1000 resultados para TERAPIA CON PERROS
Resumo:
Premessa: nell’aprile 2006, l’American Heart Association ha approvato la nuova definizione e classificazione delle cardiomiopatie (B. J. Maron e coll. 2006), riconoscendole come un eterogeneo gruppo di malattie associate a disfunzione meccanica e/o elettrica riconducibili ad un ampia variabilità di cause. La distinzione tra le varie forme si basa non più sui processi etiopatogenetici che ne sono alla base, ma sulla modalità di presentazione clinica della malattia. Si distinguono così le forme primarie, a prevalente od esclusivo interessamento cardiaco, dalle forme secondarie in cui la cardiomiopatia rientra nell’ambito di un disordine sistemico dove sono evidenziabili anche disturbi extracardiaci. La nostra attenzione è, nel presente studio, focalizzata sull’analisi delle cardiomiopatie diagnosticate nei primi anni di vita in cui si registra una più alta incidenza di forme secondarie rispetto all’adulto, riservando un particolare riguardo verso quelle forme associate a disordini metabolici. Nello specifico, il nostro obiettivo è quello di sottolineare l’influenza di una diagnosi precoce sull’evoluzione della malattia. Materiali e metodi: abbiamo eseguito uno studio descrittivo in base ad un’analisi retrospettiva di tutti i pazienti giunti all’osservazione del Centro di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e dell’ Età Evolutiva del Policlinico S. Orsola- Malpighi di Bologna, dal 1990 al 2006, con diagnosi di cardiomiopatia riscontrata nei primi due anni di vita. Complessivamente sono stati studiati 40 pazienti di cui 20 con cardiomiopatia ipertrofica, 18 con cardiomiopatia dilatativa e 2 con cardiomiopatia restrittiva con un’età media alla diagnosi di 4,5 mesi (range:0-24 mesi). Per i pazienti descritti a partire dal 2002, 23 in totale, sono state eseguite le seguenti indagini metaboliche: emogasanalisi, dosaggio della carnitina, metabolismo degli acidi grassi liberi (pre e post pasto), aminoacidemia quantitativa (pre e post pasto), acidi organici, mucopolisaccaridi ed oligosaccaridi urinari, acilcarnitine. Gli stessi pazienti sono stati inoltre sottoposti a prelievo bioptico di muscolo scheletrico per l’analisi ultrastrutturale, e per l’analisi dell’attività enzimatica della catena respiratoria mitocondriale. Nella stessa seduta veniva effettuata la biopsia cutanea per l’eventuale valutazione di deficit enzimatici nei fibroblasti. Risultati: l’età media alla diagnosi era di 132 giorni (range: 0-540 giorni) per le cardiomiopatie ipertrofiche, 90 giorni per le dilatative (range: 0-210 giorni) mentre le 2 bambine con cardiomiopatia restrittiva avevano 18 e 24 mesi al momento della diagnosi. Le indagini metaboliche eseguite sui 23 pazienti ci hanno permesso di individuare 5 bambini con malattia metabolica (di cui 2 deficit severi della catena respiratoria mitocondriale, 1 con insufficienza della β- ossidazione per alterazione delle acilcarnitine , 1 con sindrome di Barth e 1 con malattia di Pompe) e un caso di cardiomiopatia dilatativa associata a rachitismo carenziale. Di questi, 4 sono deceduti e uno è stato perduto al follow-up mentre la forma associata a rachitismo ha mostrato un netto miglioramento della funzionalità cardiaca dopo appropriata terapia con vitamina D e calcio. In tutti la malattia era stata diagnosticata entro l’anno di vita. Ciò concorda con gli studi documentati in letteratura che associano le malattie metaboliche ad un esordio precoce e ad una prognosi infausta. Da un punto di vista morfologico, un’evoluzione severa si associava alla forma dilatativa, ed in particolare a quella con aspetto non compaction del ventricolo sinistro, rispetto alla ipertrofica e, tra le ipertrofiche, alle forme con ostruzione all’efflusso ventricolare. Conclusioni: in accordo con quanto riscontrato in letteratura, abbiamo visto come le cardiomiopatie associate a forme secondarie, ed in particolare a disordini metabolici, sono di più frequente riscontro nella prima infanzia rispetto alle età successive e, per questo, l’esordio molto precoce di una cardiomiopatia deve essere sempre sospettata come l’espressione di una malattia sistemica. Abbiamo osservato, inoltre, una stretta correlazione tra l’età del bambino alla diagnosi e l’evoluzione della cardiomiopatia, registrando un peggioramento della prognosi in funzione della precocità della manifestazione clinica. In particolare la diagnosi eseguita in epoca prenatale si associava, nella maggior parte dei casi, ad un’evoluzione severa, comportandosi come una variabile indipendente da altri fattori prognostici. Riteniamo, quindi, opportuno sottoporre tutti i bambini con diagnosi di cardiomiopatia effettuata nei primi anni di vita ad uno screening metabolico completo volto ad individuare quelle forme per le quali sia possibile intraprendere una terapia specifica o, al contrario, escludere disordini che possano controindicare, o meno, l’esecuzione di un trapianto cardiaco qualora se ne presenti la necessità clinica.
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Il trauma cranico é tra le piú importanti patologie traumatiche. Ogni anno 250 pazienti ogni 100.000 abitanti vengono ricoverati in Italia per un trauma cranico. La mortalitá é di circa 17 casi per 100.000 abitanti per anno. L’Italia si trova in piena “media” Europea considerando l’incidenza media in Europa di 232 casi per 100.000 abitanti ed una mortalitá di 15 casi per 100.000 abitanti. Degli studi hanno indicato come una terapia anticoagulante é uno dei principali fattori di rischio di evolutiviá di una lesione emorragica. Al contrario della terapia anticoagulante, il rischio emorragico correlato ad una terapia antiaggregante é a tutt’oggi ancora in fase di verifica. Il problema risulta rilevante in particolare nella popolazione occidentale in quanto l’impiego degli antiaggreganti é progressivamente sempre piú diffuso. Questo per la politica di prevenzione sostenuta dalle linee guida nazionali e internazionali in termini di prevenzione del rischio cardiovascolare, in particolare nelle fasce di popolazione di etá piú avanzata. Per la prima volta, é stato dimostrato all’ospedale di Forlí[1], su una casistica sufficientemente ampia, che la terapia cronica con antiaggreganti, per la preven- zione del rischio cardiovascolare, puó rivelarsi un significativo fattore di rischio di complicanze emorragiche in un soggetto con trauma cranico, anche di grado lieve. L’ospedale per approfondire e convalidare i risultati della ricerca ha condotto, nell’anno 2009, una nuova indagine. La nuova indagine ha coinvolto oltre l’ospedale di Forlí altri trentuno centri ospedalieri italiani. Questo lavoro di ricerca vuole, insieme ai ricercatori dell’ospedale di Forlí, verificare: “se una terapia con antiaggreganti influenzi l’evolutivitá, in senso peggiorativo, di una lesione emorragica conseguente a trauma cranico lieve - moderato - severo in un soggetto adulto”, grazie ai dati raccolti dai centri ospedalieri nel 2009. Il documento é strutturato in due parti. La prima parte piú teorica, vuole fissare i concetti chiave riguardanti il contesto della ricerca e la metodologia usata per analizzare i dati. Mentre, la seconda parte piú pratica, vuole illustrare il lavoro fatto per rispondere al quesito della ricerca. La prima parte é composta da due capitoli, che sono: • Il capitolo 1: dove sono descritti i seguenti concetti: cos’é un trauma cra- nico, cos’é un farmaco di tipo anticoagulante e cos’é un farmaco di tipo antiaggregante; • Il capitolo 2: dove é descritto cos’é il Data Mining e quali tecniche sono state usate per analizzare i dati. La seconda parte é composta da quattro capitoli, che sono: • Il capitolo 3: dove sono state descritte: la struttura dei dati raccolti dai trentadue centri ospedalieri, la fase di pre-processing e trasformazione dei dati. Inoltre in questo capitolo sono descritti anche gli strumenti utilizzati per analizzare i dati; • Il capitolo 4: dove é stato descritto come é stata eseguita l’analisi esplorativa dei dati. • Il capitolo 5: dove sono descritte le analisi svolte sui dati e soprattutto i risultati che le analisi, grazie alle tecniche di Data Mining, hanno prodotto per rispondere al quesito della ricerca; • Il capitolo 6: dove sono descritte le conclusioni della ricerca. Per una maggiore comprensione del lavoro sono state aggiunte due appendici. La prima tratta del software per data mining Weka, utilizzato per effettuare le analisi. Mentre, la seconda tratta dell’implementazione dei metodi per la creazione degli alberi decisionali.
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Come noto, il testosterone (T) gioca un ruolo importante in differenti funzioni fisiologiche. Il ruolo del T nelle donne è tuttavia largamente sconosciuto. Recenti studi riportano un ruolo del T nella modulazione della funzionalità sessuale femminile. SCOPO: Indagare gli effetti del T nelle donne, su parametri metabolici, ossei e composizione corporea e studiare gli effetti del T sulla proliferazione e innervazione della vagina. METODI: 16 soggetti FtM ovariectomizzati sono stati sottoposti a terapia con TU 1000 mg im + placebo o dutasteride. Alla settimana 0 e 54 sono stati valutati: parametri metabolici e composizione corporea. 16 campioni di tessuto vaginale ottenuti da soggetti FtM trattati con T, 16 donne PrM e 16 donne M sono stati analizzati. Sono stati valutati: morfologia, contenuto di glicogeno, espressione del Ki-67, recettori per estrogeni e androgeni ed innervazione. RISULTATI: La somministrazione di T in soggetti FtM determina aumento del colesterolo LDL e riduzione delle HDL. L’HOMA si riduce significativamente nel gruppo TU e tende ad aumentare nel gruppo TU+D. L’ematocrito aumenta. BMI, WHR e grasso tendono a ridursi, la massa magra ad aumentare. Non riportiamo cambiamenti del metabolismo osseo. Nel tessuto vaginale di FtM osserviamo perdita della normale architettura dell’epitelio. La somministrazione di T determina riduzione della proliferazione cellulare. I recettori per E e il PGP 9.5 sono significativamente ridotti nei FtM. La presenza di recettori per A è dimostrata nello stroma e nell’epitelio. L’espressione di AR si riduce con l’età e non cambia con la terapia con T nella mucosa, mentre aumenta nello stroma dopo somministrazione di T. CONCLUSIONI: Non riportiamo effetti avversi maggiori dopo somministrazione di T. La terapia con T determina ridotta proliferazione dell’epitelio vaginale. I recettori per AR sono presenti sia nello stroma che nell’epitelio. T aumenta l’espressione di AR nello stroma.
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We aimed to evaluate the role of anti-TNF-alpha therapy with infliximab and adalimumab in a cohort of pediatric patients followed by our Center from 2002 to 2012. The cohort of patients examined consisted of 40 patients: 34 with Crohn disease (85%), 5 with ulcerative colitis (12.5%), one with chronic pouchitis after IPAA for ulcerative colitis (2.5%). All patients were treated with the anti-TNF-α biologic agents infliximab and adalimumab. Thirty-six received infliximab therapy: 19/36 received only infliximab, 17/36 received infliximab and then adalimumab due to loss of response to infliximab and steroid dependency; 4 patients received only adalimumab (infliximab-naïve). Anti-TNF treatment was started before 18 years of age in 34 patients: 29 received infliximab and 5 started adalimumab during childhood. Medical charts were reviewed and safety and efficacy of anti-TNF-alpha have been determined in this population.
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La sindrome di Cushing (SC) è una delle endocrinopatie più comuni nel cane. La diagnosi richiede l'integrazione di anamnesi, segnalamento, segni clinici, esami ematobiochimici, test endocrini specifici e diagnostica per immagini . Nel corso degli anni diversi sono i principi attivi testati per la terapia della SC del cane. In passato, il mitotane è stato il farmaco più utilizzato, sebbene il suo uso risulti complicato e non privo di potenziali effetti collaterali. Recentemente, il trilostano ha dimostrato di essere un trattamento efficace per il controllo dei sintomi ed è stato approvato per tale uso nel cane. Al fine di testare metodiche non invasive per la diagnosi di SC nel cane abbiamo valutato le concentrazioni di cortisolo nel pelo (HCC) .Queste risultavano significativamente più elevate nei cani con SC rispetto ai cani sani e malati. Questo test può essere quindi considerato una procedura diagnostica non invasiva in cani con un elevato sospetto di SC. Inoltre, a causa della difficile reperibilità dell’ACTH esogeno sono state valutate le concentrazioni di cortisolo basale come strumento di monitoraggio in cani con SC trattati con trilostano. Tuttavia la singola valutazione del cortisolo basale non rappresenta un parametro efficace ed accurato per il monitoraggio della terapia con trilostano. Sono stati inoltre valutati i fattori prognostici in cani con SC alla diagnosi. L' iperfosfatemia è risultata un riscontro comune nei cani SC, rappresentando un fattore prognostico negativo. La terapia chirurgica non è una procedura di routine nella SC del cane, tuttavia abbiamo descritto l'approccio di ipofisectomia transsfenoidale in un Galgo spagnolo di 8 anni con SC . Il cane è stato sottoposto per due volte ad ipofisectomia transsfenoidale che ha permesso di rimuovere completamente il macroadenoma ipofisario. In conclusione, questi studi ci hanno permesso di indagare alcuni aspetti patogenetici, clinici e diagnostici della SC del cane.
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Studio prospettico su 75 pazienti con malattia paranale di Crohn che ha come obiettivo quello di confrontare i risultati tra le nuove terapie medico-chirurgiche emergenti. La prima procedura è comune a tutti i pazienti e consiste in un intervento di incisione degli ascessi, fistulectomia e posizionamento di setoni di drenaggio nei tramiti fistolosi per il controllo della sepsi.Successivamente i pazienti vengono divisi in cinque gruppi e sottoposti ai trattamenti per la chiusura dei tramiti fistolosi: terapia sistemica con Infliximab,terapia sistemica con Adalimumab,confezionamento di Flap endoanale, instillazione di colla di fibrina o posizionamento di protesi biologiche. Abbiamo osservato una chiusura completa dei tramiti fistolosi nel 60% dei pazienti trattati con Infliximab, 53% di quelli trattati con Adalimumab, 40% di quelli in terapia con colla di fibrina, 80% di quelli sottoposti a Flap endoanale e 60% di quelli trattati con protesi biologiche. Gli ottimi risultati raggiunti in con le diverse metodiche di trattamento chirurgico locale rappresentano una valida alternativa alla terapia con farmaci biologici. Tali nuove metodiche risultano anzi fondamentali per il trattamento di quei pazienti che dopo una terapia con farmaci biologici non hanno raggiunto una completa risoluzione del quadro (rescue therapy). Terapia biologica e nuove tecniche chirurgiche risultano pertanto complementari, la prima contribuendo al miglioramento della qualità della mucosa del canale anale e del retto basso sulla quale risulta quindi più agevole agire con le seconde con una percentuale di successo sempre maggiore.
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Introduzione Attualmente i principali punti critici del trattamento dell’HCC avanzato sono: 1) la mancanza di predittori di risposta alla terapia con sorafenib, 2) lo sviluppo resistenze al sorafenib, 3) la mancanza di terapie di seconda linea codificate. Scopo della tesi 1) ricerca di predittori clinico-laboratoristici di risposta al sorafenib in pazienti ambulatoriali con HCC; 2) valutazione dell’impatto della sospensione temporanea-definitiva del sorafenib in un modello murino di HCC mediante tecniche ecografiche; 3) valutazione dell’efficacia della capecitabina metronomica come seconda linea dell’HCC non responsivo a sorafenib. Risultati Studio-1: 94 pazienti con HCC trattato con sorafenib: a presenza di metastasi e PVT-neoplastica non sembra inficiare l’efficacia del sorafenib. AFP basale <19 ng/ml è risultata predittrice di maggiore sopravvivenza, mentre lo sviluppo di nausea di una peggiore sopravvivenza. Studio -2: 14 topi con xenografts di HCC: gruppo-1 trattato con placebo, gruppo-2 trattato con sorafenib con interruzione temporanea del farmaco e gruppo-3 trattato con sorafenib con sospensione definitiva del sorafenib. La CEUS targettata per il VEGFR2 ha mostrato al giorno 13 valori maggiori di dTE nel gruppo-3 confermato da un aumento del VEGFR2 al Western-Blot. I tumori del gruppo-2 dopo 2 giorni di ritrattamento, hanno mostrato un aumento dell’elasticità tissutale all’elastonografia. Studio-3:19 pazienti trattati con capecitabina metronomica dopo sorafenib. Il TTP è stato di 5 mesi (95% CI 0-10), la PFS di 3,6 mesi (95% CI 2,8-4,3) ed la OS di 6,3 mesi (95% CI 4-8,6). Conclusioni Lo sviluppo di nausea ed astenia ed AFP basale >19, sono risultati predittivi di una minore risposta al sorafenib. La sospensione temporanea del sorafenib in un modello murino di HCC non impedisce il ripristino della risposta tumorale, mentre una interruzione definitiva tende a stimolare un “effetto rebound” dell’angiogenesi. La capecitabina metronomica dopo sorafenib ha mostrato una discreta attività anti-neoplastica ed una sicurezza accettabile.
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In Medicina Veterinaria l'avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti è conosciuto e studiato ormai da anni, essendo una delle intossicazioni più comunemente riscontrate nelle specie non target. In letteratura si rinvengono numerose pubblicazioni ma alcuni aspetti sono rimasti ancora inesplorati.Questo studio si propone di valutare il processo infiammatorio, mediante le proteine di fase acuta (APPs), in corso di fenomeni emorragici, prendendo come modello reale un gruppo di soggetti accidentalmente avvelenati da rodenticidi anticoagulanti. I 102 soggetti avvelenati presentano un valore più elevato di proteina C reattiva (CRP)con una mediana di 4.77 mg/dl statisticamente significativo rispetto alla mediana delle due popolazioni di controllo di pari entità numerica create con cross match di sesso, razza ed età; rispettivamente 0.02 mg/dl dei soggetti sani e 0.37 mg/dl dei soggetti malati di altre patologie. Inoltre all'interno del gruppo dei soggetti avvelenati un valore di CRP elevato all'ammissione può predisporre al decesso. La proteina C reattiva assume quindi un ruolo diagnostico e prognostico in questo avvelenamento. Un'altra finalità, di non inferiore importanza, è quella di definire una linea guida terapeutica con l'ausilio di biomarker coagulativi e di valutare la sicurezza della vitamina K per via endovenosa: in 73 cani, non in terapia con vitamina k, intossicati da rodenticidi anticoagulanti, i tempi della coagulazione (PT ed aPTT) ritornano nel range di normalità dopo 4 ore dalla prima somministrazione di 5 mg/kg di vitamina k per via endovenosa e nessun soggetto durante e dopo il trattamento ha manifestato reazioni anafilattiche, nessuno dei pazienti ha necessitato trasfusione ematica e tutti sono sopravvissuti. Infine si è valutata l'epidemiologia dell'ingestione dei prodotti rodenticidi nella specie oggetto di studio e la determinazione dei principi attivi mediante cromatografia liquida abbinata a spettrofotometria di massa (UPLC-MS/MS).
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In adroterapia vengono usati fasci di ioni (protoni e ioni carbonio) per il trattamento di tumori profondi; queste particelle possiedono molti vantaggi rispetto ai fotoni utilizzati nella radioterapia convenzionale. Il profilo dose-profondità di questi ioni è caratterizzato da una bassa dose nel canale di entrata e da un massimo molto pronunciato (picco di Bragg) nei pressi della fine del loro percorso: poiché l’ascissa di tale massimo dipende dall’energia del fascio, essa può essere cambiata semplicemente variando tale parametro. Inoltre, grazie alla carica elettrica posseduta da queste particelle, è possibile controllare sempre meglio anche le restanti due dimensioni riuscendo ad indirizzare il fascio sul target con precisione notevole riuscendo così a risparmiare i tessuti sani e le strutture critiche del nostro organismo. Mentre la protonterapia, grazie ai quasi cinquanta centri attualmente in funzione, sta diventando uno dei trattamenti standard per la cura dei tumori più difficili, la terapia con ioni carbonio è ancora ristretta a meno di dieci strutture, una delle quali è il CNAO con sede a Pavia. L’utilizzo di ioni carbonio presenta ulteriori vantaggi rispetto ai protoni, tra i quali un picco di Bragg con una larghezza minore e un diverso effetto radiobiologico: ciò rende gli ioni carbonio l’unica opzione praticabile nel trattamento di tumori radioresistenti. Questo lavoro è una rassegna dei sistemi e dei metodi utilizzati in adroterapia e del loro sviluppo: se ne evince che l’ostacolo maggiore alla diffusione di questa pratica è rappresentato dall’elevato costo del trattamento. La Sezione di Bologna dell’INFN e il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna possiedono competenze relativamente a diverse tecnologie avanzate, tra cui il progetto per acceleratori "tascabili", che potrebbero ridurre drasticamente il costo della terapia. In tale ambito, la presente tesi costituisce uno studio preliminare alla costituzione di un gruppo di ricerca sull’adroterapia a Bologna in piena collaborazione con altre Sezioni dell’INFN, con le Divisioni di Radioterapia ospedaliere e con altre realtà nazionali ed internazionali.
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La Diabetes mellitus es una enfermedad caracterizada por la insuficiente o nula producción de insulina por parte del páncreas o la reducida sensibilidad del organismo a esta hormona, que ayuda a que la glucosa llegue a los tejidos y al sistema nervioso para suministrar energía. La Diabetes tiene una mayor prevalencia en los países desarrollados debido a múltiples factores, entre ellos la obesidad, la vida sedentaria, y disfunciones en el sistema endocrino relacionadas con el páncreas. La Diabetes Tipo 1 es una enfermedad crónica e incurable, en la que son destruidas las células beta del páncreas, que producen la insulina, haciéndose necesaria la administración de insulina de forma exógena para controlar los niveles de glucosa en sangre. El paciente debe seguir una terapia con insulina administrada por vía subcutánea, que debe estar adaptada a sus necesidades metabólicas y a sus hábitos de vida. Esta terapia intenta imitar el perfil insulínico de un páncreas sano. La tecnología actual permite abordar el desarrollo del denominado “páncreas endocrino artificial” (PEA), que aportaría precisión, eficacia y seguridad en la aplicación de las terapias con insulina y permitiría una mayor independencia de los pacientes frente a su enfermedad, que en la actualidad están sujetos a una constante toma de decisiones. El PEA consta de un sensor continuo de glucosa, una bomba de infusión de insulina y un algoritmo de control, que calcula la insulina a infusionar utilizando los niveles de glucosa del paciente como información principal. Este trabajo presenta una modificación en el método de control en lazo cerrado propuesto en un proyecto previo. El controlador del que se parte está compuesto por un controlador basal booleano y un controlador borroso postprandial basado en reglas borrosas heredadas del controlador basal. El controlador postprandial administra el 50% del bolo manual (calculado a partir de la cantidad de carbohidratos que el paciente va a consumir) en el instante del aviso de la ingesta y reparte el resto en instantes posteriores. El objetivo es conseguir una regulación óptima del nivel de glucosa en el periodo postprandial. Con el objetivo de reducir las hiperglucemias que se producen en el periodo postprandial se realiza un transporte de insulina, que es un adelanto de la insulina basal del periodo postprandial que se suministrará junto con un porcentaje variable del bolo manual. Este porcentaje estará relacionado con el estado metabólico del paciente previo a la ingesta. Además se modificará la base de conocimiento para adecuar el comportamiento del controlador al periodo postprandial. Este proyecto está enfocado en la mejora del controlador borroso postprandial previo, modificando dos aspectos: la inferencia del controlador postprandial y añadiendo una toma de decisiones automática sobre el % del bolo manual y el transporte. Se ha propuesto un controlador borroso con una nueva inferencia, que no hereda las características del controlado basal, y ha sido adaptado al periodo postprandial. Se ha añadido una inferencia borrosa que modifica la cantidad de insulina a administrar en el momento del aviso de ingesta y la cantidad de insulina basal a transportar del periodo postprandial al bolo manual. La validación del algoritmo se ha realizado mediante experimentos en simulación utilizando una población de diez pacientes sintéticos pertenecientes al Simulador de Padua/Virginia, evaluando los resultados con estadísticos para después compararlos con los obtenidos con el método de control anterior. Tras la evaluación de los resultados se puede concluir que el nuevo controlador postprandial, acompañado de la toma de decisiones automática, realiza un mejor control glucémico en el periodo postprandial, disminuyendo los niveles de las hiperglucemias. ABSTRACT. Diabetes mellitus is a disease characterized by the insufficient or null production of insulin from the pancreas or by a reduced sensitivity to this hormone, which helps glucose get to the tissues and the nervous system to provide energy. Diabetes has more prevalence in developed countries due to multiple factors, including obesity, sedentary lifestyle and endocrine dysfunctions related to the pancreas. Type 1 Diabetes is a chronic, incurable disease in which beta cells in the pancreas that produce insulin are destroyed, and exogenous insulin delivery is required to control blood glucose levels. The patient must follow a therapy with insulin administered by the subcutaneous route that should be adjusted to the metabolic needs and lifestyle of the patient. This therapy tries to imitate the insulin profile of a non-pathological pancreas. Current technology can adress the development of the so-called “endocrine artificial pancreas” (EAP) that would provide accuracy, efficacy and safety in the application of insulin therapies and will allow patients a higher level of independence from their disease. Patients are currently tied to constant decision making. The EAP consists of a continuous glucose sensor, an insulin infusion pump and a control algorithm that computes the insulin amount that has to be infused using the glucose as the main source of information. This work shows modifications to the control method in closed loop proposed in a previous project. The reference controller is composed by a boolean basal controller and a postprandial rule-based fuzzy controller which inherits the rules from the basal controller. The postprandial controller administrates 50% of the bolus (calculated from the amount of carbohydrates that the patient is going to ingest) in the moment of the intake warning, and distributes the remaining in later instants. The goal is to achieve an optimum regulation of the glucose level in the postprandial period. In order to reduce hyperglycemia in the postprandial period an insulin transport is carried out. It consists on a feedforward of the basal insulin from the postprandial period, which will be administered with a variable percentage of the manual bolus. This percentage would be linked with the metabolic state of the patient in moments previous to the intake. Furthermore, the knowledge base is going to be modified in order to fit the controller performance to the postprandial period. This project is focused on the improvement of the previous controller, modifying two aspects: the postprandial controller inference, and the automatic decision making on the percentage of the manual bolus and the transport. A fuzzy controller with a new inference has been proposed and has been adapted to the postprandial period. A fuzzy inference has been added, which modifies both the amount of manual bolus to administrate at the intake warning and the amount of basal insulin to transport to the prandial bolus. The algorithm assessment has been done through simulation experiments using a synthetic population of 10 patients in the UVA/PADOVA simulator, evaluating the results with statistical parameters for further comparison with those obtained with the previous control method. After comparing results it can be concluded that the new postprandial controller, combined with the automatic decision making, carries out a better glycemic control in the postprandial period, decreasing levels of hyperglycemia.
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La enfermedad cardiovascular sigue siendo la principal causa de morbilidad y mortalidad a nivel mundial en países desarrollados, fundamentalmente en pacientes con DM tipo 2, en algunas poblaciones puede representar el 50% o más de las muertes por diabetes (Joseph and Golden, 2014). Esto se debe en gran medida a factores ya conocidos como la predisposición genética, la aterogénesis acelerada, la inflamación crónica, la isquemia silente y la presencia de patologías co-existentes como la hipertensión o la dislipidemia. La diabetes es sin duda alguna, uno de los problemas de salud más graves del siglo XXI y actualmente en España, la prevalencia nacional es de 10,83% (FDI 2013). Las células progenitoras endoteliales juegan un papel clave en los procesos de reparación endotelial. En los pacientes con DM tipo 2 y enfermedad cardiovascular, se sabe que la funcionalidad de las EPCs es deficiente, aunque el mecanismo exacto de disfunción aún es incierto. Además, está bien descrito que en la evolución natural de los pacientes con DM tipo 2 presentan un mayor número de complicaciones y con mayor frecuencia estos pacientes estarán abocados a procedimientos de revascularización. Múltiples estudios (Sidhu and Boden, 2015; Verma et al., 2013) que han señalado la importancia de una adecuada terapia de reparación endotelial (terapia con EPCs), que ayudaría a disminuir las alteraciones en los procesos de reendotelización en los pacientes con DM tipo 2 y enfermedad cardiovascular, y por consiguiente disminuiría la aparición de la enfermedad cardiovascular (ECV)...
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El láser de baja y media energía y la magnetoterapia son utilizados en desórdenes osteomioarticulares por sus efectos analgésico, antiinflamatorio y trófico, entre los más destacados. Sin embargo, son insuficientes las investigaciones sobre su mecanismo de acción y antecedentes científicos que avalen sus efectos. Es por ello, que la determinación de acontecimientos celulares y moleculares que ocurren durante la interacción de estos tipos de energía con el sistema muscular, sería relevante para el conocimiento y optimización de tales terapias en las ciencias biomédicas. En las miopatías inflamatorias idiopáticas, se encuentra afectada la estructura, morfología y bioquímica del tejido muscular. La energía que éste requiere para el normal funcionamiento es generada en la mitocondria. Esta organela también es la responsable de la generación de especies oxidantes provocando estrés oxidativo y el inicio de los procesos de apoptosis. Por lo antes dicho, consideramos que la determinación de los biomarcadores inflamatorios asociados a estrés oxidativo, realizando el análisis histomorfométrico ultraestructural y valorando la actividad de los complejos enzimáticos mitocondriales, permitiría una evaluación de la acción terapéutica del láser y la magnetoterapia en un modelo experimental de miopatía. Para ello se propone evaluar el efecto de la magnetoterapia y del láser de baja energía (He-Ne y As.Ga) en miopatía experimental determinando indicadores inflamatorios asociados a estrés oxidativo, análisis histomorfométrico y valoración de la actividad enzimática mitocondrial. Específicamente: -Determinar indicadores inflamatorios y de estrés oxidativo: Oxido Nítrico, Grupos carbonilos, L-citrulina, Fibrinógeno, Superóxido dismutasa, Glutation peroxidasa y Catalasa por espectrofotometría. -Identificar los cambios anatomopatológicos del músculo esquelético por microscopía óptica (MO): cuantificación del infiltrado inflamatorio; MO de alta resolución (MOAR) y por microscopía electrónica: histomorfometría de la ultraestructura miofibrilar y mitocondrial. -Valorar las actividades enzimáticas de la citrato sintasa y de los complejos: I (NADH-ubiquinona reductasa), II (succinato-ubiquinona-reductasa) III (ubiquinona-citocromo c-reductasa) y IV (citocromo c-oxidasa); en mitocondrias de tejido muscular por espectrofotometría. -Evaluar la actividad apoptótica en las fibras musculares de los diferentes grupos por ténica de T.U.N.E.L. Las mediciones mitocondriales (por ME) y de infiltrado inflamatorio (por MO) se realizarán en un total de 5 fotos de aumentos similares en forma aleatoria por grupo estudiado (n=10). Los cambios estructurales observados se analizarán en el programa Axiovision 4.8, para cuantificar el área total ocupada, número total y grado de alteración de las mitocondrias y el porcentaje de infiltrado inflamatorio determinando el grado de inflamación. Los resultados de los datos cuantitativos se analizarán aplicando ANAVA (test de Fisher para comparaciones múltiples); y para los datos categóricos se utilizará Chi cuadrado (test de Pearson), estableciéndose un nivel de significación de p < 0.05 para todos los casos. Importancia del Proyecto: La salud y el bienestar del hombre son los logros perseguidos por las ciencias de la salud. La obtención de terapias curativas o paliativas con un mínimo de efectos colaterales para el enfermo se incluye en estos logros. Por esto y todo lo anteriormente expuesto es que consideramos de gran importancia poder esclarecer desde las ciencias básicas los efectos celulares y moleculares en modelos experimentales la acción de la terapia con láser y magnetoterapia para una aplicación clínica con base científica en todas las áreas de las Ciencias Médicas.
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Questo elaborato di tesi presenta uno studio volto a identificare il ruolo dell’autofagia nella patogenesi della neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), una patologia neurodegenerativa mitocondriale dovuta a mutazioni nel mtDNA. Tali mutazioni generano difetti nella catena respiratoria, nelle vie apoptotiche mediate dai mitocondri e nella produzione di ROS; dati preliminari hanno dimostrato una correlazione tra le mutazioni LHON e l’omeostasi mitocondriale, regolata dai processi contrapposti di autofagia e mitobiogenesi. Secondo questa ipotesi, le alterazioni LHON aumentano il flusso autofagico soprattutto negli individui affetti, mentre i portatori di mutazione sani (carrier) risultano protetti da un importante incremento nella mitobiogenesi che agisce da meccanismo compensatorio. È stata dunque caratterizzata tramite Western Blotting l’espressione proteica di due marker autofagici, LC3 e p62, in PBMCs (Peripheral Blood Mononuclear Cells) estratte da pazienti LHON, affetti e carrier, e individui di controllo. Sono stati inoltre quantificati i livelli cellulari di due proteine della membrana interna mitocondriale, COX IV e SDHA, al fine di valutare la massa mitocondriale come parametro di confronto rispetto ai livelli di autofagia. È stata infine analizzata l’influenza dell’idebenone sull’autofagia e sulla massa mitocondriale, confrontando pazienti affetti in terapia con questo farmaco e pazienti affetti non trattati. Lo studio ha in parte avvalorato i risultati preliminari; l’elevata variabilità riscontrata porta però all’esigenza, nelle analisi future, di una maggiore campionatura, nonché di indagini di diversa natura condotte in parallelo per validare i risultati.
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Introducción: La osteonecrosis de los maxilares ha sido descrita en pacientes que toman bifosfonatos y han sido sometidos a cirugía dentoalveolar. Actualmente, la terapia con bifosfonatos e implantes dentales es un tratamiento muy común en adultos. Objetivos: Evaluar, a través de una revisión de la literatura, si la osteointegración del implante dental podría disminuir en pacientes que toman bifosfonatos orales o intravenosos. Además, se analiza el riesgo que tienen estos pacientes de desarrollar osteonecrosis de los maxilares. Material y métodos: Se realizó una búsqueda a través de la base de datos Medline (PubMed) de los artículos publicados en inglés en los últimos 15 años que incluyeran las palabras clave "bisphosphonates and dental implants", "bisphosphonates and orthopaedic implants" y "osteonecrosis of the jaws and dental implants". Conclusiones: El tratamiento con bifosfonatos no disminuye la osteointegración del implante dental, aunque estos resultados se han obtenido en base a estudios retrospectivos en humanos. Se han descrito casos de osteonecrosis de los maxilares relacionada con bifosfonatos en estos pacientes, sobre todo tras tratamiento prolongado.
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Introducción: Las infecciones del tracto urinario (ITU) representan la causa más frecuente de infección después del trasplante renal. Identificar los factores de riesgo de las ITU e intentar establecer un modelo para predecirlas podría evitar la aparición de las mismas o su recurrencia. Objetivos: El objetivo principal de este trabajo fue analizar la frecuencia de ITU en pacientes trasplantados renales en el primer año postrasplante, así como los factores de riesgo más importantes de las mismas, con el fin de establecer un modelo predictivo (nomograma). Los objetivos secundarios fueron los siguientes: analizar la frecuencia de ITU durante el ingreso, tras el alta y un mes postrasplante, así como los factores de riesgo relacionados y establecer modelos predictivos para cada uno de estos periodos; analizar la frecuencia de ITU recurrentes y recidivantes; analizar la tasa de rehospitalizaciones secundarias a ITU; analizar la relación de ITU con la supervivencia del injerto y del paciente. Métodos: En este trabajo desarrollamos un estudio analítico, observacional, retrospectivo de cohorte, en el que se recogieron datos de pacientes trasplantados renales de forma consecutiva, desde el 1 de enero de 2012 hasta el 31 de julio de 2014, en el Hospital Universitario Regional de Málaga. Analizamos la incidencia de ITU durante el primer año postrasplante, así como otras variables clínicas. El análisis comparativo de grupos se realizó mediante el test de t-Student y Chi-cuadrado. Para el análisis de supervivencia se aplicó el método de Kaplan-Meier. Se realizó un análisis de regresión logística para determinar los factores de riesgo asociados a las ITU que ocurrieron durante el ingreso. Se estimaron modelos de riesgo proporcionales por el método de regresión de Cox para analizar los factores de riesgo de las ITU que se presentaron en el primer año postrasplante, después del alta y un mes tras la cirugía. A partir de estos modelos de regresión se realizó un nomograma para calcular la probabilidad de ITU en cada grupo (ITU en el primer año postrasplante, durante el ingreso, tras el alta y un mes postrasplante), así como la curva ROC correspondiente. Se utilizó el modelo “hurdle” para estudiar los factores de riesgo asociados al número de ITU en cada paciente. El tratamiento estadístico se realizó con el programa SPSS 15.0 y con el ALcEst 1.9.26. Resultados: En este trabajo estudiamos datos de 322 pacientes trasplantados renales, el 66.1% varones, con una media de edad de 52.2 ± 13.2 años. La frecuencia de ITU durante el primer año fue del 46.27%. Dada la correlación existente entre función retrasada del injerto (FRI) y tiempo en diálisis, realizamos dos modelos de regresión de Cox multivariantes. En el primer modelo incluimos el sexo femenino, la edad del receptor y la FRI (HR 1.73, IC 95% 1.24-2.40, p<0.001; HR 1.01, IC 1-1.03, p<0.05; HR 1.6, IC 1.14-2.22, p<0.01, respectivamente). En el segundo modelo incluimos el sexo femenino, la edad del receptor y el tiempo en diálisis (HR 1.79, IC 1.29–2.48, p<0.001; HR 1.02, IC 1–1.03, p<0.01; HR 1, IC 0.99–1.01, p=0.054, respectivamente). La frecuencia de ITU durante el ingreso fue del 15.21%, y los factores de riesgo más importantes analizados mediante regresión logística fueron la edad del donante, el tiempo en diálisis, la FRI y la retirada de la sonda vesical después de siete días (OR 1.03, IC 1–1.05, p<0.05; OR 1.01, IC 1-1.02, p=0.13; OR 2.64, IC 1.33–5.28, p<0.01; OR 3.55, IC 1.85–6.93, p<0.001, respectivamente). La frecuencia de ITU tras el alta fue del 37.57%. En este caso, mediante regresión de Cox, las variables más significativas fueron el sexo femenino y la edad del receptor (HR 2.1, IC 1.46-3.03, p<0.001; HR 1.02, IC 1-1.03, p<0.01, respectivamente). La frecuencia de ITU un mes postrasplante fue del 33.85%. Los factores más significativos para este periodo, mediante regresión de Cox, fueron el sexo femenino, la edad del receptor, el tiempo en diálisis y la presencia de ITU previa (HR 2.17, IC 1.48–3.17, p<0.001; HR 1.02, IC 1–1.03, p<0.01; HR 1, IC 0.99–1.01, p=0.32; HR 2.71, IC 1.83–4.02, p<0.001, respectivamente). Desarrollamos nomogramas para cada periodo, con sus correspondientes curvas ROC: en el primer año postrasplante (ABC=0.60 para el primer modelo, ABC=0.59 para el segundo modelo), durante el ingreso (ABC=0.74), tras el alta (ABC=0.59) y un mes después del trasplante (ABC=0.66). Los factores de riesgo más significativos relacionados con el número de ITU en cada paciente, mediante el modelo Hurdle, fueron el sexo masculino, la diálisis peritoneal y la terapia con inducción, principalmente con Timoglobulina (p=0.068; p<0.05; p<0.05, respectivamente). La frecuencia de ITU recurrente fue del 4.03%, y recidivante del 20.49%. Fueron necesarios 77 ingresos por pielonefritis, y en 12 de estos ingresos se presentó sepsis urológica. No encontramos diferencias en la supervivencia de pacientes y de injertos entre los grupos con y sin ITU, sin embargo sí se apreciaron diferencias entre ambos grupos en el filtrado glomerular, aunque esta diferencia se perdió en el análisis multivariante. Conclusiones: La incidencia de ITU durante el primer año postrasplante es elevada. Los factores de riesgo más significativos para las ITU en los primeros doce meses postrasplante son el sexo femenino, la edad del receptor, la FRI y el tiempo en diálisis. Para las ITU que ocurren durante el ingreso, los factores más importantes son la edad del donante, el tiempo en diálisis, la FRI y la retirada de la sonda después de siete días. Las variables más significativas para las ITU que se presentan tras el alta, son el sexo femenino y la edad del receptor, y para las ITU que ocurren un mes postraplante también resulta significativo la presencia de alguna ITU previa. Los receptores de trasplante renal de sexo masculino, aquellos procedentes de diálisis peritoneal y los que han recibido terapia de inducción, tienen más posibilidades de presentar un mayor número de ITU durante el primer año postrasplante.