1000 resultados para n-butano butadiene vacanze di ossigeno ossidi metallici deidrogenazione ossidativa ODH


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Mitochondria have a central role in energy supply in cells, ROS production and apoptosis and have been implicated in several human disease and mitochondrial dysfunctions in hypoxia have been related with disorders like Type II Diabetes, Alzheimer Disease, inflammation, cancer and ischemia/reperfusion in heart. When oxygen availability becomes limiting in cells, mitochondrial functions are modulated to allow biologic adaptation. Cells exposed to a reduced oxygen concentration readily respond by adaptive mechanisms to maintain the physiological ATP/ADP ratio, essential for their functions and survival. In the beginning, the AMP-activated protein kinase (AMPK) pathway is activated, but the responsiveness to prolonged hypoxia requires the stimulation of hypoxia-inducible factors (HIFs). In this work we report a study of the mitochondrial bioenergetics of primary cells exposed to a prolonged hypoxic period . To shine light on this issue we examined the bioenergetics of fibroblast mitochondria cultured in hypoxic atmospheres (1% O2) for 72 hours. Here we report on the mitochondrial organization in cells and on their contribution to the cellular energy state. Our results indicate that prolonged hypoxia cause a significant reduction of mitochondrial mass and of the quantity of the oxidative phosphorylation complexes. Hypoxia is also responsible to damage mitochondrial complexes as shown after normalization versus citrate synthase activity. HIF-1α plays a pivotal role in wound healing, and its expression in the multistage process of normal wound healing has been well characterized, it is necessary for cell motility, expression of angiogenic growth factor and recruitment of endothelial progenitor cells. We studied hypoxia in the pathological status of diabetes and complications of diabetes and we evaluated the combined effect of hyperglycemia and hypoxia on human dermal fibroblasts (HDFs) and human dermal micro-vascular endothelial cells (HDMECs) that were grown in high glucose, low glucose concentrations and mannitol as control for the osmotic challenge.

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Nel presente lavoro di tesi magistrale sono stati depositati e caratterizzati film sottili (circa 10 nm) di silicio amorfo idrogenato (a-Si:H), studiando in particolare leghe a basso contenuto di ossigeno e carbonio. Tali layer andranno ad essere implementati come strati di passivazione per wafer di Si monocristallino in celle solari ad eterogiunzione HIT (heterojunctions with intrinsic thin layer), con le quali recentemente è stato raggiunto il record di efficienza pari a 24.7% . La deposizione è avvenuta mediante PECVD (plasma enhanced chemical vapour deposition). Tecniche di spettroscopia ottica, come FT-IR (Fourier transform infrared spectroscopy) e SE (spettroscopic ellipsometry) sono state utilizzate per analizzare le configurazioni di legami eteronucleari (Si-H, Si-O, Si-C) e le proprietà strutturali dei film sottili: un nuovo metodo è stato implementato per calcolare i contenuti atomici di H, O e C da misure ottiche. In tal modo è stato possibile osservare come una bassa incorporazione (< 10%) di ossigeno e carbonio sia sufficiente ad aumentare la porosità ed il grado di disordine a lungo raggio del materiale: relativamente a quest’ultimo aspetto, è stata sviluppata una nuova tecnica per determinare dagli spettri ellisometrici l’energia di Urbach, che esprime la coda esponenziale interna al gap in semiconduttori amorfi e fornisce una stima degli stati elettronici in presenza di disordine reticolare. Nella seconda parte della tesi sono stati sviluppati esperimenti di annealing isocrono, in modo da studiare i processi di cristallizzazione e di effusione dell’idrogeno, correlandoli con la degradazione delle proprietà optoelettroniche. L’analisi dei differenti risultati ottenuti studiando queste particolari leghe (a-SiOx e a-SiCy) ha permesso di concludere che solo con una bassa percentuale di ossigeno o carbonio, i.e. < 3.5 %, è possibile migliorare la risposta termica dello specifico layer, ritardando i fenomeni di degradazione di circa 50°C.

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Lo studio della deidrogenazione catalitica di idrocarburi affronta uno dei problemi principali per l'applicazione delle fuel cells in aeromobili. La conversione di miscele di idrocarburi in H2 può essere eseguita in loco, evitando le difficoltà di stoccaggio dell'idrogeno: l'H2 prodotto è privo di CO e CO2 e può essere alimentato direttamente alle celle a combustibile per dare energia ai sistemi ausiliari, mentre i prodotti deidrogenati, mantenendo le loro originali caratteristiche possono essere riutilizzati come carburante. In questo un lavoro è stato effettuato uno studio approfondito sulla deidrogenazione parziale (PDH) di diverse miscele di idrocarburi e carburante avio JetA1 desolforato utilizzando Pt-Sn/Al2O3, con l'obiettivo di mettere in luce i principali parametri (condizioni di reazione e composizione di catalizzatore) coinvolti nel processo di deidrogenazione. Inoltre, la PDH di miscele idrocarburiche e di Jet-A1 ha evidenziato che il problema principale in questa reazione è la disattivazione del catalizzatore, a causa della formazione di residui carboniosi e dell’avvelenamento da zolfo. Il meccanismo di disattivazione da residui carboniosi è stato studiato a fondo, essendo uno dei principali fattori che influenzano la vita del catalizzatore e di conseguenza l'applicabilità processo. Alimentando molecole modello separatamente, è stato possibile discriminare le classi di composti che sono coinvolti principalmente nella produzione di H2 o nell’avvelenamento del catalizzatore. Una riduzione parziale della velocità di disattivazione è stata ottenuta modulando l'acidità del catalizzatore al fine di ottimizzare le condizioni di reazione. I catalizzatori Pt-Sn modificati hanno mostrato ottimi risultati in termini di attività, ma soffrono di una disattivazione rapida in presenza di zolfo. Così, la sfida finale di questa ricerca era sviluppare un sistema catalitico in grado di lavorare in condizioni reali con carburante ad alto tenore di zolfo, in questo campo sono stati studiati due nuove classi di materiali: Ni e Co fosfuri supportati su SiO2 e catalizzatori Pd-Pt/Al2O3.

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Questo lavoro riguarda la sintesi e caratterizzazione di nanoparticelle basate sul magnesio per l'immagazzinamento di idrogeno. Le nanoparticelle sono state cresciute mediante Inert Gas Condensation, una tecnica aerosol in cui il materiale viene sublimato e diretto verso i substrati tramite un flusso di gas inerte, e caratterizzate attraverso microscopia elettronica e diffrazione di raggi X. Queste operazioni sono state eseguite presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Bologna. Sono stati sintetizzati due tipi di particelle: nel primo il magnesio viene deposto direttamente sul substrato, nel secondo esso incontra un flusso di ossigeno prima di depositarsi sulla superficie. In questo modo si formano delle particelle con struttura core-shell in cui la parte interna è formata da magnesio e quella esterna dal suo ossido. La presenza di una shell consistente dovrebbe permettere, secondo il modello di deformazioni elastiche, di diminuire il valore assoluto dell'entropia di formazione dell'idruro di magnesio, condizione necessaria affinché il desorbimento di idrogeno possa avvenire in maniera più agevole rispetto a quanto non accada col materiale bulk. Tutti i campioni sono stati ricoperti di palladio, il quale favorisce la dissociazione della molecola di idrogeno. La capacità di assorbimento dell'idrogeno da parte dei campioni è stata studiata mediante idrogenografia, una tecnica ottica recentemente sviluppata in cui la quantità di gas assorbita dal materiale è legata alla variazione di trasmittanza ottica dello stesso. Le misure sono state eseguite presso l'Università Tecnica di Delft. I risultati ottenuti evidenziano che le nanoparticelle di solo magnesio mostrano dei chiari plateau di pressione corrispondenti all'assorbimento di idrogeno, tramite cui sono stati stimati i valori di entalpia di formazione. Al contrario, i campioni con struttura core-shell, la cui crescita rappresenta di per sé un risultato interessante, non presentano tale comportamento.

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Il rilascio di detriti d’usura metallici è una grave problematicità connessa ai sistemi protesici, e principalmente riguarda le protesi d’anca ad accoppiamento metallo su metallo in lega CoCr. La presenza di un livello di ioni Co nel siero che supera la soglia di tossicità è correlata a metallosi periprotesica eal fallimento del l’impianto. Recentemente è emersa un’altra casistica, presumibilmente connessa alla distribuzione e accumulo di questi ioni in tessuti di organi anche lontani dall’impianto, che si manifesta con una sintomatologia sistemica analoga a casi noti di avvelenamento da Cobalto. Nel contesto di questa nuova patologia sarebbe di grande interesse la possibilità di monitorare in-vivo la distribuzione del Cobalto rilasciato da protesi articolari, in organi o tessuti di pazienti che manifestano alti ivelli ionici di Co nel siero utilizzando metodiche non invasive come l’NMR. L’ipotesi sperimentale di applicabilità prende spunto dalle proprietà magnetiche che alcuni composti del Cobalto possono presentare nell’organismo. In questo lavoro sperimentale, nato dalla collaborazione tra il laboratorio NMR del DIFA dell’Università di Bologna e l’Istituto Ortopedico Rizzoli (IOR) di Bolgna, si presentano i risultati relativi allo studio di fattibilità condotto con diverse metodiche di rilassometria NMR su campioni biologici in presenza di Co. L’obiettivo riguarda la caratterizzazione delle proprietà di rilassamento con elettromagnete a temperatura ambiente e fisiologica, e la valutazione delle dinamiche molecolari dai profili NMRD ottenuti alle basse frequenze con metodica Fast Field Cycling, dei nuclei 1H di tali sistemi in presenza di Co.

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Il lavoro di tesi si basa sull'analisi del database pubblico ReconX, il quale costituisce lo stato dell'arte della ricostruzione in silico del metabolismo umano. Il modello che se ne può estrarre è stato impiegato per simulazioni di metabolismo cellulare in condizioni di ossigeno variabile, valutando l'impatto della carenza di ossigeno sulle reazioni e su i pathways metabolici. Le tecniche impiegate appartengono alla systems biology e sono di tipo bioinformatico e riguardano flux balance analysis e flux variability analysis. I risultati trovati vengono quindi confrontati con la letteratura di settore. E' stato inoltre possibile estrarre dei sotto network dal modello principale, analizzando la rete di connessioni esistente fra i metaboliti e fra le reazioni separatamente. Viene estratto e studiato anche il network di interazione fra pathways, su cui è introdotta una misura ad hoc per valutare la forza di connessione fra i vari processi. Su quest'ultimo network viene anche effettuata un'analisi di tipo stocastico, mostrando che tecniche di tipo markoviano possono essere applicate per indagini diverse da quelle più in uso basate sui flussi. Infine viene mostrata una possibile soluzione per visualizzare graficamente i network metabolici così costituiti.

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Il paesaggio attuale è un'eredità del passato.Solo chi conosce e capisce il passato è in grado di gestire il futuro.Lo studio dell'evoluzione naturale passata è utile quindi non solo per la comprensione dell'origine del nostro ambiente,ma anche per la pianificazione della gestione futura.Solo da pochi decenni si è per esempio riusciti a capire che gli estesi castagneti del Sud delle Alpi non hanno origine naturale,ma sono dovuti alla mano dell'uomo,che, al tempo della colonizzazione romana,ha iniziato a coltivare il castagno in maniera sistematica. Ma come è possibile ricostruire vicende della natura tanto remote? Sul fondo dei laghi e nelle torbiere i resti fossili di vegetali (p.es.polline e microcarboni) e di animali si sono accumulati nel corso dei millenni, rimanendo inalterati a causa della mancanza di ossigeno e quindi di organismi distruttori. Attraverso la trivellazione e l'analisi in laboratorio degli strati di questi sedimenti è possibile ricostruire il tipo di polline (e per analogia di vegetazione) e la frequenza di microcarboni (e quindi di incendi di bosco) che si sono succeduti nel corso dei millenni. E' quanto è stato fatto nel corso dell'ultimo decennio da parte dell'Università di Berna nei Laghi di Origlio e di Muzzano,ottenendo risultati interessanti e per certi versi anche inaspettati. A partire dal 5.500 a.C.la frequenza degli incendi è aumentata a causa dell'azione dell'uomo:i primi contadini delle nostre terre utilizzavano infatti il fuoco come mezzo per eliminare la foresta e guadagnare spazi aperti per l'agricoltura e l'allevamento del bestiame.Una pratica che nel corso dei millenni ha provocato anche una forte selezione della vegetazione arborea,distruggendo le foreste originali. La trasformazione del paesaggio forestale da parte dell'uomo non è quindi un fenomeno limitato agli ultimi 2.000 anni,ma ha le proprie radici nel Neolitico,oltre 7.000 anni orsono.Nel periodo del Ferro (800-15 a.C.),l'utilizzo del fuoco nella gestione del paesaggio diventa una pratica molto ricorrente, come dimostrano i picchi estremi della frequenza dei microcarboni.Bisognerà attendere l'introduzione del castagno durante l'Epoca Romana per assistere a un netto cambiamento di approccio:i castagneti diventano boschi di reddito da gestire senza l'aiuto del fuoco. A partire da questo momento,la frequenza degli incendi diminuisce drasticamente. Grazie a questi studi è stato quindi possibile capire l'origine della nostra attuale copertura boschiva e intuire quali sarebbero senza l'intervento dell'uomo le specie dominanti nei nostri boschi. Informazioni di estrema importanza per una futura gestione selvicolturale in sintonia con la natura.

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Le attuali linee guida stratificano il rischio dei pazienti con ipertensione arteriosa polmonare (IAP) in basso, intermedio e alto (rispettivamente con mortalità a 1 anno <5%, 5-10% e >10%). La maggior parte dei pazienti è però classificata nella categoria intermedia. Per stratificare ulteriormente questi pazienti, abbiamo valutato il ruolo prognostico dello stroke volume index (SVI) misurato al cateterismo cardiaco destro (CCDx) in 725 pazienti naïve da terapia con IAP idiopatica/ereditaria, associata a malattie del tessuto connettivo o cardiopatie congenite. I pazienti sono stati valutati al basale e 3-4 mesi dopo l'inizio della terapia (1° F-UP) con CCDx, livelli plasmatici di peptide natriuretico cerebrale (BNP), test dei 6 minuti (T6M) e classe funzionale OMS. Abbiamo applicato una tabella di rischio semplificata utilizzando i criteri: classe funzionale OMS, T6M, pressione atriale destra o livelli plasmatici di BNP e indice cardiaco (IC) o saturazione di ossigeno venoso misto (SvO2). Le classi di rischio sono state definite come: basso= almeno 3 criteri a basso rischio e nessun criterio ad alto rischio; alto= almeno 2 criteri ad alto rischio inclusi IC o SvO2; intermedio= tutti gli altri casi. Lo SVI, mediante la regressione di Cox, stratifica la prognosi dei pazienti a rischio intermedio al 1° F-UP [p=0.008] ma non al basale [p=0.085]. Considerandone l’ottimale cut-off predittivo (38 ml/m2) i pazienti a rischio intermedio sono ulteriormente classificabili in intermedio-basso e intermedio-alto. Considerando l'effetto dei 3 principali farmaci che agiscono sulla via della prostaciclina in aggiunta alla duplice terapia di combinazione con inibitori della fosfodiesterasi-5 e antagonisti dell'endotelina, i pazienti trattati con epoprostenolo e.v. hanno ottenuto un maggiore miglioramento rispetto ai pazienti trattati con selexipag; col treprostinil s.c. vi è stata una risposta intermedia. Abbiamo quindi proposto un algoritmo di terapia con selexipag in pazienti a rischio intermedio-basso e con prostanoidi parenterali in pazienti a rischio intermedio-alto.

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L’obiettivo di questo studio è quello di valutare la stabilità foto-ossidativa di oli vegetali esposti a luce ultravioletta di bassa intensità per tempi brevi (da 5 min a 8 ore); lo scopo è quello di monitorare le prime fasi di ossidazione. Per la realizzazione di questo studio, è stato messo a punto un sistema di foto-ossidazione al fine di poter adottare condizioni di analisi le più ripetibili possibili e al fine di poter escludere il possibile effetto della temperatura. I campioni di olio analizzati nel presente lavoro di ricerca, tre oli raffinati e un olio extravergine di oliva, sono stati posti in provette di vetro trasparente da 20 ml, caricati poi all’interno della camera di ossidazione in gruppi di quattro e lasciati sotto l’effetto della luce ultravioletta per diversi tempi ovvero 0, 5, 10, 20, 30, 60, 240 e 480 minuti. Sono stati presi in considerazione i seguenti parametri qualitativi di analisi per valutare lo stato ossidativo dei nostri campioni, e cioè il numero di perossido, la concentrazione di esanale e il valore di p-anisidina. Dai risultati ottenuti è stato possibile osservare che complessivamente, a livelli di insaturazione e di presenza di antiossidanti naturali differenti, l’impatto dell’esposizione alla luce è stato piuttosto simile. I tre oli raffinati hanno mostrato valori ossidativi più contenuti, mentre per l’olio EVO sono state rilevate concentrazioni più alte sia per i perossidi che per l’esanale. Questo è dovuto alla presenza di alcuni composti ad azione pro-ossidante e composti aromatici che permangono nel prodotto in quanto questo olio non subisce il processo di raffinazione. La p-anisidina per tutte e quattro gli oli testati è rimasta piuttosto costante e lineare nel tempo senza subire considerevoli variazioni. Questo sottolinea il fatto che le condizioni di stress foto-ossidativo impiegate non sono state sufficienti a determinare un aumento significativo dei prodotti di ossidazione secondaria.

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L'elaborato si suddivide essenzialmente in due parti principali. Una prima parte descrittiva dove vengono presentati i concetti fondamentali per la corretta comprensione della seconda, nella quale viene descritto il progetto svolto. Esso mira a valutare l’effetto che oggetti in metallo presenti in prossimità di un incrocio stradale hanno sulla propagazione del segnale radio, e in particolare sulla generazione di cammini multipli. I cammini multipli vengono infatti sfruttati dalle tecnologie di trasmissione a multiple antenne (MIMO) per incrementare la capacità di trasmissione. Un parametro sintetico che permette di caratterizzare le prestazioni dei sistemi MIMO è il cosiddetto Condition Number, che si è utilizzato in questo elaborato. Per effettuare lo studio delle prestazioni MIMO si sono utilizzate simulazioni elettromagnetiche a raggi (ray-tracing) e misure sperimentali, che sono state effettuate in prossimità del campus dell’Università Jiaotong di Shanghai, in Cina. Inizialmente, utilizzando una mappa standard dell’ambiente di propagazione, contenente i soli edifici, i valori di Condition Number ottenuti dalle simulazioni ray-tracing differivano notevolmente dai valori sperimentali. Il mio compito è stato quello di modellare nuovi elementi di forma cilindrica che ben simulano le proprietà fisico-geometriche dei pali e di altri oggetti metallici presenti lungo il tragitto e nelle intersezioni stradali e di inserirli nella mappa nella corretta posizione. Le simulazioni poi sono servite per valutare l’efficacia in termini di miglioramento delle prestazioni, in particolare sulla generazione di nuovi cammini sfasati nel tempo e nello spazio, e il relativo effetto sui valori numerici del condition number. Successivamente, è stata fatta una valutazione sull’influenza della vegetazione presente in loco per vedere quanta influenza abbia sul collegamento radio.

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La reazione tra due acidi carbossilici o esteri a dare un chetone, H2O e CO2 (chetonizzazione) è molto studiata per l’upgrading del bio-olio grezzo, perché permette di ridurne l’acidità ed il tenore di ossigeno aumentandone il potere calorifico. Tuttavia, con opportuni accorgimenti questa reazione potrebbe essere impiegata anche per la sintesi selettiva di chetoni asimmetrici ad alto valore aggiunto; un esempio è l’acetil-furano (AF), che trova applicazione come aroma nell’industria alimentare e come intermedio per la sintesi dell’antibiotico Cefuroxima. In questo lavoro di tesi la sintesi di AF mediante la chetonizzazione incrociata tra 2-metil furoato (MF) ed etil acetato (EA) oppure acido acetico (AA), è stata investigata in fase gassosa con catalizzatori eterogenei (ZrO2, CeO2 e un ossido misto Ce/Zr/O), come alternativa più sostenibile al processo di sintesi industriale di AF basato sull’acilazione di Friedel-Crafts del furano con anidride acetica in fase liquida in reattori batch. Uno screening iniziale dei tre catalizzatori (350 °C, τ = 1 s, stechiometrica MF/AA = 1 in alimentazione) ha dimostrato che ZrO2 è di gran lunga più attivo e selettivo degli altri materiali, e che la chetonizzazione incrociata tra MF e AA è di gran lunga più selettiva di quella tra MF ed EA. Tuttavia, in queste condizioni la omochetonizzazione di AA (reagente limitante) compete con la chetonizzazione incrociata riducendo la massima conversione di MF ottenibile; pertanto, il rapporto AA/MF è stato aumentato fino a 4 ed in queste condizioni è stato possibile ottenere una conversione di MF quantitativa e una resa in AF pari al 70 %. Infine, la versatilità di questa via sintetica è stata ampliata sintetizzando chetoni furanici con catene alifatiche più lunghe propanoil furano (PF, resa = 82 %) e butanoil furano (BF, resa = 69 %) mediante la chetonizzazione incrociata di MF con acido propionico (AP) ed acido butirrico (AB).

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Negli impianti utilizzati per la produzione di energia elettrica che sfruttano l'energia solare, quali la tecnologia solare a concentrazione (Solare Termodinamico) sviluppata da ENEA, per minimizzare le dispersioni di calore è necessaria una elevata selettività spettrale. Per ottimizzare l'efficienza dell'impianto è quindi necessario lo sviluppo di materiali innovativi, in grado di minimizzare la quantità di energia dispersa per riflessione. In questo studio, per incrementare la trasmittanza solare dei componenti in vetro presenti nei tubi ricevitori dell'impianto, sono state utilizzate tipologie diverse di rivestimenti antiriflesso (multistrato e a singolo strato poroso). I rivestimenti sono stati ottenuti mediante via umida, con tecnica di sol-gel dip-coating. I sol coprenti sono stati preparati da alcossidi o sali metallici precursori degli ossidi che costituiscono il rivestimento. Sono state approfondite sia la fase di sintesi dei sol coprenti, sia la fase di deposizione sul substrato, che ha richiesto la progettazione e realizzazione di una apparecchiatura prototipale, ossia di un dip-coater in grado di garantire un accurato controllo della velocità di emersione e dell'ambiente di deposizione (temperatura e umidità). Il materiale multistrato applicato su vetro non ha migliorato la trasmittanza del substrato nell'intervallo di lunghezze d'onda dello spettro solare, pur presentando buone caratteristiche antiriflesso nell'intervallo dell'UV-Vis. Al contrario, l'ottimizzazione del rivestimento a base di silice porosa, ha portato all'ottenimento di indici di rifrazione molto bassi (1.15 to 1.18) e ad un incremento della trasmittanza solare dal 91.5% al 96.8%, efficienza superiore agli attuali rivestimenti disponibili in commercio.

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Composite porcelain enamels are inorganic coatings for metallic components based on a special ceramic-vitreous matrix in which specific additives are randomly dispersed. The ceramic-vitreous matrix is made by a mixture of various raw materials and elements and in particular it is based on boron-silicate glass added with metal oxides(1) of titanium, zinc, tin, zirconia, alumina, ecc. These additions are often used to improve and enhance some important performances such as corrosion(2) and wear resistance, mechanical strength, fracture toughness and also aesthetic functions. The coating process, called enamelling, depends on the nature of the surface, but also on the kind of the used porcelain enamel. For metal sheets coatings two industrial processes are actually used: one based on a wet porcelain enamel and another based on a dry-silicone porcelain enamel. During the firing process, that is performed at about 870°C in the case of a steel substrate, the enamel raw material melts and interacts with the metal substrate so enabling the formation of a continuous varying structure. The interface domain between the substrate and the external layer is made of a complex material system where the ceramic vitreous and the metal constituents are mixed. In particular four main regions can be identified, (i) the pure metal region, (ii) the region where the metal constituents are dominant compared with the ceramic vitreous components, (iii) the region where the ceramic vitreous constituents are dominant compared with the metal ones, and the fourth region (iv) composed by the pure ceramic vitreous material. It has also to be noticed the presence of metallic dendrites that hinder the substrate and the external layer passing through the interphase region. Each region of the final composite structure plays a specific role: the metal substrate has mainly the structural function, the interphase region and the embedded dendrites guarantee the adhesion of the external vitreous layer to the substrate and the external vitreous layer is characterized by an high tribological, corrosion and thermal shock resistance. Such material, due to its internal composition, functionalization and architecture can be considered as a functionally graded composite material. The knowledge of the mechanical, tribological and chemical behavior of such composites is not well established and the research is still in progress. In particular the mechanical performances data about the composite coating are not jet established. In the present work the Residual Stresses, the Young modulus and the First Crack Failure of the composite porcelain enamel coating are studied. Due to the differences of the porcelain composite enamel and steel thermal properties the enamelled steel sheets have residual stresses: compressive residual stress acts on the coating and tensile residual stress acts on the steel sheet. The residual stresses estimation has been performed by measuring the curvature of rectangular one-side coated specimens. The Young modulus and the First Crack Failure (FCF) of the coating have been estimated by four point bending tests (3-7) monitored by means of the Acoustic Emission (AE) technique(5,6). In particular the AE information has been used to identify, during the bending tests, the displacement domain over which no coating failure occurs (Free Failure Zone, FFZ). In the FFZ domain, the Young modulus has been estimated according to ASTM D6272-02. The FCF has been calculated as the ratio between the displacement at the first crack of the coating and the coating thickness on the cracked side. The mechanical performances of the tested coated specimens have also been related and discussed to respective microstructure and surface characteristics by double entry charts.