993 resultados para Vincke, Georg Ernst Friedrich vonVincke, Georg Ernst Friedrich vonGeorg Ernst FriedrichVinckevon
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Pós-graduação em Filosofia - FFC
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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)
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This thesis attempts to comprehend, through the work of Georg Simmel and Ulrich Beck, two distinct phases of modernity through the concept of individualism and individualization processes arising therefrom. A substantial formulation of the concept that remits to the conceptual transposition unscathed from one reality to another is not the main focus of this study. This is about, in advance, two distinct realities, conceptual and comparative examination that aims to weave the points pertaining to echoes - internalized and modified according to the complexity of the historical premises - the thought of Simmel in theoretical perspective of Beck. The forms can be characterized as individualism according to the socio-philosophical mores of Simmel in the intention to understand the forms assumed by individualism in modern history, as well as the derived individualization processes sustained by individual law. Therewith, is intended to transpose the optical analysis of contemporary Ulrich Beck and reap, through conceptual analysis, the points that refer to the influence and continuity of thought of Georg Simmel
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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)
Friedrich-Alexander Universität Erlangen-Nürnberg, ¿cuáles son sus causas de abandono universitario?
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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
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Der ungarische Mathematiker Friedrich Riesz studierte und forschte in den mathematischen Milieus von Budapest, Göttingen und Paris. Die vorliegende Arbeit möchte zeigen, daß die Beiträge von Riesz zur Herausbildung eines abstrakten Raumbegriffs durch eine Verknüpfung von Entwicklungen aus allen drei mathematischen Kulturen ermöglicht wurden, in denen er sich bewegt hat. Die Arbeit konzentriert sich dabei auf den von Riesz 1906 veröffentlichten Text „Die Genesis des Raumbegriffs". Sowohl für seine Fragestellungen als auch für seinen methodischen Zugang fand Riesz vor allem in Frankreich und Göttingen Anregungen: Henri Poincarés Beiträge zur Raumdiskussion, Maurice Fréchets Ansätze einer abstrakten Punktmengenlehre, David Hilberts Charakterisierung der Stetigkeit des geometrischen Raumes. Diese Impulse aufgreifend suchte Riesz ein Konzept zu schaffen, das die Forderungen von Poincaré, Hilbert und Fréchet gleichermaßen erfüllte. So schlug Riesz einen allgemeinen Begriff des mathematischen Kontinuums vor, dem sich Fréchets Konzept der L-Klasse, Hilberts Mannigfaltigkeitsbegriff und Poincarés erfahrungsgemäße Vorstellung der Stetigkeit des ‚wirklichen' Raumes unterordnen ließen. Für die Durchführung seines Projekts wandte Riesz mengentheoretische und axiomatische Methoden an, die er der Analysis in Frankreich und der Geometrie bei Hilbert entnommen hatte. Riesz' aufnahmebereite Haltung spielte dabei eine zentrale Rolle. Diese Haltung kann wiederum als ein Element der ungarischen mathematischen Kultur gedeutet werden, welche sich damals ihrerseits stark an den Entwicklungen in Frankreich und Deutschland orientierte. Darüber hinaus enthält Riesz’ Arbeit Ansätze einer konstruktiven Mengenlehre, die auf René Baire zurückzuführen sind. Aus diesen unerwarteten Ergebnissen ergibt sich die Aufgabe, den Bezug von Riesz’ und Baires Ideen zur späteren intuitionistischen Mengenlehre von L.E.J. Brouwer und Hermann Weyl weiter zu erforschen.
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Große Dramendichtung kann nur in historischen Umbruchszeiten wie der Antike, der Reformationszeit und im 19. Jahrhundert, also zu Lebzeiten Friedrich Hebbels, entstehen. Das schreibt Hebbel im Vorwort zu seinem bürgerlichen Trauerspiel „Maria Magdalena“. Die großen Zeiten der Tragödien sind Zeiten umwälzender Veränderungen. Im langen 19. Jahrhundert, zwischen Revolution und Restauration, zwischen Reformen und Reaktion, zwischen Hoffnungen auf Demokratie, Nationalstaatlichkeit, zwischen Josephinismus und Ära Metternich, waren die Voraussetzungen für ein Jahrhundert der Tragödie gegeben. Zwei der bedeutendsten Dramatiker des 19. Jahrhunderts, Franz Grillparzer und Friedrich Hebbel, sind Thema der Dissertation. Dabei hat die Arbeit mit der Diskursivierung von Fremdheit und Fremde eine Neuperspektivierung ausgewählter Dramen geleistet, die so in der Forschung noch nicht existiert, wobei diese Perspektive in der Forschung bereits angelegt war. Die hier vorliegende Arbeit hat das „Phänomen der Fremde“, wie Günther Häntzschel es in einem Aufsatz nennt, in den Dramen „Judith“, „Gyges und sein Ring“ und „Die Nibelungen“ von Hebbel und in den Dramen „Das goldene Vließ“, „Die Jüdin von Toledo“ und „Libussa“ von Grillparzer untersucht. Die zentralen Begriffe „Fremde“ und „Fremdheit“ wurden dabei als literarische Topoi, um methodisch besser mit ihnen operieren zu können, in verschiedene Dimensionen der Fremdheit unterteilt: Dabei wurde neben der „Fremdheit der Kulturen“ und der „Fremdheit zwischen den Geschlechtern“ auch die Fremdheit zwischen dem „mythischen Rand der Welt“ und dem „Horizont der Vernunft“ untersucht. Ferner widmete sich ein Kapitel dem Thema Entfremdung und Selbstentfremdung, eine Dimension der Fremdheit, die ebenfalls für die Dramenanalyse relevant ist.
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La tesi di dottorato ha come oggetto il pensiero sociologico di Georg Simmel con particolare riferimento alla sua interpretazione nei diversi indirizzi di ricerca della sociologia relazionale contemporanea. In particolare, si propone una rilettura del contributo simmeliano alla luce del paradigma relazionale della sociologia di Pierpaolo Donati. Il lavoro di ricerca è stato condotto secondo una rigorosa ricognizione testuale dell’opus simmeliano e della bibliografia critica internazionale sull'argomento in oggetto. A partire dalla nozione di relazione sociale, si dipana l’analisi della proposta sociologica simmeliana: il termine tedesco Wechselwirkung (azione reciproca) racchiude la complessa semantica con cui assume senso l’intera teoria sociologica simmeliana. Simmel è il primo "sociologo relazionale", come sostenuto da Donati, e in questa ricerca si cerca di mostrare le evidenze della validità di tale asserzione. Nella formulazione simmeliana si trovano importanti indizi teorici che permettono di rielaborare la relazione nei termini di una “forma sociale vitale”. Questo significa che la relazione sociale trova la sua ragion d’essere in quanto fenomeno umano che si determina a partire dalle nozioni di “spirito” (Geist) e “vita”(Leben). Nel primo capitolo si chiarisce la natura di questa relazione sociale in rapporto alle varie proposte sociologiche relazionali in campo internazionale. Nel secondo capitolo si analizza in maniera critica la (ri)formulazione simmeliana della relazione come scambio (nella forma simbolica del denaro) e le interpretazioni relazionali che si sono succedute a partire da questo cambio di rotta. Nel terzo capitolo vengono passate in rassegna le principali figure relazionali (la vita della metropoli, la moda, il conflitto, il povero, lo straniero) con le quali si confronta il sociologo berlinese. Nel quarto capitolo si propone di rileggere fenomeni sociali e culturali come forme relazionali in riferimento alla sfera dell’arte e della teologia (religione).
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Nel 1932 Ernst Robert Curtius pubblica il pamphlet politico culturale Deutscher Geist in Gefahr nel quale chiarisce il suo pensiero di fronte alla grave crisi in cui versa la Germania. Egli si schiera contro le posizioni di destra del suo tempo, delle quali critica apertamente la boria nazionalista, il rozzo antisemitismo e la creazione di un mito nazionale elaborato come strumento di manipolazione dell’opinione pubblica. Ritiene inoltre inaccettabili le posizioni rivoluzionarie, tanto di destra quanto di sinistra, che vogliono liberarsi della tradizione umanistica europea e disprezzano la Zivilisation francese; allo stesso modo rifiuta l’ideale di un germanesimo eroico avulso dalla storia europea e respinge infine tutte le forme di nichilismo che si risolvono in un atteggiamento di indifferenza nei confronti della realtà, dei valori e della storia. Curtius accetta il sistema democratico come unica soluzione e ritiene che le decisioni politiche debbano mirare al bene di tutti i ceti sociali indipendentemente dagli interessi di partiti e di singoli gruppi. Rifiuta qualunque forma, anche culturale, di supremazia della Germania, aspira a un’Europa cosmopolita, le cui nazioni siano valorizzate nelle loro caratteristiche specifiche, ed è convinto che per la costruzione della pace gli europei debbano vivere, studiare e lavorare insieme imparando gli uni le lingue degli altri. Per Curtius l’Umanesimo della tradizione classica e la letteratura del Medioevo sono parte integrante della vita di ogni europeo e fonte di energie spirituali per affrontare in modo creativo il presente e il futuro.