410 resultados para Restauro Palazzo Angelelli Zambeccari Argelato


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La tesi inizia con lo studio degli antichi sistemi di adduzione delle acque a Fermo (nel periodo compreso tra l'età romana e l'età medioevale), per poi trattare il tema delle fonti pubbliche medioevali presenti nella città e quelle monumentali esistenti nella regione Marche. Infine si arriva al tema specifico della trattazione, andando ad analizzare la Fonte San Francesco di Paola fino a pervenire al progetto di restauro e di valorizzazione.

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La necessità di conservazione e recupero di murature, di qualsiasi interesse storico/architettonico, ha evidenziato la necessità di conoscere il più dettagliatamente possibile le caratteristiche strutturali delle opere interessate: un intervento risulterà tanto più efficace e adatto agli scopi prefissi quanto maggiore sarà la conoscenza dell’opera, della sua evoluzione, dei materiali utilizzati per la realizzazione, della tecnica costruttiva e della struttura portante. Spesso è necessario eseguire interventi di adeguamento sismico di comuni edifici su cui poter intervenire più o meno indiscriminatamente, mentre, per opere di interesse storico è necessario ridurre al minimo l’invasività degli interventi: in tutti e due i casi, una buona riuscita dell’intervento dipende dalla conoscenza dell’organismo strutturale sul quale si deve operare. Come spesso accade, anche per opere di recente costruzione, risulta difficile poter recuperare i dati progettuali (disegni e calcoli) e spesso le tecniche e le tipologie utilizzate per le costruzioni si differenziavano da zona a zona, così come diversi erano i materiali da costruzione; risulta quindi evidente che per progettare una serie di interventi di recupero è necessario poter ottenere il maggior numero di informazioni al riguardo. Diverse sono le esperienze maturate in questo campo in tutta Europa e queste hanno mostrato come non è sufficiente intervenire con tecniche innovative per adeguare agli standard attuali di sicurezza opere del passato: infatti, in molti casi, l’applicazione sbagliata di queste tecniche o gli interventi progettati in modo non adeguato non hanno svolto il loro compito e in alcuni casi hanno peggiorato la situazione esistente. Dalle esperienze maturate è stato possibile osservare che anche le migliore tecniche di recupero non possono risultare efficaci senza un’adeguata conoscenza dello stato di degrado degli edifici, del loro assetto strutturale e delle possibili carenze. La diagnostica strutturale si vuole inserire proprio in questo livello potendo fornire ad un progettista tutte le informazioni necessarie per effettuare al meglio ed in maniera efficace gli interventi di recupero e restauro necessari. Oltre questi aspetti, le analisi diagnostiche possono essere utilizzate anche per verificare l’efficacia degli interventi effettuati. Diversi sono gli aspetti che si possono analizzare in un’indagine di diagnostica ed in base alle esigenze e alle necessità del rilievo da effettuare sono varie le tecniche a disposizione, ognuna con le sue peculiarità e potenzialità. Nella realizzazione di questa tesi sono state affrontate diverse problematiche che hanno previsto sia l’analisi di situazioni reali in cantiere, sia lo studio in laboratorio. La prima parte del presente elaborato prevede lo studio delle attività svolte a Palazzo Malvezzi, attuale sede della Provincia di Bologna. L’edificio, di interesse storico, ha subito diverse trasformazioni durate la sua vita ed in alcuni casi, queste, eseguite con tecnologie e materiali inadatti, hanno provocato variazioni nell’assetto statico della struttura; inoltre, il palazzo, è soggetto a movimenti a livello di fondazione in quanto è presente una faglia di subsidenza che attraversa l’edificio. Tutte queste problematiche hanno creato movimenti differenziali alla struttura in elevazione che si sono evidenziati con crepe distribuite in tutto l’edificio. Il primo aspetto analizzato (capitoli 4 e 5) è lo studio della profondità delle fessure presenti nel solaio della sala Rossa, sede dei comunicati stampa e delle conferenze della Provincia. Senza dubbio antiestetiche, le crepe presenti in una struttura, se sottovalutate, possono compromettere notevolmente le funzioni statiche dell’elemento in cui si sviluppano: la funzione di protezione fornita dal solaio o da qualsiasi altro elemento strutturale alle armature in questo immerse, viene meno, offrendo vie preferenziali a possibili situazioni di degrado, specialmente se in condizioni ambientali aggressive. E' facile intuire, quindi, che un aspetto all’apparenza banale come quello delle fessure non può essere sottovalutato. L’analisi è stata condotta utilizzando prove soniche ed impact-echo, tecniche che sfruttano lo stresso principio, la propagazione delle onde elastiche nel mezzo, ma che si differenziano per procedure di prova e frequenze generate nel test. Nel primo caso, la presenza del martello strumentato consente di valutare anche la velocità di propagazione delle onde elastiche, fenomeno utilizzato per ottenere indicazioni sulla compattezza del mezzo, mentre nel secondo non è possibile ricavare queste informazioni in quanto la tecnica si basa solamente sullo studio in frequenza del segnale. L’utilizzo dell’impact-echo è stato necessario in quanto la ristilatura effettuata sulle fessure scelte per l’analisi, non ha permesso di ottenere risultati utili tramite prove soniche ; infatti, le frequenze generate risultano troppo basse per poter apprezzare queste piccole discontinuità materiali. La fase di studio successiva ha previsto l’analisi della conformazione dei solai. Nel capitolo 6, tale studio, viene condotto sul solaio della sala Rossa con lo scopo di individuarne la conformazione e la presenza di eventuali elementi di rinforzo inseriti nelle ristrutturazioni avvenute nel corso della vita del palazzo: precedenti indagini eseguite con endoscopio, infatti, hanno mostrato una camera d’aria ed elementi metallici posizionati al di sotto della volta a padiglione costituente il solaio stesso. Le indagini svolte in questa tesi, hanno previsto l’utilizzo della strumentazione radar GPR: con questa tecnica, basata sulla propagazione delle onde elettromagnetiche all’interno di un mezzo, è possibile variare rapidamente la profondità d’ispezione ed il dettaglio ottenibile nelle analisi cambiando le antenne che trasmettono e ricevono il segnale, caratteristiche fondamentali in questo tipo di studio. I risultati ottenuti hanno confermato quanto emerso nelle precedenti indagini mostrando anche altri dettagli descritti nel capitolo. Altro solaio oggetto d’indagine è quello della sala dell’Ovale (capitoli 7 e 8): costruito per dividere l’antica sala da ballo in due volumi, tale elemento è provvisto al suo centro di un caratteristico foro ovale, da cui ne deriva il nome. La forma del solaio lascia supporre la presenza di una particolare struttura di sostegno che le precedenti analisi condotte tramite endoscopio, non sono riuscite a cogliere pienamente. Anche in questo caso le indagini sono state eseguite tramite tecnica radar GPR, ma a differenza dei dati raccolti nella sala Rossa, in questo caso è stato possibile creare un modello tridimensionale del mezzo investigato; inoltre, lo studio è stato ripetuto utilizzando un’antenna ad elevata risoluzione che ha consentito di individuare dettagli in precedenza non visibili. Un ulteriore studio condotto a palazzo Malvezzi riguarda l’analisi della risalita capillare all’interno degli elementi strutturali presenti nel piano interrato (capitolo 9): questo fenomeno, presente nella maggior parte delle opere civili, e causa di degrado delle stesse nelle zone colpite, viene indagato utilizzando il radar GPR. In questo caso, oltre che individuare i livelli di risalita osservabili nelle sezioni radar, viene eseguita anche un’analisi sulle velocità di propagazione del segnale e sulle caratteristiche dielettriche del mezzo, variabili in base al contenuto d’acqua. Lo scopo è quello di individuare i livelli massimi di risalita per poterli confrontare con successive analisi. Nella fase successiva di questo elaborato vengono presentate le analisi svolte in laboratorio. Nella prima parte, capitolo 10, viene ancora esaminato il fenomeno della risalita capillare: volendo studiare in dettaglio questo problema, sono stati realizzati dei muretti in laterizio (a 2 o 3 teste) e per ognuno di essi sono state simulate diverse condizioni di risalita capillare con varie tipologie di sale disciolto in acqua (cloruro di sodio e solfato di sodio). Lo scopo è di valutare i livelli di risalita osservabili per diverse tipologie di sale e per diverse concentrazioni dello stesso. Ancora una volta è stata utilizzata la tecnica radar GPR che permette non solo di valutare tali livelli, ma anche la distribuzione dell’umidità all’interno dei provini, riuscendo a distinguere tra zone completamente sature e zone parzialmente umide. Nello studio è stata valutata anche l’influenza delle concentrazioni saline sulla propagazione del segnale elettromagnetico. Un difetto delle tecniche di diagnostica è quello di essere strumenti qualitativi, ma non quantitativi: nel capitolo 11 viene affrontato questo problema cercando di valutare la precisione dei risultati ottenuti da indagini condotte con strumentazione radar GPR. Studiando gli stessi provini analizzati nel capitolo precedente, la tecnica radar è stata utilizzata per individuare e posizionare i difetti (muretti a 3 teste) e le pietre (muretti a 2 teste) inserite in questi elementi: i risultati ottenuti nella prova sono stati confrontati, infine, con la reale geometria. Nell’ultima parte (capitolo 12), viene esaminato il problema dell’individuazione dei vuoti all’interno di laterizi: per questo scopo sono state create artificialmente delle cavità di diversa forma e a diverse profondità all’interno di laterizi pieni che, dopo un trattamento in cella climatica per aumentarne la temperatura, sono stati sottoposti a riprese termografiche nella fase di raffreddamento. Lo scopo di queste prove è quello di valutare quale sia la massima differenza di temperatura superficiale causata dai diversi difetti e per quale intervallo di temperature questa si verifica.

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La mia tesi propone un progetto di restauro e rifunzionalizzazione dell’Ex Stabilimento SITA di Forli costruito nel 1935. Attualmente l’edificio, al confine fra centro storico e tessuto urbano moderno, crea un grande vuoto urbano. L’obiettivo principale del progetto è il restauro e il consolidamento del manufatto, nonché una sua successiva rifunzionalizzazione. L’obbiettivo è la creazione di un centro culturale pubblico, di aggregazione e di incontro, che stimoli un nuovo impulso vitale ed economico nella zona circostante. La nuova funzione è quella di un centro culturale polifunzionale, gestito da una fondazione che fornisca spazi di utilizzo ampi, flessibili ed intercambiabili. Nello specifico si intende: spazi per conferenze cittadine, spettacoli teatrali temporanei, fiere, mercatini, mostre con particolari esigenze di dimensioni, concerti e festival organizzati sia dal privato che dalla pubblica amministrazione. Concludendo la parola chiave e il fine di questa tesi sono il restauro e la conservazione, e gli strumenti che si utilizzeranno per raggiungerli sono il consolidamento e la rifunzionalizzazione. Per questo motivo gli spazi e la struttura subiscono i minimi cambiamenti necessari per le nuove funzioni, seppur nei limiti imposti dal preesistente.

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Nel momento in cui si pone il problema del recupero di un qualsivoglia edificio, si dichiarano il riconoscimento e l’accettazione di valori ad esso attribuiti oltre che dalle memorie individuali, anche da istanze culturali attente alle categorie della monumentalità (valore artistico/storico) o della semplice oggettualità del documento materiale (valore storico/documentale) ed infine da quelle economiche, orientate allo sfruttamento del valore utilitaristico del bene. Il progetto di recupero dell'ex fornace Verni - Vannoni si inserisce in una più vasta proposta di riassetto dell’area circostante, con l’obiettivo di recuperare l’identità che il complesso produttivo rivestiva all’interno del contesto urbano bellariese. La rifunzionalizzazione integrata della fabbrica si concretizza a conclusione della ricerca condotta sulle reali esigenze della città e sull’oggetto architettonico: il tentativo è quello di ricercare il “codice genetico” dell’edificio, analizzando la sua natura a partire dalla sua storia, per poi giungere fino alla comprensione delle sue qualità, sia tipologico-compositive, sia materiche che costruttive.

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L’oggetto di studio di questa tesi è la Colonia Reggiana, edificio di stampo razionalista realizzata nel 1934. Obiettivo della tesi è la realizzazione un progetto di restauro e riuso per questa struttura, a seguito di un approfondita ricerca. Nelle fase iniziale si è cercato di ampliare lo sguardo uscendo dal tema proposto, con l’intenzione di comprendere il perché della nascita di questo “fenomeno colonie” che ha interessato l’Italia dalla metà dell’800 fino al secondo dopoguerra, nonché l’evoluzione del significato di queste strutture e della loro architettura nel periodo coinvolto. La seconda fase, invece, è stata impostata sull’intima conoscenza della Colonia Reggiana, partendo dal 1933 (anno in cui si ritrovano i primi documenti che riguardano tale progetto) fino ai giorni nostri: declinando gli aspetti fondamentali riscontrati nella prima fase di ricerca su questo edificio e analizzando le singole parti di ciò che a noi è pervenuto della struttura, si è potuto arrivare a rilevare molti aspetti significativi per lo sviluppo delle ipotesi progettuali. L’ultima fase è appunto caratterizzata dallo sviluppo del progetto di restauro e riuso: il concetto fondamentale che si pone alla base è quello della coerenza con le analisi effettuate e di sviluppo di un riutilizzo che possa essere adeguato alle occasioni progettuali che l’area offre.

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Ad un progetto architettonico, sia che si parli di composizione che di restauro, si dovrebbe assegnare un motto il quale, insito direttamente nell'idea progettuale , abbia la capacità di dare forza al lavoro stesso sia, simultaneamente, di motivare il progettista nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. "Ritorno al castello" diviene quindi il motto più consono per il progetto (che ci si appresta a sviluppare) di recupero dell'edificio monumentale noto come "castello" di Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona. Come motto "Ritorno al castello" racchiude in se tre fondamentali chiavi di lettura: innanzitutto fa riferimento al ritorno, dopo adeguato restauro conservativo, del manufatto storico architettonico come fulcro urbanistico monumentale principale del paese. Tale significativa architettura infatti nel tempo ha mutato forma e funzione andando a perdere il suo ruolo nella vita del paese "scadendo" nel dimenticatoio degli abitanti stessi tanto da passare quasi inosservata. In secondo luogo il ritornare è riferito agli abitanti stessi che, nel voler riscoprire il loro castello attraverso la futura destinazione ad uso pubblico, saranno spinti, come antichi pellegrini a raggiungere la rocca. In ultimo nel motto vi è insita la nuova destinazione d'uso. Un tempo i castelli non rappresentavano soltanto baluardi difensivi, dimore del Signore e della sua corte ma al contempo erano luoghi dove venivano coltivate arte, musica e poesia, ospitando talvolta i grandi illuminati dell'epoca. In un certo qual modo i castelli potevano definirsi roccaforti della cultura e del sapere ed il "ritono" sta appunto nel portare il castello di Castelnuovo a diventare un edificio pubblico per la cultura.

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Il presente lavoro di ricerca ha per oggetto il tema della diffusione urbana. Dopo una breve ricostruzione delle varie definizioni presenti in letteratura sul fenomeno - sia qualitative che quantitative - e una descrizione dei limiti di volta in volta presenti all’interno di tali definizioni, si procede con la descrizione dell’evoluzione storica dello sprawl urbano all’interno del mondo occidentale. Una volta definito e contestualizzato storicamente l’oggetto della ricerca, ne vengono analizzate le cause e il complesso sistema di conseguenze che tale fenomeno urbano porta con sé. Successivamente vengono presentate le principali teorie sociologiche attraverso le quali può essere interpretato il fenomeno dello sprawl urbano e vengono descritte le varie forme con cui si può esprimere lo sprawl urbano: non esiste infatti uniformità tra i vari paesaggi suburbani, ma una grande diversità interna alle varie forme in cui si manifesta il fenomeno della dispersione insediativa. Se quanto finora esaminato, soprattutto a livello bibliografico, è riconducibile alla letteratura nordamericana, arrivati a questo punto del lavoro, l’attenzione viene spostata sul continente europeo, prendendo in esame l’emergere del periurbano all’interno del nostro continente e tentando di descrivere sia le contiguità che le differenze tra il fenomeno dell’urban sprawl e quello del periurbano. Infine, adottando un procedimento “ad imbuto”, il lavoro si sofferma sulla situazione del nostro paese in merito alla tematica in questione. L’ultima sezione della ricerca prevede una parte di lavoro empirico. Se, come è emerso nel quadro teorico, molti sono gli elementi che caratterizzano il tema dello sprawl urbano e del periurbano, si è voluto andare a verificare se, ed eventualmente quali, degli elementi descritti, sono presenti in un’area ben delimitata del territorio bolognese, per cercare di capire se si possa parlare di un “periurbano bolognese” e quali caratteristiche esso presenti.

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Le pietre artificiali ed i cementi artistici utilizzati durante la stagione Liberty rappresentano tutt’oggi un patrimonio artistico non ancora sufficientemente studiato. In seguito ad una ricerca bibliografica su testi e riviste dei primi anni del Novecento, è stata eseguita una ricognizione del patrimonio architettonico emiliano-romagnolo, al fine di valutarne i materiali e le tipologie di degrado più diffuse. Le città e le zone oggetto di studio sono state: Bologna, Ferrara, Modena e provincia, Reggio Emilia, Parma, Firenze, la Romagna e le Marche settentrionali. Tra gli edifici individuati sono state analizzate le decorazioni e gli intonaci di tre edifici ritenuti particolarmente significativi: il villino Pennazzi (noto anche come Villa Gina) a Borgo Panigale (Bologna), villa Verde a Bologna e l’ex-albergo Dorando Pietri a Carpi. Da tali edifici sono stati selezionati campioni rappresentativi delle diverse tipologie di decorazioni in pietra artificiale e successivamente sono stati caratterizzati in laboratorio tramite diffrattometria a raggi x (XRD), termogravimetria (TGA), microscopio ottico in sezioni lucide, microscopio elettronico a scansione (SEM) e porosimetria ad intrusione di mercurio (MIP). In particolare per Villa Verde sono state formulate e caratterizzate diverse tipologie di malte variando il tipo di legante ed il rapporto acqua/cemento, al fine di garantire la compatibilità fisico-meccanica con il supporto negli interventi di risarcimento delle lacune previsti nel restauro. L’attività sperimentale svolta ha permesso di mettere a punto un vero e proprio protocollo diagnostico per il restauro di questo tipo di decorazioni che potrà essere utilizzato sia nei casi di studio analizzati che per ogni futuro intervento.

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Il Soprintendente Alfredo Barbacci fu uomo di poliedrica formazione, perito nell’uso di metodiche innovative di restauro ed esperto delle tecniche di ricomposizione delle forme architettoniche dei complessi monumentali, danneggiati dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Quel che, questo studio ha inteso indagare e comprendere, attraverso un approccio critico, sostanziato dalle carte d’archivio, è fondamentalmente il contributo, da egli ha offerto circa la valenza storica e architettonica del tessuto connettivo di base della città, da cui si originava - negli anni della sua attività - l’idea ancora inedita di un bene culturale e sociale nuovo: il centro storico tutto, con annessi monumenti, complessi architettonici nobili ed edilizia minore, di base. Dando avvio all’analisi sistematica delle teorie e della prassi di Alfredo Barbacci e alla lettura puntuale dei suoi scritti, sono stati razionalizzati il significato, le valenze e le implicazioni del termine edilizia minore all’interno del più ampio contesto del restauro dell’edilizia monumentale e alla luce degli elementi di tendenza, portati all’attenzione dal dibattito delle diverse scuole di pensiero sul restauro, a partire dai primi anni del sec. XX fino agli anni Settanta dello scorso secolo. Concretamente vi si evidenziano interessanti intuizioni e dichiarazioni, afferenti la necessità di un restauro del tipo integrato, da intendersi come strumento privilegiato di intervento sul tessuto nobile e meno nobile della città antica. Al termine della sua carriera, il contributo del Soprintendente Barbacci al dibattito scientifico si documenta da sé, nella compilazione a sua firma di quella parte della Relazione Franceschini, in cui si dava proposta di un corpo normativo alla necessità di guardare alla città storica come a un bene culturale e sociale, insistendo come al suo interno era d’uopo mantenere, nel corso di interventi restaurativi, un razionale equilibrio tra monumento ed edilizia minore già storicizzata e che non escludesse anche l’apparato paesaggistico di contorno.

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La tesi verte sulle verifiche statiche e sismiche eseguite sulla Ca' Grande dei Malvezzi, edificio facente parte del Complesso di Palazzo Poggi.