982 resultados para astrofisica delle particelle, materia oscura, xenon


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Nella fisica delle particelle, onde poter effettuare analisi dati, è necessario disporre di una grande capacità di calcolo e di storage. LHC Computing Grid è una infrastruttura di calcolo su scala globale e al tempo stesso un insieme di servizi, sviluppati da una grande comunità di fisici e informatici, distribuita in centri di calcolo sparsi in tutto il mondo. Questa infrastruttura ha dimostrato il suo valore per quanto riguarda l'analisi dei dati raccolti durante il Run-1 di LHC, svolgendo un ruolo fondamentale nella scoperta del bosone di Higgs. Oggi il Cloud computing sta emergendo come un nuovo paradigma di calcolo per accedere a grandi quantità di risorse condivise da numerose comunità scientifiche. Date le specifiche tecniche necessarie per il Run-2 (e successivi) di LHC, la comunità scientifica è interessata a contribuire allo sviluppo di tecnologie Cloud e verificare se queste possano fornire un approccio complementare, oppure anche costituire una valida alternativa, alle soluzioni tecnologiche esistenti. Lo scopo di questa tesi è di testare un'infrastruttura Cloud e confrontare le sue prestazioni alla LHC Computing Grid. Il Capitolo 1 contiene un resoconto generale del Modello Standard. Nel Capitolo 2 si descrive l'acceleratore LHC e gli esperimenti che operano a tale acceleratore, con particolare attenzione all’esperimento CMS. Nel Capitolo 3 viene trattato il Computing nella fisica delle alte energie e vengono esaminati i paradigmi Grid e Cloud. Il Capitolo 4, ultimo del presente elaborato, riporta i risultati del mio lavoro inerente l'analisi comparata delle prestazioni di Grid e Cloud.

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In questo lavoro si affronta l'argomento dei fermioni di Dirac nel grafene, si procederà compiendo nel primo capitolo un'analisi alla struttura reticolare del materiale per poi ricostruirne, sfruttando l'approssimazione di tigth-binding, le funzioni d'onda delle particelle che vivono negli orbitali del carbonio sistemate nella struttura reticolare e ricavarne grazie al passaggio in seconda quantizzazione l'Hamiltoniana. Nel secondo capitolo si ricavano brevemente le equazioni di Dirac e dopo una piccola nota storica si discutono le equazioni di Weyl arrivando all'Hamiltoniana dei fermioni a massa nulla mostrando la palese uguaglianza alla relazione di dispersione delle particelle del grafene. Nel terzo capitolo si commentano le evidenze sperimentali ottenute dalla ASPEC in cui si manifesta per le basse energie uno spettro lineare, dando così conferma alla teoria esposta nei capitoli precedenti.

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Negli ultimi 10 anni i blooms attribuibili alla dinoflagellata bentonica Ostreopsis cf. ovata sono aumentati in termini di frequenza ed intensità lungo le coste del Mediterraneo, avendo ripercussioni negative sulla salute umana e forti impatti sulle comunità marine bentoniche, ciò a seguito della produzione di potenti tossine (composti palitossina-simili) da parte della microalga. Tra i fattori ecologici che innescano o regolano le dinamiche dei bloom tossici le interazioni tra microalghe e batteri sono in misura sempre maggiore oggetto di ricerca. In questo studio è stata analizzata la struttura filogenetica della comunità batterica associata ad O. cf. ovata in colture batch e valutate le dinamiche successionali della stessa in relazione alle differenti fasi di crescita della microalga (oltre che in relazione alle dinamiche di abbondanza virale). Lo studio filogenetico è stato effettuato tramite l’ausilio di metodiche molecolari di sequenziamento di next generation (Ion Torrent). Le abbondanze dei batteri e delle particelle virali sono state determinate tramite microscopia ad epifluorescenza; l’abbondanza cellulare algale è stata stimata tramite metodo Uthermohl. Il contributo della frazione batterica ad elevata attività respiratoria è stato determinato tramite doppia colorazione con coloranti DAPI e CTC. Dai dati emersi si evince che la comunità batterica attraversa due fasi di crescita distinte, una più marcata e concomitante con la fase esponenziale di O. cf. ovata, l'altra quando la microalga è in fase media stazionaria. Per quanto concerne la composizione filogenetica della comunità sono stati rilevati 12 phyla, 17 classi e 150 generi, sebbene i dati ottenuti abbiano rilevato una forte dominanza del phylum Proteobacteria con la classe Alphaproteobacteria, seguita dal phylum Bacteroidetes con la classe Sphingobacteria. Variazioni nella struttura filogenetica della comunità batterica, a livello di generi, tra le diverse fasi di crescita della microalga ha permesso di evidenziare ed ipotizzare particolari interazioni di tipo mutualistico e di tipo competitivo.

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Il presente lavoro è stato svolto nell'ambito della collaborazione NUCLEX, esperimento della Commissione Nazionale 3 dell'INFN per lo studio della dinamica delle reazioni nucleari indotte da ioni pesanti. In particolare l'oggetto della tesi riguarda l'analisi del decadimento di un nucleo di Carbonio-12 eccitato in seguito ad una reazione nucleare. Più precisamente in questa tesi si studia il decadimento di un nucleo di Carbonio-12 che, interagendo con un altro nucleo di Carbonio-12, si eccita lasciando il bersaglio di Carbonio nello stato fondamentale. La reazione studiata è 12C + 12C a 95 MeV. L'analisi è stata effettuata selezionando, fra tutti gli eventi, quelli che hanno 3 particelle α nello stato finale. Ciò permette di mettere in evidenza alcuni stati eccitati del Carbonio-12, fra cui il cosiddetto stato di Hoyle, importante soprattutto per gli aspetti astrofisici. In particolare il modo di decadimento è legato alla probabilità di formazione, che è un punto importante nella formazione degli elementi nelle stelle. E' importante infatti poter determinare se il processo di decadimento è istantaneo, cioè il Carbonio emette tre particelle α contemporaneamente, oppure sequenziale, cioè il Carbonio emette in primo luogo una particella α ed un nucleo di Berillio-8, il quale a sua volta decade in due particelle α. Nel Capitolo 1 si introdurrà l'aspetto teorico e fenomenologico del problema, verranno descritte in breve le reazioni nucleari tra ioni pesanti con un approfondimento sui processi di decadimento del Carbonio eccitato. Nel Capitolo 2 saranno descritti gli apparati utilizzati per le misure: in particolare l'apparato GARFIELD utilizzato per la rivelazione delle particelle cariche emesse nel decadimento, ed il rivelatore Ring Counter (RCo) utilizzato soprattutto per la rivelazione delle particelle α di decadimento del proiettile eccitato. Si accenna anche alle tecniche usate per identificare le particelle α. Nel Capitolo 3 verrà descritta l'analisi dei dati effettuata ed in particolare verranno mostrati gli osservabili per poter discriminare il meccanismo di decadimento sequenziale o democratico. Verranno infine tracciate alcune conclusioni in base ai risultati raggiunti.

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VIRTIS, a bordo di Venus Express, è uno spettrometro in grado di operare da 0.25 a 5 µm. Nel periodo 2006-2011 ha ricavato un'enorme mole di dati ma a tutt'oggi le osservazioni al lembo sono poco utilizzate per lo studio delle nubi e delle hazes, specialmente di notte. Gli spettri al lembo a quote mesosferiche sono dominati dalla radianza proveniente dalle nubi e scatterata in direzione dello strumento dalle hazes. L'interpretazione degli spettri al lembo non può quindi prescindere dalla caratterizzazione dell'intera colonna atmosferica. L'obiettivo della tesi è di effettuare un’analisi statistica sulle osservazioni al nadir e proporre una metodologia per ricavare una caratterizzazione delle hazes combinando osservazioni al nadir e al lembo. La caratterizzazione delle nubi è avvenuta su un campione di oltre 3700 osservazioni al nadir. È stato creato un ampio dataset di spettri sintetici modificando, in un modello iniziale, vari parametri di nube quali composizione chimica, numero e dimensione delle particelle. Un processo di fit è stato applicato alle osservazioni per stabilire quale modello potesse descrivere gli spettri osservati. Si è poi effettuata una analisi statistica sui risultati del campione. Si è ricavata una concentrazione di acido solforico molto elevata nelle nubi basse, pari al 96% in massa, che si discosta dal valore generalmente utilizzato del 75%. Si sono poi integrati i risultati al nadir con uno studio mirato su poche osservazioni al lembo, selezionate in modo da intercettare nel punto di tangenza la colonna atmosferica osservata al nadir, per ricavare informazioni sulle hazes. I risultati di un modello Monte Carlo indicano che il numero e le dimensioni delle particelle previste dal modello base devono essere ridotte in maniera significativa. In particolare si osserva un abbassamento della quota massima delle hazes rispetto ad osservazioni diurne.

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Una particella carica che si muove in un campo magnetico e` accelerata dalla forza di Lorentz, e di conseguenza emette della radiazione. Quindi si escludo- no a priori i neutroni, che sebbene siano formati da particelle cariche (i quarks) sono globalmente neutre. Per accelerazione, si intende anche solo un’acce- lerazione centripeta di cui risentono le particelle cariche nel campo, sebbene non vi sia una variazione nel modulo della velocita`. In base alla velocita` delle particelle cariche che si muovono nel campo magnetico si possono distinguere radiazione di ciclotrone e di sincrotrone. La radiazione di ciclotrone e` presente quando le particelle cariche hanno velocita` non relativistiche o relativistiche, invece la radiazione di sincrotrone e` presente quando le particelle hanno velo- cita` ultra-relativistiche. Entrambe sono radiazioni che non necessitano dell’equilibrio termico del mez- zo, e sono radiazioni impulsive. Cio` che le distingue, a parte la velocita`, e` la tipologia di impulsi che si misurano. Infatti nel caso del sincrotrone, ove le par- ticelle sono ultra-relativistiche, gli impulsi arrivano molto ravvicinati fra loro. Nel caso del ciclotrone arrivano impulsi meno ravvicinati che coincidono con la frequenza di rotazione nel campo magnetico. In questo elaborato ci si soffermera` esclusivamente sull’emissione di sincro- trone e su alcune applicazioni astrofisiche di questo processo, cercando di dare una trattazione sufficiente, seppur scarna, ai fini di capire un processo fisico molto importante negli ambienti astrofisici.

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L’esperimento LHCb al CERN di Ginevra è stato appositamente progettato per effettuare misure di precisione nel settore della fisica del sapore, per verificare la validità delle previsioni del Modello Standard. Il Modello Standard descrive le trasformazioni dello stato di flavour dei quark secondo lo schema di mixing compendiato nella matrice unitaria di Cabibbo-Kobayashi-Maskawa. La verifica dell’unitarietà della matrice di mixing è dunque uno dei campi d’indagine più importanti nella fisica delle particelle. I modelli teorici che estendono il Modello Standard prevedono infatti meccanismi alternativi a quello CKM per la trasformazione del flavour che implicherebbero una violazione della unitarietà. Allo scopo di studiare la dinamica del flavour l’esperimento LHCb realizza misure della violazione della simmetria di coniugazione di carica e parità CP. Le misure di violazione della simmetria CP permettono di determinare i valori dei parametri complessi della matrice CKM (modulo e fase). Esse si basano sulla misura delle asimmetrie di decadimento di stati coniugati di carica di mesoni costituiti da quark charm (mesoni D) e beauty (mesoni B) in stati finali costituiti da particelle scelte opportunamente. Di particolare importanza in questo programma di ricerca è la misura della fase del termine Vub della matrice CKM, denominata γ. Scopo della tesi è lo studio dei metodi di misura della fase γ. La tesi è organizzata in quattro capitoli. Nei primi tre capitoli sono state poste le basi teoriche per la comprensione della fenomenologia delle interazioni deboli e della sua descrizione nel Modello Standard. È stata discussa in dettaglio la dinamica del sistema dei mesoni neutri e la violazione della simmetria CP dovuta sia al decadimento sia alla oscillazione. Dopo l’inquadramento teorico, nel quarto e ultimo capitolo, sono stati presentati i tre modelli teorici generalmente utilizzati per la misura della fase γ e impiegati dagli esperimenti dedicati alla fisica del flavour. I metodi proposti sono quelli più importanti, che fino ad oggi hanno consentito di misurare γ. Al momento LHCb ha ottenuto la migliore misura di γ, con un errore relativo del 13%, combinando le tre metodologie di analisi. Si prevede che l’esperimento LHCb possa migliorare significativamente la precisione di misura raccogliendo nel prossimo futuro un campione di eventi di dimensione un’ordine di grandezza maggiore dell’attuale.

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Questo lavoro di tesi è stato svolto nell'ambito del gruppo Nucl-ex di Bologna dell'INFN. L'esperimento specifico si inquadra nello studio di collisioni di nuclei con numero di neutroni N uguale al numero di protoni Z (nuclei pari-pari). In particolare si vuol analizzare una reazione centrale, cioè a piccoli parametri d'impatto, nella quale i nuclei del proiettile e del bersaglio fondono assieme formando un sistema unico eccitato (nucleo composto) che successivamente decade. Nel caso della misura descritta sono stati utilizzati un fascio di 16O ed un bersaglio di 12C ed il sistema fuso che si forma è 28Si. Per rivelare le particelle provenienti dal decadimento è stato impiegato l'apparato G.AR.F.I.E.L.D. (General Array for Fragment Identification and Emitted Light particles in Dissipative collisions) accoppiato al rivelatore denominato Ring Counter (RCo). La misura è stata realizzata presso i Laboratori Nazionali dell'INFN di Legnaro (Pd) in collaborazione tra le Università e le sezioni INFN di Bologna, Firenze, Napoli e Padova. Il fascio è stato accelerato mediante l'acceleratore elettrostatico Tandem XTU, mentre il bersaglio era fisso nel sistema di riferimento del laboratorio. La misura di collisione è stata realizzata per tre diverse energie cinetiche del fascio: 90.5 MeV, 110 MeV e 130 MeV. Il lavoro è consistito principalmente nella partecipazione a diverse fasi della misura, tra cui preparazione, presa dati ed alcune calibrazioni energetiche dei rivelatori, fino ad ottenere risultati preliminari sulle distribuzioni di frequenza dei frammenti rivelati, sulle molteplicità e sulle distribuzioni angolari di particelle leggere. L'analisi preliminare effettuata ha mostrato che il valore medio di carica del residuo di evaporazione {Definito come il frammento che rimane nello stato fondamentale alla fine della catena di decadimento.} diminuisce all'aumentare dell'energia a disposizione. In modo consistente aumenta, all'aumentare dell'energia, la molteplicità media delle delle particelle leggere. Le distribuzioni angolari di particelle leggere mostrano andamenti molto simili fra le diverse energie, ma poco compatibili con il fatto che, all'aumentare dell'energia del fascio, diminuisce il cono di emissione di particelle di decadimento, in quanto aumenta la velocità del sistema fuso.

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In questo lavoro di tesi è presentata la misura con il rivelatore ALICE del flusso triangolare, v3, di pioni, kaoni e protoni prodotti in collisioni PbPb a LHC. Il confronto di v3 con le previsioni di modelli idrodinamici permette di vincolare maggiormente le assunzioni sulle condizioni iniziali del sistema presenti nei diversi modelli ed estrarre una stima maggiormente precisa delle proprietà del mezzo come la viscosità. La misura è effettuata nella regione di pseudorapidità centrale sui dati raccolti da ALICE nel 2010 e 2011 e utilizza una tecnica di identificazione basata sia sulla misura della perdita di energia specifica, con la camera a proiezione temporale (TPC), sia la misura della velocità con il sistema a tempo di volo (TOF). La combinazione di entrambe le tecniche permette di separare le diverse specie in un intervallo esteso di impulsi con elevata efficienza e purezza. Per la misura del piano di reazione è stato utilizzato il rivelatore VZERO che misura la molteplicità delle particelle cariche in una regione di pseudorapidità disgiunta da quella in cui è misurato v3. La misura ottenuta è confrontata con le previsioni di modelli idrodinamici attualmente più utilizzati.

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Questa tesi si focalizza sullo studio dei modelli fisico-matematici attualmente in uso per la simulazione di fluidi al calcolatore con l’obiettivo di fornire nozioni di base e avanzate sull’utilizzo di tali metodi. La trattazione ha lo scopo di facilitare la comprensione dei principi su cui si fonda la simulazione di fluidi e rappresenta una base per la creazione di un proprio simulatore. E’ possibile studiare le caratteristiche di un fluido in movimento mediante due approcci diversi, l’approccio lagrangiano e l’approccio euleriano. Mentre l’approccio lagrangiano ha lo scopo di conoscere il valore, nel tempo, di una qualsiasi proprietà di ciascuna particella che compone il fluido, l’approccio euleriano, fissato uno o più punti del volume di spazio occupato da quest’ultimo, vuole studiare quello che accade, nel tempo, in quei punti. In particolare, questa tesi approfondisce lo studio delle equazioni di Navier-Stokes, approcciandosi al problema in maniera euleriana. La soluzione numerica del sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali derivante dalle equazioni sopracitate, approssima la velocità del fluido, a partire dalla quale è possibile risalire a tutte le grandezze che lo caratterizzano. Attenzione viene riservata anche ad un modello facente parte dell’approccio semi-lagrangiano, il Lattice Boltzmann, considerato una via di mezzo tra i metodi puramente euleriani e quelli lagrangiani, che si basa sulla soluzione dell’equazione di Boltzmann mediante modelli di collisione di particelle. Infine, analogamente al metodo di Lattice Boltzmann, viene trattato il metodo Smoothed Particles Hydrodynamics, tipicamente lagrangiano, secondo il quale solo le proprietà delle particelle comprese dentro il raggio di una funzione kernel, centrata nella particella di interesse, influenzano il valore della particella stessa. Un resoconto pratico della teoria trattata viene dato mediante delle simulazioni realizzate tramite il software Blender 2.76b.

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In questa tesi si è studiato uno dei principali processi nelle stelle responsabili della nucleosintesi degli elementi pesanti dopo il 56Fe, il processo-s. In particolare sono state illustrate le sorgenti di neutroni che alimentano questo processo e si è analizzata la reazione 22Ne (α,n) 25Mg. Per costruire un valido modello matematico di questo processo è necessario conoscere in maniera accurata il reaction rate di questa reazione. Conseguentemente è necessario conoscere la sezione d'urto di tale reazione in maniera molto accurata. Sono stati condotti diversi esperimenti nel tentativo di valutare la sezione d'urto per via diretta, facendo collidere un fascio di particelle α su un campione di 22Ne. Queste rilevazioni hanno dato esiti non soddisfacenti nell'intervallo di energie riguardanti il processo-s, in quanto, a causa di disturbi dovuti al fondo di raggi cosmici e alla barriera Coulombiana, non è stato possibile osservare risonanze per valori di energie delle particelle α minori di (832± 2) keV. Per colmare la mancanza di dati sperimentali si è deciso di studiare gli stati eccitati del nucleo composto 26Mg tramite la reazione inversa 25Mg+n alle facility n_TOF, situata al CERN, e GELINA al IRMM. Le misure effettuate hanno mostrato diverse risonanze al di sotto di (832±2) keV, compatibili con le spin-parità di 22Ne e α. In seguito è stato stimato il loro contributo al reaction rate e i risultati hanno mostrato che per temperature tipiche di stelle massive il contributo di queste risonanze è trascurabile ma risulta di grande rilevanza alle temperature tipiche delle stelle appartenenti al ramo asintotico delle giganti (AGB).

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La astronomía de rayos γ estudia las partículas más energéticas que llegan a la Tierra desde el espacio. Estos rayos γ no se generan mediante procesos térmicos en simples estrellas, sino mediante mecanismos de aceleración de partículas en objetos celestes como núcleos de galaxias activos, púlsares, supernovas, o posibles procesos de aniquilación de materia oscura. Los rayos γ procedentes de estos objetos y sus características proporcionan una valiosa información con la que los científicos tratan de comprender los procesos físicos que ocurren en ellos y desarrollar modelos teóricos que describan su funcionamiento con fidelidad. El problema de observar rayos γ es que son absorbidos por las capas altas de la atmósfera y no llegan a la superficie (de lo contrario, la Tierra será inhabitable). De este modo, sólo hay dos formas de observar rayos γ embarcar detectores en satélites, u observar los efectos secundarios que los rayos γ producen en la atmósfera. Cuando un rayo γ llega a la atmósfera, interacciona con las partículas del aire y genera un par electrón - positrón, con mucha energía. Estas partículas secundarias generan a su vez más partículas secundarias cada vez menos energéticas. Estas partículas, mientras aún tienen energía suficiente para viajar más rápido que la velocidad de la luz en el aire, producen una radiación luminosa azulada conocida como radiación Cherenkov durante unos pocos nanosegundos. Desde la superficie de la Tierra, algunos telescopios especiales, conocidos como telescopios Cherenkov o IACTs (Imaging Atmospheric Cherenkov Telescopes), son capaces de detectar la radiación Cherenkov e incluso de tomar imágenes de la forma de la cascada Cherenkov. A partir de estas imágenes es posible conocer las principales características del rayo γ original, y con suficientes rayos se pueden deducir características importantes del objeto que los emitió, a cientos de años luz de distancia. Sin embargo, detectar cascadas Cherenkov procedentes de rayos γ no es nada fácil. Las cascadas generadas por fotones γ de bajas energías emiten pocos fotones, y durante pocos nanosegundos, y las correspondientes a rayos γ de alta energía, si bien producen más electrones y duran más, son más improbables conforme mayor es su energía. Esto produce dos líneas de desarrollo de telescopios Cherenkov: Para observar cascadas de bajas energías son necesarios grandes reflectores que recuperen muchos fotones de los pocos que tienen estas cascadas. Por el contrario, las cascadas de altas energías se pueden detectar con telescopios pequeños, pero conviene cubrir con ellos una superficie grande en el suelo para aumentar el número de eventos detectados. Con el objetivo de mejorar la sensibilidad de los telescopios Cherenkov actuales, en el rango de energía alto (> 10 TeV), medio (100 GeV - 10 TeV) y bajo (10 GeV - 100 GeV), nació el proyecto CTA (Cherenkov Telescope Array). Este proyecto en el que participan más de 27 países, pretende construir un observatorio en cada hemisferio, cada uno de los cuales contará con 4 telescopios grandes (LSTs), unos 30 medianos (MSTs) y hasta 70 pequeños (SSTs). Con un array así, se conseguirán dos objetivos. En primer lugar, al aumentar drásticamente el área de colección respecto a los IACTs actuales, se detectarán más rayos γ en todos los rangos de energía. En segundo lugar, cuando una misma cascada Cherenkov es observada por varios telescopios a la vez, es posible analizarla con mucha más precisión gracias a las técnicas estereoscópicas. La presente tesis recoge varios desarrollos técnicos realizados como aportación a los telescopios medianos y grandes de CTA, concretamente al sistema de trigger. Al ser las cascadas Cherenkov tan breves, los sistemas que digitalizan y leen los datos de cada píxel tienen que funcionar a frecuencias muy altas (≈1 GHz), lo que hace inviable que funcionen de forma continua, ya que la cantidad de datos guardada será inmanejable. En su lugar, las señales analógicas se muestrean, guardando las muestras analógicas en un buffer circular de unos pocos µs. Mientras las señales se mantienen en el buffer, el sistema de trigger hace un análisis rápido de las señales recibidas, y decide si la imagen que hay en el buér corresponde a una cascada Cherenkov y merece ser guardada, o por el contrario puede ignorarse permitiendo que el buffer se sobreescriba. La decisión de si la imagen merece ser guardada o no, se basa en que las cascadas Cherenkov producen detecciones de fotones en píxeles cercanos y en tiempos muy próximos, a diferencia de los fotones de NSB (night sky background), que llegan aleatoriamente. Para detectar cascadas grandes es suficiente con comprobar que más de un cierto número de píxeles en una región hayan detectado más de un cierto número de fotones en una ventana de tiempo de algunos nanosegundos. Sin embargo, para detectar cascadas pequeñas es más conveniente tener en cuenta cuántos fotones han sido detectados en cada píxel (técnica conocida como sumtrigger). El sistema de trigger desarrollado en esta tesis pretende optimizar la sensibilidad a bajas energías, por lo que suma analógicamente las señales recibidas en cada píxel en una región de trigger y compara el resultado con un umbral directamente expresable en fotones detectados (fotoelectrones). El sistema diseñado permite utilizar regiones de trigger de tamaño seleccionable entre 14, 21 o 28 píxeles (2, 3, o 4 clusters de 7 píxeles cada uno), y con un alto grado de solapamiento entre ellas. De este modo, cualquier exceso de luz en una región compacta de 14, 21 o 28 píxeles es detectado y genera un pulso de trigger. En la versión más básica del sistema de trigger, este pulso se distribuye por toda la cámara de forma que todos los clusters sean leídos al mismo tiempo, independientemente de su posición en la cámara, a través de un delicado sistema de distribución. De este modo, el sistema de trigger guarda una imagen completa de la cámara cada vez que se supera el número de fotones establecido como umbral en una región de trigger. Sin embargo, esta forma de operar tiene dos inconvenientes principales. En primer lugar, la cascada casi siempre ocupa sólo una pequeña zona de la cámara, por lo que se guardan muchos píxeles sin información alguna. Cuando se tienen muchos telescopios como será el caso de CTA, la cantidad de información inútil almacenada por este motivo puede ser muy considerable. Por otro lado, cada trigger supone guardar unos pocos nanosegundos alrededor del instante de disparo. Sin embargo, en el caso de cascadas grandes la duración de las mismas puede ser bastante mayor, perdiéndose parte de la información debido al truncamiento temporal. Para resolver ambos problemas se ha propuesto un esquema de trigger y lectura basado en dos umbrales. El umbral alto decide si hay un evento en la cámara y, en caso positivo, sólo las regiones de trigger que superan el nivel bajo son leídas, durante un tiempo más largo. De este modo se evita guardar información de píxeles vacíos y las imágenes fijas de las cascadas se pueden convertir en pequeños \vídeos" que representen el desarrollo temporal de la cascada. Este nuevo esquema recibe el nombre de COLIBRI (Concept for an Optimized Local Image Building and Readout Infrastructure), y se ha descrito detalladamente en el capítulo 5. Un problema importante que afecta a los esquemas de sumtrigger como el que se presenta en esta tesis es que para sumar adecuadamente las señales provenientes de cada píxel, estas deben tardar lo mismo en llegar al sumador. Los fotomultiplicadores utilizados en cada píxel introducen diferentes retardos que deben compensarse para realizar las sumas adecuadamente. El efecto de estos retardos ha sido estudiado, y se ha desarrollado un sistema para compensarlos. Por último, el siguiente nivel de los sistemas de trigger para distinguir efectivamente las cascadas Cherenkov del NSB consiste en buscar triggers simultáneos (o en tiempos muy próximos) en telescopios vecinos. Con esta función, junto con otras de interfaz entre sistemas, se ha desarrollado un sistema denominado Trigger Interface Board (TIB). Este sistema consta de un módulo que irá montado en la cámara de cada LST o MST, y que estará conectado mediante fibras ópticas a los telescopios vecinos. Cuando un telescopio tiene un trigger local, este se envía a todos los vecinos conectados y viceversa, de modo que cada telescopio sabe si sus vecinos han dado trigger. Una vez compensadas las diferencias de retardo debidas a la propagación en las fibras ópticas y de los propios fotones Cherenkov en el aire dependiendo de la dirección de apuntamiento, se buscan coincidencias, y en el caso de que la condición de trigger se cumpla, se lee la cámara en cuestión, de forma sincronizada con el trigger local. Aunque todo el sistema de trigger es fruto de la colaboración entre varios grupos, fundamentalmente IFAE, CIEMAT, ICC-UB y UCM en España, con la ayuda de grupos franceses y japoneses, el núcleo de esta tesis son el Level 1 y la Trigger Interface Board, que son los dos sistemas en los que que el autor ha sido el ingeniero principal. Por este motivo, en la presente tesis se ha incluido abundante información técnica relativa a estos sistemas. Existen actualmente importantes líneas de desarrollo futuras relativas tanto al trigger de la cámara (implementación en ASICs), como al trigger entre telescopios (trigger topológico), que darán lugar a interesantes mejoras sobre los diseños actuales durante los próximos años, y que con suerte serán de provecho para toda la comunidad científica participante en CTA. ABSTRACT -ray astronomy studies the most energetic particles arriving to the Earth from outer space. This -rays are not generated by thermal processes in mere stars, but by means of particle acceleration mechanisms in astronomical objects such as active galactic nuclei, pulsars, supernovas or as a result of dark matter annihilation processes. The γ rays coming from these objects and their characteristics provide with valuable information to the scientist which try to understand the underlying physical fundamentals of these objects, as well as to develop theoretical models able to describe them accurately. The problem when observing rays is that they are absorbed in the highest layers of the atmosphere, so they don't reach the Earth surface (otherwise the planet would be uninhabitable). Therefore, there are only two possible ways to observe γ rays: by using detectors on-board of satellites, or by observing their secondary effects in the atmosphere. When a γ ray reaches the atmosphere, it interacts with the particles in the air generating a highly energetic electron-positron pair. These secondary particles generate in turn more particles, with less energy each time. While these particles are still energetic enough to travel faster than the speed of light in the air, they produce a bluish radiation known as Cherenkov light during a few nanoseconds. From the Earth surface, some special telescopes known as Cherenkov telescopes or IACTs (Imaging Atmospheric Cherenkov Telescopes), are able to detect the Cherenkov light and even to take images of the Cherenkov showers. From these images it is possible to know the main parameters of the original -ray, and with some -rays it is possible to deduce important characteristics of the emitting object, hundreds of light-years away. However, detecting Cherenkov showers generated by γ rays is not a simple task. The showers generated by low energy -rays contain few photons and last few nanoseconds, while the ones corresponding to high energy -rays, having more photons and lasting more time, are much more unlikely. This results in two clearly differentiated development lines for IACTs: In order to detect low energy showers, big reflectors are required to collect as much photons as possible from the few ones that these showers have. On the contrary, small telescopes are able to detect high energy showers, but a large area in the ground should be covered to increase the number of detected events. With the aim to improve the sensitivity of current Cherenkov showers in the high (> 10 TeV), medium (100 GeV - 10 TeV) and low (10 GeV - 100 GeV) energy ranges, the CTA (Cherenkov Telescope Array) project was created. This project, with more than 27 participating countries, intends to build an observatory in each hemisphere, each one equipped with 4 large size telescopes (LSTs), around 30 middle size telescopes (MSTs) and up to 70 small size telescopes (SSTs). With such an array, two targets would be achieved. First, the drastic increment in the collection area with respect to current IACTs will lead to detect more -rays in all the energy ranges. Secondly, when a Cherenkov shower is observed by several telescopes at the same time, it is possible to analyze it much more accurately thanks to the stereoscopic techniques. The present thesis gathers several technical developments for the trigger system of the medium and large size telescopes of CTA. As the Cherenkov showers are so short, the digitization and readout systems corresponding to each pixel must work at very high frequencies (_ 1 GHz). This makes unfeasible to read data continuously, because the amount of data would be unmanageable. Instead, the analog signals are sampled, storing the analog samples in a temporal ring buffer able to store up to a few _s. While the signals remain in the buffer, the trigger system performs a fast analysis of the signals and decides if the image in the buffer corresponds to a Cherenkov shower and deserves to be stored, or on the contrary it can be ignored allowing the buffer to be overwritten. The decision of saving the image or not, is based on the fact that Cherenkov showers produce photon detections in close pixels during near times, in contrast to the random arrival of the NSB phtotons. Checking if more than a certain number of pixels in a trigger region have detected more than a certain number of photons during a certain time window is enough to detect large showers. However, taking also into account how many photons have been detected in each pixel (sumtrigger technique) is more convenient to optimize the sensitivity to low energy showers. The developed trigger system presented in this thesis intends to optimize the sensitivity to low energy showers, so it performs the analog addition of the signals received in each pixel in the trigger region and compares the sum with a threshold which can be directly expressed as a number of detected photons (photoelectrons). The trigger system allows to select trigger regions of 14, 21, or 28 pixels (2, 3 or 4 clusters with 7 pixels each), and with extensive overlapping. In this way, every light increment inside a compact region of 14, 21 or 28 pixels is detected, and a trigger pulse is generated. In the most basic version of the trigger system, this pulse is just distributed throughout the camera in such a way that all the clusters are read at the same time, independently from their position in the camera, by means of a complex distribution system. Thus, the readout saves a complete camera image whenever the number of photoelectrons set as threshold is exceeded in a trigger region. However, this way of operating has two important drawbacks. First, the shower usually covers only a little part of the camera, so many pixels without relevant information are stored. When there are many telescopes as will be the case of CTA, the amount of useless stored information can be very high. On the other hand, with every trigger only some nanoseconds of information around the trigger time are stored. In the case of large showers, the duration of the shower can be quite larger, loosing information due to the temporal cut. With the aim to solve both limitations, a trigger and readout scheme based on two thresholds has been proposed. The high threshold decides if there is a relevant event in the camera, and in the positive case, only the trigger regions exceeding the low threshold are read, during a longer time. In this way, the information from empty pixels is not stored and the fixed images of the showers become to little \`videos" containing the temporal development of the shower. This new scheme is named COLIBRI (Concept for an Optimized Local Image Building and Readout Infrastructure), and it has been described in depth in chapter 5. An important problem affecting sumtrigger schemes like the one presented in this thesis is that in order to add the signals from each pixel properly, they must arrive at the same time. The photomultipliers used in each pixel introduce different delays which must be compensated to perform the additions properly. The effect of these delays has been analyzed, and a delay compensation system has been developed. The next trigger level consists of looking for simultaneous (or very near in time) triggers in neighbour telescopes. These function, together with others relating to interfacing different systems, have been developed in a system named Trigger Interface Board (TIB). This system is comprised of one module which will be placed inside the LSTs and MSTs cameras, and which will be connected to the neighbour telescopes through optical fibers. When a telescope receives a local trigger, it is resent to all the connected neighbours and vice-versa, so every telescope knows if its neighbours have been triggered. Once compensated the delay differences due to propagation in the optical fibers and in the air depending on the pointing direction, the TIB looks for coincidences, and in the case that the trigger condition is accomplished, the camera is read a fixed time after the local trigger arrived. Despite all the trigger system is the result of the cooperation of several groups, specially IFAE, Ciemat, ICC-UB and UCM in Spain, with some help from french and japanese groups, the Level 1 and the Trigger Interface Board constitute the core of this thesis, as they have been the two systems designed by the author of the thesis. For this reason, a large amount of technical information about these systems has been included. There are important future development lines regarding both the camera trigger (implementation in ASICS) and the stereo trigger (topological trigger), which will produce interesting improvements for the current designs during the following years, being useful for all the scientific community participating in CTA.

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L’utilizzo di nanomateriali, ovvero una nuova classe di sostanze composte da particelle ultrafini con dimensioni comprese fra 1 e 100 nm (American Society for Testing Materials - ASTM), è in costante aumento a livello globale. La particolarità di tali sostanze è rappresentata da un alto rapporto tra la superficie e il volume delle particelle, che determina caratteristiche chimico-fisiche completamente differenti rispetto alle omologhe macrosostanze di riferimento. Tali caratteristiche sono tali da imporre una loro classificazione come nuovi agenti chimici (Royal Society & Royal Academy of Engineering report 2004). Gli impieghi attuali dei nanomateriali risultano in continua evoluzione, spaziando in diversi ambiti, dall’industria farmaceutica e cosmetica, all’industria tessile, elettronica, aerospaziale ed informatica. Diversi sono anche gli impieghi in campo biomedico; tra questi la diagnostica e la farmacoterapia. È quindi prevedibile che in futuro una quota sempre maggiore di lavoratori e consumatori risulteranno esposti a tali sostanze. Allo stato attuale non vi è una completa conoscenza degli effetti tossicologici ed ambientali di queste sostanze, pertanto, al fine di un loro utilizzo in totale sicurezza, risulta necessario capirne meglio l’impatto sulla salute, le vie di penetrazione nel corpo umano e il rischio per i lavoratori conseguente al loro utilizzo o lavorazione. La cute rappresenta la prima barriera nei confronti delle sostanze tossiche che possono entrare in contatto con l’organismo umano. Successivamente agli anni ‘60, quando si riteneva che la cute rappresentasse una barriera totalmente impermeabile, è stato dimostrato come essa presenti differenti gradi di permeabilità nei confronti di alcuni xenobiotici, dipendente dalle caratteristiche delle sostanze in esame, dal sito anatomico di penetrazione, dal grado di integrità della barriera stessa e dall’eventuale presenza di patologie della cute. La mucosa del cavo orale funge da primo filtro nei confronti delle sostanze che entrano in contatto con il tratto digestivo e può venir coinvolta in contaminazioni di superficie determinate da esposizioni occupazionali e/o ambientali. È noto che, rispetto alla cute, presenti una permeabilità all’acqua quattro volte maggiore, e, per tale motivo, è stata studiata come via di somministrazione di farmaci, ma, ad oggi, pochi sono gli studi che ne hanno valutato le caratteristiche di permeazione nei confronti delle nanoparticelle (NPs). Una terza importante barriera biologica è quella che ricopre il sistema nervoso centrale, essa è rappresentata da tre foglietti di tessuto connettivo, che assieme costituiscono le meningi. Questi tre foglietti rivestono completamente l’encefalo permettendone un isolamento, tradizionalmente ritenuto completo, nei confronti degli xenobiotici. L’unica via di assorbimento diretto, in questo contesto, è rappresentata dalla via intranasale. Essa permette un passaggio diretto di sostanze dall’epitelio olfattivo all’encefalo, eludendo la selettiva barriera emato-encefalica. Negli ultimi anni la letteratura scientifica si è arricchita di studi che hanno indagato le caratteristiche di assorbimento di farmaci attraverso questa via, ma pochissimi sono gli studi che hanno indagato la possibile penetrazione di nanoparticelle attraverso questa via, e nessuno, in particolar modo, ha indagato le caratteristiche di permeazione delle meningi. L’attività di ricerca svolta nell’ambito del presente dottorato ha avuto per finalità l’indagine delle caratteristiche di permeabilità e di assorbimento della cute, della mucosa del cavo orale e delle meningi nei confronti di alcune nanoparticelle, scelte fra quelle più rappresentative in relazione alla diffusione d’utilizzo a livello globale. I risultati degli esperimenti condotti hanno dimostrato, in vitro, che l’esposizione cutanea a Pt, Rh, Co3O4 e Ni NPs determinano permeazione in tracce dei medesimi metalli attraverso la cute, mentre per le TiO2 NPs tale permeazione non è stata dimostrata. È stato riscontrato, inoltre, che la mucosa del cavo orale e le meningi sono permeabili nei confronti dell’Ag in forma nanoparticellare.

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As defined by the European Union, “ ’Nanomaterial’ (NM) means a natural, incidental or manufactured material containing particles, in an unbound state or as an aggregate or agglomerate, where, for 50 % or more of the particles in the number size distribution, one or more external dimensions is in the size range 1 nm-100 nm ” (2011/696/UE). Given their peculiar physico-chemical features, nanostructured materials are largely used in many industrial fields (e.g. cosmetics, electronics, agriculture, biomedical) and their applications have astonishingly increased in the last fifteen years. Nanostructured materials are endowed with very large specific surface area that, besides making them very useful in many industrial processes, renders them very reactive towards the biological systems and, hence, potentially endowed with significant hazard for human health. For these reasons, in recent years, many studies have been focused on the identification of toxic properties of nanostructured materials, investigating, in particular, the mechanisms behind their toxic effects as well as their determinants of toxicity. This thesis investigates two types of nanostructured TiO2 materials, TiO2 nanoparticles (NP), which are yearly produced in tonnage quantities, and TiO2 nanofibres (NF), a relatively novel nanomaterial. Moreover, several preparations of MultiWalled Carbon Nanotubes (MWCNT), another nanomaterial widely present in many products, are also investigated.- Although many in vitro and in vivo studies have characterized the toxic properties of these materials, the identification of their determinants of toxicity is still incomplete. The aim of this thesis is to identify the structural determinants of toxicity, using several in vitro models. Specific fields of investigation have been a) the role of shape and the aspect ratio in the determination of biological effects of TiO2 nanofibres of different length; b) the synergistic effect of LPS and TiO2 NP on the expression of inflammatory markers and the role played therein by TLR-4; c) the role of functionalization and agglomeration in the biological effects of MWCNT. As far as biological effects elicited by TiO2 NF are concerned, the first part of the thesis demonstrates that long TiO2 nanofibres caused frustrated phagocytosis, cytotoxicity, hemolysis, oxidative stress and epithelial barrier perturbation. All these effects were mitigated by fibre shortening through ball-milling. However, short TiO2 NF exhibited enhanced ability to activate acute pro-inflammatory effects in macrophages, an effect dependent on phagocytosis. Therefore, aspect ratio reduction mitigated toxic effects, while enhanced macrophage activation, likely rendering the NF more prone to phagocytosis. These results suggest that, under in vivo conditions, short NF will be associated with acute inflammatory reaction, but will undergo a relatively rapid clearance, while long NF, although associated with a relatively smaller acute activation of innate immunity cells, are not expected to be removed efficiently and, therefore, may be associated to chronic inflammatory responses. As far as the relationship between the effects of TiO2 NP and LPS, investigated in the second part of the thesis, are concerned, TiO2 NP markedly enhanced macrophage activation by LPS through a TLR-4-dependent intracellular pathway. The adsorption of LPS onto the surface of TiO2 NP led to the formation of a specific bio-corona, suggesting that, when bound to TiO2 NP, LPS exerts a much more powerful pro-inflammatory effect. These data suggest that the inflammatory changes observed upon exposure to TiO2 NP may be due, at least in part, to their capability to bind LPS and, possibly, other TLR agonists, thus enhancing their biological activities. Finally, the last part of the thesis demonstrates that surface functionalization of MWCNT with amino or carboxylic groups mitigates the toxic effects of MWCNT in terms of macrophage activation and capability to perturb epithelial barriers. Interestingly, surface chemistry (in particular surface charge) influenced the protein adsorption onto the MWCNT surface, allowing to the formation of different protein coronae and the tendency to form agglomerates of different size. In particular functionalization a) changed the amount and the type of proteins adsorbed to MWCNT and b) enhanced the tendency of MWCNT to form large agglomerates. These data suggest that the different biological behavior of functionalized and pristine MWCNT may be due, at least in part, to the different tendency to form large agglomerates, which is significantly influenced by their different capability to interact with proteins contained in biological fluids. All together, these data demonstrate that the interaction between physico-chemical properties of nanostructured materials and the environment (cells + biological fluids) in which these materials are present is of pivotal importance for the understanding of the biological effects of NM. In particular, bio-persistence and the capability to elicit an effective inflammatory response are attributable to the interaction between NM and macrophages. However, the interaction NM-cells is heavily influenced by the formation at the nano-bio interface of specific bio-coronae that confer a novel biological identity to the nanostructured materials, setting the basis for their specific biological activities.

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Lo studio è orientato alla determinazione dei rischi tossici posti dalle nanoparticelle di diossido di titanio rilasciate in ambiente marino. L’organismo modello utilizzato per questo studio è la diatomea Thalassiosira pseudonana, la quale è stata scelta per la sua semplicità biologica unita alla fondamentale rilevanza nella catena alimentare e nell’ecosistema marino. Oltre alle nanoparticelle prodotte industrialmente, questo studio ha lo scopo di determinare e confrontare la tossicità delle nanoparticelle utilizzate in alcuni prodotti di cura personale (in particolare crema solare e dentifricio), estraendole direttamente da essi. I nostri risultati mostrano una notevole ridondanza nel legame tra la natura (il tipo) delle nanoparticelle e l’inibizione della normale crescita delle diatomee, che supera la correlazione con tutti gli altri parametri monitorati (concentrazione di nanoparticelle, tempo di esposizione, pH, carica superficiale e dimensione delle particelle stesse), sebbene gli altri parametri risultino direttamente legati agli effetti inibitori. Tali risultati suggeriscono un’intensificazione della ricerca nell’ambito delle nanotecnologie, orientata allo sviluppo di nanomateriali “sostenibili”, ovvero dei quali sono note le potenzialità di impiego, ma anche gli aspetti negativi, che possono di conseguenza essere monitorati con maggiore consapevolezza.