378 resultados para Diaspora indienne
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Current enthusiasm among development stakeholders for the enticement and recruitment ‘back home’ of skilled Diaspora migrants has predominantly revolved around how human capital gains and transfers of capital, knowledge, technical skills and workplace entrepreneurialism and innovation can be facilitated. In this article, we widen the conceptual basis of this dimension of the migration–development nexus, by bringing the additional contributions of the social remittances that return migrants offer, and practice, into the mix. As evidence, the article examines how and why a sample of ‘middling’1 Trinidadian transnational professionals engage in social development activities and why experiences vary widely on their return. Their views are appraised through the verbal optic of their narratives, which they shared with us during in-depth interviews. Several among these Diaspora returnees appear to be agents for the diffusion and infusion of social capital and non-monetary, social remittances in the homeland to which they have returned in mid-life and mid-career. Others are disappointed, or frustrated, and have their hopes dashed, leading to thoughts of re-migration, or re-return. Despite such difficulties, we find that family belonging and national pride strengthens many of these return migrants’ development potential through their deeply felt commitments to local ‘capacity-building’.
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This article considers how T. S. Eliot's promotion of the work of the Anglo-Welsh poet David Jones after the Second World War further involved him in a process of considering the resonances of the local and familiar as operative within the displacements of modernity. This promotion therefore retrospectively prioritized an aspect of Eliot's poetics which had been present, but occluded, all along. Conversely, the article considers how similar resonances in Jones's own work were enhanced by his encounter with Eliot's translation of the Francophone Caribbean poet St-John Perse's Anabase, an encounter which enabled Jones to establish an idiom responsive to the divergent cultural affinities inherent in ‘our situation’.
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In light of these continuing debates concerning immigration, national identity and belonging, re-examinations of immigrant and ethnic communities, often referred to as ‘diaspora,’ have become increasingly popular and prudent. Khachig Tololian, editor of Diaspora magazine, calls diaspora “exemplary communities of the transnational moment.”5 In an increasingly globalized world, where labor, capital, and resources are passed fluidly from continent to continent, diaspora are created by relocation or displacement of immigrant workers and their descendents.6 For these unskilled, immigrant laborers, middle class immigrants, and the children of both groups, adaptation to the culture, society, and life in a new ‘host’ country can be difficult, to say the least. So, in response to a new cultural landscape and a tenuous sense belonging, as well as to maintain a connection with a shared past, citizens of the world’s numerous diaspora replicate linguistic, cultural, and social norms, creating their own “cultural space[s]” that mirror and often replace a past relationship to their land of origin, or ‘home’.
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Il lavoro ripercorre le tracce che gli ebrei portoghesi, esuli dopo il biennio 1496-97, lasciarono nel loro cammino attraverso l'Europa. In particolare, l'interesse si concentra sulla breve parentesi italiana, che grazie all'apertura e alla disponibilità di alcuni Signori, come i Gonzaga di Mantova, i Medici, i Dogi della Serenissima e gli Este, risulta ricchissima di avvenimenti e personaggi, decisivi anche per la storia culturale del Portogallo. L'analisi parte evidenziando l'importanza che ebbe la tipografia ebraica in Portogallo all'epoca della sua introduzione nel Paese; in secondo luogo ripercorre la strada che, dal biennio del primo decreto di espulsione e del conseguente battesimo di massa, porta alla nascita dell'Inquisizione in Portogallo. Il secondo capitolo tenta di fare una ricostruzione, il più possibile completa e coerente, dei movimenti degli esuli, bollati come marrani e legati alle due maggiori famiglie, i Mendes e i Bemveniste, delineando poi il primo nucleo di quella che diventerà nel Seicento la comunità sefardita portoghese di Amsterdam, dove nasceranno le personalità dissidenti di Uriel da Costa e del suo allievo Spinoza. Il terzo capitolo introduce il tema delle opere letterarie, effettuando una rassegna dei maggiori volumi editi dalle officine tipografiche ebraiche stanziatesi in Italia fra il 1551 e il 1558, in modo particolare concentrando l'attenzione sull'attività della tipografia Usque, da cui usciranno numerosi testi di precettistica in lingua ebraica, ma soprattutto opere cruciali come la famosa «Bibbia Ferrarese» in castigliano, la «Consolação às Tribulações de Israel», di Samuel Usque e la raccolta composta dal romanzo cavalleresco «Menina e Moça» di Bernardim Ribeiro e dall'ecloga «Crisfal», di un autore ancora non accertato. L'ultimo capitolo, infine, si propone di operare una disamina di queste ultime tre opere, ritenute fondamentali per ricostruire il contesto letterario e culturale in cui la comunità giudaica in esilio agiva e proiettava le proprie speranze di futuro. Per quanto le opere appartengano a generi diversi e mostrino diverso carattere, l'ipotesi è che siano parte di un unicum filosofico e spirituale, che intendeva sostanzialmente indicare ai confratelli sparsi per l'Europa la direzione da prendere, fornendo un sostegno teoretico, psicologico ed emotivo nelle difficili condizioni di sopravvivenza, soprattutto dell'integrità religiosa, di ciascun membro della comunità.
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La ricerca si propone come studio teorico e analitico basato sulla traduzione letteraria e audiovisiva del genere diasporico, esemplificato nel romanzo The Namesake – L’omonimo di J. Lahiri e nel film The Namesake – Il destino nel nome di M. Nair. Si sviluppa, quindi, un doppio percorso di analisi, concentrandosi sulla traduzione interlinguistica di due modalità testuali differenti, quella letteraria (il testo narrativo) e quella audiovisiva (in particolare, il doppiaggio). L’approccio teorico è di stampo interdisciplinare, come risulta sempre più imprescindibile nel campo dei Translation Studies: infatti, si cerca di coniugare prospettive di natura più linguistica, quali i Descriptive Translation Studies (in particolare, Toury 1995) e lo sviluppo degli studi sui cosiddetti ‘universali traduttivi’, con approcci di stampo più culturalista, in particolare gli studi sulla traduzione post-coloniali, con le loro riflessioni sui concetti di ‘alterità’ e ‘ibridismo’. Completa il quadro teorico di riferimento una necessaria definizione e descrizione del genere diasporico relativo alla cultura indiana, in rapporto sia al contesto di partenza (statunitense) sia al contesto di arrivo (italiano) per entrambi i testi presi in considerazione. La metodologia scelta per l’indagine è principalmente di natura linguistica, con l’adozione del modello elaborato dallo studioso J. Malone (1988). L’analisi empirica, accompagnata da una serie di riflessioni teoriche e linguistiche specifiche, si concentra su tre aspetti cruciali per entrambe le tipologie testuali, quali: la resa della naturalezza dei dialoghi nel discorso letterario e in quello filmico, la rappresentazione del multiculturalismo e delle varietà linguistiche caratterizzanti i due testi di partenza e i numerosi riferimenti culturo-specifici delle due opere e la loro traduzione in italiano. Si propongono, infine, alcune considerazioni in ottica intersemiotica in relazione alle tre aree individuate, a integrazione dell’indagine in chiave interlinguistica.
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Native to sub-Saharan Africa, Aethina tumida Murray (Coleoptera: Nitidulidae) is now an invasive pest of honey bee, Apis mellifera L., colonies in Australia and North America. Knowledge about the introduction (s) of this beetle from Africa into and among the current ranges will elucidate pest populations and invasion pathways and contribute to knowledge of how a parasite expands in new populations. We examined genetic variation in adult beetle samples from the United States, Australia, Canada, and Africa by sequencing a 912-base pair region of the mitochondrial DNA cytochrome c oxidase subunit I gene and screening 10 informative microsatellite loci. One Canadian introduction of small hive beetles can be traced to Australia, whereas the second introduction seems to have come from the United States. Beetles now resident in Australia were of a different African origin than were beetles in North America. North American beetles did not show covariance between two mitochondrial haplotypes and their microsatellite frequencies, suggesting that these beetles have a shared source despite having initial genetic structure within their introduced range. Excellent dispersal of beetles, aided in some cases by migratory beekeeping and the bee trade, seems to lead to panmixis in the introduced populations as well as in Africa.