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Il presente lavoro ha lo scopo di comprendere i processi sottesi ai pattern di coesistenza tra le specie di invertebrati sorgentizi, distinguendo tra dinamiche stocastiche e deterministiche. Le sorgenti sono ecosistemi complessi e alcune loro caratteristiche (ad esempio l’insularità, la stabilità termica, la struttura ecotonale “a mosaico”, la frequente presenza di specie rare ed endemiche, o l’elevata diversità in taxa) le rendono laboratori naturali utili allo studio dei processi ecologici, tra cui i processi di assembly. Al fine di studiare queste dinamiche è necessario un approccio multi-scala, per questo motivi sono state prese in considerazione tre scale spaziali. A scala locale è stato compiuto un campionamento stagionale su sette sorgenti (quattro temporanee e tre permanenti) del Monte Prinzera, un affioramento ofiolitico vicino alla città di Parma. In questa area sono stati valutati l’efficacia e l’impatto ambientale di diversi metodi di campionamento e sono stati analizzati i drivers ecologici che influenzano le comunità. A scala più ampia sono state campionate per due volte 15 sorgenti della regione Emilia Romagna, al fine di identificare il ruolo della dispersione e la possibile presenza di un effetto di niche-filtering. A scala continentale sono state raccolte informazioni di letteratura riguardanti sorgenti dell’area Paleartica occidentale, e sono stati studiati i pattern biogeografici e l’influenza dei fattori climatici sulle comunità. Sono stati presi in considerazione differenti taxa di invertebrati (macroinvertebrati, ostracodi, acari acquatici e copepodi), scegliendo tra quelli che si prestavano meglio allo studio dei diversi processi in base alle loro caratteristiche biologiche e all’approfondimento tassonomico raggiungibile. I campionamenti biologici in sorgente sono caratterizzati da diversi problemi metodologici e possono causare impatti sugli ambienti. In questo lavoro sono stati paragonati due diversi metodi: l’utilizzo del retino con un approccio multi-habitat proporzionale e l’uso combinato di trappole e lavaggio di campioni di vegetazione. Il retino fornisce dati più accurati e completi, ma anche significativi disturbi sulle componenti biotiche e abiotiche delle sorgenti. Questo metodo è quindi raccomandato solo se il campionamento ha come scopo un’approfondita analisi della biodiversità. D’altra parte l’uso delle trappole e il lavaggio della vegetazione sono metodi affidabili che presentano minori impatti sull’ecosistema, quindi sono adatti a studi ecologici finalizzati all’analisi della struttura delle comunità. Questo lavoro ha confermato che i processi niche-based sono determinanti nello strutturare le comunità di ambienti sorgentizi, e che i driver ambientali spiegano una rilevante percentuale della variabilità delle comunità. Infatti le comunità di invertebrati del Monte Prinzera sono influenzate da fattori legati al chimismo delle acque, alla composizione e all’eterogeneità dell’habitat, all’idroperiodo e alle fluttuazioni della portata. Le sorgenti permanenti mostrano variazioni stagionali per quanto riguarda le concentrazioni dei principali ioni, mentre la conduttività, il pH e la temperatura dell’acqua sono più stabili. È probabile che sia la stabilità termica di questi ambienti a spiegare l’assenza di variazioni stagionali nella struttura delle comunità di macroinvertebrati. L’azione di niche-filtering delle sorgenti è stata analizzata tramite lo studio della diversità funzionale delle comunità di ostracodi dell’Emilia-Romagna. Le sorgenti ospitano più del 50% del pool di specie regionale, e numerose specie sono state rinvenute esclusivamente in questi habitat. Questo è il primo studio che analizza la diversità funzionale degli ostracodi, è stato quindi necessario stilare una lista di tratti funzionali. Analizzando il pool di specie regionale, la diversità funzionale nelle sorgenti non è significativamente diversa da quella misurata in comunità assemblate in maniera casuale. Le sorgenti non limitano quindi la diversità funzionale tra specie coesistenti, ma si può concludere che, data la soddisfazione delle esigenze ecologiche delle diverse specie, i processi di assembly in sorgente potrebbero essere influenzati da fattori stocastici come la dispersione, la speciazione e le estinzioni locali. In aggiunta, tutte le comunità studiate presentano pattern spaziali riconoscibili, rivelando una limitazione della dispersione tra le sorgenti, almeno per alcuni taxa. Il caratteristico isolamento delle sorgenti potrebbe essere la causa di questa limitazione, influenzando maggiormente i taxa a dispersione passiva rispetto a quelli a dispersione attiva. In ogni caso nelle comunità emiliano-romagnole i fattori spaziali spiegano solo una ridotta percentuale della variabilità biologica totale, mentre tutte le comunità risultano influenzate maggiormente dalle variabili ambientali. Il controllo ambientale è quindi prevalente rispetto a quello attuato dai fattori spaziali. Questo risultato dimostra che, nonostante le dinamiche stocastiche siano importanti in tutte le comunità studiate, a questa scala spaziale i fattori deterministici ricoprono un ruolo prevalente. I processi stocastici diventano più influenti invece nei climi aridi, dove il disturbo collegato ai frequenti eventi di disseccamento delle sorgenti provoca una dinamica source-sink tra le diverse comunità. Si è infatti notato che la variabilità spiegata dai fattori ambientali diminuisce all’aumentare dell’aridità del clima. Disturbi frequenti potrebbero provocare estinzioni locali seguite da ricolonizzazioni di specie provenienti dai siti vicini, riducendo la corrispondenza tra gli organismi e le loro richieste ambientali e quindi diminuendo la quantità di variabilità spiegata dai fattori ambientali. Si può quindi concludere che processi deterministici e stocastici non si escludono mutualmente, ma contribuiscono contemporaneamente a strutturare le comunità di invertebrati sorgentizi. Infine, a scala continentale, le comunità di ostracodi sorgentizi mostrano chiari pattern biogeografici e sono organizzate lungo gradienti ambientali principalmente collegati altitudine, latitudine, temperatura dell’acqua e conducibilità. Anche la tipologia di sorgente (elocrena, reocrena o limnocrena) è influente sulla composizione delle comunità. La presenza di specie rare ed endemiche inoltre caratterizza specifiche regioni geografiche.

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La richiesta di allergeni puri è in continuo aumento per scopi diagnostici, come standard per metodi di rilevamento e di quantificazione, per l'immunoterapia e per lo studio a livello molecolare dei meccanismi delle reazioni allergiche, al fine di facilitare lo sviluppo di possibili cure. In questa tesi di dottorato sono descritte diverse strategie per l’ottenimento di forme pure di non-specific Lipid Transfer Proteins (nsLTPs), le quali sono state riconosciute essere rilevanti allergeni alimentari in molti frutti e verdure comunemente consumati e sono state definite come modello di veri allergeni alimentari. Una LTP potenzialmente allergenica, non nota in precedenza, è stata isolata dalle mandorle, mentre una LTP dall’allergenicità nota contenuta nelle noci è stata prodotta mediante tecniche di DNA ricombinante. Oltre a questi approcci classici, metodi per la sintesi chimica totale di proteine sono stati applicati per la prima volta alla produzione di un allergene, utilizzando Pru p 3, la LTP prototipica e principale allergene della pesca nell'area mediterranea, come modello. La sintesi chimica totale di proteinepermette di controllarne completamente la sequenza e di studiare la loro funzione a livello atomico. La sua applicazione alla produzione di allergeni costituisce perciò un importante passo avanti nel campo della ricerca sulle allergie alimentari. La proteina Pru p 3 è stata prodotta nella sua intera lunghezza e sono necessari solo due passaggi finali di deprotezione per ottenere il target nella sua forma nativa. Le condizioni sperimentali per tali deprotezioni sono state messe a punto durante la produzione dei peptidi sPru p 3 (1-37) e sPru p 3 (38-91), componenti insieme l'intera proteina. Tecniche avanzate di spettrometria di massa sono state usate per caratterizzare tutti i composti ottenuti, mentre la loro allergenicità è stata studiata attraverso test immunologici o approcci in silico.

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La tesi si occupa dello studio di affioramenti ofiolitici lungo la Valle del Sillaro (Castel S. Pietro Terme, BO) all’altezza della località Villa di Sassonero. Le rocce sono state campionate in sito per essere poi analizzate in laboratorio con diverse tecniche: osservazioni delle sezioni sottili e microanalisi al SEM (microscopio elettronico a scansione). Sono stati raccolti un totale di otto campioni. Da questi si sono ricavate sette sezioni sottili ed una sezione lucida. Ognuno di questi campioni si è dimostrato molto alterato e tettonizzato, cosa prevedibile già dal rilevamento in campagna dato che la maggior parte delle rocce campionate tendevano molto facilmente a sgretolarsi. Le rocce si sono dimostrate essere brecce, serpentiniti e basalti. Osservando le sezioni sottili si è potuto notare che alcuni campioni risultavano completamente impregnati di calcite, in altri i minerali originali (come le olivine e i pirosseni) sono stati totalmente sostituiti e di loro restano a malapena pochi relitti, in altri ancora era presente una diffusa ossidazione. Dalla microanalisi della sezione di un basalto è emersa la completa albitizzazione dei plagioclasi ed è stata stabilita la natura fondamentalmente augitica dei pirosseni.

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Un sistema meccanico è descritto da equazioni differenziali spesso non lineari. Nel maggior numero dei casi tali equazioni non sono risolubili per via analitica e quindi si ricorre all'analisi qualitativa del moto che permette di ricavare informazioni su di esso senza integrare le equazioni. Nell’approccio qualitativo il metodo più utilizzato è la discussione alla Weierstrass che permette di ricavare informazioni sul moto di un punto materiale, che si muove di moto unidimensionale, soggetto a forze conservative, a partire dalla legge di conservazione dell'energia totale. Un altro metodo molto efficace è la costruzione del diagramma di fase, che nel caso di un punto materiale si riduce allo studio delle curve di livello dell’energia totale e permette di rappresentare lo stato del sistema in ogni istante di tempo. Infine altri due metodi analitici che si utilizzano nel caso di oscillazioni non lineari sono il metodo delle approssimazioni successive e delle perturbazioni. In questa tesi viene illustrato ampiamente il primo metodo e si danno alcuni cenni degli altri due, corredandoli con esempi.

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La tesi si pone l’obiettivo di valutare l’efficienza in termini di sicurezza stradale e di gradimento per l’utenza di una pista ciclabile esistente all’interno dell’area urbana del comune di Bologna. La ricerca è nata dalla necessità di avere degli strumenti di analisi che permettano di migliorare e potenziare le infrastrutture ciclabili. Essendo noto che il conducente di un velocipede durante la guida scansiona con lo sguardo l’ambiente che lo circonda, cercando informazioni significative per la posizione spaziale e temporale in cui si trova, per progettare ciclabili sicure diventa fondamentale conoscere quali elementi dell’ambiente sono maggiormente guardati e considerati dagli utenti. La Tangenziale delle Biciclette è un' infrastruttura ciclabile di recente realizzazione; importante dunque è studiarne le criticità, in modo da rendere le viabilità ciclabile su di essa più fluida e rapida possibile. Il campo prova su cui sono stati effettuati i test è quindi il tratto "Tangenziale Nord-Ovest delle Biciclette". La sperimentazione si è articolata in due parti: inizialmente sono state effettuate indagini preliminari sul campo prova, nello specifico sono stati distribuiti questionari di gradimento ad un totale di 50 utenti ciclabili. In un secondo momento invece sono stati eseguiti in loco test tramite la strumentazione Mobile Eye, cioè un dispositivo per il rilievo in continuo dello sguardo dei conducenti durante la guida. Mediante lo studio combinato dei risultati acquisiti dai questionari e dai video del Mobile Eye è stato possibile dedurre alcune criticità che compromettono la fluidità della viabilità ciclabile. L'ultimo paragrafo della tesi è dedicato all'elenco di alcune soluzioni strutturali che potrebbero rendere queste criticità meno impattanti.

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L’acqua è uno dei principali fattori per la crescita socio-economica e lo sviluppo del continente africano. Il continente africano dispone di ingenti risorse idriche, ma le complessità naturali caratteristiche di alcune regioni del continente e la frequente assenza di una corretta pianificazione della loro gestione ne riduce ad oggi il potenziale in maniera significativa. L’utilizzo delle risorse idriche in Africa è destinato ad incrementare sensibilmente nel corso dei prossimi decenni, come risultato della crescita demografica e dei fabbisogni nell’agricoltura. Le risorse idriche sotterranee giocano un importante ruolo in tale scenario in quanto molti paesi africani caratterizzati da scarsità d’acqua dispongono di sostanziali riserve idriche sotterranee e l’accesso a tali risorse, ancorché limitate, è largamente diffuso nel continente. Si stima che il totale delle risorse idriche sotterranee sia di 0,66 milioni di km cubi. Le risorse sotterranee sono largamente distribuite: i maggiori volumi sono localizzati nei larghi acquiferi sedimentari nelle regioni del nord Africa. Per molti paesi africani pozzi appropriatamente ubicati sono in grado di sostenere le comunità con l’estrazione manuale mediante pompe con una portata di 0,1-0,3 l/s. Grandi impianti di produzione da acquifero (>5 l/s), che siano adatti per lo sviluppo urbano o produzioni agricole intensive, non sono ancora diffusi e sono limitati ad aree particolari. La disponibilità ed accessibilità delle acque sotterranee in gran parte dell’Africa è favorevole ad uno sviluppo rurale piuttosto che urbano. Il maggiore fattore limitante per una gestione sostenibile delle risorse sotterranee è dato dalla necessità di identificare se le acque sotterranee sono rinnovabili (ed in quale misura) o meno, al fine di programmare le corrette politiche gestionali nel tempo.

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Il seguente lavoro di tesi si pone come obiettivo di ottimizzare il mix design di materiali geopolimerici a base di metacaolino in modo da ottimizzare il procedimento di formatura tramite pressatura tipico delle piastrelle ceramiche. La parte iniziale del lavoro sperimentale è stata incentrata sullo studio dell’ottimizzazione delle formulazioni per ottenere impasti geopolimerici a base di metacaolino idonei per la pressatura e il colaggio; sono stati quindi preparate diverse formulazioni ottenute variando diversi parametri di processo, quali il contenuto totale di acqua dell’impasto e la concentrazione di quarzo utilizzato come filler inerte. Su tali mix è stato individuato il processo di formatura più idoneo dal punto di vista di temperatura di consolidamento, modalità e tempi di cottura ed è stato messo a punto il procedimento ottimale per la preparazione dei materiali, procedimento che è stato poi mantenuto per l’intero decorso dello studio. Nella produzione degli impasti si è deciso di eliminare sistematicamente quelle formulazioni che avevano prodotto materiali con peggiori prestazioni fisiche, come alcune formulazioni testate per il colaggio. Successivamente, dopo avere preparato i campioni, su di essi sono state eseguite le prove di assorbimento d’acqua e porosimetria ad intrusione di mercurio, per valutare le caratteristiche fisiche dei vari impasti prodotti, osservazioni al microscopio ottico e al microscopio a scansione elettronica, per analizzare i campioni selezionati dal punto di vista microstrutturale e morfologico e prove al microscopio riscaldante, per studiarne il comportamento alle alte temperature. I risultati ottenuti sono stati messi a confronto con quelli dei materiali ceramici tradizionali, per avere indicazioni sulla potenzialità dei prodotti a base geopolimerica come alternativa alla produzione di piastrelle ceramiche.

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L’estradiol (E2) est une hormone femelle qui joue un rôle essentiel, à la fois dans la régulation et dans la détermination de certaines conditions physiologiques in vivo, telle que la différenciation et la prolifération cellulaire. Lorsque l’E2 est donné en supplément, par exemple dans le cas de thérapie hormonale, deux effets sont observés, un effet génomique et un effet non-génomique, de par son interaction avec les récepteurs à œstrogène du noyau ou de la membrane cellulaire, respectivement. L’effet non-génomique est plus difficile à étudier biologiquement parce que l’effet se produit sur une échelle de temps extrêmement courte et à cause de la nature hydrophobe de l’E2 qui réduit sa biodisponibilité et donc son accessibilité aux cellules cibles. C’est pourquoi il est nécessaire de développer des systèmes d’administration de l’E2 qui permettent de n’étudier que l’effet non-génomique de l’œstrogène. Une des stratégies employée consiste à greffer l’E2 à des macromolécules hydrophiles, comme de l’albumine de sérum bovin (BSA) ou des dendrimères de type poly(amido)amine, permettant de maintenir l’interaction de l’E2 avec les récepteurs d’œstrogène de la membrane cellulaire et d’éviter la pénétration de l’E2 dans le noyau des cellules. Toutefois, ces systèmes macromolécules-E2 sont critiquables car ils sont peu stables et l’E2 peut se retrouver sous forme libre, ce qui affecte sa localisation cellulaire. L’objectif de cette thèse est donc de développer de nouvelles plateformes fonctionnalisées avec de l’E2 en utilisant les approches de synthèses ascendantes et descendantes. Le but de ces plateformes est de permettre d’étudier le mécanisme de l’effet non-génomique de l’E2, ainsi que d’explorer des applications potentielles dans le domaine biomédical. L’approche ascendante est basée sur un ligand d’E2 activé, l’acide 17,α-éthinylestradiol-benzoïque, attaché de façon covalente à un polymère de chitosan avec des substitutions de phosphorylcholine (CH-PC-E2). L’estradiol est sous forme de pro-drogue attachée au polymère qui s’auto-assembler pour former un film. L’effet biologique de la composition chimique du film de chitosan-phosphorylcholine a été étudié sur des cellules endothéliales. Les films de compositions chimiques différentes ont préalablement été caractérisés de façon physicochimique. La topographie de la surface, la charge de surface, ainsi que la rhéologie des différents films contenant 15, 25, ou 40% molaires de phosphorylcholine, ont été étudiés par microscopie à force atomique (AFM), potentiel zêta, résonance plasmonique de surface et par microbalance à cristal de quartz avec dissipation (QCM-D). Les résultats de QCM-D ont montré que plus la part molaire en phosphorylcholine est grande moins il y a de fibrinogène qui s’adsorbe sur le film de CH-PC. Des cellules humaines de veine ombilicale (HUVECs) cultivées sur des films de CH-PC25 et de CH-PC40 forment des amas cellulaire appelés sphéroïdes au bout de 4 jours, alors que ce n’est pas le cas lorsque ces cellules sont cultivées sur des films de CH-PC15. L’attachement de l’estradiol au polymère a été caractérisé par plusieurs techniques, telles que la résonance magnétique nucléaire de proton (1H NMR), la spectroscopie infrarouge avec transformée de Fourier à réfraction totale atténuée (FTIR-ATR) et la spectroscopie UV-visible. La nature hydrogel des films (sa capacité à retenir l’eau) ainsi que l’interaction des films avec des récepteurs à E2, ont été étudiés par la QCM-D. Des études d’imagerie cellulaires utilisant du diacétate de diaminofluoresceine-FM ont révélé que les films hydrogels de CH-PC-E2 stimulent la production d’oxyde nitrique par les cellules endothéliales, qui joue un rôle protecteur pour le système cardiovasculaire. L’ensemble de ces études met en valeur les rôles différents et les applications potentielles qu’ont les films de type CH-PC-E2 et CH-PC dans le cadre de la médecine cardiovasculaire régénérative. L’approche descendante est basée sur l’attachement de façon covalente d’E2 sur des ilots d’or de 2 μm disposés en rangées et espacés par 12 μm sur un substrat en verre. Les ilots ont été préparés par photolithographie. La surface du verre a quant à elle été modifiée à l’aide d’un tripeptide cyclique, le cRGD, favorisant l’adhésion cellulaire. L’attachement d’E2 sur les surfaces d’or a été suivi et confirmé par les techniques de SPR et de QCM-D. Des études d’ELISA ont montré une augmentation significative du niveau de phosphorylation de la kinase ERK (marqueur important de l’effet non-génomique) après 1 heure d’exposition des cellules endothéliales aux motifs alternant l’E2 et le cRGD. Par contre lorsque des cellules cancéreuses sont déposées sur les surfaces présentant des motifs d’E2, ces cellules ne croissent pas, ce qui suggère que l’E2 n’exerce pas d’effet génomique. Les résultats de l’approche descendante montrent le potentiel des surfaces présentant des motifs d’E2 pour l’étude des effets non-génomiques de l’E2 dans un modèle in vitro.

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Thèse numérisée par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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L’estradiol (E2) est une hormone femelle qui joue un rôle essentiel, à la fois dans la régulation et dans la détermination de certaines conditions physiologiques in vivo, telle que la différenciation et la prolifération cellulaire. Lorsque l’E2 est donné en supplément, par exemple dans le cas de thérapie hormonale, deux effets sont observés, un effet génomique et un effet non-génomique, de par son interaction avec les récepteurs à œstrogène du noyau ou de la membrane cellulaire, respectivement. L’effet non-génomique est plus difficile à étudier biologiquement parce que l’effet se produit sur une échelle de temps extrêmement courte et à cause de la nature hydrophobe de l’E2 qui réduit sa biodisponibilité et donc son accessibilité aux cellules cibles. C’est pourquoi il est nécessaire de développer des systèmes d’administration de l’E2 qui permettent de n’étudier que l’effet non-génomique de l’œstrogène. Une des stratégies employée consiste à greffer l’E2 à des macromolécules hydrophiles, comme de l’albumine de sérum bovin (BSA) ou des dendrimères de type poly(amido)amine, permettant de maintenir l’interaction de l’E2 avec les récepteurs d’œstrogène de la membrane cellulaire et d’éviter la pénétration de l’E2 dans le noyau des cellules. Toutefois, ces systèmes macromolécules-E2 sont critiquables car ils sont peu stables et l’E2 peut se retrouver sous forme libre, ce qui affecte sa localisation cellulaire. L’objectif de cette thèse est donc de développer de nouvelles plateformes fonctionnalisées avec de l’E2 en utilisant les approches de synthèses ascendantes et descendantes. Le but de ces plateformes est de permettre d’étudier le mécanisme de l’effet non-génomique de l’E2, ainsi que d’explorer des applications potentielles dans le domaine biomédical. L’approche ascendante est basée sur un ligand d’E2 activé, l’acide 17,α-éthinylestradiol-benzoïque, attaché de façon covalente à un polymère de chitosan avec des substitutions de phosphorylcholine (CH-PC-E2). L’estradiol est sous forme de pro-drogue attachée au polymère qui s’auto-assembler pour former un film. L’effet biologique de la composition chimique du film de chitosan-phosphorylcholine a été étudié sur des cellules endothéliales. Les films de compositions chimiques différentes ont préalablement été caractérisés de façon physicochimique. La topographie de la surface, la charge de surface, ainsi que la rhéologie des différents films contenant 15, 25, ou 40% molaires de phosphorylcholine, ont été étudiés par microscopie à force atomique (AFM), potentiel zêta, résonance plasmonique de surface et par microbalance à cristal de quartz avec dissipation (QCM-D). Les résultats de QCM-D ont montré que plus la part molaire en phosphorylcholine est grande moins il y a de fibrinogène qui s’adsorbe sur le film de CH-PC. Des cellules humaines de veine ombilicale (HUVECs) cultivées sur des films de CH-PC25 et de CH-PC40 forment des amas cellulaire appelés sphéroïdes au bout de 4 jours, alors que ce n’est pas le cas lorsque ces cellules sont cultivées sur des films de CH-PC15. L’attachement de l’estradiol au polymère a été caractérisé par plusieurs techniques, telles que la résonance magnétique nucléaire de proton (1H NMR), la spectroscopie infrarouge avec transformée de Fourier à réfraction totale atténuée (FTIR-ATR) et la spectroscopie UV-visible. La nature hydrogel des films (sa capacité à retenir l’eau) ainsi que l’interaction des films avec des récepteurs à E2, ont été étudiés par la QCM-D. Des études d’imagerie cellulaires utilisant du diacétate de diaminofluoresceine-FM ont révélé que les films hydrogels de CH-PC-E2 stimulent la production d’oxyde nitrique par les cellules endothéliales, qui joue un rôle protecteur pour le système cardiovasculaire. L’ensemble de ces études met en valeur les rôles différents et les applications potentielles qu’ont les films de type CH-PC-E2 et CH-PC dans le cadre de la médecine cardiovasculaire régénérative. L’approche descendante est basée sur l’attachement de façon covalente d’E2 sur des ilots d’or de 2 μm disposés en rangées et espacés par 12 μm sur un substrat en verre. Les ilots ont été préparés par photolithographie. La surface du verre a quant à elle été modifiée à l’aide d’un tripeptide cyclique, le cRGD, favorisant l’adhésion cellulaire. L’attachement d’E2 sur les surfaces d’or a été suivi et confirmé par les techniques de SPR et de QCM-D. Des études d’ELISA ont montré une augmentation significative du niveau de phosphorylation de la kinase ERK (marqueur important de l’effet non-génomique) après 1 heure d’exposition des cellules endothéliales aux motifs alternant l’E2 et le cRGD. Par contre lorsque des cellules cancéreuses sont déposées sur les surfaces présentant des motifs d’E2, ces cellules ne croissent pas, ce qui suggère que l’E2 n’exerce pas d’effet génomique. Les résultats de l’approche descendante montrent le potentiel des surfaces présentant des motifs d’E2 pour l’étude des effets non-génomiques de l’E2 dans un modèle in vitro.

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Les polygones à coin de glace sont très répandus dans la zone du pergélisol continu. Lorsque le ruissellement d’eau de fonte nivale s’infiltre de façon concentrée dans une cavité, il peut initier le processus de thermo-érosion du pergélisol (notamment des coins de glace) pouvant mener à la formation de ravins. Dans la vallée de Qalikturvik sur l’Ile Bylot (NU, Canada), le développement de ravins de thermo-érosion dans un milieu de polygones à coins de glace entraîne comme impact : i. la réorganisation des réseaux de drainage impliquant un assèchement des milieux humides en marge des chenaux d’érosion, ii. des variations dans le régime thermique et de l’humidité de proche-surface et iii. la prise en charge et le déplacement des sédiments vers l’extérieur du bassin-versant. L’objectif de cette thèse vise à approfondir les connaissances géomorphologiques propres au ravinement par thermo-érosion, d’examiner, caractériser et quantifier les impacts du ravinement (tel que sus-mentionné en i. ii. iii.) et le rôle de celui-ci dans une optique d’évolution du paysage périglaciaire à l’échelle temporelle de l’année à la décennie. Les ravins sont dynamiques : un ravin en particulier déclenché en 1999 et étudié depuis s’érodait à une vitesse de 38 à 50 m/a durant sa première décennie d’existence, pour atteindre une longueur totale de ~750 m et une surface érodée de ~25 000 m² en 2009. Des puits sont localisés près des zones de ravinement actives ; des levées alluviale, mares et polygones effondrés dans les zones stabilisées post-perturbation. Sur la terrasse de polygones recouvrant le plancher de la vallée au site à l’étude, 35 ravins furent identifiés et 1401 polygones furent perturbés avec 200 000 m³ de sols transportés. Une amélioration du drainage, une dégradation de la capacité de rétention de l’humidité, une transition d’un écoulement de ruissellement vers un écoulement canalisé caractérise les aires ravinées et leurs environs. Les polygones intacts sont homogènes d’un à l’autre et dans leurs centres ; les polygones perturbés ont une réponse hétérogène (flore, humidité et régime thermique). Les milieux érodés hétérogènes succèdent aux milieux homogènes et deviennent le nouvel état d’équilibre pour plusieurs décennies.

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Thèse numérisée par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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Mémoire numérisé par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.