953 resultados para Progetto, spazio pubblico. Tesi curricolare


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Obiettivo del progetto di tesi è ritrovare un percorso urbano, riguardante un tratto della città di Cesena, che oggi non è più leggibile nella sua originaria identità. La cinta muraria di Cesena è da sempre motivo di vanto della città. Esso è dovuto anche al fatto che gran parte di tale cinta è stato oggetto di restauri puntuali. Vi è un tratto di esse però dove non risulta più immediata la sua l’appartenenza ad un tutto più ampio e finito che è quello dell’intero perimetro fortificato. Il nostro progetto vuole suggerire nuovamente quale fosse il suo andamento, e il suo rapporto con il resto della città quindi proponiamo il restauro e la valorizzazione degli elementi significativi che s’incontrano percorrendo il suddetto tratto di città. Precisamente si tratta dei manufatti della porta d’accesso del torrente Cesuola detta Portaccia e di porta Fiume, due delle antiche porte delle mura cesenati. Si propone per questi un riuso degli ambienti che saranno adibiti a punto informativo, piuttosto che aree espositive, museali. Saranno aperte al pubblico e rese visibili per portare un esempio le antiche cannoniere. Si è progettata anche la sistemazione dell’area esterna direttamente prospiciente gli edifici in questione, al fine di renderli maggiormente visibili e riconoscibili all’interno del panorama cittadino. Questi due edifici vogliono essere importanti poli per i turisti o per chiunque voglia immergersi nella storia della città di Cesena. S’incontra poi in questa passeggiata, un’area archeologica. La si raggiunge partendo per esempio dalla Portaccia e seguendo quello che era il tracciato delle antiche mura. Tale area testimonia l’esistenza di tratti di antiche fortificazioni e ci racconta i caratteri costruttivi delle abitazioni del tempo e dell’impianto urbano, oltre ad aver riportato alla luce antichi manufatti e reperti archeologici importanti. Questo spazio verrà opportunamente valorizzato e reso noto ai visitatori. Si sceglie di non portare alla luce gli elementi trovati nel sottosuolo per non variare le loro condizioni termo-igrometriche, e di suggerire la dimensione degli stessi attraverso la progettazione fedele fuori terra di elementi in alzato cavi contenenti vegetazione. Il visitatore potrà girovagare fra questi nel “giardino archeologico”. Un altro elemento di fondamentale importanza proseguendo nel percorso è la presenza dei suggestivi ruderi della rocca Vecchia, che hanno resistito allo scorrere inesorabile del tempo e che sono ancora in grado di testimoniare di un passato ormai distante e sfocato. Sarà la vegetazione a fare da protagonista in quest’area poiché attraverso la scelta di alcune piante che, con le loro radici sono in grado di aiutare i ruderi a sopravvivere, verrà dato nuova veste a ciò che resta della rocca Vecchia. Contestualmente a ciò, si è deciso di riproporre nella zona retrostante i ruderi, il sistema degli antichi terrazzamenti di cui il colle è stato dotato in passato. Essi sono importanti a livello strutturale per ovviare alle problematiche conseguenti al dilavamento del terreno verso valle, ma non solo. Si vuole sì riproporre questi terrazzamenti come citazione storica, ma essa vuole essere un’emulazione non un’imitazione, pertanto, verranno trattati come una sorta di “giardino botanico”. La discesa del colle verso porta Fiume sarà certamente più piacevole se si potranno ammirare le specie autoctone presenti in questo luogo ben organizzate lungo la passeggiata. L’obiettivo del progetto è rendere palesi le importanti caratteristiche architettoniche che contraddistinguono l’eccezionale valore dei beni oggetto di analisi, migliorando le condizioni di conservazione ed assicurando una fruizione degli ambienti, ove sia possibile, e donando una nuova destinazione d’uso agli stessi.

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Il sisma del 6 aprile ha palesato delle criticità già presenti nel territorio aquilano. Dopo l'emergenza ci si chiede quindi quale debba essere il futuro della città. Quello che risulta più evidente è sicuramente la scomparsa di un'interdipendenza tra città e territorio circostante che era invece alla base della nascita stessa del nucleo storico. Questo era infatti concepito inizialmente come una serie di entità eterogenee separate, 99 rioni che avrebbero ospitato la popolazione di altrettanti villaggi e castelli, ed arriva nel corso dei secoli ad inglobare un territorio molto più ampio di centri minori che si riconoscono nel capoluogo. Anche con la successiva crescita non si è mai sentita la necessità di provvedere ad uno sviluppo organizzato attraverso la realizzazione di servizi, ma si è sempre cercato di mantenere il centro storico come unico contenitore, non solo per la città ma per l'intero territorio. Così lo sviluppo fuori le mura è avvenuto soprattutto per mano privata generando una periferia caotica e disorganizzata come risposta alla domanda di alloggi, a cui non è mai stato dato l'onere, se non in fase progettuale, di sopperire alle necessità urbane di servizi e infrastrutture e soprattutto ad una totale mancanza di pianificazione di sviluppo futuro. Con la completa distruzione del centro storico è scomparso il cuore pulsante del territorio aquilano, a cui è subito seguito anche lo spegnimento della periferia, che gravitava e si appoggiava su di esso per la sua sopravvivenza. A questo punto la scelta di agire sulla prima periferia, in una zona di cerniera con il centro storico, diventa una scelta fondamentale, poiché questa diventa una possibilità per dare luogo ad una rinascita non solo della città dentro le mura ma dell'Aquila moderna. Poiché questo sia possibile è chiaro come l'attenzione maggiore debba rivolgersi non solo alla risposta della domanda abitativa, ma anche alla progettazione di spazi per la collettività, servizi a diversa scala e sedi per il piccolo e medio commercio per rendere possibili nuove opportunità sociali ed economiche. In quest'ottica risulta indispensabile mantenere un collegamento, fisico e visivo, con il centro storico, attraverso la riqualificazione della fascia verde a ridosso delle mura e la sua naturale prosecuzione al di là della strada nell'area di progetto. Una delle problematiche principali è stata inoltre la definizione o meno di un confine. La scelta è stata quella di una struttura aperta: una maglia senza un limite preciso ma con una chiara direzionalità che si rifà a quella del centro storico e che risulta la più adatta ad accogliere gli sviluppi futuri della città. Il progetto cerca quindi di interfacciarsi sempre con quelle che sono le preesistenze (come nel caso della Chiesa di S. Maria Mediatrice), per cui si perde una lettura chiusa del quartiere, a favore di un intervento che vuole essere una ricucitura piuttosto che un'imposizione al luogo. Diretta conseguenza è stata quindi la scelta di lavorare sugli spazi aperti, diversificandoli e caratterizzandoli a seconda delle situazioni, intesi come elementi di relazione, generatori di una fluida sequenza di luoghi, in cui l'edificio che vi trova sede non può essere scisso dal contesto circostante, ma ne diventa elemento complementare. Lo spazio assume così diverse declinazioni nel passaggio dal pubblico al privato, privo di cesure nette, alla ricerca di un abitare collettivo senza rinunce alla propria individualità. Alla varietà dei luoghi, si affianca anche la progettazione diversificata degli alloggi, per rispondere alle contemporanee esigenze dell'abitare.

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Questa tesi di laurea nasce da una collaborazione con il Centro Studi Vitruviani di Fano, un’associazione nata il 30 Settembre 2010 nella mia città. Le note vicende riguardanti la Basilica vitruviana di Fano fanno della città adriatica il luogo più autorevole per accogliere un Centro Studi Internazionale dedicato all’opera di Vitruvio. Questa associazione è nata come contenitore di riferimento per eventi e iniziative legate al mondo della classicità intesa come momento storico, ma anche come più ampio fenomeno non solo artistico che interessa trasversalmente tutta la cultura occidentale. La creazione di un’istituzione culturale, di fondazione pubblico-privata, con l'obiettivo di porsi a riferimento internazionale per il proprio ambito di ricerca, è notizia comunque rilevante in un periodo in cui lo Stato vara l’articolo 7 comma 22 di una legge che ribadisce la fine dei finanziamenti agli enti, agli istituti, e alle fondazioni culturali. Il Centro Studi Vitruviani dovrà diventare presto sede di momenti scientifici alta, borse di studio, occasioni divulgative, mostre, iniziative didattiche. L’alto livello scientifico mi si è presentato subito chiaro durante questi mesi di collaborazione con il Centro, quando ho avuto l’occasione di incontrare e conoscere e contattare personalità quali i Professori Salvatore Settis, Pierre Gros, Howard Burns, Antonio Corso, Antonio Monterroso e Piernicola Pagliara. Attualmente nella mia città il Centro Studi ha una sede non adeguato, non è fruibile al pubblico (per problemi accessi in comune con altri Enti) e non è riconoscibile dall’esterno. L’attuale sede è all’interno del complesso conventuale del S.Agostino. Il Centro Studi mi ha proposto di valutare la possibilità di un ampliamento dell’associazione in questo edificio storico. Nel mio progetto è stato previsto un processo di acquisizione totale del complesso, con un ripensamento dell’accesso riconoscibile dall’esterno, e un progetto di rifunzionalizzazione degli spazi interni. È stata inserita un’aula per la presentazione di libri, incontri e congressi, mostre ed esposizioni, pubblicazioni culturali e specialistiche. Il fatto interessante di questa sede è che l’edificio vive sulle rovine di un tempio romano, già visitabile e inserite nelle visite della città sotterranea. Fano, infatti, è una città di mare, di luce e nello stesso tempo di architetture romane sotterranee. L’identità culturale e artistica della città è incisa nelle pieghe dei suoi resti archeologici. Le mura augustee fanesi costituiscono il tratto più lungo di mura romane conservate nelle città medio-adriatiche. Degli originari 1750 metri, ne rimangono circa 550. Di grande suggestione sono le imponenti strutture murarie rinvenute sotto il complesso del Sant’Agostino che hanno stimolato per secoli la fantasia e suscitato l'interesse di studiosi ed appassionati. Dopo la prima proposta il Centro Studi Vitruviani mi ha lanciato una sfida interessante: l’allargamento dell’area di progetto provando a ripensare ad una musealizzazione delle rovine del teatro romano dell’area adiacente. Nel 2001 l’importante rinvenimento archeologico dell’edificio teatrale ha donato ulteriori informazioni alle ricostruzione di una pianta archeologica della città romana. Questa rovine tutte da scoprire e da ripensare mi si sono presentate come un’occasione unica per il mio progetto di tesi ed, inoltre, estremamente attuali. Nonostante siano passati dieci anni dal rinvenimento del teatro, dell’area mancava un rilievo planimetrico aggiornato, un’ipotesi ricostruttiva delle strutture. Io con questo lavoro di Tesi provo a colmare queste mancanze. La cosa che ritengo più grave è la mancanca di un progetto di musealizzazione per inserire la rovina nelle visite della Fano romana sotteranea. Spero con questa tesi di aver donato materiale e suggestioni alla mia città, per far comprendere la potenzialità dell’area archeologica. Per affrontare questo progetto di Tesi sono risultate fondamentali tre esperienze maturate durante il mio percorso formativo: prima fra tutte la partecipazione nel 2009 al Seminario Internazionale di Museografia di Villa Adriana Premio di Archeologia e Architettura “Giambattista Piranesi” organizzato nella nostra facoltà dal Prof. Arch. Sandro Pittini. A noi studenti è stata data la possibilità di esercitarci in un progetto di installazioni rigorosamente temporanee all’interno del sedime archeologico di Villa Adriana, grande paradigma per l’architettura antica così come per l’architettura contemporanea. Nel corso del quarto anno della facoltà di Architettura ho avuto l’occasione di seguire il corso di Laboratorio di Restauro con i professori Emanuele Fidone e Bruno Messina. Il laboratorio aveva come obiettivo principale quello di sviluppare un approccio progettuale verso la preesistenza storica che vede l'inserimento del nuovo sull'antico non come un problema di opposizione o di imitazione, ma come fertile terreno di confronto creativo. Durante il quinto anno, ho scelto come percorso conclusivo universitario il Laboratorio di Sintesi Finale L’architettura del Museo, avendo già in mente un progetto di tesi che si rivolgesse ad un esercizio teorico di progettazione di un vero e proprio polo culturale. Il percorso intrapreso con il Professor Francesco Saverio Fera mi ha fatto comprendere come l’architettura dell'edificio collettivo, o più semplicemente dell’edificio pubblico si lega indissolubilmente alla vita civile e al suo sviluppo. È per questo che nei primi capitoli di questa Tesi ho cercato di restituire una seria e attenta analisi urbana della mia città. Nel progetto di Tesi prevedo uno spostamento dell’attuale Sezione Archeologica del Museo Civico di Fano nell’area di progetto. Attualmente la statuaria e le iscrizioni romane sono sistemate in sei piccole sale al piano terra del Palazzo Malatestiano: nel portico adiacente sono esposti mosaici e anfore sottoposte all’azione continua di volatili. Anche la Direttrice del Museo, la Dott.ssa Raffaella Pozzi è convinta del necessario e urgente spostamento. Non è possibile lasciare la sezione archeologica della città all’interno degli insufficienti spazi del Palazzo Malatestiano con centinaia di reperti e materiali vari (armi e uniformi, pesi e misure, ceramiche, staturia, marmi, anfore e arredi) chiusi e ammassati all’interno di inadeguati depositi. Il tutto è stato opportunamente motivato in un capitolo di questa Tesi. Credo fortemente che debbano essere le associazioni quali il CSV assieme al già attivissimo Archeclub di Fano e il Museo Archeologico, i veri punti di riferimento per questa rinascita culturale locale e territoriale, per promuovere studi ed iniziative per la memoria, la tutela e la conservazione delle fabbriche classiche e del locale patrimonio monumentale. Questo lavoro di Tesi vuole essere un esercizio teorico che possa segnare l’inizio di un nuovo periodo culturale per la mia città, già iniziato con l’istituzione del Centro Studi Vitruviani. L’evento folkloristico della Fano dei Cesari, una manifestazione sicuramente importante, non può essere l’unico progetto culturale della città! La “Fano dei Cesari” può continuare ad esistere, ma deve essere accompagnata da grandi idee, grandi mostre ed eventi accademici.

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Questo lavoro nasce principalmente da un legame affettivo e di parentela che mi lega alla figura di Mario Giacomelli e alla sua grande opera di fotografo che lo ha portato a raggiungere un ruolo fondamentale nella storia della fotografia contemporanea. Ricordo che sin da quando ero bambino rimanevo affascinato dalle sue opere, da quei paesaggi fotografati in bianco e nero, da quelle sagome dei pretini che sembrano danzare nel vuoto, il tutto però senza capire la vera importanza di quello che avevo davanti ai miei occhi e ignorando completamente tutto l’interesse, le critiche e i dibattiti che quegli scatti accendevano in quegli anni, al punto di venire addirittura esposti in quello che si può definire il museo di arte moderna per antonomasia, ovvero il MoMa, in fondo per me non era altro che uno zio. Il ricordo mi porta nella sua piccola e buia Tipografia Marchigiana, in pieno centro storico a Senigallia, proprio dietro il Municipio, dove lo trovavo sempre indaffarato con timbri, foto e oggetti di ogni tipo, sommerso in un caos primordiale. È incredibile pensare come in quel minuscolo negozio siano passati tutti i più grandi personaggi della fotografia italiana, quali Giuseppe Cavalli, Ferruccio Ferroni, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna; dietro quella facciata di piccola bottega si nascondeva un universo parallelo che entrava in contatto con le più importanti gallerie e musei di arte contemporanea del mondo. Oggi al suo posto c’è una Parrucchieria. Molte cose sono cambiate, io ho capito, aimè in ritardo, l’importanza del personaggio che ho avuto la fortuna di conoscere e di avere come parente. La città stessa si è accorta solo dopo la morte, come spesso accade, di quale formidabile artista ha cresciuto, un artista che è sempre rimasto fedele alla sua terra di origine, che ha rappresentato una fonte inesauribile di spunti per la sua opera fotografica. A quel punto si è scatenato un turbinio di conferenze, mostre e pubblicazioni sul lavoro di Giacomelli, tanto che sarebbe rimasto impossibile a chiunque non capire il peso che questa figura ha ancora oggi per la città. Proprio lo scorso Novembre è ricorso il decennale della sua scomparsa e in questa occasione si è dato il via ad una infinita serie di iniziative, mostre, conferenze e pubblicazioni dedicate alla figura del fotografo senigalliese, ribadendo la necessità per la città di dotarsi di uno spazio idoneo ad ospitare questi eventi. In una recente intervista condotta dal quotidiano Il Resto del Carlino, Simone Giacomelli, figlio del fotografo, ha sottolineato l’urgenza della creazione di uno spazio dedicato alle fotografie del padre “Io lavoro molto con l'estero e sono in contatto con appassionati che arrivano da tutto il mondo per ammirare le foto di Giacomelli. C'è un gruppo di studenti che mi ha contattato dall'Australia. Ho dovuto dire di aspettare perché in città c'è una raccolta di foto al Museo mezzadria ed una parte al Museo dell'informazione. Manca un luogo dove si possa invece vedere tutta la produzione.”. Con queste premesse il progetto per un Centro Internazionale della Fotografia non poteva che essere a Senigallia, non tanto per il fatto di essere la mia città, alla quale sono molto legato, quanto per l’essere stata la culla di un grande artista quale Mario Giacomelli, dalla quale non si è mai voluto allontanare e che ha rappresentato per lui la fonte di ispirazione di quasi tutte le sue opere. Possiamo dire che grazie a questo personaggio, Senigallia è diventata la città della Fotografia, in quanto non passa settimana senza che non venga presentata una nuova iniziativa in ambito fotografico e non vengano organizzate mostre di fotografi di calibro internazionale quali Henri Cartier Bresson, Ara Guler, etc… Ecco quindi motivato il titolo di Internazionale attribuito al museo, in quanto da questo cuore pulsante si dovranno creare una serie di diramazioni che andranno a collegare tutti i principali centri di fotografia mondiali, favorendo lo scambio culturale e il dibattito. Senigallia è una città di modeste dimensioni sulla costa adriatica, una città dalle grandi potenzialità e che fa del turismo sia balneare che culturale i suoi punti di forza. La progettazione di questa sede museale mi ha permesso di affrontare e approfondire lo studio storico della città nella sua evoluzione. Da questa analisi è emerso un caso molto particolare ed interessante, quello di Piazza Simoncelli, un vuoto urbano che si presenta come una vera e propria lacerazione del tessuto cittadino. La piazza infatti è stata sede fino al 1894 di uno dei quattro lotti del ghetto ebraico. Cambia quindi il ruolo del sito. Ma la mancata capacità aggregativa di questo vuoto, data anche dal fatto della mancanza di un edificio rappresentativo, ne muta il ruolo in parcheggio. E’ la storia di molti ghetti italiani inseriti in piani di risanamento che vedevano la presenza del costruito antecedente, come anomalia da sanare. E’ la storia del ghetto di Roma o di quello di Firenze, che sorgeva nel luogo dell’attuale Piazza della Repubblica. Tutti sventrati senza motivazioni diverse che non la fatiscenza dell’aggregato. A Senigallia il risultato è stato una vera e propria lacerazione del tessuto urbano, giungendo alla produzione di un vuoto oppositivo al resto della città, che ha portato la perdita della continuità spaziale, se non si vuole poi far riferimento a quella culturale. Il mio intervento quindi vede nel legame con la storia e con l’identità del luogo un punto fondamentale di partenza. Da queste basi ho cercato di sviluppare un progetto che ha come presupposto il forte legame con la memoria del luogo e con le architetture locali. Un progetto che possa rappresentare un polo culturale, un cuore pulsante dove poter sviluppare e approfondire le conoscenze fotografiche, dal quale poter entrare in contatto con tutti i principali centri dedicati alla fotografia e nel quale poter tenere sempre vivo il ricordo di uno dei più importanti artisti che la città ha avuto la fortuna di crescere.

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Questo lavoro mi ha dato la possibilità di unire tre grandi passioni: l’architettura, la storia e il teatro. Tali elementi hanno caratterizzato nel passato, come nel presente, vicissitudini e cambiamenti della città di Pesaro, scenario nel quale si alternano l’architettura a carattere nazionale e quella locale, la storia d’Italia e quella della comunità cittadina, gli spettacoli teatrali di richiamo internazionale a quelli di filodrammatica e dialettali. Con le dovute eccezioni, i cittadini pesaresi della mia generazione poco o nulla sanno della storia della città e della sua evoluzione, perché sono nati e cresciuti in anni in cui questa è rimasta pressoché invariata nella sua struttura urbana e nelle caratteristiche morfologiche; unico elemento visibile del continuo evolversi della città è l’espansione dell’area abitata verso la periferia, la progressiva saturazione dello spazio tra l’espansione urbana del dopoguerra e le zone periferiche. La memoria storica riguardante modifiche importanti che la città ha subìto è, come spesso accade, riposta in chi ha vissuto quei cambiamenti, nonché in qualche giornalista o studioso locale che per lavoro o passione indaga quegli avvenimenti. Tralasciando le controversie meramente politiche, Pesaro ha vissuto in passato una stagione di forti dibattiti sulle vicende architettoniche ed urbanistiche della città, tale fu il coinvolgimento e a volte l’ostruzionismo dell’opinione pubblica a tali trasformazioni; basti citare le discussioni e i dubbi sollevati dal Piano Particolareggiato del Centro Storico nel 1974 elaborato dagli architetti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia - Carlo Aymonino, Costantino Dardi, Gianni Fabbri, Raffaele Panella, Gianugo Polesello, Luciano Semerani e Mauro Lena - nonostante negli anni seguenti solo pochi elementi del Piano vennero attuati e neanche compiutamente. Di questi dibattiti, negli anni seguenti, ve ne saranno pochi e limitati alla sfera politica, con scarso interesse e coinvolgimento da parte dei cittadini. Contrariamente, nell’ultimo periodo, si assiste parallelamente a due condizioni: un rinnovato interesse da parte dei cittadini per la storia della città, promosso anche dal moltiplicarsi di eventi, mostre, conferenze, pubblicazioni sull’argomento, e un’attenzione nuova per quelli che sono i temi legati alla qualità degli interventi architettonici ed urbanistici, da parte dell’amministrazione comunale. Primaria importanza nella promozione di questo interesse riveste l’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino e la Biblioteca–Archivio “Vittorio Bobbato”, i quali congiuntamente a diversi autori hanno realizzato vari studi e pubblicazioni su tali argomenti. Il Comune si è fatto promotore di diversi interventi, in attuazione di un Piano Regolatore Generale che, nelle intenzioni, mette al centro la qualità architettonica ed urbana degli interventi, puntando su nuove opere e, per quanto riguarda principalmente il Centro Storico, anche sul recupero dell’esistente. I presupposti dell’intervento progettuale si inseriscono in questo dibattito basandosi sull’idea, attualmente in discussione presso i diversi livelli istituzionali coinvolti, della realizzazione di un nuovo polo ospedaliero congiunto con la città di Fano; quando ciò si realizzerà, l’area ora occupata dall’ospedale pesarese verrà progressivamente liberata, interamente o in parte, determinando un grande vuoto urbano proprio alle porte del centro storico. Questo sito, di notevole privilegio sotto il profilo morfologico e posizionale rispetto alle infrastrutture, è assolutamente appropriato per insediarvi un polo culturale legato al teatro, essendo l’area confinante con quella sulla quale sorge il principale teatro cittadino, il Teatro Rossini. L’area di progetto è una testimonianza della storia urbana della città: presenta uno dei due esempi superstiti di quelli che furono i bastioni della cinta muraria cittadina, nella sua massima espansione, sotto il dominio dei Della Rovere ed il fatto che tale opera sia in parte arrivata ai giorni nostri, più che della scelta degli amministratori locali passati, fu il risultato di vicissitudini politiche, del caso e della centenaria presenza dell’ospedale che di fatto ha vincolato l’area preservandola da trasformazioni non idonee come accaduto per altre parti del centro storico. Se la storia urbana di Pesaro è la base per poter pensare il suo futuro, non meno importanza ricoprono le manifestazioni e le istituzioni che hanno fatto di Pesaro un punto d’incontro culturale a carattere internazionale, elementi anch’essi che testimoniano la qualità della città. La città ospita principalmente due eventi internazionali: la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema e il Rossini Opera Festival, ai quali si legano altre importanti manifestazioni e istituzioni culturali. Strutturalmente indipendente, ma legato indissolubilmente alla figura del grande compositore pesarese a cui è dedicato il festival, vi è il Conservatorio Statale di Musica “Gioachino Rossini”, anch’esso un punto di riferimento nel panorama culturale e musicale internazionale. Uno degli elementi caratterizzanti del festival rossiniano è quello di essere un evento che letteralmente coinvolge l’intera città, poiché le varie rappresentazioni sceniche, i concerti, gli eventi collaterali, trovano spazio in diversi luoghi del centro storico e non solo, arrivando ad utilizzare anche l’Adriatic Arena (palazzo dello sport), ubicato in periferia. L’allestimento di una struttura sportiva al fine di potervi svolgere spettacoli teatrali è un onere ulteriore per l’organizzazione dell’evento che viene ripagato solo dalla grande affluenza di pubblico che è capace di garantire tale struttura, allontanandosi però dall’intuizione iniziale dell’evento che voleva nel centro cittadino il fulcro stesso della manifestazione. Sviluppare un progetto per un centro culturale legato al teatro e alla musica, oltre ad essere un argomento di elevato interesse personale, è un tema ricorrente da oltre un decennio nei dibattiti cittadini, che però non ha trovato fino ad ora la possibilità di essere realizzato. Le motivazioni possono essere molteplici, dalla mancanza di una struttura univoca con cui la pubblica amministrazione possa confrontarsi, alla cronica mancanza di fondi pubblici che la obbligherebbero a ricercare figure private in grado di co-finanziare l’intervento e, non meno importante, la mancanza, fino ad ora, di un’area idonea. Al di là dell’utilizzo a cui sarà destinata l’area di progetto, è di primaria importanza per l’amministrazione comunale aprire un tavolo di confronto con la proprietà dell’area ospedaliera, in modo da non lasciare nulla al caso nelle scelte che condizioneranno la trasformazione. Questa tesi è un’opportunità di confronto personale con la città di oggi, le trasformazioni passate e quelle future; l’architettura, la storia della città ed il teatro possono essere tre elementi cardine per una crescita ed una consapevolezza nuova delle potenzialità di Pesaro nel panorama culturale. La progettazione di un luogo per la cultura e lo spettacolo si fonda su tutte queste premesse, sulla necessità per la città di dotarsi di luoghi idonei che possano finalmente accogliere al meglio tutte le manifestazioni legate al teatro e alla musica e che possa inserirsi quale ulteriore spunto di dibattito nella preparazione del dossier che punta a far riconoscere Pesaro quale “Città della Musica”, inserita nella rete delle città creative dell’UNESCO.

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Il tema oggetto della tesi riguarda la riqualificazione del nuovo waterfront per la città di Pondicherry situata nell'India del sud. Dopo una attenta analisi sulla città, comprendente un'ampia analisi storica e cartografica, l'analisi del verde e dell'acqua, del tessuto edilizio e dell'emergenza abitativa che la città si trova ad affrontare, è stato scelto di progettare una nuova darsena come polo attrattivo al cui interno fossero previsti spazi per la comunità ed il turismo: un museo del mare, un hotel, un parco pubblico, un sistema di piazze e zone di sosta all'aperto, un complesso residenziale di espansione.

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La tesi di ricerca, a partire dallo studio di aspetti concettuali e metodologici connessi al progetto dello spazio urbano, in termini di elementi spaziali, tipologie di prodotti e processi della progettazione, si propone di definire i temi critici di un approccio progettuale integrato, quali contributi alla base di una proposta di revisione della lettura dei criteri della composizione architettonica e urbana. L'approfondimento dei principi posti alla base della qualità  dello spazio urbano - intesa secondo un'accezione ampia del termine entro cui far convergere il tema della sostenibilità  - ha indotto a condurre una riflessione specifica sull'incidenza dell'interazione tra fattori progettuali e procedurali, secondo una visione sistemica che sposta l'attenzione dagli oggetti alle relazioni, quali elementi chiave della comprensione delle dinamiche urbane. L'analisi critica di esperienze applicative esemplari selezionate nel contesto europeo, riferita agli stessi temi critici dell'integrazione offre uno strumento essenziale di indagine, approfondimento e verifica puntuale di indirizzi e linee strategiche, utile anche per l'individuazione di un percorso preventivo di analisi degli elementi significativi del controllo del progetto. La valutazione comparata dei casi, mettendo in relazione interventi a scala urbana e specifiche realizzazioni a scala architettonica, si propone di evidenziare come l'efficacia delle strategie più generali possa tradursi nel valore dei progetti di dettaglio solo attraverso un approccio metodologico integrato, capace di incidere profondamente e proficuamente sulla qualità  delle trasformazioni dello spazio urbano. Porsi in un atteggiamento critico capace di interpretare la complessità  della realtà  contemporanea secondo una prospettiva a-scalare della progettazione, rappresenta la condizione essenziale per promuovere e valorizzare una creatività  progettuale capace di definire scenari contemporanei e futuri più responsabili e consapevoli.

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Oggetto di questa tesi di laurea è la riqualificazione funzionale ed energetica di un'autorimessa per corriere costruita a Forlì nel 1935 dal geom. Alberto Flamigni e di proprietà dell' ATR, Agenzia per la Mobilità della provincia di Forlì-Cesena. Al deposito per corriere sono annessi dei piccoli capanni adibiti a magazzini ed una palazzina per uffici costruita negli anni '50, non facente parte del progetto originale. Oggi l'intero complesso risulta in disuso e la richiesta espressa dall'Amministrazione Comunale di Forlì è quella di adattare il comparto per ospitare funzioni musicali, d'intrattenimento e cultura, pensando anche ad un collegamento col manufatto storico dell'Arena Forlivese; quest'ultima, costruita negli anni '20, è situata ai margini del lotto in esame, risulta di proprietà privata ed oggi versa in condizioni di grave degrado. Uno dei fini del progetto, sul filo conduttore delle richieste dell'Amministrazione, è quello di mantenere l'involucro originale dell'edificio, su cui grava anche un vincolo storico, essendo stato progettato durante il periodo fascista ed avendo forti richiami alle soluzioni architettoniche adottate da Marcello Piacentini. Si è quindi deciso di lavorare al suo interno, al fine di creare dei nuclei indipendenti che ospitano le nuove funzioni di auditorium, mediateca, spazio espositivo, sale prova, camerini, mantenendo invece intatto il perimetro in mattoni facciavista con basamento in travertino. Il fronte esposto a sud, essendo stato originariamente pensato come mero elemento di chiusura, senza basamento e sistema di rivestimento ma semplicemente intonacato, si distacca dal resto dell'involucro ed è stato perciò oggetto di maggiori modifiche, in relazione anche al nuovo orientamento d'ingresso pensato per il comparto: l'Amministrazione Comunale ha infatti espresso il desiderio di modificare il percorso di accesso all'edificio, dal fronte nord su piazza Savonarola al fronte ovest su via Ugo Bassi. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, ponendo particolare attenzione al rispetto e alla valorizzazione della struttura esistente: uno dei punti forti dell'ex deposito è infatti la sua copertura in travi reticolari in c.a. con shed vetrati orientati a nord. Tale sistema di copertura è stato mantenuto per favorire l'illuminazione degli spazi interni, isolato termicamente ed integrato con dei pannelli diffusori che garantiscono una luce uniforme e ben distribuita. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze dell'utenza. Mantenendo la finalità del minimo intervento sull'involucro esistente, nel piano terra si è adottata una tipologia di ambienti open space che delimitano il doppio volume dello spazio espositivo, pensato come un semplice e neutro contenitore, allestibile in base al tipo di mostra ed alla volontà degli organizzatori. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva per l'auditorium ed i volumi adibiti a sale prova, camerini e depositi, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Si sono studiati anche i sistemi impiantistici al fine di garantire un elevato livello di comfort interno e nel contempo un considerevole risparmio dal punto di vista energetico. Durante le varie fasi di avanzamento e messa a punto del progetto è stata posta grande attenzione all'aspetto acustico, dalla scelta della forma della sala al trattamento superficiale per garantire un'ottima resa prestazionale, parametro imprescindibile nella progettazione di un adeguato spazio musicale. Altro elemento preso in considerazione a scala locale e urbana è stato quello della sistemazione del cortile a sud, oggi asfaltato ed utilizzato come semplice parcheggio di autobus, al fine di trasformarlo in parco pubblico fruibile dagli utenti del complesso culturale e nel contempo elemento di connessione con l'Arena, tramite un nuovo sistema di orientamenti e percorsi.

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Questa tesi propone una riflessione critica sulle pratiche della pianificazione urbanistica attraverso l’analisi di un significativo caso di studio, costituito dalla Darsena di Città a Ravenna. Questo approccio di ricerca è dal nostro punto di vista una conseguenza della difficoltà di governare le attuali problematiche di sviluppo dello spazio urbano attraverso gli strumenti tradizionali della pianificazione e dell’urbanistica. La tesi ha lo scopo di far emergere temi di dibattito attuale sulle aree di sviluppo urbano, in particolare la complessità dei compiti decisionali riguardanti aree oggetto di interventi di rigenerazione urbana. La definizione “area di sviluppo urbano” si pone come prodotto di un’attiva collaborazione tra Stato, mercato e società civile e costituisce dal nostro punto di vista una vera “questione sociale”. Prenderemo come riferimento il caso della Darsena di Città di Ravenna, oggetto della sperimentazione urbanistica degli ultimi trenta anni, sul quale diversi “stili” e strumenti di pianificazione si sono confrontati, nell’intento di guidare un processo di riqualificazione che ha portato ad oggi a risultati concreti assai limitati. Attraverso gli strumenti consultabili e un rapido sopralluogo infatti, possiamo intuire immediatamente come la realizzazione di interventi sull’area si limiti a casi localizzati come la riqualificazione della raffineria Almagià, la nuova sede dell’autorità portuale e l’ex molino Pineta, oltre agli interventi residenziali riconducibili all’edificio progettato dall’architetto Cino Zucchi e ai nuovi isolati attorno alla parte centrale di via Trieste. Le problematiche di fondo che hanno creato conflitti sono molte, dall’elevata divisione proprietaria alla cesura del comparto con il centro storico data dalla barriera ferroviaria, alla questione relativa al risanamento delle acque e dei suoli, solo per citare le più evidenti. Siamo quindi interessati a capire il problema dal punto di vista del processo di pianificazione per poi concentrare la nostra riflessione su possibili soluzioni che possano risolvere i conflitti che sembrano all’oggi non trovare una risposta condivisa. Per meglio comprendere come rapportarci al caso specifico si è cercato di analizzare alcuni aspetti teorici fondanti del “procedimento archetipico” di pianificazione urbana in contrapposizione con metodi di pianificazione “non convenzionali”. Come lo studio dei primi ci ha permesso di capire come si è arrivati all’attuale situazione di stallo nella trasformazione urbana della Darsena di Città, i secondi ci hanno aiutato a comprendere per quali ragioni i piani urbanistici di tipo “tradizionale” pensati per la Darsena di Città non sono stati portati a realizzazione. Consci che i fattori in gioco sono molteplici abbiamo deciso di affrontare questa tesi attraverso un approccio aperto al dialogo con le reali problematiche presenti sul territorio, credendo che la pianificazione debba relazionarsi con il contesto per essere in grado di proporre e finalizzare i suoi obiettivi. Conseguenza di questo è per noi il fatto che una sensibile metodologia di pianificazione debba confrontarsi sia con i processi istituzionali sia con le dinamiche e i valori socio-culturali locali. In generale gerarchie di potere e decisioni centralizzate tendono a prevalere su pratiche decisionali di tipo collaborativo; questa tesi si è proposta quindi l’obiettivo di ragionare sulle une e sulle altre in un contesto reale per raggiungere uno schema di pianificazione condiviso. La pianificazione urbanistica è da noi intesa come una previsione al futuro di pratiche di accordo e decisione finalizzate a raggiungere un obiettivo comune, da questo punto di vista il processo è parte essenziale della stessa pianificazione. Il tema è attuale in un contesto in cui l’urbanistica si è sempre confrontata in prevalenza con i temi della razionalizzazione della crescita, e con concetti da tempo in crisi che vanno oggi rimessi in discussione rispetto alle attuali istanze di trasformazione “sostenibile” delle città e dei territori. Potremmo riassumere le nostre riflessioni sull’urbanistica ed i nostri intenti rispetto al piano della Darsena di Città di Ravenna attraverso una definizione di Rem Koolhaas: l’urbanistica è la disciplina che genera potenziale, crea opportunità e causa eventi, mentre l’architettura è tradizionalmente la disciplina che manipola questo potenziale, sfrutta le possibilità e circoscrive. Il percorso di ragionamento descritto in questa tesi intende presentare attraverso alcune questioni significative l’evoluzione dello spazio urbano e delle pratiche di pianificazione, arrivando a formulare un “progetto tentativo” sul territorio della Darsena di Città.

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Il mio lavoro di Tesi prende in considerazione la possibilità di riportare alla vita un antico luogo che ha smarrito il suo senso nella città contemporanea. Si tratta dell’area della vasca dello Hauz-i-Shamsi,suggestiva per il legame forte con l’elemento acqua. Il tema progettuale è quello di mantenere questa zona come fonte attrattiva turistica poiché sede del Museo della città di Delhi, riconnettendolo con le altre aree di interesse e con i villaggi circostanti, diventando insieme al parco archeologico di Mehrauli un grande luogo socio culturale della collettività. Risulta evidente di conseguenza, che l'architettura dell'edificio collettivo, o più semplicemente edificio pubblico, si lega indissolubilmente alla vita civile e al suo sviluppo. In tal senso l'analisi storica è il primo momento di un lavoro che tende a definirsi nell'ambito più propriamente disciplinare, progettuale, attraverso l'analisi del ruolo urbano di tali edifici. Per questo motivo i capitoli sono così suddivisi: nel primo si riportano brevi cenni sulla storia dell’India, per poi concentrarsi sulla storia delle evoluzioni urbane di Delhi fino ad arrivare alla progettazione nel XX secolo di Nuova Delhi, esempio di città di fondazione. Nel secondo capitolo si riporta un’analisi dell’area di Mehrauli con un breve elenco dei principali monumenti, fondamentali per capire l’importanza del Parco archeologico, luogo indicato come Patrimonio dell’UNESCO. Ritengo che il viaggio in India sia per un architetto un’esperienza travolgente: non a caso questa tappa ha segnato profondamente le opere e il lavoro di due maestri quali Louis I. Kahn e Le Corbusier. Ho dedicato, infatti, il terzo capitolo ad alcune considerazioni su quest’argomento. Il quarto capitolo vuole essere un’analisi delle principali architetture indiane quali padiglioni, moschee, templi sacri. Nella cultura indiana l’architettura è legata alle religioni del paese e credo che si possano capire le architetture solo dopo aver compreso la complessità del panorama religioso. Si sono analizzati anche i principi compositivi in particolare il ruolo delle geometrie sia nelle architetture tipiche, sia nella pianificazione delle città di fondazione. Il quinto capitolo è un approfondimento sul rapporto architettura-acqua. Prima con brevi cenni e foto suggestive sul rapporto nella storia dell’architettura, poi con spiegazioni sul ruolo sacro dell’acqua in India. Il sesto capitolo, infine, è un approfondimento sul progetto del Museo della città di Delhi.

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Il lavoro di tesi svolto riguarda la progettazione e lo sviluppo di un algoritmo per la pianificazione ottimizzata della distribuzione con viaggi sincronizzati; il metodo sviluppato è un algoritmo mateuristico. I metodi mateuristici nascono dall’integrazione di algoritmi esatti, utilizzati all’interno di un framework metaeuristico, scelto come paradigma di soluzione del problema. La combinazione di componenti esatte e algoritmi metaeuristici ha lo scopo di sfruttare i vantaggi di entrambi gli approcci: grazie all'uso di componenti esatte, è possibile operare in modo efficace e di concentrarsi su alcuni dei vincoli del problema, mentre, con l'utilizzo di un framework metaeuristico, si può efficacemente esplorare grandi aree dello spazio di ricerca in tempi accettabili. Il problema analizzato nel lavoro di tesi è un problema di trasporto, ovvero il Vehicle Routing Problem con finestre temporali e vincoli di sincronizzazione a coppie (VRPTWPS). Il problema richiede di individuare un piano di organizzazione ottimizzato per i viaggi di consegna merci presso un insieme di clienti; ogni cliente richiede che la consegna avvenga all’interno di orari predefiniti; un sottoinsieme di essi richiede, inoltre, che la consegna venga effettuata con la presenza di esattamente due addetti. La presenza di quest’ultimo vincolo richiede, dunque, che due incaricati, indipendentemente dai viaggi di visita che questi effettuano, si incontrino presso uno stesso cliente nello stesso istante. Il vincolo di sincronizzazione rende il problema difficile da risolvere in maniera ottimizzata con i tradizionali metodi di ricerca locale; da ciò nasce l’uso dei metodi mateuristici per la risoluzione ottimizzata del problema. Grazie all’utilizzo di algoritmi esatti, i metodi mateuristici riescono a trattare in maniera più efficace alcuni vincoli dei problemi da risolvere.

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Il presente lavoro di tesi si inserisce all’interno del progetto Europeo Theseus (Innovative technologies for European coasts in a changing climate), volto a fornire una metodologia integrata per la pianificazione sostenibile di strategie di difesa per la gestione dell’erosione costiera e delle inondazioni che tengano in conto non solo gli aspetti tecnici ma anche quelli sociali, economici e ambientali/ecologici. L'area oggetto di studio di questo elaborato di tesi è la zona costiera della Regione Emilia Romagna, costituita unicamente da spiagge sabbiose. In particolare si è focalizzata l’attenzione sulla zona intertidale, in quanto, essendo l’ambiente di transizione tra l’ambiente marino e quello terrestre può fornire indicazioni su fenomeni erosivi di una spiaggia e cambiamenti del livello del mare, unitamente alla risposta agli interventi antropici. Gli obiettivi della tesi sono sostanzialmente tre: un primo obiettivo è confrontare ecosistemi di spiagge dove sono presenti strutture di difesa costiera rispetto a spiagge che ne erano invece prive. Il secondo obiettivo è valutare l’impatto provocato sugli ecosistemi di spiaggia dall’attività stagionale del “bulldozing” e in ultimo proporre un sistema esperto di nuova concezione in grado di prevedere statisticamente la risposta delle comunità bentoniche a diversi tipi di interventi antropici. A tal fine è stato pianificato un disegno di campionamento dove sono stati indagati tre siti differenti per morfologia e impatto antropico: Cesenatico (barriere e pratica bulldozing), Cervia, dissipativa e non soggetta a erosione (assenza di barriere e ma con pratica del bulldozing) e Lido di Dante, tendenzialmente soggetta a erosione (senza barriere e senza pratica del bulldozing). Il campionamento è stato effettuato in 4 tempi (due prima del “bulldozing” e due dopo) nell’arco di 2 anni. In ciascun sito e tempo sono stati campionati 3 transetti perpendicolari alla linea di costa, e per ogni transetto sono stati individuati tre punti relativi ad alta, media e bassa marea. Per ogni variabile considerata sono stati prelevati totale di 216 campioni. Io personalmente ho analizzato i campioni dell’ultima campagna di campionamento, ma ho analizzato l’insieme dei dati. Sono state considerate variabili relative ai popolamenti macrobentonici quali dati di abbondanza, numero di taxa e indice di diversità di Shannon e alcune variabili abiotiche descrittive delle caratteristiche morfologiche dell’area intertidale quali granulometria (mediana, classazione e asimmetria), detrito conchigliare, contenuto di materia organica (TOM), pendenza e lunghezza della zona intertidale, esposizione delle spiagge e indici morfodinamici. L'elaborazione dei dati è stata effettuata mediante tecniche di analisi univariate e multivariate sia sui dati biotici che sulle variabili ambientali, “descrittori dell’habitat”, allo scopo di mettere in luce le interazioni tra le variabili ambientali e le dinamiche dei popolamenti macrobentonici. L’insieme dei risultati delle analisi univariate e multivariate sia dei descrittori ambientali che di quelli biotici, hanno evidenziato, come la risposta delle variabili considerate sia complessa e non lineare. Nonostante non sia stato possibile evidenziare chiari pattern di interazione fra “protezione” e “bulldozing”, sono comunque emerse delle chiare differenze fra i tre siti indagati sia per quanto riguarda le variabili “descrittori dell’habitat” che quelle relative alla struttura dei popolamenti. In risposta a quanto richiesto in contesto water framework directive e in maniera funzionale all’elevate complessità del sistema intertidale è stato proposto un sistema esperto basato su approccio congiunto fuzzy bayesiano (già utilizzato con altre modalità all’interno del progetto Theseus). Con il sistema esperto prodotto, si è deciso di simulare nel sito di Cesenatico due ripascimenti virtuali uno caratterizzato da una gralometria fine e da uno con una granulometria più grossolana rispetto a quella osservata a Cesenatico. Il sistema fuzzy naïve Bayes, nonostante al momento sia ancora in fase di messa a punto, si è dimostrato in grado di gestire l'elevato numero di interazioni ambientali che caratterizzano la risposta della componente biologica macrobentonica nell'habitat intertidale delle spiagge sabbiose.

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In un arco temporale che copre il decennio settanta, ma che si spinge fino ad analizzare anche il dibattito italiano odierno, la presente ricerca ricostruisce i passaggi attraverso i quali l’aborto, da pratica clandestina, è diventato un “fatto” che ha creato e cambiato l’opinione pubblica italiana. Non si tratta di una ricostruzione cronologica pura e semplice, ma quello che si propone è un percorso che procede per temi, utilizzando una particolare chiave di lettura delle fonti giornalistiche e degli atti parlamentari che documentano la costruzione complessiva del discorso. In tale prospettiva, un particolare rilievo assumono alcuni momenti della storia italiana che, nell’arco del decennio, hanno favorito l’immissione di un argomento così complesso, delicato e inusuale come il corpo riproduttivo delle donne sulla scena pubblica, facendone un tema da agenda politica dei partiti. Tra gli eventi più significativi che la ricerca individua certamente il processo a Gigliola Pierobon, avvenuto a Padova nel 1973, di cui si propone una lettura attraverso la chiave interpretativa dell’affaire. Si tratta di una forma di costruzione discorsiva di un “fatto di legge” codificata da Voltaire nel XVIII secolo e ripresa attraverso gli studi dell’antropologa Elisabeth Claverie e del sociologo Luc Boltanski , che applicano in maniera diacronica il concetto di “affaire” a diverse “situazioni di conflitto”, strutturando in tal modo il concetto di “verità contro la legge” . La ricerca è stata condotta utilizzando sia fonti giornalistiche che da diversi punti di vista, hanno fotografato e “tradotto” per l’opinione pubblica il dibattito culturale e politico sul tema dei diritti riproduttivi, sia utilizzando gli atti parlamentari ufficiali , cioè le trascrizioni delle sedute del dibattito alla Camera e al Senato che tra il 1976 e il 1978 hanno creato i presupposti per la nascita della legge 194.

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Lo scopo della tesi è quello di affrontare la progettazione con un approccio,quanto più attuale e per certi versi avanguardista, chiamato Parametric design (progettazione parametrica), accoppiato efficacemente col concetto di Arte generativa (in questo caso Architettura). Già nel 1957 Luigi Moretti affrontò il tema dell’architettura parametrico-generativa fondando l’IRMOU (Istituto per la Ricerca Matematica e Operativa applicata all'Urbanistica) e oggi è una mentalità molto diffusa nei più grandi studi del mondo. Il tema non è solo tecnologico o informatico strumentale, ma è proprio un modo di pensare e immaginare il possibile, costruito o naturale che sia. E’ un modo di vivere la propria creatività. L’aggettivo “generativa” è legato al fatto che l’arte in esame è generata seguendo regole preimpostate e ben definite dal progettista, coerentemente agli obiettivi e alle finalità del progetto. L’evoluzione delle stesse, seguendo relazioni molto semplici, può dar vita a risultati sorprendenti e inaspettati, dotati di una notevole complessità che però, se letta nell’insieme, è perfettamente in armonia con l’idea progettuale di partenza. Il fascino di questa materia è il legame entusiasmante che crea tra architettura, ingegneria, poesia, filosofia, matematica, biologia, fisica, pittura ecc ecc. Questo perché i concetti di evoluzione, di relazione e di generazione appartengono a tutto ciò che ci circonda, e quindi alla concezione umana di vita. E’ possibile in questo modo permeare il costrutto progettuale con principi e regole oggettivamente riconoscibili e apprezzabili dallo spettatore perché instrisi di una forte veridicità processuale. Il titolo "Oxymoron" è la traduzione inglese della figura retorica ossimoro,la quale è strettamente connessa all’ispirazione progettuale: proviene dall’indagine approfondita di processi evolutivi (distruttivi in questo caso) caratterizzanti realtà naturali che, esplorate con sempre più accuratezza, determinano morfologie e forme aventi profonde radici strutturali. La distruzione che crea lo spazio. La genesi stessa della forma segue predominanti algoritmi matematici governati e corretti da variabili di diversa natura che definiscono l'enviroment di influenze interagenti ed agenti sul campione di studio. In questo caso la ricerca è focalizzata su processi erosivi fisici e chimici, di agenti esterni (quali vento e sali rispettivamente) ,di cui materiali inorganici, quali minerali e aggregati degli stessi (rocce), sono soggetti. In particolare, l’interesse è approfondito su fenomeni apparentemente emergenti dei tafoni e dei cosiddetti Micro canyon. A tal scopo si sfrutterà un metodo di soft kill option (SKO) di ottimizzazione topologica (optimization topology) attraverso gli strumenti informatici più idonei quali software di modellazione parametrica e di calcolo computazionale. La sperimentazione sta proprio nell'utilizzare uno strumento concepito per uno scopo, con un'ottica strettamente ingegneristica, per un'altra meta, ossia ricavare e ottenere se possibile un metodo di lavoro o anche solo un processo generativo tale da riprodurre o simulare casi e situazioni riscontrabili in natura negli eventi soggetti a erosione. Il tutto coerente con le regole che stanno alla base della genesi degli stessi. Il parallelismo tra singolarità naturale e architettura risiede nella generazione degli spazi e nella combinazione di questi. L’ambizioso obiettivo è quello di innescare un ciclo generativo, che messo in comunicazione diretta con un contesto variegato ed eterogeneo, dia vita a una soluzione progettuale dall'alto contenuto morfologico e spaziale.

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Il campo della coordinazione può beneficiare di nuovi strumenti e tecnologie per il proprio sviluppo o per rendere accessibili le sue funzionalità ad un pubblico più vasto. Il progetto TuCSoN, in particolare, include lo strumento Inspector tramite il quale è possibile monitorare ed interagire con l'intero spazio di coordinazione. Al fine di rendere disponibili queste funzionalità anche al mondo mobile è necessario eseguire il porting dell'applicazione. In questa tesi, perciò, verranno prima di tutto analizzate le caratteristiche principali dei modelli di coordinazione e, in particolare, del modello TuCSoN. In seguito eseguiremo un'introduzione sulla tecnologia Android, che ci fornirà gli strumenti necessari per la creazione di un framework mobile equivalente all'Inspector. Infine verranno affrontate le problematiche principali per eseguire con successo il porting, come ad esempio la necessità di ridefinire l'intera interfaccia grafica o l'utilizzo di nuovi componenti quali i service e le activity. Questa operazione, quindi, dimostrerà l'esigenza di adattare l'Inspector ai meccanismi appartenenti al nuovo ambiente di esecuzione.