994 resultados para raggi X, rivelatore, fluenza, simulazione, spettro
Sistemi a microonde dedicati all'imaging della mammella: prototipi sperimentali e risultati clinici.
Resumo:
In questo lavoro si è voluto mostrare lo sviluppo di nuove tecniche per la diagnosi del tumore alla mammella, in particolare la tecnica di imaging a microonde. Fra le varie metodologie di imaging della mammella, la Microwave Imaging è particolarmente interessante in quanto sfrutta il contrasto nelle proprietà elettromagnetiche dei tessuti. Questa emergente tecnica offre numerosi vantaggi per le pazienti eliminando la compressione della mammella tipica delle mammografie a raggi-X, e l'uso di radiazioni ionizzanti e dannose per l'uomo. Per tali motivi, la ricerca in campo biomedico, dal 2000 in poi, si è interessata particolarmente all' uso delle onde elettromagnetiche nel range delle microonde per ottenere immagini diagnostiche. Il presente lavoro si propone di illustrare lo stato dell'arte attuale nel campo dell'imaging a microonde, descrivendo dettagliatamente i vari prototipi sviluppati in tutto il mondo, e infine esporre i risultati che i vari gruppi di ricerca hanno ottenuto. Anche se la tecnica, per le sue potenzialità, dovrebbe avere un largo uso clinico, solo pochi dei sistemi realizzati sono stati testati su pazienti a scopo diagnostico.
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Nel corso di questa Tesi sono state studiate reazioni di cluster carburo-carbonilici Fe/Cu con composti azotati di varia natura: complessi fosforescenti di metalli di transizione, 1-10 fenantrolina, L-amminoacidi e Chinolina. In particolare la reazione tra Fe4C(CO)12Cu2(CH3CN)2 e [Ru(tpy)(bpy)(N4C-C6H4-CN)]+ ha portato alla sintesi dell’addotto Fe4C(CO)12{Cu2Cl[Ru(tpy)(bpy)(N4C-C6H4-CN)]}, sul quale sono state condotte misure di luminescenza (emissione, eccitazione e misura dei tempi di vita degli stati eccitati). Per confronto degli spettri registrati su campioni di adotto in soluzione con quelli del complesso cationico di Ru(II), si è ipotizzato che l’addotto sintetizzato in soluzione dia origine ad un sistema in equilibrio tra le specie legate e dissociate. Le reazioni di Fe4C(CO)12Cu2(CH3CN)2 e [NEt4][Fe5C(CO)14Cu(CH3CN)] con 1-10 fenantrolina hanno permesso di isolare le nuove specie [Fe4C(CO)12(Cuphen)]–, [Fe4C(CO)12(Cuphen)] e [Fe5C(CO)14(Cuphen)]–, sottoforma dei loro sali [Cu(phen)2][Fe4C(CO)12(Cuphen)], [NEt4] [Fe4C(CO)12(Cuphen)], [Fe4C(CO)12(Cuphen)], [NEt4][Fe5C(CO)14(Cuphen)]• CH2Cl2 e [NEt4][Fe5C(CO)14(Cuphen)]•THF. In tali cluster si nota come la natura bidentata di phen e il suo ingombro sterico abbiano causato notevoli riarrangiamenti strutturali rispetto alle specie iniziali contenenti acetonitrile. La sintesi di Fe4C(CO)12(CuQ)2 e [NEt4][Fe5C(CO)14(CuQ)] è avvenuta inaspettatamente a partire dalle reazioni condotte tra Fe4C(CO)12Cu2(CH3CN)2 e [NEt4][Fe5C(CO)14Cu(CH3CN)] con le molecole L-prolina, L-metionina e guanina, a causa della chinolina contenuta come impurezza nei reagenti di partenza. L’esito di questa reazione ha comunque mostrato l’elevata affinità dei cluster per il legante chinolina, sebbene presente in ambiente di reazione in misura sensibilmente inferiore rispetto agli altri reagenti. Tutte le nuove specie sintetizzate sono stati caratterizzate mediante spettroscopia IR e le strutture molecolari sono state determinate mediante diffrazione di raggi X su cristallo singolo.
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Uno dei settori che più si stanno sviluppando nell'ambito della ricerca applicata è senza dubbio quello dell'elettronica organica. Nello specifico lo studio è sospinto dagli indubbi vantaggi che questi dispositivi porterebbero se venissero prodotti su larga scala: basso costo, semplicità realizzativa, leggerezza, flessibilità ed estensione. È da sottolineare che dispositivi basati su materiali organici sono già stati realizzati: si parla di OLED (Organic Light Emitting Diode) LED realizzati sfruttando le proprietà di elettroluminescenza di alcuni materiali organici, OFET (Organig Field Effect Transistor) transistor costruiti con semiconduttori organici, financo celle solari che sfruttano le buone proprietà ottiche di questi composti. Oggetto di analisi di questa tesi è lo studio delle proprietà di trasporto di alcuni cristalli organici, al fine di estrapolarne la mobilità intrinseca e verificare come essa cambi se sottoposti a radiazione x. I due cristalli su cui si è focalizzata questa trattazione sono il 1,5-Dinitronaphtalene e il 2,4-Dinitronaphtol; su di essi è stata eseguita una caratterizzazione ottica e una elettrica, in seguito interpretate con il modello SCLC (Space Charge Limited Current). I risultati ottenuti mostrano che c'è una differenza apprezzabile nella mobilità nei due casi con e senza irraggiamento con raggi x.
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Lo scopo di questa tesi è quello di presentare alcuni degli algoritmi di ricostruzione utilizzati nei sistemi a microonde per l'imaging della mammella. Sebbene, la mammografia a raggi X sia la tecnica che a oggi presenta le migliori caratteristiche per la rilevazione di lesioni tumorali ai tessuti del seno, la compressione necessaria nel processo di imaging e la probabilità non trascurabile di falsi negativi hanno portato alla ricerca e allo sviluppo di metodi alternativi di imaging alla mammella. Tra questi, l'imaging attraverso microonde sfrutta la differenza delle proprietà dielettriche tra tessuto sano e tumorale. Nel seguente elaborato verrà descritto come è ottenuta l'immagine dell'interno della mammella attraverso gli algoritmi di ricostruzione utilizzati da vari prototipi di sistemi di imaging. Successivamente verranno riportati degli esempi che mostrano i risultati ottenuti attraverso simulazioni o, quando possibile, in ambiente clinico.
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Questo lavoro riguarda la sintesi e caratterizzazione di nanoparticelle basate sul magnesio per l'immagazzinamento di idrogeno. Le nanoparticelle sono state cresciute mediante Inert Gas Condensation, una tecnica aerosol in cui il materiale viene sublimato e diretto verso i substrati tramite un flusso di gas inerte, e caratterizzate attraverso microscopia elettronica e diffrazione di raggi X. Queste operazioni sono state eseguite presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Bologna. Sono stati sintetizzati due tipi di particelle: nel primo il magnesio viene deposto direttamente sul substrato, nel secondo esso incontra un flusso di ossigeno prima di depositarsi sulla superficie. In questo modo si formano delle particelle con struttura core-shell in cui la parte interna è formata da magnesio e quella esterna dal suo ossido. La presenza di una shell consistente dovrebbe permettere, secondo il modello di deformazioni elastiche, di diminuire il valore assoluto dell'entropia di formazione dell'idruro di magnesio, condizione necessaria affinché il desorbimento di idrogeno possa avvenire in maniera più agevole rispetto a quanto non accada col materiale bulk. Tutti i campioni sono stati ricoperti di palladio, il quale favorisce la dissociazione della molecola di idrogeno. La capacità di assorbimento dell'idrogeno da parte dei campioni è stata studiata mediante idrogenografia, una tecnica ottica recentemente sviluppata in cui la quantità di gas assorbita dal materiale è legata alla variazione di trasmittanza ottica dello stesso. Le misure sono state eseguite presso l'Università Tecnica di Delft. I risultati ottenuti evidenziano che le nanoparticelle di solo magnesio mostrano dei chiari plateau di pressione corrispondenti all'assorbimento di idrogeno, tramite cui sono stati stimati i valori di entalpia di formazione. Al contrario, i campioni con struttura core-shell, la cui crescita rappresenta di per sé un risultato interessante, non presentano tale comportamento.
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Questo lavoro di Tesi è diviso essenzialmente in due parti. La prima parte consiste nello studio delle reazioni di decomposizione termica dei cluster di Chini [Pt3n(CO)6n]2– (n = 3-6) sia come sali sodici che come sali di tetra alchilammonio. Al variare delle condizioni di reazione si ottengono vari prodotti, a volte come specie singole, ma più spesso come miscele. Tra questi sono stati individuati i prodotti già noti [Pt19(CO)22]4-, [Pt24(CO)30]2–, [Pt26(CO)32]2-. Inoltre sono stati isolati e caratterizzati strutturalmente i nuovi cluster [Pt33(CO)38]2- e [Pt44(CO)45]2-. Nella seconda parte del lavoro di Tesi è stata studiata l'ossidazione di [Pt19(CO)22]4- con l'acido HBF4•(OCH2CH3)2. Anche questa reazione porta alla formazione di vari prodotti a seconda della quantità di acido impiegata e del tempo di reazione. Sono state individuate al momento le specie [Pt19(CO)22]3-, [Pt40(CO)40]6-, [Pt36(CO)44]2- e [Pt38(CO)44]2-. Tutte queste specie, tranne la prima, sono state caratterizzate strutturalmente. Le nuove specie [Pt33(CO)38]2- e [Pt36(CO)44]2- mostrano delle strutture ccp difettive riconducibili a quella di [Pt38(CO)44]2-. Il cluster [Pt44(CO)45]2- mostra invece una struttura compatta complessa ABCBA, che può essere vista come due frammenti ccp geminati tramite un piano di riflessione. Il cluster [Pt40(CO)40]6- rappresenta un raro caso (unico per i cluster di platino) di cluster con elevata nuclearità di struttura bcc. La struttura dei nanocluster molecolari ottenuti è stata determinata tramite cristallografia a raggi X su cristallo singolo e le proprietà redox di alcuni di questi cluster sono state investigate tramite voltammetria ciclica. Il profilo della voltammetria ciclica del [Pt33(CO)38]2– mostra una serie di processi redox, due ossidazioni e quattro riduzioni, che indicano alcune proprietà di reversibilità chimica permettendo così di individuare una serie di cluster strettamente correlati del tipo [Pt33(CO)38]n– (n=0-6) come suggeriscono anche gli studi IR spettroelettrochimici. Inoltre sono stati condotti studi 13C{1H}NMR di [Pt19(CO)22]4- arricchito isotopicamente con 13CO per investigare il comportamento di questa specie durante il processo ossidativo.
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La tesi si pone l’obiettivo di approfondire i restauri operati nel corso del tempo sulla fortezza di San Leo a seguito del sisma del 1786 ed affronta il delicato e complesso tema delle finiture delle superfici architettoniche esterne. La ricerca si è sviluppata a partire dall’analisi storico-critica delle vicende relative alla fortezza e alla città di San Leo, approfondendo le caratteristiche dell’architettura militare di transizione di Francesco di Giorgio Martini dal momento della sua fondazione nel Montefeltro, al fine di ricostruire la possibile sequenza delle fasi costruttive, anche attraverso la comparazione con altri esempi di fortificazioni sul territorio. L’analisi comparata delle fonti dirette e indirette, delle tracce murarie attraverso un accurato rilievo geometrico del complesso monumentale ottenuto con l’ausilio di molteplici tecniche di misura (topografiche, dirette, fotogrammetriche) opportunamente integrate in un unico sistema di riferimento, e il rilievo critico con tavole tematiche sulle superfici architettoniche, ha permesso di osservare sotto una nuova luce il singolare progetto di restauro elaborato da Giuseppe Valadier per la fortezza di San Leo. Esso rappresenta un’anticipazione della disciplina, maturata nell’ambiente colto romano dell’epoca, e fondata sulla presa di coscienza dei valori del manufatto architettonico. Si è provveduto a catalogare e descrivere più di 150 fonti documentarie, in gran parte inedite, collocate in un arco temporale che va dal Cinquecento, al periodo Moderno e Contemporaneo con le perizie del Genio Civile e della Soprintendenza. Sono state inoltre ordinate cronologicamente e descritte almeno 50 rappresentazioni iconografiche e cartografiche storiche. L’approccio analitico multidisciplinare, e la raccolta di informazioni storico-documentali, è stato completato da un’ultima fase di analisi, utile a determinare la stratificazione e la cronologia degli interventi. Sono state condotte indagini fisiche e chimiche su campioni, prelevati in loco durante il mese di novembre del 2008 sotto l’egida della Soprintendenza, al fine di determinare la formulazione e la microstuttura dei materiali, con particolare attenzione ai materiali lapidei, agli intonaci e alle coloriture, limitando le indagini a quelle strettamente necessarie. Le indagini strumentali sono state effettuate presso il Laboratorio di Scienza e Tecnologia dei Materiali (LASTM) del Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali (DICAM) dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Scuola di Ingegneria e Architettura, seguendo procedure sviluppate dai gruppi di lavoro presso la struttura. Al fine di determinare la composizione chimica dei materiali sono state eseguite calcimetrie e diffrattometrie a raggi x, mentre per quanto riguarda la struttura e la microstruttura sono state eseguite delle analisi granulometriche. L’interpretazione dei dati, ottenuti dalla lettura organica delle fonti, ha permesso di inquadrare i differenti trattamenti superficiali esterni in relazione all’epoca di realizzazione.
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Il presente lavoro è stato svolto presso il Servizio di Fisica Sanitaria dell’Azienda USL della Romagna, Presidio Ospedaliero di Ravenna e consiste nella validazione del dato dosimetrico visualizzato su due apparecchiature per mammografia digitale e nel confronto tra qualità immagine di diverse curve di acquisizione in funzione della dose e della post-elaborazione. Presupposto per l’acquisizione delle immagini è stata la validazione del dato dosimetrico visualizzato sui mammografi, tramite misura diretta della dose in ingresso con strumentazione idonea, secondo protocolli standard e linee guida europee. A seguire, sono state effettuate prove di acquisizione delle immagini radiografiche su due diversi fantocci, contenenti inserti a diverso contrasto e risoluzione, ottenute in corrispondenza di tre curve dosimetriche e in funzione dei due livelli di post-elaborazione delle immagini grezze. Una volta verificati i vari passaggi si è proceduto con l’analisi qualitativa e quantitativa sulle immagini prodotte: la prima valutazione è stata eseguita su monitor di refertazione mammografica, mentre la seconda è stata effettuata calcolando il contrasto in relazione alla dose ghiandolare media. In particolare è stato studiato l’andamento del contrasto cambiando le modalità del software Premium View e lo spessore interposto tra la sorgente di raggi X ed il fantoccio, in modo da simulare mammelle con grandezze differenti.
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Scopo di questo lavoro di tesi è la caratterizzazione della risposta di una partita di dosimetri a termoluminescenza LiF:Mg,Cu,P (GR200A) a fasci X di energie e intensità variabili. In questo elaborato è presentata la teoria che sta alla base degli strumenti e delle procedure utilizzate, cioè nozioni basilari di radiologia e dosimetria assieme ad una breve trattazione riguardante i dosimetri a termoluminescenza; sono descritti gli strumenti e le attrezzature impiegate, quali il sistema di acquisizione To.Le.Do , il tubo a raggi X presente all'interno del Centro di Coordinamento delle Attività di Fisica Medica e la camera di confronto utilizzata per la taratura. Tramite l'analisi dei dati raccolti sono stati definiti, all'interno della partita, gruppi differenti di dosimetri con risposte uniformi entro livelli di confidenza differenti. Questi gruppi di dosimetri saranno utilizzati dall'U. O. di Fisica Sanitaria dell'Università di Bologna per scopi diversi, in particolare per valutazioni di dosi personali e valutazioni di dosi ambientali in locali sottoposti a controlli di radioprotezione.
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Questo progetto ha confrontato gli effetti indotti da diversi tipi di radiazioni, diversa intensità delle dosi, diverso rateo di dose su sistemi cellulari differenti. In particolare sono stati seguiti due studi differenti, finalizzati all’indagine degli effetti e dei meccanismi indotti da trattamenti radioterapici su cellule in coltura. Nel primo studio -EXCALIBUR- sono stati investigati i meccanismi di induzione e trasmissione del danno a basse dosi di radiazioni, in funzione della qualità della radiazione (raggi gamma e protoni) e della dose. Cellule di glioblastoma umano (T98G) sono state irraggiate con raggi gamma e protoni a due diverse dosi (0,25 Gy e 2 Gy); in questo studio è stata valutata e analizzata la variazione di espressione genica rilevata utilizzando la tecnologia dei microarray. Per mezzo dell’analisi statistica, con due software diversi, si è osservato come nelle cellule irraggiate si attivino i geni legati alla senescenza cellulare; questo risultato è significativo, visto che potrebbe rappresentare una prospettiva terapeutica interessante per molte neoplasie. Il secondo studio –Plasma Focus- ha lo scopo di ampliare le applicazioni nel settore medicale di una sorgente radiante che produce raggi X ad altissimo rateo di dose (plasma focus). In questo studio, l’attenzione è stata posta sulla preparazione dei campioni biologici per l’irraggiamento. Cellule di adenocarcinoma mammario (MCF7) sono state coltivate in laboratorio e posizionate all’interno di appositi portacampioni pronte per essere irraggiate con raggi X ad alto e a basso rateo di dose. Per mezzo della microscopia ottica e della citometria a flusso in fluorescenza, si è osservato come un rateo di dose elevato provochi danni cellulari superiori. L’analisi quantitativa ha mostrato che, nelle cellule trattate con il plasma focus, il 18% risulti danneggiato rispetto al 7% delle cellule di controllo; con i raggi X convenzionali risulta danneggiato l'8% di cellule, rispetto al 3% delle cellule di controllo.
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Lo studio riguarda la caratterizzazione geochimica dei sedimenti del sito Caretti, situato a est del comune di Ferrara, interessato da un forte caso di contaminazione dovuto alla presenza di due discariche municipali non controllate risalenti agli anni '60-'70. L'obiettivo del lavoro è quello di valutare la geochimica dei sedimenti e delle acque prelevate nel sito al fine di individuare eventuali relazioni tra il chimismo delle due matrici. Inoltre, i dati dell' analisi dei sedimenti sono stati confrontati con quelli di letteratura per delinearne aspetti di provenienza. I dati geochimici dei sedimenti sono stati ottenuti mediante fluorescenza a raggi X (XRF) e sono stati elaborati graficamente e statisticamente, mediante software di analisi statistica (GCDkit). La composizione geochimica delle acque è stata ottenuta mediante tecniche di cromatografia ionica e spettroscopia di assorbimento atomico. La geochimica dei sedimenti ha evidenziato che la composizione chimica mostra associazioni di elementi legate a una componente tessiturale del sedimento. In particolare si rilevano concentrazioni elevate di Fe2O3, Al2O3, TiO2, Cr, Ni, e V in sedimenti a granulometria fine, a differenza delle concentrazioni di SiO2 e Na2O elevate in sedimenti sabbiosi. La distribuzione statistica degli elementi nei sedimenti e nelle acque ha permesso di effettuare una valutazione delle caratteristiche geochimiche dei principali corpi idrogeologici. La caratterizzazione geochimica ha fornito, inoltre, indicazioni sull'origine dei sedimenti. Cromo e Nichel, tra gli elementi in traccia, sono particolarmente efficaci nella valutazione della provenienza permettendo, all'interno del sito Caretti, una distinzione tra popolazioni di provenienza appenninica (bassi valori Cr-Ni) e padana (alti valori Cr-Ni).
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La diga di Ridracoli costituisce la principale riserva di acqua potabile di tutta la Romagna. E’ ubicata nell’alto Appennino romagnolo, nella vallata del fiume Bidente, dal quale riceve le acque sia direttamente sia indirettamente, per mezzo di una galleria di gronda. Lo studio si è concentrato sullo studio dei sedimenti, sia di diga sia dei bacini limitrofi, per effettuare una caratterizzazione geochimica dell’area e un confronto tra i terreni fluviali e di lago. I sedimenti rappresentano un fattore importante perché permettono di determinare le dinamiche che coinvolgono un corso d’acqua, la composizione e i possibili contaminanti presenti. Il lavoro svolto si divide in tre fasi: campionamento, analisi dei campioni e interpretazione dei risultati. Sono stati campionati punti in corrispondenza degli affluenti di diga, punti interni al lago e punti lungo il bacino del Bidente. Le analisi svolte consistono in analisi di spettrometria di fluorescenza a raggi X, analisi all’IPC-MS con pretrattamento in acqua regia, analisi elementari al CHN, analisi granulometriche con sedigrafo e determinazione della LOI. Attraverso analisi statistiche e di correlazione si è osservato il comportamento dei metalli nei confronti dei principali componenti dei sedimenti, della granulometria e del contenuto di materia organica. Sono stati calcolati valori di fondo per i metalli potenzialmente tossici attraverso differenti metodi e confrontati con alcune soglie normative valutando come non vi siano superamenti, a parte per Cr e Ni e Cd, imputabili però semplicemente a caratteristiche geologiche. Si sono costruite infine mappe di concentrazione per evidenziare la distribuzione dei singoli elementi. Si è osservato come i campioni di lago abbiano un andamento corrispondente ai campioni delle zone limitrofe senza presentare alcuna anomalia sia pere con concentrazioni localmente più elevate per la prevalenza di materiale fine. I dati non evidenziano particolari criticità.
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La mole di reperti e manufatti definiti, al momento, dalla legge come “bene culturale” è immensa e in continua espansione. La definizione di bene culturale copre un'infinità di oggetti, di variabili datazioni, materiali e dimensioni ed è ovvio immaginare che la quantità di manufatti da conservare e restaurare andrà, col tempo, ampliandosi essendo logico supporre che, con l'evolversi del genere umano, gli oggetti attualmente di uso e consumo andranno ad aggiungersi a quanto già viene conservato e tutelato diventando anch'essi reperti storici. La necessità di conoscere quanto più possibile del bene e di massimizzarne la durata mantenendo al contempo la sua integrità e una sua accessibilità al pubblico ha portato alla ricerca di soluzioni sempre più efficaci per adempiere allo scopo. Il fortunato evolversi della tecnologia ha ben risposto a questa richiesta permettendo l'utilizzo di una grande quantità di strumenti per far fronte alle più varie necessità del restauratore, dello studioso e del conservatore che cercano risposte sull'oggetto in esame volendo al contempo incidere il meno possibile sul bene stesso. Al momento di questa trattazione ci troviamo di fronte ad un'enorme quantità di dati ottenibili dalle più svariate forme di indagine. Ciò che tuttavia accomuna molti degli strumenti di indagine non distruttiva utilizzati da chi lavora nel campo dello studio, della conservazione e del restauro è il basarsi sull'impiego delle onde elettromagnetiche nelle diverse bande spettrali. Questa trattazione ha quindi lo scopo di fare il punto su quali tipologie, con quali metodi e con quali risultati le onde elettromagnetiche rispondono alle esigenze della conservazione e dello studio dei beni culturali.
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L'utilizzo dell'idrogeno come vettore energetico è uno dei temi, riguardanti la sostenibilità energetica, di maggior rilievo degli ultimi anni. Tuttavia ad oggi è ancora in corso la ricerca di un sistema che ne permetta un immagazzinamento efficiente. Il MgH2 costituisce un valido candidato per la produzione di sistemi per lo stoccaggio di idrogeno allo stato solido. In questa tesi, per migliorare le proprietà cinetiche e termodinamiche di cui questo sistema, sono stati sintetizzati dei campioni nanostrutturati composti da Mg-Ti attraverso la tecnica Inert Gas Condensation. I campioni così ottenuti sono stati analizzati dal punto di vista morfologico e composizionale, mediante la microscopia elettronica a scansione, la microanalisi e la diffrazione di raggi X. Tali analisi hanno mostrato che le dimensioni delle nanoparticelle sono comprese tra i 10-30 nm e che la tecnica IGC permette una distribuzione uniforme del titanio all'interno della matrice Mg. Le misure di caratterizzazione per l'assorbimento reversibile di idrogeno sono state effettuate attraverso il metodo volumetrico, Sievert. I campioni sono stati analizzati a varie temperature (473K-573K). Cineticamente la presenza di titanio ha provocato un aumento della velocità delle cinetiche sia per i processi di desorbimento che per quelli di assorbimento ed ha contribuito ad una diminuzione consistente delle energie di attivazione di entrambi i processi rispetto a quelle note in letteratura per il composto MgH2. Dal punto di vista termodinamico, sia le pressioni di equilibrio ottenute dalle analisi PCT a diverse temperature, che l'entalpia e l'entropia di formazione risultano essere in accordo con i valori conosciuti per il sistema MgH2. All'interno di questo lavoro di tesi è inoltre presentata un'analisi preliminare di un campione analizzato con la tecnica Synchrotron Radiation-Powder X Ray Diffraction in situ, presso la facility MAX-lab (Svezia), all’interno dell’azione COST, MP1103 per la ricerca di sistemi per lo stoccaggio di idrogeno allo stato solido.
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In questo lavoro saranno inizialmente discusse le tecniche medianti le quali sono cresciuti i monocristalli organici confrontando le tecniche di crescita proprie dell’elettronica organica con quelle utilizzate comunemente in quella inorganica. Successivamente si introdurrà il problema del trasporto elettronico con particolare riguardo verso alcune molecole come il rubrene o il pentacene. Tramite il modello microscopico verranno studiate le interazioni elettrone-fonone, locale e non locale, in particolare nei cristalli di rubrene e DMQtT–F4TCNQ attraverso la teoria del piccolo polarone di Holstein. Dopo aver sottolineato i limiti di questa teoria ne verrà proposta una alternativa basata sui lavori di Troisi e supportata da evidenze sperimentali. Tra le tecniche utilizzate per l’analisi dei campioni verranno discusse le basi della teoria del funzionale di densità. L’attenzione sarà rivolta ai cristalli ordinati mentre una breve descrizione sarà riservata per quelli disordinati o amorfi. Nel capitolo 3 verrà trattato il ruolo degli eccitoni all’interno dei semiconduttori organici, mentre nell’ultimo capitolo si discuterà di diverse applicazioni dei semiconduttori organici come la costruzione di FET e di detector per raggi X. Infine verranno mostrati il setup sperimentale e il procedimento per l’estrazione di parametri di bulk in un semiconduttore organico tramite analisi SCLC.