418 resultados para anfiteatro, archeologia, restauro
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Il progetto di un parco archeologico a Verucchio si sviluppa a partire dall'analisi territoriale, paesaggistica, archeologica, del sito. Il sistema vuole restituire alla città spazi museografici idonei all'importanza del patrimonio rinvenuto. Il progetto, basandosi sull'idea del museo diffuso, si dimensiona con la città e si colloca ai margini di un sistema già definito. Il tema del rapporto col suolo risulta basilare nella composizione sia dal punto di vista delle caratteristiche geologiche del sito sia dal punto di vista progettuale. Il progetto si concretizza in tre edifici principali a carattere museografico, multimediale e ricettivo che si mimetizzano nel paesaggio senza alterare l'equilibrio esistente.
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Progetto di un parco archeologico all'interno del territorio della Valmarecchia. Il progetto comprende un percorso museografico che mette a sistema il patrimonio storico e archeologico del territorio verucchiese.Vengono inseriti all'interno del percorso: un edificio polifunzionale identificato come unità introduttiva, un edificio posto sull'area di scavo e un edificio esplositivo che pone in mostra il patrimonio villanoviano.
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Nel momento in cui si pone il problema del recupero di un qualsivoglia edificio, si dichiarano il riconoscimento e l’accettazione di valori ad esso attribuiti oltre che dalle memorie individuali, anche da istanze culturali attente alle categorie della monumentalità (valore artistico/storico) o della semplice oggettualità del documento materiale (valore storico/documentale) ed infine da quelle economiche, orientate allo sfruttamento del valore utilitaristico del bene. Il progetto di recupero dell'ex fornace Verni - Vannoni si inserisce in una più vasta proposta di riassetto dell’area circostante, con l’obiettivo di recuperare l’identità che il complesso produttivo rivestiva all’interno del contesto urbano bellariese. La rifunzionalizzazione integrata della fabbrica si concretizza a conclusione della ricerca condotta sulle reali esigenze della città e sull’oggetto architettonico: il tentativo è quello di ricercare il “codice genetico” dell’edificio, analizzando la sua natura a partire dalla sua storia, per poi giungere fino alla comprensione delle sue qualità, sia tipologico-compositive, sia materiche che costruttive.
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L’oggetto di studio di questa tesi è la Colonia Reggiana, edificio di stampo razionalista realizzata nel 1934. Obiettivo della tesi è la realizzazione un progetto di restauro e riuso per questa struttura, a seguito di un approfondita ricerca. Nelle fase iniziale si è cercato di ampliare lo sguardo uscendo dal tema proposto, con l’intenzione di comprendere il perché della nascita di questo “fenomeno colonie” che ha interessato l’Italia dalla metà dell’800 fino al secondo dopoguerra, nonché l’evoluzione del significato di queste strutture e della loro architettura nel periodo coinvolto. La seconda fase, invece, è stata impostata sull’intima conoscenza della Colonia Reggiana, partendo dal 1933 (anno in cui si ritrovano i primi documenti che riguardano tale progetto) fino ai giorni nostri: declinando gli aspetti fondamentali riscontrati nella prima fase di ricerca su questo edificio e analizzando le singole parti di ciò che a noi è pervenuto della struttura, si è potuto arrivare a rilevare molti aspetti significativi per lo sviluppo delle ipotesi progettuali. L’ultima fase è appunto caratterizzata dallo sviluppo del progetto di restauro e riuso: il concetto fondamentale che si pone alla base è quello della coerenza con le analisi effettuate e di sviluppo di un riutilizzo che possa essere adeguato alle occasioni progettuali che l’area offre.
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Progetto per un museo archeologico a Verucchio. Inserimento dell'edificio nel contesto territoriale e paesaggistico attraverso la progettazione di un vasto parco che si apre verso la Valmarecchia.
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Ad un progetto architettonico, sia che si parli di composizione che di restauro, si dovrebbe assegnare un motto il quale, insito direttamente nell'idea progettuale , abbia la capacità di dare forza al lavoro stesso sia, simultaneamente, di motivare il progettista nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. "Ritorno al castello" diviene quindi il motto più consono per il progetto (che ci si appresta a sviluppare) di recupero dell'edificio monumentale noto come "castello" di Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona. Come motto "Ritorno al castello" racchiude in se tre fondamentali chiavi di lettura: innanzitutto fa riferimento al ritorno, dopo adeguato restauro conservativo, del manufatto storico architettonico come fulcro urbanistico monumentale principale del paese. Tale significativa architettura infatti nel tempo ha mutato forma e funzione andando a perdere il suo ruolo nella vita del paese "scadendo" nel dimenticatoio degli abitanti stessi tanto da passare quasi inosservata. In secondo luogo il ritornare è riferito agli abitanti stessi che, nel voler riscoprire il loro castello attraverso la futura destinazione ad uso pubblico, saranno spinti, come antichi pellegrini a raggiungere la rocca. In ultimo nel motto vi è insita la nuova destinazione d'uso. Un tempo i castelli non rappresentavano soltanto baluardi difensivi, dimore del Signore e della sua corte ma al contempo erano luoghi dove venivano coltivate arte, musica e poesia, ospitando talvolta i grandi illuminati dell'epoca. In un certo qual modo i castelli potevano definirsi roccaforti della cultura e del sapere ed il "ritono" sta appunto nel portare il castello di Castelnuovo a diventare un edificio pubblico per la cultura.
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L’attenzione dei pochi automobilisti che oggi passano velocemente per via Cavalli, nella frazione di Santa Maria Nuova, sotto il comune di Bertinoro (FC), non viene attirata dal palazzo settecentesco seminascosto dalla vegetazione che cresce incolta. L’edificio potrebbe passare per un casolare di campagna abbandonato, senza alcuna pretesa di bellezza, mutilato dei suoi terreni. Solo salendo lo scalone dissestato si può scoprire la ricchezza delle decorazione interne, stucchi baroccheggianti con maschere di volti provenienti da terre lontane e abbondanti cornucopie che circondano lo stemma della famiglia Cavalli. La piccola cappella della villa, in perfetto stato di conservazione, mostra, con un trionfo di stucchi, l’assunzione della Vergine al cielo, osservata dai santi Pietro e Paolo. Le quattro stanze centrali del piano nobile sono finemente dipinte con paesaggi marini e lacustri, stanze sepolcrali egizie e atrii di templi antichi. La ravennate famiglia dei marchesi Cavalli, una delle più ricche della zona nel XVIII e XIX secolo, utilizzava la villa come luogo di villeggiatura e come casino per la caccia. Testimonianze della loro presenza sono conservate nelle mappe storiche all’Archivio del Comune di Bertinoro e nell’Archivio parrocchiale di Santa Maria Nuova, dove si trovano descrizioni della ricchezza sia dell’edificio che delle terre possedute dai marchesi. Il complesso di villa Cavalli ha subito numerosi passaggi di proprietà dal 1900 ad oggi, è stato utilizzato come magazzino, pollaio, essiccatoio per il tabacco e le sue proprietà sono state frazionate fino a ridursi al piccolo parco presente oggi. Poiché gli attuali proprietari non possono garantire né la manutenzione ordinaria né quella straordinaria e il complesso è tutelato dal D. Lgs. 42/2004 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio è stato messo all’asta per tre volte, l’ultima nel dicembre 2011, senza risultato. La tesi sviluppa un’analisi dello stato di fatto della villa e del parco, partendo dal suo inserimento nel territorio fino allo studio dei dettagli costruttivi, per giungere ad un’ipotesi di progetto che vede il complesso strettamente legato a Santa Maria Nuova e alla sua gente. L’edificio fungerà da centro culturale, con mostre permanenti e temporanee, laboratori didattici, ludoteca per bambini e ospiterà la sede distaccata della biblioteca del comune di Bertinoro, ora inserita in un edificio di Santa Maria Nuova ma con dimensioni estremamente limitate. Si intendono effettuare interventi di consolidamento strutturale su tutti i solai della villa, su volte e copertura, con un atteggiamento di delicatezza verso il piano nobile, agendo dal piano inferiore e da quello superiore. Capitoli specifici trattano il restauro delle finiture e delle superfici dipinte e stuccate, per finire con l’intervento di adeguamento impiantistico e di valorizzazione del parco.
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Le pietre artificiali ed i cementi artistici utilizzati durante la stagione Liberty rappresentano tutt’oggi un patrimonio artistico non ancora sufficientemente studiato. In seguito ad una ricerca bibliografica su testi e riviste dei primi anni del Novecento, è stata eseguita una ricognizione del patrimonio architettonico emiliano-romagnolo, al fine di valutarne i materiali e le tipologie di degrado più diffuse. Le città e le zone oggetto di studio sono state: Bologna, Ferrara, Modena e provincia, Reggio Emilia, Parma, Firenze, la Romagna e le Marche settentrionali. Tra gli edifici individuati sono state analizzate le decorazioni e gli intonaci di tre edifici ritenuti particolarmente significativi: il villino Pennazzi (noto anche come Villa Gina) a Borgo Panigale (Bologna), villa Verde a Bologna e l’ex-albergo Dorando Pietri a Carpi. Da tali edifici sono stati selezionati campioni rappresentativi delle diverse tipologie di decorazioni in pietra artificiale e successivamente sono stati caratterizzati in laboratorio tramite diffrattometria a raggi x (XRD), termogravimetria (TGA), microscopio ottico in sezioni lucide, microscopio elettronico a scansione (SEM) e porosimetria ad intrusione di mercurio (MIP). In particolare per Villa Verde sono state formulate e caratterizzate diverse tipologie di malte variando il tipo di legante ed il rapporto acqua/cemento, al fine di garantire la compatibilità fisico-meccanica con il supporto negli interventi di risarcimento delle lacune previsti nel restauro. L’attività sperimentale svolta ha permesso di mettere a punto un vero e proprio protocollo diagnostico per il restauro di questo tipo di decorazioni che potrà essere utilizzato sia nei casi di studio analizzati che per ogni futuro intervento.
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Il Soprintendente Alfredo Barbacci fu uomo di poliedrica formazione, perito nell’uso di metodiche innovative di restauro ed esperto delle tecniche di ricomposizione delle forme architettoniche dei complessi monumentali, danneggiati dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Quel che, questo studio ha inteso indagare e comprendere, attraverso un approccio critico, sostanziato dalle carte d’archivio, è fondamentalmente il contributo, da egli ha offerto circa la valenza storica e architettonica del tessuto connettivo di base della città, da cui si originava - negli anni della sua attività - l’idea ancora inedita di un bene culturale e sociale nuovo: il centro storico tutto, con annessi monumenti, complessi architettonici nobili ed edilizia minore, di base. Dando avvio all’analisi sistematica delle teorie e della prassi di Alfredo Barbacci e alla lettura puntuale dei suoi scritti, sono stati razionalizzati il significato, le valenze e le implicazioni del termine edilizia minore all’interno del più ampio contesto del restauro dell’edilizia monumentale e alla luce degli elementi di tendenza, portati all’attenzione dal dibattito delle diverse scuole di pensiero sul restauro, a partire dai primi anni del sec. XX fino agli anni Settanta dello scorso secolo. Concretamente vi si evidenziano interessanti intuizioni e dichiarazioni, afferenti la necessità di un restauro del tipo integrato, da intendersi come strumento privilegiato di intervento sul tessuto nobile e meno nobile della città antica. Al termine della sua carriera, il contributo del Soprintendente Barbacci al dibattito scientifico si documenta da sé, nella compilazione a sua firma di quella parte della Relazione Franceschini, in cui si dava proposta di un corpo normativo alla necessità di guardare alla città storica come a un bene culturale e sociale, insistendo come al suo interno era d’uopo mantenere, nel corso di interventi restaurativi, un razionale equilibrio tra monumento ed edilizia minore già storicizzata e che non escludesse anche l’apparato paesaggistico di contorno.
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L'ex Palazzo Magi è opera databile attorno al 1773 ed attribuibile al progetto di due importanti architetti di Pesaro, ovvero Gian Andrea Lazzarini e il suo allievo Tommaso Bicciaglia. Quest'ultimo sembra al momento esserne il vero artefice. Commissionato da Francesco Magi sorse su quello che precedentemente era uno spazio pubblico e per questo probabilmente reca lo stemma del Comune di Saludecio nel concio di chiave del portale d'accesso. Negli anni, il Palazzo è stato soggetto a numerosi interventi che ne hanno alterato la percezione e ne hanno occultato parte delle decorazioni. Tramite il progetto, si è intervenuto concettualmente e concretamente in due maniere differenti sul Palazzo e sui due giardini. Per il Palazzo e per il giardino ad esso adiacente, si assumerà un atteggiamento di restauro e conservazione, mentre per il secondo giardino di valorizzazione entrambe volte a rendere possibile la lettura dell’opera nel suo complesso. La galleria del piano nobile, con la sua bellezza e ricchezza, assumerà insieme al giardino adiacente al prospetto secondario, un carattere di rappresentanza differente dal giardino frutteto. Tutti gli interventi di progetto saranno minimi e localizzati contribuendo a far riemergere lo splendore che ha reso il Palazzo degno di esser tutelato. L’intento progettuale è stato quello di inserire i tre nuovi volumi all’interno di un progetto unitario rispettoso della valenza storica dell’edificio preesistente. Per questo si è cercato di stabilire un dialogo tra i nuovi volumi tramite l’utilizzo dei medesimi materiali e del medesimo linguaggio architettonico. Inoltre le nuove costruzioni non alterano in alcun modo l’identità del palazzo cercando piuttosto di diventarne parte integrante.
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Abbiamo deciso di sviluppare il progetto di architettura e museografia a Verucchio con due interventi principali: uno a Pian del Monte, l'altro nei pressi dell'ex convento di Santa Chiara.
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L’idea di creare un museo diffuso a scala urbana è dettata dalle grandi potenzialità che ha la città di Verucchio, sia in termini storico – culturali che paesaggistiche. L’intera città viene quindi considerata come oggetto di studio di progetto, ma a due scale differenti: una scala urbana nella sua interezza ed una riferita più precisamente alla nuova espansione di Pian del Monte. La prima cerca di soddisfare tutte quelle mancanze di collegamento o di valorizzazione dei percorsi o dei singoli manufatti che attualmente sono isolati dal contesto paesaggistico. L’idea di museo diffuso a scala urbana è giustificata proprio dalla volontà di non dare un’immagine settorizzata della storia, ma piuttosto dell’evolversi della città in tutte le sue parti. Si cerca quindi di dare un’idea storica di continua evoluzione e stratificazione fino ai giorni nostri e con i nostri interventi progettuali. La seconda, si riferisce allo studio dell’area di Pian del Monte, zona che ospitava l’antico insediamento abitativo villanoviano e poi etrusco. Proprio in quest’area cerchiamo di approfondire il tema del museo e parco archeologico all’interno del sistema urbano. L’obbiettivo principale del progetto di tesi è stato quello di riuscire a riconciliare due parti di città che allo stato attuale non dialogano più fra loro ma in modo indipendente ed isolato. Quindi il primo obbiettivo è stato quello di ricucire quella frattura creata col tempo che è presente oltrepassando le mura antiche ed entrando in Pian del Monte; si tratta perciò prima di tutto di cercare di dare una soluzione ad un problema a scala urbana e poi successivamente concentrarsi sui singoli elementi che compongono il progetto. I temi del progetto sono quindi rivolti al consolidamento della città nella sua interezza e non nell’addizione di più parti che creano un intero. Proprio per questo abbiamo cercato di ridare voce ai resti archeologici attraverso una musealizzazione puntuale e contemporaneamente dare importanza ad una zona che ospitava l’abitato villanoviano rendendola parte integrante della città. L’approccio tenuto è quello di un progetto di architettura per la città, volto a risolvere la frattura fra le due parti di città creando in Pian del Monte un centro alternativo a quello storico.
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Pistoia rientra a buon diritto, nel quadro della Toscana medievale, in quella rete di centri urbani di antica origine e tradizione diocesana che riuscirono a costruire, nella dialettica fra città e territorio, un organismo politico autonomo, il comune cittadino. La ricerca prende in considerazione i resti materiali delle strutture conservate nel tessuto urbano attuale, in particolare l'edilizia civile, prediligendo la cosiddetta “edilizia minore”, ovvero gli edifici residenziali non monumentali che, proprio per questo motivo, sono generalmente poco conosciuti. Le strutture, censite ed inserite in una piattaforma GIS (Arpenteur), sono analizzate con metodo archeologico al fine di distinguere le diverse fasi costruttive, medievali e post-medievali, con cui sono giunte fino ad oggi. L'analisi stratigrafica, effettuata su rilievi realizzati mediante modellazione 3D (Photomodeler), ha permesso di costruire un primo “atlante” delle tipologie murarie medievali della città: i tipi murari assumono quindi la funzione di indicatori cronologici degli edifici analizzati. I dati stratigrafici, uniti al dato topologico dei complessi architettonici (localizzati prevalentemente nel centro storico, all'interno del circuito murario della metà del XII secolo), hanno fornito informazioni sia per quanto riguarda l'aspetto materiale degli edifici di abitazione (forma, dimensioni, materiali) sia per quanto riguarda temi di topografia storica (viabilità maggiore e minore, formazione dei borghi, orizzonte sociale degli abitanti, distribuzione della proprietà), nel periodo della “parabola” della Pistoia comunale (XII-XIII secolo). In conclusione, la ricerca vuole essere sia uno strumento di analisi per la storia delle trasformazioni delle città nel periodo comunale, sia uno strumento di conoscenza e tutela di un patrimonio storico-archeologico che, per la sua natura non-monumentale spesso sfugge all'attenzione di amministratori ed urbanisti.
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Il degrado della pietra è un processo che causa la perdita di parti importanti del patrimonio architettonico, per tale ragione è importante intervenire con restauri conservativi. Per il caso specifico della fase del consolidamento, attualmente l'interesse è tornato su prodotti inorganici, perchè più compatibili con la pietra. In particolare i trattamenti a base di idrossiapatite sembrano molto promettenti perchè conferiscono coesione alla pietra degradata, senza alterarne la porosità e la permeabilità naturali, aspetto che non si riscontra per altri tipi di consolidanti.