971 resultados para Giambattista dalla Concezione, Beato


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I terreni di Treporti, nella laguna di Venezia, sono caratterizzati da una fitta alternanza di strati con caratteristiche di compressibilità fortemente variabili, pertanto risulta alquanto complessa la determinazione e la scelta di parametri appropriati per la progettazione. La costruzione del terrapieno sperimentale, ed il contemporaneo impiego dell'assestimetro a basi multiple, ha permesso di misurare il comportamento deformativo del terreno in sito e le analisi retrospettive hanno simulato, in base a parametri di tentativo, il comportamento nel tempo dei terreni di fondazione. L'analisi a posteriori delle deformazioni è stata confrontata con le misure effettuate nel corso degli anni precedenti la fase di scarico, mentre oltre questa fase è stata eseguita una previsione confrontata con le tre misure eseguite dopo la fase di scarico, ottenendo in entrambi i casi un buon accordo tra simulazioni e misure. L’aderenza quasi perfetta ottenuta tra le curve ε-t calcolate e le corrispondenti curve ε-t sperimentali, fa ritenere che tutti i parametri geotecnici ottenuti dal modello, rispecchino con buona approssimazione quelli realmente mobilitati dai 40 m di sottosuolo interessati dal carico. Pertanto anche i risultati ottenuti in ordine all'influenza della consolidazione secondaria sugli abbassamenti totali, debbono ritenersi con buona approssimazione vicini al comportamento reale. Il modello è anche in grado di descrivere molto bene i cedimenti dei diversi strati di terreno e quello del piano di posa.

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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The Department of Mechanical and Civil Engineering (DIMeC) of the University of Modena and Reggio Emilia is developing a new type of small capacity HSDI 2-Stroke Diesel engine (called HSD2), featuring a specifically designed combustion system, aimed to reduce weight, size and manufacturing costs, and improving pollutant emissions at partial load. The present work is focused on the analysis of the combustion and the scavenging process, investigated by means of a version of the KIVA-3V code customized by the University of Chalmers and modified by DIMeC. The customization of the KIVA-3V code includes a detailed combustion chemistry approach, coupled with a comprehensive oxidation mechanism for diesel oil surrogate and the modeling of turbulence/chemistry interaction through the PaSR (Partially Stirred Reactor) model. A four stroke automobile Diesel engine featuring a very close bore size is taken as a reference, for both the numerical models calibration and for a comparison with the 2-Stroke engine. Analysis is carried out trough a comparison between HSD2 and FIAT 1300 MultiJet in several operating conditions, at full and partial load. Such a comparison clearly demonstrates the effectiveness of the two stroke concept in terms of emissions reduction and high power density. However, HSD2 is still a virtual engine, and experimental results are needed to assume the reliability of numerical results.

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This study aims at analysing Brian O'Nolans literary production in the light of a reconsideration of the role played by his two most famous pseudonyms ,Flann Brien and Myles na Gopaleen, behind which he was active both as a novelist and as a journalist. We tried to establish a new kind of relationship between them and their empirical author following recent cultural and scientific surveys in the field of Humour Studies, Psychology, and Sociology: taking as a starting point the appreciation of the comic attitude in nature and in cultural history, we progressed through a short history of laughter and derision, followed by an overview on humour theories. After having established such a frame, we considered an integration of scientific studies in the field of laughter and humour as a base for our study scheme, in order to come to a definition of the comic author as a recognised, powerful and authoritative social figure who acts as a critic of conventions. The history of laughter and comic we briefly summarized, based on the one related by the French scholar Georges Minois in his work (Minois 2004), has been taken into account in the view that humorous attitude is one of man’s characteristic traits always present and witnessed throughout the ages, though subject in most cases to repression by cultural and political conservative power. This sort of Super-Ego notwithstanding, or perhaps because of that, comic impulse proved irreducible exactly in its influence on the current cultural debates. Basing mainly on Robert R. Provine’s (Provine 2001), Fabio Ceccarelli’s (Ceccarelli 1988), Arthur Koestler’s (Koestler 1975) and Peter L. Berger’s (Berger 1995) scientific essays on the actual occurrence of laughter and smile in complex social situations, we underlined the many evidences for how the use of comic, humour and wit (in a Freudian sense) could be best comprehended if seen as a common mind process designed for the improvement of knowledge, in which we traced a strict relation with the play-element the Dutch historian Huizinga highlighted in his famous essay, Homo Ludens (Huizinga 1955). We considered comic and humour/wit as different sides of the same coin, and showed how the demonstrations scientists provided on this particular subject are not conclusive, given that the mental processes could not still be irrefutably shown to be separated as regards graduations in comic expression and reception: in fact, different outputs in expressions might lead back to one and the same production process, following the general ‘Economy Rule’ of evolution; man is the only animal who lies, meaning with this that one feeling is not necessarily biuniquely associated with one and the same outward display, so human expressions are not validation proofs for feelings. Considering societies, we found that in nature they are all organized in more or less the same way, that is, in élites who govern over a community who, in turn, recognizes them as legitimate delegates for that task; we inferred from this the epistemological possibility for the existence of an added ruling figure alongside those political and religious: this figure being the comic, who is the person in charge of expressing true feelings towards given subjects of contention. Any community owns one, and his very peculiar status is validated by the fact that his place is within the community, living in it and speaking to it, but at the same time is outside it in the sense that his action focuses mainly on shedding light on ideas and objects placed out-side the boundaries of social convention: taboos, fears, sacred objects and finally culture are the favourite targets of the comic person’s arrow. This is the reason for the word a(rche)typical as applied to the comic figure in society: atypical in a sense, because unconventional and disrespectful of traditions, critical and never at ease with unblinkered respect of canons; archetypical, because the “village fool”, buffoon, jester or anyone in any kind of society who plays such roles, is an archetype in the Jungian sense, i.e. a personification of an irreducible side of human nature that everybody instinctively knows: a beginner of a tradition, the perfect type, what is most conventional of all and therefore the exact opposite of an atypical. There is an intrinsic necessity, we think, of such figures in societies, just like politicians and priests, who should play an elitist role in order to guide and rule not for their own benefit but for the good of the community. We are not naïve and do know that actual owners of power always tend to keep it indefinitely: the ‘social comic’ as a role of power has nonetheless the distinctive feature of being the only job whose tension is not towards stability. It has got in itself the rewarding permission of contradiction, for the very reason we exposed before that the comic must cast an eye both inside and outside society and his vision may be perforce not consistent, then it is satisfactory for the popularity that gives amongst readers and audience. Finally, the difference between governors, priests and comic figures is the seriousness of the first two (fundamentally monologic) and the merry contradiction of the third (essentially dialogic). MPs, mayors, bishops and pastors should always console, comfort and soothe popular mood in respect of the public convention; the comic has the opposite task of provoking, urging and irritating, accomplishing at the same time a sort of control of the soothing powers of society, keepers of the righteousness. In this view, the comic person assumes a paramount importance in the counterbalancing of power administration, whether in form of acting in public places or in written pieces which could circulate for private reading. At this point comes into question our Irish writer Brian O'Nolan(1911-1966), real name that stood behind the more famous masks of Flann O'Brien, novelist, author of At Swim-Two-Birds (1939), The Hard Life (1961), The Dalkey Archive (1964) and, posthumously, The Third Policeman (1967); and of Myles na Gopaleen, journalist, keeper for more than 25 years of the Cruiskeen Lawn column on The Irish Times (1940-1966), and author of the famous book-parody in Irish An Béal Bocht (1941), later translated in English as The Poor Mouth (1973). Brian O'Nolan, professional senior civil servant of the Republic, has never seen recognized his authorship in literary studies, since all of them concentrated on his alter egos Flann, Myles and some others he used for minor contributions. So far as we are concerned, we think this is the first study which places the real name in the title, this way acknowledging him an unity of intents that no-one before did. And this choice in titling is not a mere mark of distinction for the sake of it, but also a wilful sign of how his opus should now be reconsidered. In effect, the aim of this study is exactly that of demonstrating how the empirical author Brian O'Nolan was the real Deus in machina, the master of puppets who skilfully directed all of his identities in planned directions, so as to completely fulfil the role of the comic figure we explained before. Flann O'Brien and Myles na Gopaleen were personae and not persons, but the impression one gets from the critical studies on them is the exact opposite. Literary consideration, that came only after O'Nolans death, began with Anne Clissmann’s work, Flann O'Brien: A Critical Introduction to His Writings (Clissmann 1975), while the most recent book is Keith Donohue’s The Irish Anatomist: A Study of Flann O'Brien (Donohue 2002); passing through M.Keith Booker’s Flann O'Brien, Bakhtin and Menippean Satire (Booker 1995), Keith Hopper’s Flann O'Brien: A Portrait of the Artist as a Young Post-Modernist (Hopper 1995) and Monique Gallagher’s Flann O'Brien, Myles et les autres (Gallagher 1998). There have also been a couple of biographies, which incidentally somehow try to explain critical points his literary production, while many critical studies do the same on the opposite side, trying to found critical points of view on the author’s restless life and habits. At this stage, we attempted to merge into O'Nolan's corpus the journalistic articles he wrote, more than 4,200, for roughly two million words in the 26-year-old running of the column. To justify this, we appealed to several considerations about the figure O'Nolan used as writer: Myles na Gopaleen (later simplified in na Gopaleen), who was the equivalent of the street artist or storyteller, speaking to his imaginary public and trying to involve it in his stories, quarrels and debates of all kinds. First of all, he relied much on language for the reactions he would obtain, playing on, and with, words so as to ironically unmask untrue relationships between words and things. Secondly, he pushed to the limit the convention of addressing to spectators and listeners usually employed in live performing, stretching its role in the written discourse to come to a greater effect of involvement of readers. Lastly, he profited much from what we labelled his “specific weight”, i.e. the potential influence in society given by his recognised authority in determined matters, a position from which he could launch deeper attacks on conventional beliefs, so complying with the duty of a comic we hypothesised before: that of criticising society even in threat of losing the benefits the post guarantees. That seemingly masochistic tendency has its rationale. Every representative has many privileges on the assumption that he, or she, has great responsibilities in administrating. The higher those responsibilities are, the higher is the reward but also the severer is the punishment for the misfits done while in charge. But we all know that not everybody accepts the rules and many try to use their power for their personal benefit and do not want to undergo law’s penalties. The comic, showing in this case more civic sense than others, helped very much in this by the non-accessibility to the use of public force, finds in the role of the scapegoat the right accomplishment of his task, accepting the punishment when his breaking of the conventions is too stark to be forgiven. As Ceccarelli demonstrated, the role of the object of laughter (comic, ridicule) has its very own positive side: there is freedom of expression for the person, and at the same time integration in the society, even though at low levels. Then the banishment of a ‘social’ comic can never get to total extirpation from society, revealing how the scope of the comic lies on an entirely fictional layer, bearing no relation with facts, nor real consequences in terms of physical health. Myles na Gopaleen, mastering these three characteristics we postulated in the highest way, can be considered an author worth noting; and the oeuvre he wrote, the whole collection of Cruiskeen Lawn articles, is rightfully a novel because respects the canons of it especially regarding the authorial figure and his relationship with the readers. In addition, his work can be studied even if we cannot conduct our research on the whole of it, this proceeding being justified exactly because of the resemblances to the real figure of the storyteller: its ‘chapters’ —the daily articles— had a format that even the distracted reader could follow, even one who did not read each and every article before. So we can critically consider also a good part of them, as collected in the seven volumes published so far, with the addition of some others outside the collections, because completeness in this case is not at all a guarantee of a better precision in the assessment; on the contrary: examination of the totality of articles might let us consider him as a person and not a persona. Once cleared these points, we proceeded further in considering tout court the works of Brian O'Nolan as the works of a unique author, rather than complicating the references with many names which are none other than well-wrought sides of the same personality. By putting O'Nolan as the correct object of our research, empirical author of the works of the personae Flann O'Brien and Myles na Gopaleen, there comes out a clearer literary landscape: the comic author Brian O'Nolan, self-conscious of his paramount role in society as both a guide and a scourge, in a word as an a(rche)typical, intentionally chose to differentiate his personalities so as to create different perspectives in different fields of knowledge by using, in addition, different means of communication: novels and journalism. We finally compared the newly assessed author Brian O'Nolan with other great Irish comic writers in English, such as James Joyce (the one everybody named as the master in the field), Samuel Beckett, and Jonathan Swift. This comparison showed once more how O'Nolan is in no way inferior to these authors who, greatly celebrated by critics, have nonetheless failed to achieve that great public recognition O’Nolan received alias Myles, awarded by the daily audience he reached and influenced with his Cruiskeen Lawn column. For this reason, we believe him to be representative of the comic figure’s function as a social regulator and as a builder of solidarity, such as that Raymond Williams spoke of in his work (Williams 1982), with in mind the aim of building a ‘culture in common’. There is no way for a ‘culture in common’ to be acquired if we do not accept the fact that even the most functional society rests on conventions, and in a world more and more ‘connected’ we need someone to help everybody negotiate with different cultures and persons. The comic gives us a worldly perspective which is at the same time comfortable and distressing but in the end not harmful as the one furnished by politicians could be: he lets us peep into parallel worlds without moving too far from our armchair and, as a consequence, is the one who does his best for the improvement of our understanding of things.

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La ricerca di Roberta Frigeni, svolta ad ampio spettro diacronico, è condotta su di una campionatura di specula principum - editi ed inediti - elaborati tra XII e XV secolo, e ne indaga il linguaggio quale referente privilegiato, rilevandone persistenze terminologiche e nuclei sintagmatici ricorrenti, al fine di individuare concetti utili a delineare un lessico politico proprio di questa testualità, in corrispondenza al sorgere dell’entità statale europea nel XIII secolo (con particolare riguardo all’area francese, ai regni di Luigi IX e Filippo il Bello). A partire da un’analisi critica delle tesi di Quentin Skinner circa la ‘ridefinizione paradiastolica’ del sistema delle virtù classiche entro il trattato De principatibus, lo studio innesca un percorso di indagine à rebours che - sondando il linguaggio - rintraccia nella trattatistica delle institutiones regum del XV secolo (Pontano, Patrizi, Carafa, Platina) e degli specula principum medievali (Elinando di Froidmont, Gilberto di Tournai, Vincenzo di Beauvais, Guglielmo Peraldo, Egidio Romano, Guido Vernani) una consonanza di motivi nella sintassi e nell’immaginario preposti ad illustrare le potenzialità semantiche del nome di prudentia, individuata quale unica virtù sopravvissuta alla ‘ridescrizione’ del codice etico operata da Machiavelli. Indagando i progressivi ampliamenti del campo semantico sorto attorno al nome della virtù di prudenza entro la letteratura speculare, la ricerca mostra come il dialettico rapporto con i lessemi di sapientia, astutia, fides ed experientia abbia avuto un ruolo determinante per il sorgere di un’immagine del principe emancipata dalla figura biblica del “rex sapiens”, e per la formazione di un lessico ospitale delle manifestazioni concrete del vivere politico ed economico. I processi di dilatazione e rarefazione del bacino semantico di prudentia sono, infatti, funzionali ad illustrare come il linguaggio della testualità speculare registri l’acquisizione di nuove strumentazioni teoriche grazie al rinnovamento delle fonti a disposizione lungo il secolo XIII, che - sostituendo progressivamente il più recente dossier aristotelico al solo apparato veterotestamentario - permettono di integrare la concezione delle virtù in senso operativo, adattandola alle esigenze politico-economiche dei nuovi contesti istituzionali monarchici.

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Negli ultimi anni è emerso chiaramente come la logistica rivesta un’importanza fondamentale per le aziende e costituisca un ottimo strumento per assicurarsi e mantenere un solido vantaggio competitivo. Inoltre, osservando l’ambiente attuale si evince come il sistema logistico sia caratterizzato da un progressivo aumento di complessità, sia in seguito alle maggiori esigenze dei mercati e sia come conseguenza della globalizzazione. In questo quadro evolutivo è mutato profondamente il ruolo ricoperto dalla logistica all’interno delle organizzazioni. Rispetto alla concezione tradizionale, che considerava la logistica come una funzione esclusivamente interna all’azienda, si è assistito al progressivo coinvolgimento dei fornitori e dei clienti ed è emersa la necessità di coordinare gli sforzi dell’intera supply chain, con l’obiettivo di migliorare il livello di servizio globalmente offerto e di ridurre i costi logistici totali. Tali considerazioni sono state il filo conduttore dell’analisi presentata di seguito, basata su uno studio svolto presso la DENSO Manufacturing Italia S.p.A., finalizzato all’analisi dei flussi in ingresso ed in particolar modo alla razionalizzazione degli imballi e dei trasporti, in un’ottica di integrazione con i fornitori. In particolare, la prima parte della trattazione introduce gli argomenti dal punto di vista teorico. Infatti, nel primo capitolo verrà illustrato il tema della logistica integrata e della sua evoluzione nel tempo, in relazione all’ambiente competitivo attuale ed alle nuove richieste dei mercati, approfondendo il tema della logistica in ingresso e del trasporto merci. Quindi, nel secondo capitolo verrà trattato il tema degli imballi, analizzandone le ripercussioni sull’intera catena logistica ed offrendo una panoramica dei metodi che permettono l’integrazione tra gli imballaggi ed i sistemi di trasporto, movimentazione e stoccaggio. Invece, la seconda parte dello studio sarà dedicata alla presentazione dell’azienda in cui è stato realizzato il progetto di tesi. Nel terzo capitolo verranno introdotte sia la multinazionale giapponese DENSO Corporation che la sua consociata DENSO Manufacturing Italia S.p.A., specializzata nella produzione di componenti per il mercato automotive, presso cui si è svolto lo studio. Nel quarto capitolo verrà descritto il layout dell’impianto, per poi presentare la logistica in ingresso allo stabilimento, ponendo maggiore attenzione ai flussi provenienti dal nord Italia – ed in particolare dal Piemonte – su cui si incentra il lavoro di tesi. Quindi, nella terza ed ultima parte verrà presentata in dettaglio l’analisi condotta durante lo studio aziendale. In particolare, il quinto capitolo tratta dei flussi di materiale provenienti dall’area piemontese, con l’analisi degli imballi utilizzati dai fornitori, delle consegne e delle modalità di trasporto. Infine, nel sesto capitolo saranno proposte delle soluzioni migliorative relativamente a tutte le criticità emerse in fase di analisi, valutandone gli impatti sia in termini economici che in relazione all’efficienza del flusso logistico.

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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro L’architettura della città edito nel 1966. Ne L’architettura della città sono molteplici le definizioni e le forme con cui è enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si è indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto è stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo “Manuale di urbanistica”, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche è apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessità di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare l’accezione con cui Rossi compone L’architettura della città, che egli stesso assimila ad un trattato. L’analisi ha identificato come la composizione del libro non è direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti più noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o un’impalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dell’Alberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico è evidente ne L’architettura della città. Tuttavia la possibilità di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad un’autonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si è così cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de L’architettura della città, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla città. La ricerca si è proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite un’esplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca è stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo “La teoria dei fatti urbani ne L’architettura della città”, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo all’interno del più generale contesto teorico contenuto nel libro L’architettura della città. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicità delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone un’accezione di «fatto da osservare» assimilabile all’uso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo “La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66”, è dedicata alla presentazione dell’elaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de L’architettura della città, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di città nel tempo. Si è analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facoltà di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi più generali sulla città. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuità, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare l’interesse per la letteratura urbanistica, l’arte, la sociologia, la geografia, l’economia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della città. Dall’indagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti L’architettura della città sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta così la genesi del libro, la cui scrittura si è svolta nell’arco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un “manuale d’urbanistica” a divenire quello che Rossi definirà “l’abbozzo di un trattato” per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo “La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza”, indaga monograficamente lo studio della città come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza è stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuità, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si è inoltre Rilevato l’uso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalità come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuità, di cui faceva parte anche Rossi. Sono così emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini all’interno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si è poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dell’architettura, il cui fine è quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima metà del XX secolo, e in particolare il contributo più rilevante di Marcel Poëte e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo d’indagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne L’architettura della città come il “tutto”, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo così di compiere un’ipotesi su “ciò che resta” dopo le trasformazioni continue che operano nella città. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne L’architettura della città, e più precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne L’architettura della città l’uso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia l’uso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate l’originalità dell’espressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla città attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette più rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantità di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de L’architettura della città e dell’ Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare L’architettura della città negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo “Manuale d’urbanistica, giugno 1963”, chiara prima bozza del libro, degli “Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963”, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilità di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si è formato. E’ così apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un più preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si è affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de L’architettura della città si è raccolta un’ampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dell’architettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono L’architettura della città come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza l’analisi è stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne L’architettura della città rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunità per intraprendere l’elaborazione dell’idea di tipo. Per quest’ultima parte si può precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove l’interesse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in quest’ultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuità, sia all’interno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per l’ILSES e per l’Istituto Nazionale d’Urbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the author’s youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled “Manual of urban planning” and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossi’s writings. In this sense, the examination of Rossi’s participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvio’s treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossi’s interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled “The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City”, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by “disassembling” the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the book’s structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the author’s life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the book’s title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of “fact to be observed”, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled “The formation of the notion of urban artifact 1953-66”, introduces the theoretical elaboration in Rossi’s writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossi’s cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine “Casabella-continuità”, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the “Istituto Universitario di Architettura” (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an “urban planning manual” became a “treatise draft” for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled “The material structure of urban artifacts: the theory of permanence”. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuità and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuità, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Poëte and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the “whole”, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on “what remains” after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossi’s writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the “Aldo Rossi Papers” are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the “A Scientific Autobiography”. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of “Urban planning manual, June, 1963”, which is an explicit first draft of the book; “Notes for urban planning book summer/winter 1963”; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 – August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 – December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossi’s education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuità and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.

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La presente Tesi di Laurea Specialistica considera, partendo da un'analisi della normativa vigente e delle procedure aziendali interne, il Sistema di Gestione Integrato Qualità  Sicurezza Ambiente (SGI QSA) di HERA SpA con particolare attenzione alle tematiche relative alla Prevenzione e Protezione sul luogo di lavoro in riferimento al Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs 81/2008) . Nello specifico, l'elaborato si basa sull'esperienza maturata durante cinque mesi di stage effettuati presso l'ufficio "Servizio Prevenzione e Protezione" della Struttura Operativa Territoriale (SOT) Bologna. Durante la mia permanenza in HERA SpA, ho avuto modo di osservare e prendere parte alle attività  quotidianamente svolte sia in ufficio che presso gli impianti dislocati nel territorio della provincia di Bologna con particolare riguardo alla raccolta, gestione e fruibilità  dei dai inerenti la sicurezza dei luoghi di lavoro. Nell'ambito dello stage, ho avuto anche la possibilità , estremamente formativa, di prendere visione dei processi, delle tecnologie e delle modalità  operative sottostanti l'erogazione di servizi da parte di una Multiutility; acquisire consapevolezza e know how in merito alle energie messe in campo per effettuare attività  quali la raccolta e lo smaltimento di rifiuti piuttosto che rendere disponibile alle utenze la fornitura di acqua e gas. Ritengo che questo possa darmi un valore aggiunto sia da un punto di vista professionale che da un punto di vista umano. Scopo primario di questa trattazione è effettuare l'istantanea di un'azienda complessa e in rapida evoluzione come HERA a partire della Salute e Sicurezza dei Lavoratori con l'obiettivo di indicare le attività  eseguite durante lo stage e il contributo fornito allo sviluppo e al mantenimento del SGS (Sistema di Gestione per la Salute e la sicurezza). Per meglio evidenziare la diversa natura delle informazioni riportate, l'elaborato risulta diviso in due parti fondamentali: La I PARTE riguarda lo studio della normativa che regola il settore con particolare riferimento al TUSL Testo Unico per la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro (norma vigente in Italia) e allo standard britannico OHSAS 18001 a cui possono fare riferimento le organizzazioni che intendono certificare il proprio sistema di gestione in materia di sicurezza. In seguito si andranno ad analizzare le norme ISO 9001e ISO14001 che riguardano rispettivamente la possibilità  di certificare il proprio sistema di gestione in merito a Qualità  del servizio e tutela dell'Ambiente. Infine saranno proposte alcune riflessioni riguardanti la necessità  di sviluppare un sistema di gestione integrato e certificato che permetta di avere una visione unitaria di Qualità  Sicurezza e Ambiente. Nella II PARTE si entrerà  nel merito delle attività  svolte dall'ufficio Prevenzione e Protezione: a partire dalle procedure aziendali che fungono da punto di contatto fra gli obblighi normativi e la necessità  di regolare l'operatività  dei lavoratori, saranno descritte le mansioni che mi sono state affidate e le attività  svolte durante lo stage.

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Affrontare l’analisi critica delle traduzioni italiane di Un amour de Swann di Marcel Proust implica necessariamente un attento esame dello stile esemplare di un autore, che ha modificato, in larga misura, la concezione del romanzo e della scrittura stessa; in secondo luogo significa considerare l’altrettanto complesso lavorio intellettuale rappresentato dalla traduzione, in qualità di atto critico fondamentale. Prenderemo in esame nel capitolo primo la genesi del TP, le sue specificità narratologiche e la ricezione critica francese e italiana, per comprendere appieno l’originalità di Proust rispetto al panorama letterario dell’epoca. Nella seconda parte del primo capitolo delineeremo un excursus lungo la storia di tutte le traduzioni italiane del romanzo, accordando particolare attenzione alla figura di ogni traduttore: Natalia Ginzburg (1946), Bruno Schacherl (1946), Armando Landini (1946), Oreste Del Buono (1965), Giovanni Raboni (1978), Maria Teresa Nessi Somaini (1981), Gianna Tornabuoni (1988), Eurialo De Michelis (1990) e il traduttore, rimasto anonimo, della casa editrice La Spiga Languages (1995). Nel secondo capitolo analizzeremo la peculiarità stilistica più nota dell’autore, la sintassi. I lunghi periodi complicati da un intreccio di subordinate e sciolti solo con il ricorso a vari nessi sintattici contribuiscono a rendere la sintassi proustiana una delle sfide maggiori in sede traduttiva. Nel capitolo successivo accorderemo attenzione all’eteroglossia enunciativa, espressa nei diversi idioletti del romanzo. In sede contrastiva affronteremo la questione della trasposizione dei niveaux de langue, per poter valutare le scelte intraprese dai traduttori in un ambito altamente complesso, a causa della diversità diafasica intrinseca dei due codici. All’interno del medesimo capitolo apriremo una parentesi sulla specificità di una traduzione, quella di Giacomo Debenedetti, effettuata seguendo una personale esegesi dello stile musicale e armonico di Proust. Riserveremo al capitolo quarto lo studio del linguaggio figurato, soffermandoci sull’analisi delle espressioni idiomatiche, che vengono impiegate frequentemente da alcuni personaggi. Rivolgeremo uno sguardo d’insieme alle strategie messe in atto dai traduttori, per cercare un equivalente idiomatico o per ricreare il medesimo impatto nel lettore, qualora vi siano casi di anisomorfismo. Analizzeremo nel quinto capitolo la terminologia della moda, confrontando il lessico impiegato nel TP con le soluzioni adottate nei TA, e aprendo, inevitabilmente, una parentesi sulla terminologia storica del settore. A compimento del lavoro presenteremo la nostra proposta traduttiva di un capitolo tratto dal saggio Proust et le style di Jean Milly, per mettere in luce, tramite la sua parola autorevole, la genialità e la complessità della scrittura proustiana e, conseguentemente, il compito ardimentoso e ammirevole che è stato richiesto ai traduttori italiani.

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Sociology of work in Italy revived at the end of WWII, after thirty years of forced oblivion. This thesis examines the history of discipline by considering three paths that it followed from its revival up to its institutionalization: the influence of the productivity drive, the role of trade unions and the activity of early young researchers. European Productivity Agency's Italian office Comitato Nazionale per la Produttività propagandised studies on management and on the effects of the industrialization on work and society. Academicians, technicians, psychologists who worked for CNP started rethinking sociology of work, but the managerial use of sociology was unacceptable for both trade unions and young researchers. So “free union” CISL created a School in Florence with an eager attention to social sciences as a medium to become a new model union, while Marxist CGIL, despite its ideological aversion to sociology, finally accepted the social sciences lexicon in order to explain the work changes and to resist against the employers' association offensive. On the other hand, political and social engagement led a first generation of sociologists to study social phenomenon in the recently industrialized Italy by using the sociological analysis. Finally, the thesis investigate the cultural transfers from France, whose industrial sociology (sociologie du travail) was considered as a reference in continental Europe. Nearby the wide importance of French sociologie, financially aided by planning institutions in order to employ it in the industrial reconstruction, other minor experiences such as the social surveys accomplished by worker-priests in the suburbs of industrial cities and the heterodox Marxism of the review “Socialisme ou Barbarie” influenced Italian sociology of work.