyroclastics are emplaced, ranging in composition through time from calcalkaline (CA) and high-K (HKCA) basaltic andesites to rhyolites. CA and HKCA basaltic andesitic to dacitic magmas were erupted between 271 and 81 ka (Eruptive Epochs 1-6) from volcanic edifices located along the western coast of the island (and subordinately the eastern Monterosa) and the M.Chirica and M.S.Angelo stratocones. These mafic to intermediate magmas mainly evolved through AFC and RAFC processes, involving fractionation of mafic phases, assimilation of wall rocks and mixing with newly injected mafic magmas. Following a 40 ka-long period of volcanic quiescence, the rhyolitic magmas were lately erupted from eruptive vents located in the southern and north-eastern sectors of Lipari between 40 ka and historical times (Eruptive Epochs 7-9). They are suggested to derive from the previous mafic to intermediate melts through AFC processes. During the early phases of rhyolitic magmatism (Eruptive Epochs 7-8), enclaves-rich rocks and banded pumices, ranging in composition from HKCA dacites to low-SiO2 rhyolites were erupted, representing the products of magma mixing between fresh mafic magmas and the fractionated rhyolitic melts. The interaction of mantle-derived magmas with the crust represents an essential process during the whole magmatic hystory of Lipari, and is responsible for the wide range of observed geochemical and isotopic variations. The crustal contribution was particularly important during the intermediate phases of activity of Lipari when the cordierite-bearing lavas were erupted from the M. S.Angelo volcano (Eruptive Epoch 5, 105 ka). These lavas are interpreted as the result of mixing and subsequent hybridization of mantle-derived magmas, akin to the ones characterizing the older phases of activity of Lipari (Eruptive Epochs 1-4), and crustal anatectic melts derived from dehydration-melting reactions of metapelites in the lower crust. A comparison between the adjacent islands of Lipari and Vulcano outlines that their mafic to intermediate magmas seem to be genetically connected and derive from a similar mantle source affected by different degrees of partial melting (and variable extent of crustal assimilation) producing either the CA magmas of Lipari (higher degrees) or the HKCA to SHO magmas of Vulcano (lower degrees). On a regional scale, the most primitive rocks (SiO2<56%, MgO>3.5%) of Lipari, Vulcano, Salina and Filicudi are suggested to derive from a similar MORB-like source, variably metasomatized by aqueous fluids coming from the slab and subordinately by the additions of sediments.

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Lo scopo di questa tesi è quello di valutare l'effetto della salinizzazione dei suoli sugli invertebrati edafici. Nell'ambito di questo obiettivo generale sono state effettuate due distinte attività di ricerca: una indagine sul campo e una serie di esperimenti di laboratorio. Lo studio sul campo è stato condotto nella Pineta di San Vitale (Ravenna, Italia). L'obiettivo specifico è stato quello di valutare la qualità biologica dei suoli attraverso l'analisi del popolamento dei microartropodi edafici, in relazione alla diversità del suolo e in particolare alla salinizzazione. La qualità biologica dei suoli è stata valutata mediante l'indice QBS-ar. La Pineta è stata campionata nella zona Est, più colpita da intrusione salina e nella zona Ovest dove questo fenomeno è meno evidente. I campionamenti sono stati effettuati in primavera ed estate. I risultati confermano che le caratteristiche chimico-fisiche si modificano in base al gradiente sommità dunali-depressioni interdunali. Per quanto riguarda il popolamento dei microartropodi alcune caratteristiche sono comuni alla maggior parte delle stazioni con lo stesso pedotipo. Non è stato evidenziato alcuno stress sui popolamenti attribuibule alla salinizzazione. Nel complesso, i valori di QBS-ar sono piuttosto elevati. Gli esperimenti di laboratorio sono stati finalizzata alla valutazione degli effetti combinati della salinità del suolo e della contaminazione da pesticidi (chlorpyrifos) sul lombrico Eisenia andrei. Nel complesso, i risultati indicano che effetti avversi sui lombrichi sono possibili a livelli di salinizzazione dei suoli ancora compatibili a concentrazioni di chlorpyrifos che sono piuttosto alte in confronto con i tipici risultati di campo, ma ancora compatibili con l'uso consigliato.

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Dalla collaborazione fra il Comune di Ravenna ed ENI ha preso origine il progetto “RIGED – Ra” ossia il “Progetto di ripristino e gestione delle dune costiere ravennati”. Nell’ambito di tale attività sperimentale si è voluto effettuare una caratterizzazione dell’idrologia di una limitata, ma rappresentativa, porzione dell’acquifero freatico costiero situata in un cordone di dune posto nella Pineta di Lido di Classe, a sud di Foce Bevano. Lo studio si pone di essere rappresentativo per le caratteristiche idrogeologiche delle dune costiere adriatiche nella zona di Ravenna. A tale fine è stato valutato l’andamento di alcuni parametri chimico-fisici delle acque sotterranee; inoltre, è stata monitorata mensilmente la profondità della tavola d’acqua (water table - WT). Questi monitoraggi hanno permesso di descrivere la distribuzione delle acque dolci e di quelle salate nonché la loro dinamica stagionale. Infine, è stata eseguita un’analisi idro-geochimica con l’intento di valutare la tipologia delle acque presenti nell’area in esame e la loro eventuale variazione stagionale. Per la raccolta dei campioni è stata sfruttata l’innovativa metodologia a minifiltri utilizzata da alcuni anni nel nord dell’Europa, in modo particolare in Olanda. Questa tecnica ha due caratteristiche peculiari: i tempi di campionamento vengono ridotti notevolmente ed, inoltre, permette un’ottima precisione e rappresentatività delle acque di falda a diverse profondità poiché si effettua un campionamento ogni 0,50 m. L’unico limite riscontrato, al quale vi è comunque rimedio, è il fatto che la loro posizione risulti fissa per cui, qualora vi siano delle fluttuazioni dell’acquifero al di sopra del minifiltro più superficiale, queste non vengono identificate. È consigliato quindi utilizzare questo metodo di campionamento poiché risulta essere più performante rispetto ad altri (ad esempio al sistema che sfrutta lo straddle packers SolinstTM ) scegliendo tra due diverse strategie per rimediare al suo limite: si aggiungono minifiltri superficiali che nel periodo estivo si trovano nella zona vadosa dell’acquifero oppure si accompagna sempre il campionamento con una trivellata che permetta il campionamento del top della falda. Per quanto concerne la freatimetria il campionamento mensile (6 mesi) ha mostrato come tutta l’area di studio sia un sistema molto suscettibile all’andamento delle precipitazioni soprattutto per la fascia di duna prossima alla costa in cui la scarsa vegetazione e la presenza di sedimento molto ben cernito con una porosità efficace molto elevata facilitano la ricarica dell’acquifero da parte di acque dolci. Inoltre, sul cordone dunoso l’acquifero si trova sempre al di sopra del livello medio mare anche nel periodo estivo. Per questa caratteristica, nel caso l’acquifero venisse ricaricato artificialmente con acque dolci (Managed Aquifer Recharge), potrebbe costituire un efficace sistema di contrasto all’intrusione salina. Lo spessore d’acqua dolce, comunque, è molto variabile proprio in funzione della stagionalità delle precipitazioni. Nell’area retro-dunale, invece, nel periodo estivo l’acquifero freatico è quasi totalmente al di sotto del livello marino; ciò probabilmente è dovuto al fatto che, oltre ai livelli topografici prossimi al livello medio mare, vi è una foltissima vegetazione molto giovane, ricresciuta dopo un imponente incendio avvenuto circa 10 anni fa, la quale esercita una notevole evapotraspirazione. È importante sottolineare come durante la stagione autunnale, con l’incremento delle precipitazioni la tavola d’acqua anche in quest’area raggiunga livelli superiori a quello del mare. Dal monitoraggio dei parametri chimico – fisici, in particolare dal valore dell’Eh, risulta che nel periodo estivo l’acquifero è un sistema estremamente statico in cui la mancanza di apporti superficiali di acque dolci e di flussi sotterranei lo rende un ambiente fortemente anossico e riducente. Con l’arrivo delle precipitazioni la situazione cambia radicalmente, poiché l’acquifero diventa ossidante o lievemente riducente. Dalle analisi geochimiche, risulta che le acque sotterranee presenti hanno una composizione esclusivamente cloruro sodica in entrambe le stagioni monitorate; l’unica eccezione sono i campioni derivanti dal top della falda raccolti in gennaio, nei quali la composizione si è modificata in quanto, il catione più abbondante rimane il sodio ma non si ha una dominanza di un particolare anione. Tale cambiamento è causato da fenomeni di addolcimento, rilevati dall’indice BEX, che sono causati all’arrivo delle acque dolci meteoriche. In generale, si può concludere che la ricarica superficiale e la variazione stagionale della freatimetria non sono tali da determinare un processo di dolcificazione in tutto l’acquifero dato che, nelle zone più profonde, si rivela la presenza permanente di acque a salinità molto superiore a 10 g/L. La maggior ricarica superficiale per infiltrazione diretta nelle stagioni a più elevata piovosità non è quindi in grado di approfondire l’interfaccia acqua dolce-acqua salata e può solamente causare una limitata diluizione delle acque di falda superficiali.

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Le cellule mesenchimali stromali (MSC) sono cellule multipotenti e numerosi studi hanno mostrato i loro effetti benefici nel danno renale acuto ma non sono ancora stati dimostrati potenziali effetti nella malattia renale cronica. L'ostruzione ureterale unilaterale (UUO) è un modello di fibrosi interstiziale nel quale l'attivazione di molecole vasoattive, citochine profibrotiche e infiammatorie gioca un ruolo patogenetico nello sviluppo dell'apoptosi e atrofia tubulare. Il sistema renina-angiotensina (RAS) gioca un ruolo chiave nello sviluppo della fibrosi renale e i farmaci che hanno come target l'angiotensina II, principale mediatore del RAS, sono attualmente la terapia più efficace nel ridurre la progressione della malattia renale cronica. E' noto che gli ACE-inibitori (ACEi) inducono un aumento compensatorio della renina plasmatica per la mancaza del feedback negativo sulla sua produzione. Tuttavia, la renina (R) promuove il danno renale non solo stimolando la produzione di ANGII, ma anche up-regolando geni profibrotici attraverso l'attivazione del recettore renina/prorenina. Lo scopo dello studio è stato indagare se l'infusione di MSC riduceva il danno renalein un modello animale di UUO e comparare gli eventuali effetti protettivi di ACEi e MSC in UUO. Abbiamo studiato 5 gruppi di ratti. A: sham operati. B: ratti sottoposti a UUO che ricevevano soluzione salina. C: ratti sottoposti a UUO che ricevavano MSC 3X106 nella vena della coda al giorno 0. D:ratti sottoposti a UUO che ricevevano lisinopril dal g 1 al g 21. E: ratti sottoposti a UUO che ricevevano MSC 3X106 nella vena della coda al giorno 0 e lisinopril dal g 1 al g 21. I ratti sono stati sacrificati al giorno 7 e 21. I risultati dello studio mostrano che MSC in UUO prevengono l'aumento della renina, riducono la generazione di ANGII e che in terapia combinata con ACEi riducono ulteriormente l'ANGII, determinando una sinergia nel miglioramento della fibrosi renale.

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Questa tesi affronta il tema di un possibile progetto di restauro e di valorizzazione del paesaggio per i ruderi del Castello di Pianetto. La tesi si confronta così con diversi temi (in primis la conservazione dei manufatti superstiti, gli interventi sulla struttura vegetale, il progetto di fruizione dell’area) che, dato lo stato prolungato e persistente di abbandono del castello, si presentano come correlati l’uno all’altro, ponendo una serie di interrogativi. Tra questi, uno dei più importanti deriva dal fatto che il castello non sia mai stato oggetto di una campagna di scavo archeologico tesa a esplorarne l’eventuale deposito sepolto: come, dunque, coniugare un progetto di fruizione e di interventi sulla struttura vegetale con l’eventualità futura che il sito venga sottoposto ad una campagna di indagine archeologica?

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Secondo l'Agenzia Europea dell'Ambiente una delle principali minacce per le risorse di acqua dolce della zone costiere italiane è l’intrusione salina. L’obiettivo di questa tesi magistrale è la caratterizzazione idrogeologica di una frazione dell’acquifero freatico costiero situato in due differenti corpi dunosi. L’indagine proseguita per cinque mesi ha evidenziano differenze tra un’area sottoposta a forte pressione antropica (Marina Romea) e un’area che mostra un relativo sviluppo naturale del sistema spiaggia-duna (Porto Corsini). La tecnica di campionamento utilizzata è il sistema a minifiltri (multi level samplers), metodologia innovativa che garantisce tempistiche di monitoraggio rapide e una campionatura multi-livello puntuale e precisa. La campagna di monitoraggio ha coinvolto misure di freatimetria, conduttività elettrica e analisi chimiche delle acque che hanno portato ad una loro classificazione geo-chimica. Dai risultati si evidenzia che l’acquifero è molto salinizzato, gli strati d’acqua dolce sono isolati in lenti superficiali e i tipi di acque presenti sono dominati da ioni sodio e cloro. Tra i due siti il più vulnerabile risulta essere Marina Romea per molti fattori: l’erosione costiera che assottiglia la fascia dunale adibita alla ricarica di acqua dolce, un’estensione spaziale della duna minore rispetto a Porto Corsini, la presenza di infrastrutture turistiche che hanno frazionato la duna, la vicinanza al canale di drenaggio che causa la risalita delle acque profonde saline, la presenza di specie arboree idro-esigenti che attingono e quindi assottigliano le lenti d’acqua dolce. Si propone di migliorare la qualità dell’acqua sotterranea con una migliore gestione del canale di drenaggio, sostituendo alcuni esemplari di pinacee con specie arbustive tipiche degli ambienti dunosi ed infine imponendo misure per il risparmio idrico durante la stagione turistica.

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This study examined effects of soil freezing on N dynamics in soil along an N processing gradient within a mixed hardwood dominated watershed at Fernow Experimental Forest, West Virginia. Sites were designated as LN (low rates of N processing), ML (moderately low), MH (moderately high), and HN (high). Soils underwent three 7-day freezing treatments (0, –20, or –80 °C) in the laboratory. Responses varied between temperature treatments and along the gradient. Initial effects differed among freezing treatments for net N mineralization, but not nitrification, in soils across the gradient, generally maintained at LN < ML ≤ MH < HN for all treatments. Net N mineralization potential was higher following freezing at –20 and –80 °C than control; all were higher than at 0 °C. Net nitrification potential exhibited similar patterns. LN was an exception, with net nitrification low regardless of treatment. Freezing response of N mineralization differed greatly from that of nitrification, suggesting that soil freezing may decouple two processes of the soil N cycle that are otherwise tightly linked at our site. Results also suggest that soil freezing at temperatures commonly experienced at this site can further increase net nitrification in soils already exhibiting high nitrification from N saturation.

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Three archived core samples from boreholes DGR-4, DGR-5 and DGR-6 from the Salina F Unit, Queenston Formation and the Georgian Bay Formation were subjected to squeezing tests at pressures of up to 500 MPa. Two samples did not yield any water, while a total of 0.88 g pore water was obtained from a clay-rich sample from the Blue Mountain Formation (water content = 2.8 wt.%, porosity = 8 %). This water mass was sufficient for a full chemical and water-isotope analysis – the first direct determination of pore-water composition in rocks from the DGR boreholes. The results are generally in reasonable agreement with those of independent methods, or the observed differences can be explained. Ancillary investigations included the determination of water content, densities and mineralogy, aqueous extraction of squeezed cores, and SEM investigations to characterise the microtexture of unsqueezed and squeezed rock materials. It is concluded that squeezing is a promising method of pore-water extraction and characterisation and is recommended as an alternative method for future studies. Selection criteria for potentially squeezable samples include high clay-mineral content (correlating in a high water content) and low carbonate content (low stiffness, limited cementation). Potential artefacts of the method, such as ion filtration or pressure solution, should be explored and quantified in future efforts.

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The discovery of expanded simple repeated sequences causing or associated with human disease has lead to a new area of research involved in the elucidation of how the expanded repeat causes disease and how the repeat becomes unstable. ^ To study the genetic basis of the (CTG)n repeat instability in the DMPK gene in myotonic dystrophy (DM1) patients, somatic cell hybrids were constructed between the lymphocytes of DM1 patients and a variety of Chinese hamster ovary (CHO) cell DNA repair gene deficient mutants. By using small pool PCR (SP-PCR), the instability of the (CTG)n can be quantitated for both the frequency and sizes of length change mutations. ^ Additional SP-PCR analysis on 2/11 subclones generated from this original hybrid showed a marked increase in large repeat deletions, ∼50%. A bimodal distribution of repeats was seen around the progenitor allele and at a large deleted product (within the normal range) with no intermediate products present. ^ To determine if the repair capacity of the CHO cell led to a mutator phenotype in the hamster and hybrid clones, SP-PCR was also done on 3 hamster microsatellites in a variety of hamster cell backgrounds. No variant alleles were seen in over 2500 genome equivalents screened. ^ Human-hamster hybrids have long been shown to be chromosomally unstable, yet information about the stability of repeated sequences was not known. To test if repeat instability was associated with either intact or non-intact human chromosomes, more than 300 microsatellite repeats on 13 human chromosomes (intact and non-intact) were analyzed in eight hybrid cells. No variants were seen between the hybrid and patient alleles in the hybrids. ^ To identify whether DM1 patients have a previously undetected level of genome wide instability or if the instability is truly locus specific, SP-PCR was done on 6 human microsatellites within the patient used to make the hybrid cells. No variants were seen in over 1000 genomes screened. ^ These studies show that the somatic cell hybrid approach is a genetically stable system that allows for the determination of factors that could lead to changes in microsatellite instability. It also shows that there is something inherent about the DM1 expanded (CTG)n repeat that it is solely targeted by, as of yet, and unknown mechanism that causes the repeat to be unstable. (Abstract shortened by UMI.)^

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We studied the response in development times of Calanus finmarchicus and Calanus helgolandicus to changes in temperature and food conditions. The ingestion response to temperature was determined in the laboratory, where the copepods C. finmarchicus and C. helgolandicus were fed the diatom Thalassiosira weissflogii (cultivated at 18°C-20°; 12 : 12 light :dark cycle; exponential growth). C. finmarchicus was obtained for experiments from the Gullmar fjord. C. finmarchicus was incubated at in situ temperature (5°C) until the experiments were performed. First-generation cultures were grown in the laboratory at 15°C from the eggs from the Sta. L4 females. During growth both C. finmarchicus and C. helgolandicus cultures were fed a mixture of the cryptophyte Rhodomonas salina, the diatom Thalassiosira weissflogii, and the dinoflagellate Prorocentrum minimum. Five 600-mL glass bottles containing 1400 cells mL**-1 or 5 mg chlorophyll a (Chl a) L**-1 of T. weissflogii (200 mg C) and 1-2 C. finmarchicus or C. helgolandicus copepodite stage 5 (CV) or females were incubated in darkness at series of temperatures between 1°C and 21 ± 0.5°C. Three bottles without copepods served as control. In the C. helgolandicus experiment, T. weissflogii cells were counted at the beginning and end of the experiment in the grazing bottles and controls using a Coulter CounterH (MultisizerTM 3, Beckman Coulter). In the C. finmarchicus experiment, phytoplankton reduction was determined by Chl a measurements. The reduction in phytoplankton during any of the experiments was generally below 20% and never more than 32%. Clearance rates were calculated following Harris et al. (2000).

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La provincia de Mendoza tiene la mayor superficie regada de Argentina y cuenta con una vasta infraestructura de riego y drenaje en los cinco ríos aprovechados. Los suelos son de origen aluvial, con perfiles que alternan capas de distintas texturas, observándose la presencia de estratos muy finos -casi impermeables- que impiden el libre drenaje del agua de riego. Esta situación dinámica es más evidente a medida que el río disminuye su pendiente coincidiendo con los sectores bajos de la cuenca. La acumulación de agua produce el ascenso de los niveles freáticos hasta aproximarse a la superficie del suelo, incrementando la salinización del mismo. El área de riego del río Mendoza, con valores de salinidad media del agua en su derivación hacia la red de riego menor de 1 dS.m-1, es una de las más intensamente explotadas del país y presenta dos sectores con problemas de freática cercana a superficie. Los mismos corresponden a una zona central llamada Área de Surgencia AS y a otra llamada Área Lavalle AL. En AS hay una red de 98 pozos de observación (freatímetros) para conocer las profundidades, direcciones de flujos y calidad del agua freática. El AL tiene una red de 100 freatímetros distribuidos en tres subáreas correspondientes a tres colectores de drenajes: Tres de Mayo-Jocolí TMJ, Villa Lavalle VL y Costa de Araujo-Gustavo André CG. El presente trabajo muestra los resultados de la evaluación de la salinidad del agua freática expresada como salinidad total a 25 °C (CE) para las dos áreas de estudio. Las muestras han sido extraídas en 2002 y 2004. Los resultados indican que en los dos momentos de muestreo la mediana es menor que la media correspondiente, lo que evidencia asimetría positiva en las distribuciones. Las medianas obtenidas fueron: 6180 μS cm-1 (2002) y 6195 μS cm-1 (2004). Además se observan cambios en las distribuciones entre los momentos de muestreo y entre las áreas: en 2004 aparecen valores extremos superiores mucho mayores que en 2002, y el área VL acusa frecuencias relativas más uniformes y los mayores incrementos de CE. Se distingue también que en los dos momentos de muestreo el área AS posee los valores de posición de CE más bajos, aunque también es la zona con mayor cantidad de outliers; las áreas TMJ, CG y AS no han sufrido cambios importantes en los valores de CE en dos años, pero sí se advierte un sensible aumento de la CE en VL. Con la base de datos depurados se realizaron isolíneas para diferentes intervalos de la variable analizada (CE) que muestran espacialmente los sectores afectados con los distintos intervalos de salinidad freática.

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La factibilidad de obtener productos agrícolas de calidad, irrigados con agua salina, hace necesario evaluar áreas periféricas al oasis irrigado para determinar su aptitud para el cultivo. El objetivo es articular diversas metodologías para cartografiar y evaluar unidades ecológicamente homogéneas en tierras marginales de Mendoza utilizando las comunidades vegetales como indicador. Se relevó un área piloto mediante procesamiento de imagen LANDSAT/TM y se analizó la vegetación, suelo y freática. Las unidades evaluadas y sus respectivos rangos de salinidad, en dS m-1, hasta 50 cm fueron: estepa de Heterostachys ritteriana, 91-83; matorral de Allenrolfea vaginata con H. ritteriana, 83-48; matorral abierto de A.vaginata con Prosopis strombulifera, 62-55; estepa abierta de Suaeda divaricata con Atriplex argentina, 52-83; matorral de S. divaricata con Lycium tenuispinosum, 40-43; bosquecillo abierto de Prosopis flexuosa, 37-26; matorral denso de Prosopis alpataco, 7-6. La concentración de sales solubles sobrepasa los niveles críticos tolerados por las plantas cultivadas. No se detectaron niveles freáticos en los primeros 15 m de profundidad. Se considera que los suelos tienen buen drenaje interno, por lo que pueden ser recuperados sin inversiones elevadas. Este enfoque metodológico mostró una buena correspondencia entre las comunidades vegetales, su expresión espectral y las condiciones de salinidad y drenaje del suelo.