55 resultados para Distrofia miotônica


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Background:The golden retriever muscular dystrophy (GRMD) dogs represent the best available animal model for therapeutic trials aiming at the future treatment of human Duchenne muscular dystrophy (DMD). We have obtained a rare litter of six GRMD dogs (3 males and 3 females) born from an affected male and a carrier female which were submitted to a therapeutic trial with adult human stem cells to investigate their capacity to engraft into dogs muscles by local as compared to systemic injection without any immunosuppression. Methods Human Immature Dental Pulp Stem Cells (hIDPSC) were transplanted into 4 littermate dogs aged 28 to 40 days by either arterial or muscular injections. Two non-injected dogs were kept as controls. Clinical translation effects were analyzed since immune reactions by blood exams and physical scores capacity of each dog. Samples from biopsies were checked by immunohistochemistry (dystrophin markers) and FISH for human probes. Results and Discussion We analyzed the cells' ability in respect to migrate, engraftment, and myogenic potential, and the expression of human dystrophin in affected muscles. Additionally, the efficiency of single and consecutive early transplantation was compared. Chimeric muscle fibers were detected by immunofluorescence and fluorescent in situ hybridisation (FISH) using human antibodies and X and Y DNA probes. No signs of immune rejection were observed and these results suggested that hIDPSC cell transplantation may be done without immunosuppression. We showed that hIDPSC presented significant engraftment in GRMD dog muscles, although human dystrophin expression was modest and limited to several muscle fibers. Better clinical condition was also observed in the dog, which received monthly arterial injections and is still clinically stable at 25 months of age. Conclusion Our data suggested that systemic multiple deliveries seemed more effective than local injections. These findings open important avenues for further researches.

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The dystrophin gene, located at Xp21, codifies dystrophin, which is part of a protein complex responsible for the membrane stability of muscle cells. Its absence on muscle causes Duchenne Muscular Dystrophy (DMD), a severe disorder, while a defect of muscle dystrophin causes Becker Muscular Dystrophy (DMB), a milder disease. The replacement of the defective muscle through stem cells transplantation is a possible future treatment for these patients. Our objective was to analyze the potential of CD34+ stem cells from umbilical cord blood to differentiate in muscle cells and express dystrophin, in vitro. Protein expression was analyzed by Immunofluorescence, Western Blotting (WB) and Reverse Transcriptase – Polymerase Chain Reaction (RT-PCR). CD34+ stem cells and myoblasts from a DMD affected patient started to fuse with muscle cells immediately after co-cultures establishment. Differentiation in mature myotubes was observed after 15 days and dystrophin-positive regions were detected through Immunofluorescence analysis. However, WB or RT-PCR analysis did not detect the presence of normal dystrophin in co-cultures of CD34+ and DMD or DMB affected patients' muscle cells. In contrast, some CD34+ stem cells differentiated in dystrophin producers' muscle cells, what was observed by WB, reinforcing that this progenitor cell has the potential to originate muscle dystrophin in vitro, and not just in vivo like reported before.

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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.

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Ectodermal Dysplasias syndrome (EDs) are a heterogeneous group of inherited disorders characterized by dysplasia of tissues of ectodermal origin. Complete or partial anodontia are the most frequent dental findings. Prosthetic rehabilitation is recommended from functional, esthetic, and psychological points of view. Because of the anatomical abnormalities of existing teeth and alveolar ridges, conventional prosthetic rehabilitation in young patient is often difficult. Five growing patients (age 9 to 11 years) with oligo- or anodontia were prosthetically rehabilitated. Panoramic film and Cone Bean Computerized Tomography were performed and a resin model of mandibular bone was made. Despite a remarkable multi-dimensional atrophy of the alveolar bone, the insertion of two tapered implants was possible. After a submerged healing period of 2 month, the implants were exposed and abutment connection was performed. Implants were connected with an expansion bar that permits mandibular growth and prosthetic retention. A removable prosthesis was constructed with ball attachments. Mandibular growth was followed and evaluated using the expansion guide and cephalometric radiographs. Mandibular growth in sagittal and transverse direction had no adverse effects on implant position. The expansion bar permitted the undisturbed growth of the mandible. After 4.5 years of follow-up, this study showed that Implant-supported overdenture may improve oral function, phonesis and esthetics. The mandibular rotation accompanying growth had not caused a significant problem relative to the angulation and migration of the implants. Implants can be successfully placed, restored and loaded in growing EDs patients. The cephalometric analysis supported that EDs patients show midface hypoplasia with a class III tendency, which can be avoided by early rehabilitation. Thanks to the good stability and retention of the implant-supported overdenture, patients considered the prostheses as comparable to natural teeth.

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Background and objective: Autoaggressive nail disorders span a wide range of clinical changes, but they often remain undiagnosed. This article is intended to help the practitioner to make the correct diagnosis and institute an accepted treatment. Material and method: The patient charts of 1800 patients seen by the author between the years 2000-2011 in 6 different European countries were evaluated using photographs of finger and toenails. Results: The most common condition is onycholysis induced by overzealous manicure. The habit tic of maniacally pushing back the proximal nail fold of one or both thumb nails is frequent and often misdiagnosed. Heller’s median canaliform dystrophy is probably also due to a similar injury mechanism. Onychophagia is relatively com- mon and seen both in children and adults. Onychotillomania is less frequent and almost exclusively seen in adults. Onychotemnomania is even less frequent. Onychoteiromania is sowhere between the latter two habits. Onychodaknomania is exceptional and usually a sign of an underlying psychiatric disorder. There was no substantial difference in the prevalence of these conditions among the different countries visited. Conclusions: Auto aggressive nail injury is common, but often difficult to diagnose. Patient care requires not only an in-depth knowledge of virtually all nail diseases, but also a cautious and empathic patient examination and treatment

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El gen humano ABCA4 (=ABCR) se caracterizó en 1997 como el principal causante de la enfermedad de Stargardt, una distrofia macular hereditaria generalmente autosómica recesiva. Poco tiempo después se encontraron otras enfermedades asociadas a mutaciones en este gen, como son distrofia de conos y bastones, determinados casos de retinosis pigmentaria y un aumento de la susceptibilidad a la degeneración macular asociada a la edad. No existen tratamientos curativos para ninguna de estas distrofias. No obstante, dado que están causadas por un solo gen, cuya función es bien conocida, su curación se hace abordable mediante estrategias de terapia génica. En este artículo se resume el estado actual de las opciones de tratamientos basados en terapia génica de las enfermedades asociadas al gen ABCA4, las cuales implican el desarrollo de nuevos vectores derivados de virus adeno-asociados (AAV), lentivirus, y nanopartículas de ADN compactadas. Aunque este gen ha demostrado ser una diana de investigación difícil, los notables progresos realizados en los estudios genéticos, funcionales y traslacionales han permitido importantes avances en las aplicaciones terapéuticas de estas patologías, las cuales se espera que estén disponibles para los afectados en un futuro próximo. Resulta esperanzador, en este sentido, que ya están en marcha dos ensayos clínicos en fase I/II para tratar pacientes con la enfermedad de Stargardt.

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O Relatório Final para a obtenção do Mestrado em Educação Pré-escolar, incidiu sobre a temática “Formação de educadores e professores em Necessidades Educativas Especiais”. Esta investigação teve como principais objetivos, o estudo dos conhecimentos que os educadores possuem bem como as oportunidades de formação que alcançaram relativamente acerca das Necessidades Educativas Especiais (NEE), avaliando assim as necessidades de instrução dos docentes para que estejam adequadamente preparados a receber uma criança com NEE na sala. Para este trabalho, optou-se pela realização de um estudo de natureza quantitativa, tendo como método de recolha de dados a elaboração de um inquérito por questionário. Este instrumento de estudo foi desenvolvido em duas partes. Enquanto a primeira, faz referência a fatores sobre a sua carreira como agente educativo (Idade, anos de experiência, situação atual, tipologia escolar e habilitações literárias), a segunda parte questiona as inquiridas sobre o nível de conhecimento (significado, manifestações e cuidados) e os graus de formação (inicial, contínua, especializada e autónoma) que desenvolveram sobre dez NEE mencionadas no mesmo inquérito (Síndrome de Down, Dislexia, Dotado/Sobredotado, Perturbação do Espectro do Autismo, Paralisia Cerebral, Distrofia Muscular, Cegueira e/ou Surdez, Epilepsia, Perturbação da Hiperatividade com Défice de Atenção e Perturbação de Oposição de Desafio). Na revisão da literatura, precedeu-se à pesquisa de informação relevante tornando-a como base ao estudo desenvolvido. Nesse capítulo, abordaram-se conteúdos teóricos como, a noção de NEE, a sua diversidade e importância para a educação, a génese e significado de inclusão, bem como a sua ligação com as NEE, e por último, a formação de educadores/professores promovendo uma educação inclusiva, dando a conhecer o perfil do professor inclusivo. Com a realização desta investigação concluiu-se, que os educadores consideram a formação inicial sobre as NEE pouco aprofundada, tendo também verificado que a maioria dos docentes não se encontra devidamente preparada para atender às dificuldades das crianças com NEE. Aliás, entre outras conclusões, constatou-se ainda que a principal fonte de obtenção de conhecimento desenvolvida pelas inquiridas é através da pesquisa autónoma. A necessidade de investir em ações de formação nesta área fica, pois, bem evidenciada.

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Os processos degenerativos do tecido cutâneo estão amplamente associados ao seu envelhecimento natural, onde se verifica perda de tecido fibroso, renovação celular mais lenta e redução da rede vascular e glandular da pele. Alguns fatores externos ao organismo podem contudo acelerar estes processos, como por exemplo a exposição solar, consumo excessivo de álcool e tabaco, poluição ambiental e aumento de peso. De entre estes processos destacam-se o processo descamativo, um fenómeno natural do mecanismo de diferenciação dos queratinócitos. É um processo complexo que envolve essencialmente a degradação da coesão entre células da pele. A lipodistrofia ginóide é outro destes processos, comummente denominado de celulite, e que se caracteriza como uma distrofia celular complexa, com alterações do metabolismo hídrico que conferem uma aparência de "casca de laranja" à pele. A flacidez é um processo resultante da atrofia tecidular, onde se verifica a perda progressiva de massa muscular que é substituída por tecido adiposo. Está diretamente relacionada com a redução da produção de fibras de colagénio e fibras elásticas no tecido subcutâneo. Por fim, insuficiência venosa é um termo utilizado para caracterizar um processo que afeta o sistema venoso dos membros inferiores, que se desenvolve por aumento da pressão venosa em combinação com um retorno venoso ineficiente. Embora ainda não exista compreensão total destes mecanismos, já é possível encontrar uma série de tratamentos que visam minimizar ou mesmo tratá-los, de modo a que não se agravem e representem um risco sério para a saúde.

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Infantile Neuroaxonal Dystrophy (INAD1, MIM # 256600), is a rare autossomal recessive neurodegenerative disorder. The clinical picture is characterized by psychomotor regression and hypotonia, which progresses to spastic tetraplegia, visual impairment and dementia. Onset is within the first 2 years of life and death usually happens before the age of 10. In 2006, Morgan et al described that mutations in PLA2G6 gene localized in chromosome 22 (22q13), caused INAD1. Evidence showed that a large proportion of patients with infantile neuroaxonal dystrophy have a mutation in the PLA2G6 gene. A 36-years-old pregnant woman presented for obstetric follow up. It was the second pregnancy of this healthy, nonconsanguineous couple. Their 7 year-old daughter was affected with Infantile Neuroaxonal Dystrophy. Molecular testing was done in the child and, as a causal mutation was detected, it was possible to offer a specific prenatal diagnosis. The molecular study of PLA2G6 gene by amniocentesis showed the presence of a mutation in heterozygoty and the karyotype was normal for a female foetus. To our knowledge, this is the first molecular prenatal diagnosis of INAD1 in Portugal.

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INTRODUCCIÓN. La distrofia muscular de Duchenne es una enfermedad neuromuscular con una herencia recesiva ligada al X que afecta a 1 de cada 3500 niños nacidos vivos. Se produce por mutaciones en el gen DMD que codifica para la distrofina. Se caracteriza por manifestaciones clínicas variables típicas de una distrofia muscular proximal progresiva. OBJETIVO. Realizar el primer registro en Colombia de los pacientes identificados con distrofinopatías, teniendo en cuenta características clínicas y paraclínicas, así como las mutaciones causales de esta patología. METODOLOGÍA Es un estudio descriptivo, transversal, de la revisión de historias clínicas de los pacientes con diagnóstico de DMD atendidos en la consulta de Genética de la Universidad del Rosario durante los años 2006 a 2015. RESULTADOS Se identificaron 99 pacientes, de los cuales 56 (56,56%) corresponden al fenotipo Duchenne y 12 (12,12%) al Becker. No fue posible clasificar a 31 pacientes (31,3%) por falta de datos clínicos. La edad de inicio de los síntomas fue en promedio de 4,41 años. Las mutaciones más frecuentes fueron las deleciones (69%), seguidas por las mutaciones puntuales(14%), las duplicaciones (11%) y por otras mutaciones (4%). CONCLUSIONES Este registro de distrofinopatías es el primero reportado en Colombia y el punto de partida para conocer la incidencia de la enfermedad, caracterización clínica y molecular de los pacientes, garantizando así el acceso oportuno a los nuevos tratamientos de medicina de precisión que permitan mejorar la calidad de vida de los pacientes y sus familias.