977 resultados para Crescita di nanoparticelle Mg_Pd, TiFlussimetroMetodo IGC


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Abbiamo sintetizzato un nuovo sistema nanogranulare consistente di nanoparticelle di magnetite inserite in idrossiapatite carbonata biomimetica per possibili future prospettive nell'ambito del tissue engineering osseo. Sono stati sintetizzati e studiati tre campioni nanogranulari, uno composto di nanoparticelle di magnetite e due composti di idrossiapatite contenenti magnetite per circa lo 0.8wt.% ed il 4wt.%. Le nanoparticelle di magnetite e il materiale composto sono stati analizzati tramite diffrazione a raggi X (XRD), spettroscopia all'infrarosso (FT-IR) e microscopia in trasmissione elettronica (TEM). Queste analisi hanno fornito informazioni sulla struttura delle nanoparticelle, come il size medio di circa 6 nm e hanno rivelato, sulla loro superficie, la presenza di gruppi idrossilici che incentivano la crescita successiva della fase di idrossiapatite, realizzando una struttura nanocristallina lamellare. I primi studi magnetici, condotti tramite un magnetometro SQUID, hanno mostrato che sia le nanoparticelle as-prepared sia quelle ricoperte di idrossiapatite sono superparamagnetiche a T=300K ma che il rilassamento della magnetizzazione è dominato da interazioni magnetiche dipolari di intensità confrontabile all'interno dei tre campioni. I valori di magnetizzazione più bassi di quelli tipici per la magnetite bulk ci hanno portato ad ipotizzare un possibile fenomeno di canting superficiale per gli spin delle nanoparticelle, fenomeno presente e documentato in letteratura. Nei tre campioni, quello di sole nanoparticelle di magnetite e quelli di idrossiapatite a diverso contenuto di magnetite, si forma uno stato collettivo bloccato a temperature inferiori a circa 20K. Questi risultati indicano che le nanoparticelle di magnetite tendono a formare agglomerati già nello stato as-prepared che sostanzialmente non vengono alterati con la crescita di idrossiapatite, coerentemente con la possibile formazione di legami idrogeno elettrostatici tra i gruppi idrossilici superficiali. L'analisi Mossbauer del campione di magnetite as-prepared ha mostrato un comportamento bimodale nelle distribuzioni dei campi iperfini presenti alle varie temperature. Passando dalle basse alle alte temperature lo spettro collassa in un doppietto, coerentemente con il passaggio dallo stato bloccato allo stato superparamagnetico per il sistema.

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Questa tesi si pone l’obiettivo di effettuare un’analisi aggiornata sulla recente evoluzione del Cloud Computing e dei nuovi modelli architetturali a sostegno della continua crescita di richiesta di risorse di computazione, di storage e di rete all'interno dei data center, per poi dedicarsi ad una fase sperimentale di migrazioni live singole e concorrenti di macchine virtuali, studiandone le prestazioni a livello di risorse applicative e di rete all’interno della piattaforma open source di virtualizzazione QEMU-KVM, oggi alla base di sistemi cloud-based come Openstack. Nel primo capitolo, viene effettuato uno studio dello stato dell’arte del Cloud Computing, dei suoi attuali limiti e delle prospettive offerte da un modello di Cloud Federation nel futuro immediato. Nel secondo capitolo vengono discusse nel dettaglio le tecniche di live migration, di recente riferimento per la comunità scientifica internazionale e le possibili ottimizzazioni in scenari inter e intra data center, con l’intento di definire la base teorica per lo studio approfondito dell’implementazione effettiva del processo di migrazione su piattaforma QEMU-KVM, che viene affrontato nel terzo capitolo. In particolare, in quest’ultimo sono descritti i principi architetturali e di funzionamento dell'hypervisor e viene definito il modello di progettazione e l’algoritmo alla base del processo di migrazione. Nel quarto capitolo, infine, si presenta il lavoro svolto, le scelte configurative e progettuali per la creazione di un ambiente di testbed adatto allo studio di sessioni di live migration concorrenti e vengono discussi i risultati delle misure di performance e del comportamento del sistema, tramite le sperimentazioni effettuate.

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L’obbiettivo del lavoro è la messa a punto di membrane polimeriche nanoporose funzionalizzate con la N-metil-D-glucamina (NMDG), per la rimozione dell’arsenico dalle acque. Al fine di ottenere membrane con proprietà di filtro molecolare selettivo, si è deciso di sfruttare la capacità della NMDG di chelare selettivamente gli ossianioni dell’arsenico. La NMDG è stata funzionalizzata in maniera da ottenere due monomeri: metacrilato della N-metil-D-glucammina e 4-vinilbenzil-N-metil-D-glucammina, sui quali è stata effettuata una sililazione dei gruppi ossidrilici della glucammina in maniera da ottenere composti liquidi e quindi adatti al processo produttivo delle membrane. Con l’obbiettivo di ottenere un elevata area superficiale la morfologia della membrana è stata controllata mediante imprinting di nanoparticelle di silice colloidale. La cattura del arsenico da parte delle membrane polimeriche è stata valutata mediante analisi di assorbimento atomico a seguito dell’attacco acido con HF 5% che rimuove le particelle di silice ed i gruppi protettori.

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Le infrastrutture portuali rappresentano un elemento chiave come motore di crescita per l’economia globale. Il 74% delle merci importate ed esportate dall’UE transitano per porti. Per questo motivo sono necessari investimenti in infrastrutture e attrezzature portuali per far fronte alle previsioni di crescita del trasporto merci nel prossimo decennio. La crescita del transhipment, quindi di grossi scali chiamati hub, ha rivoluzionato la scelta delle tratte principali e la scelta degli scali. Nel corso del seguente elaborato ci si è concentrati sulla situazione dell’Alto Adriatico, analizzando lo stato attuale dei principali porti e i possibili sviluppi futuri. La situazione dell’Alto Adriatico è particolare, questi porti si trovano sulle rotte principali del trasporto globale ma vista la crescita di scambi commerciali con la Cina e l’estremo Oriente, per via dello spostamento verso Est del baricentro dell’economia, si trovano in posizione ottimale per diventare un grosso gateway. Questo è l’obbiettivo che si sono prefissati i porti del Nord Adriatico cioè far capire che risalire l’Adriatico, anche se fuori dalle rotte può risultare conveniente visto il risparmio di cinque giorni di navigazione, rispetto ai porti del Nord Europa, che si traduce in un risparmio di tempo e di costi. Per creare attrattiva sono stati svolti, e continuano, numerosi investimenti per lo sviluppo dei fondali e del retroporto, nel tentativo di potersi affermare all’interno del mercato europeo e globale. Nel corso dell’elaborato saranno analizzati i grossi vantaggi di cui godono i porti del Nord Adriatico grazie alla loro posizione geografica, e alcune delle problematiche che ostacolano la crescita.

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Questa tesi descrive alcune proprietà delle algebre monounarie finite e si propone di trovare un metodo per classificarle. Poiché infatti il numero di algebre di ordine n aumenta notevolmente con la crescita di quest’ultimo, si cerca un modo per suddividerle in classi d’isomorfismo. In particolare, dal momento che anche il numero di queste classi cresce esponenzialmente all’aumentare di n, utilizziamo una classificazione meno fine dell’isomorfismo basata sul polinomio strutturale. Grazie a questo strumento infatti è possibile risalire a famiglie di grafi orientati associati ad algebre monounarie, a due a due non isomorfi, ricavando perciò alcune specifiche caratteristiche di quest’ultime. Infine, calcolando l’ordine di gruppi particolari, detti automorfi, si può ottenere l’effettivo numero di algebre aventi un dato polinomio strutturale.

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Lo scopo di questa tesi è dimostrare il Principio Forte di Continuazione Unica per opportune soluzioni di un'equazione di tipo Schrödinger Du=Vu, ove D è il sub-Laplaciano canonico di un gruppo di tipo H e V è un potenziale opportuno. Nel primo capitolo abbiamo esposto risultati già noti in letteratura sui gruppi di tipo H: partendo dalla definizione di tali gruppi, abbiamo fornito un'utile caratterizzazione in termini "elementari" che permette di esplicitare la soluzione fondamentale dei relativi sub-Laplaciani canonici. Nel secondo capitolo abbiamo mostrato una formula di rappresentazione per funzioni lisce sui gruppi di tipo H, abbiamo dimostrato una forma forte del Principio di Indeterminazione di Heisenberg (sempre nel caso di gruppi di tipo H) e abbiamo fornito una formula per la variazione prima dell'integrale di Dirichlet associato a Du=Vu. Nel terzo capitolo, infine, abbiamo analizzato le proprietà di crescita di funzioni di frequenza, utili a dimostrare le stime integrali che implicano in modo piuttosto immediato il Principio Forte di Continuazione Unica, principale oggetto del nostro studio.

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La crescita di interesse per la corsa a lunga distanza avvenuta alla fine del 1960 ha portato ogni anno all'insorgenza di lesioni su 1/3 dei corridori, questo ha generato un parallelo aumento di interesse per questa pratica dato dalla mancanza di comprensione della fisiologia e biomeccanica della corsa. Lo scopo di questo studio di tesi è stato quello di indagare tutti gli aspetti riguardanti la biomeccanica della corsa andando a soffermarsi sulle relazioni tra i parametri, sugli effetti che possono avere durate il ciclo della corsa e sui suoi possibili utilizzi in molti campi della scienza. Durante questa tesi è stato studiato l'aspetto dinamico, cinematico ed elettromiografico della biomeccanica della corsa, i vari metodi e strumenti di misura dei parametri della corsa ed infine sono stati analizzati differenti studi sulla biomeccanica della corsa per meglio comprendere le relazioni che si instaurano tra i parametri e il loro significato.

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L’utilizzo delle biomasse rappresenta oggi una delle vie più interessanti da percorrere nell’ambito di una chimica industriale maggiormente sostenibile, alternativa alla chimica tradizionale basata sulle risorse fossili. I carboidrati sono i costituenti maggioritari della biomassa e potrebbero rappresentare un’alternativa ideale al petrolio per la produzione dei building-blocks, molecole di partenza per lo sviluppo della filiera produttiva della chimica. Fra i building-blocks ottenibili dagli zuccheri vi è l’acido glucarico. I suoi usi sono molteplici ma suscita grande interesse soprattutto per la possibilità di essere utilizzato nella sintesi di diverse tipologie di polimeri. Attualmente la maggior parte dei metodi di sintesi di questa molecola prevedono l’utilizzo di ossidanti tossici o dannosi per l’ambiente come l’acido nitrico. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato lo studio di catalizzatori eterogenei per la sintesi di acido glucarico da D-glucosio utilizzando ossigeno puro come ossidante. Sono stati sintetizzati sistemi monometallici a base di oro e sistemi multimetallici contenenti oro ed altri metalli in lega. Tutti i catalizzatori sono stati preparati depositando i metalli sotto forma di nanoparticelle su carbone attivo. Lo studio dei catalizzatori è stato focalizzato sull’individuazione dei metalli e delle condizioni di reazione ottimali che permettano di aumentare la selettività in acido glucarico. Gli studi condotti hanno portato alla conclusione che è possibile ottenere acido glucarico a partire da D-glucosio con rese fino al 35% utilizzando catalizzatori a base di oro in presenza di ossigeno. Attualmente l’acido glucarico viene prodotto solo su piccola scala ma ulteriori sviluppi in questa direzione potrebbero aprire la strada allo sviluppo di un nuovo processo industriale per la sintesi di acido glucarico sostenibile sia da un punto di vista economico che ambientale.

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Lo scopo di questo elaborato è stato determinare una modalità per ridurre il rischio di Listeria monocytogenes in semi di ravanello utilizzati per produrre germogli ad uso alimentare. Per fare ciò è stato utilizzato il timolo, un composto fenolico la cui attività antimicrobica è nota. In primo luogo sono state eseguite prove preliminari in vitro per verificare gli effetti di diverse concentrazioni di questo terpene su L. monocytogenes mediante l’uso di un citofluorimetro. I risultati hanno mostrato che 30 minuti di esposizione a 500 ppm di timolo in acqua peptonata determinano un danneggiamento della membrana cellulare in metà della popolazione microbica. Quando l’esposizione avviene in tampone fosfato, l’effetto è evidente già a 250 ppm (82% di cellule danneggiate). Successivamente, è stato valutato l’effetto di diverse concentrazioni di timolo su cellule di L. monocytogenes preventivamente inoculate su semi di ravanello. La prova è stata condotta in due modalità: la prima in contenitori sterili, la seconda in germogliatori per riprodurre fedelmente le tecniche utilizzate nel processo industriale o casalingo. Sono stati effettuati sia campionamenti microbiologici (su semi, germogli e acqua degli ammolli) sia prove di germinabilità per individuare un’eventuale riduzione della capacità germinativa dei semi a seguito del contatto con timolo. Dai dati ottenuti è emerso che il timolo riesce a contenere entro certi limiti la crescita di L. monocytogenes nell’acqua usata per l’ammollo, ma non ha un effetto significativo sul suo destino nei semi durante la germinazione. La presenza di timolo non compromette la capacità germinativa ma rallenta il processo di germinazione. In conclusione, il processo produttivo di germogli lascia spazio a molti rischi microbiologici nel caso siano già presenti nella matrice delle specie patogene. Ciò nonostante l’impiego di trattamenti preliminari sui semi prima del germogliamento, può essere una strada importante per ridurne i rischi.

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L’antibiotico resistenza negli enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE) rappresenta una problematica emergente in sanità pubblica, dato che le opzioni alternative per il trattamento di pazienti infetti sono limitate. L’andamento epidemiologico di CPE a livello globale appare ad oggi molto variegato con differenze significative tra paesi. In Italia la diffusione di K. pneumoniae produttrice di KPC è endemica ed è stimata essere un terzo (32,9%) delle infezioni invasive (sangue e liquor) da K. pneumoniae. Pertanto, diventa indispensabile implementare gli studi di farmaco-resistenza per valutare e ridurre il potenziale di crescita di tali microrganismi. Questo studio presenta come fine la valutazione del Beta Carba test, metodo cromogeno, per il rapido rilevamento di CPE in confronto con il metodo standard di riferimento. Lo studio è stato svolto presso l’U.O. Microbiologia AUSL della Romagna ed è di natura retrospettiva, di tipo esclusivamente qualitativo. Sono stati analizzati 412 campioni completamente anonimizzati: 50 emocolture, 250 urine e 112 tamponi rettali di sorveglianza. La valutazione del test è stata condotta sia direttamente a partire dalle matrici biologiche (emocolture e urinocolture positive) che dalle colonie isolate di CPE da tamponi rettali di sorveglianza, urine o emocolture. I risultati sperimentali ottenuti in vitro con il β Carba, mostrano una totale concordanza con i metodi sia fenotipici che genotipici utilizzati come riferimento: sono state ottenute sensibilità e specificità del 100%. Inoltre, a favore del test si inserisce il parametro fondamentale della rapidità, consentendo quindi una celere rilevazione di CPE direttamente su campioni clinici con un tempo di risposta piuttosto veloce e affidabile pari a 15-30 minuti. In definitiva, grazie alla performance dimostrata in vitro, il test può rappresentare un valido strumento per arginare e limitare lo spreading di CPE, svolgendo un buon ruolo nella gestione dei pazienti infetti.

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La Chemical Vapor Deposition (CVD) permette la crescita di sottili strati di grafene con aree di decine di centimetri quadrati in maniera continua ed uniforme. Questa tecnica utilizza un substrato metallico, solitamente rame, riscaldato oltre i 1000 °C, sulla cui superficie il carbonio cristallizza sotto forma di grafene in un’atmosfera attiva di metano ed idrogeno. Durante la crescita, sulla superficie del rame si decompone il metano utilizzato come sorgente di carbonio. La morfologia e la composizione della superficie del rame diventano quindi elementi critici del processo per garantire la sintesi di grafene di alta qualità e purezza. In questo manoscritto si documenta l’attività sperimentale svolta presso i laboratori dell’Istituto per la Microelettronica e i Microsistemi del CNR di Bologna sulla caratterizzazione della superficie del substrato di rame utilizzato per la sintesi del grafene per CVD. L’obiettivo di questa attività è stato la caratterizzazione della morfologia superficiale del foglio metallico con misure di rugosità e di dimensione dei grani cristallini, seguendo l’evoluzione di queste caratteristiche durante i passaggi del processo di sintesi. Le misure di rugosità sono state effettuate utilizzando tecniche di profilometria ottica interferometrica, che hanno permesso di misurare l’effetto di livellamento successivo all' introduzione di un etching chimico nel processo consolidato utilizzato presso i laboratori dell’IMM di Bologna. Nell'ultima parte di questo manoscritto si è invece studiato, con tecniche di microscopia ottica ed elettronica a scansione, l’effetto di diverse concentrazioni di argon e idrogeno durante il trattamento termico di annealing del rame sulla riorganizzazione dei suoi grani cristallini. L’analisi preliminare effettuata ha permesso di individuare un intervallo ottimale dei parametri di annealing e di crescita del grafene, suggerendo importanti direzioni per migliorare il processo di sintesi attualmente utilizzato.

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Lo scopo della presente tesi è l’analisi della tossicità di nanoparticelle di ossido di zinco (nano-ZnO) verso gli organismi acquatici. In particolare, il presente studio valuta per la prima volta l'inibizione della crescita della diatomea Thalassiosira pseudonana indotta sia da nanoparticelle di dervazione industriale, che da nanoparticelle auto-estratte in laboratorio da un filtro solare. Gli esperimenti, condotti presso il Laboratorio di Ingegneria dell'Università di Miami, hanno mostrato che la tossicità indotta dalle nanoparticelle di ossido di zinco è influenzata dal tipo di nanoparticelle, nonché dalla loro concentrazione nella soluzione acquosa e dal tempo di esposizione. In particolare le nanoparticelle di derivazione industriale, più piccole rispetto alle nanoparticelle estratte dal filtro solare, hanno indotto un’inibizione della crescita superiore, specialmente a concentrazioni inferiori. Questo andamento suggerisce che ad alte concentrazioni la tossicità di nano-ZnO potrebbe essere influenzata dall’aggregazione di nanoparticelle (indipendentemente dalle dimensioni di partenza delle nanoparticelle), mentre a concentrazioni inferiori la tossicità potrebbe essere influenzata dalle dimensioni di partenza delle nanoparticelle, così come dal tipo di nanoparticelle e dal tempo di esposizione.

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Lo studio è orientato alla determinazione dei rischi tossici posti dalle nanoparticelle di diossido di titanio rilasciate in ambiente marino. L’organismo modello utilizzato per questo studio è la diatomea Thalassiosira pseudonana, la quale è stata scelta per la sua semplicità biologica unita alla fondamentale rilevanza nella catena alimentare e nell’ecosistema marino. Oltre alle nanoparticelle prodotte industrialmente, questo studio ha lo scopo di determinare e confrontare la tossicità delle nanoparticelle utilizzate in alcuni prodotti di cura personale (in particolare crema solare e dentifricio), estraendole direttamente da essi. I nostri risultati mostrano una notevole ridondanza nel legame tra la natura (il tipo) delle nanoparticelle e l’inibizione della normale crescita delle diatomee, che supera la correlazione con tutti gli altri parametri monitorati (concentrazione di nanoparticelle, tempo di esposizione, pH, carica superficiale e dimensione delle particelle stesse), sebbene gli altri parametri risultino direttamente legati agli effetti inibitori. Tali risultati suggeriscono un’intensificazione della ricerca nell’ambito delle nanotecnologie, orientata allo sviluppo di nanomateriali “sostenibili”, ovvero dei quali sono note le potenzialità di impiego, ma anche gli aspetti negativi, che possono di conseguenza essere monitorati con maggiore consapevolezza.

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Le piante e gli animali presentano elementi comuni nel loro sistema di difesa contro gli agenti patogeni, come la sintesi diretta di enzimi idrolitici (chitinasi, glucanasi, proteinasi e ossidasi) e di peptidi antimicrobici (AMPs). Gli AMPs sono peptidi ampiamente espressi negli organismi animali (vertebrati e invertebrati) e nelle piante. Possono essere espressi costitutivamente o rapidamente indotti inseguito ad uno stimolo biotico, a differenti livelli cellulari, per interagire direttamente con l’agente infettante e/o per modulare la risposta immunitaria contro i patogeni. Tali peptidi sono oggi classificati in relazione alle loro caratteristiche biochimiche (carica netta) e/ o alle loro caratteristiche strutturali (composizione amminoacidica, struttura lineare o circolare). In base a queste caratteristiche le molecole possono essere distinte nei seguenti gruppi: 1) peptidi lineari ad alfa elica; 2) peptidi ciclici con β-sheets e due o più ponti disolfuro; 3) peptidi con alfa elica e β-sheets stabilizzati da ponti disolfuro; 4) peptidi con hairpin o loop stabilizzati da ponti disolfuro; 5) peptidi lineari con residui aminoacidici ripetuti, come prolina, glicina, triptofano o istidina; 6) piccoli peptidi con struttura avvolta o con una struttura secondaria non definita. Nonostante la loro diversità strutturale, i peptidi antimicrobici presentano la caratteristica comune di inibire la crescita di un largo spettro di microbi, quali Gram-positivi, Gram-negativi, funghi e in alcuni casi anche virus, tanto da far coniare il termine di “antibiotici naturali”. Negli ultimi anni è notevolmente incrementato l’interesse verso tali peptidi dal momento che dati scientifici hanno mostrato che questi non inducono lo sviluppo di meccanismi di resistenza nei microrganismi patogeni. Gli AMPs quindi potrebbero costituire una valida alternativa non solo in ambito sanitario, per la sostituzione di antibiotici di sintesi chimica e di origine microbiologica, ma potrebbero avere un importante utilizzo in campo industriale e nello sviluppo di nuovi sistemi di conservazione degli alimenti al fine di incrementare la loro “shelf-life”.

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O presente estudo ocupa-se de uma problemática em Didática – as relações entre a investigação científica e o desenvolvimento do campo – e assenta no pressuposto de que essas relações se constroem conjugando o pensamento e a atuação de investigadores, académicos, professores, e formadores de professores, numa ação conjunta conduzida com a participação comprometida das suas instituições profissionais e orientada para o desenvolvimento de todos os intervenientes, da sua área de atividade e, assim, do ensino/aprendizagem e dos alunos. Nesse sentido, o estudo foi concebido no intuito de criar condições propícias ao estreitamento das relações em foco, tendo em vista, simultaneamente, o aprofundamento do conhecimento sobre a problemática. Assumiu, pois, uma finalidade de intervenção no terreno e uma finalidade científica de avaliação da experiência proporcionada por essa intervenção, na expectativa do alargamento da compreensão do objeto de estudo. Na confluência dessas finalidades, a investigação desenvolveu-se como um estudo de caso norteado por duas proposições teóricas: - A colaboração entre académicos e professores, no âmbito de projetos de investigação em Didática, e o comprometimento das instituições profissionais de ambos com essas iniciativas colaborativas poderão favorecer o desenvolvimento do campo, dos atores que nele intervêm e das instituições implicadas. - A formação contínua de professores centrada na investigação em Didática poderá constituir espaço privilegiado para o desenvolvimento dessas dinâmicas de colaboração. No alinhamento destas proposições com a finalidade interventiva do estudo, diferentes atores em Didática foram desafiados a envolver-se numa iniciativa de investigação/formação colaborativa e daí resultou o caso analisado nesta investigação, o projeto ICA/DL (Investiga, Colabora e Atua em Didática de Línguas). Tal projeto, realizado no âmbito de uma parceria formalizada num Protocolo de Colaboração, envolveu uma equipa composta por cinco docentes do Departamento de Didática e Tecnologia Educativa (atual Departamento de Educação) da Universidade de Aveiro e por 4 professores da Escola Secundária Dr. João Carlos Celestino Gomes – Ílhavo e implicou ainda, institucionalmente, a universidade, a escola e o Centro de Formação das Escolas do Concelho de Ílhavo (atualmente, Centro de Formação de Associação de Escolas dos Concelhos de Ílhavo, Vagos e Oliveira do Bairro). As atividades do projeto iniciaram-se no final de 2003, com os primeiros encontros de negociação da parceria, e prolongaram-se até meados de 2007, altura em que a equipa reuniu pela última vez. O programa operacional central desenvolveu-se entre janeiro de 2004 e novembro de 2005 e concretizou-se num percurso de investigação e de formação em colaboração entre académicos e professores, concebido e implementado pela equipa e acreditado pelo Conselho Científico-Pedagógico da Formação Contínua. Tal programa centrou-se no estudo de um tópico em Didática de Línguas (a competência de aprendizagem plurilingue), na realização de intervenções de ensino/aprendizagem, no âmbito do mesmo tópico, junto dos alunos na escola e na avaliação da experiência com base em dados empíricos. A investigação que sobre o caso se conduziu, ao orientar-se, na prossecução da segunda finalidade estabelecida, para a compreensão da influência das dinâmicas colaborativas de investigação/formação sobre o desenvolvimento dos intervenientes (equipa, parceiros institucionais e alunos na escola), é também um estudo de impacte. A condução do processo empírico deu prioridade à produção de uma leitura integrada e complexa, capaz de evidenciar os impactes do projeto, interpretando-os com base na análise dos processos que terão condicionado a sua ocorrência. Nessa medida, a metodologia revestiu-se, intencionalmente, de uma natureza eminentemente interpretativa e qualitativa, socorrendo-se da triangulação de fontes, dados e procedimentos de análise. Contudo, o método integrou também procedimentos quantitativos, em particular, um exercício estatístico que, correlacionando totais de evidências verificadas e totais de evidências possíveis, procurou tornar mais precisa a avaliação da dimensão do impacte alcançado pelo projeto. Ensaiou-se, assim, uma abordagem metodológica em estudos de impacte em Educação, que propõe potenciar a compreensão de casos complexos, conjugando interpretação e objetivação/quantificação. A análise desvendou constrangimentos e obstáculos na vivência dos princípios conceptuais fundadores da noção de investigação/formação colaborativa que sustentou as proposições de partida e que fez emergir o ICA/DL. Tais dificuldades limitaram a assunção de responsabilidades partilhadas na condução processual da experiência, condicionaram dinâmicas supervisivas nem sempre colaborativas e facilitadoras e manifestaram-se em atitudes de compromisso por vezes frágil com o projeto. E terão afetado a concretização das expectativas iniciais de desenvolvimento de todos os participantes, determinando impactes de dimensão globalmente algo dececionante, assimetrias substantivas de influência da experiência levada a cabo no desenvolvimento profissional dos elementos da equipa e no desenvolvimento institucional e repercutindo-se em efeitos pouco expressivos no desenvolvimento dos alunos, no que toca a capacidades ativas de comunicação e de aprendizagem, enquadradas pelo tópico didático trabalhado no âmbito do projeto. Mas revelaram-se também sinais claros de que se avançou no sentido da concretização dos pressupostos colaborativos que sustentaram a iniciativa. Foi possível reunir académicos, professores e instituições educativas em torno da ideia de investigação/formação em colaboração e mobilizá-los como parceiros que se comprometeram na construção de um projeto assente nessa ideia. E percebeu-se que, apesar de pouco expressivo, houve impacte, pois há indicadores de que o projeto contribuiu positivamente para o desenvolvimento dos intervenientes. Na equipa, sinalizaram-se efeitos sobretudo nas práticas de ensino/aprendizagem das professoras e, no caso particular de uma delas, que teve uma participação mais envolvida em atividades de investigação, manifestaram-se impactes substancialmente mais notórios do que nos restantes elementos do grupo e que abrangeram diferentes dimensões da profissionalidade. As académicas, embora menos do que as professoras, também evidenciaram desenvolvimento, dominantemente, nos planos da investigação em Didática de Línguas e da formação de professores. E o ICA/DL parece ter proporcionado também impactes positivos junto das instituições implicadas, especialmente junto da universidade, designadamente, no que toca ao aprofundamento do pensamento sobre a problemática que sustentou a experiência e ao desenvolvimento de projetos de investigação. Por seu turno, os alunos, tendo revelado sinais modestos de reforço das suas capacidades de ação como interlocutores em situações de comunicação plurilingue e como aprendentes de línguas, deram mostras claras de terem tomado consciência de atitudes e de recursos que favorecem o desenvolvimento desses dois papéis. Para além disso, os responsáveis pela parceria, apesar dos obstáculos que limitaram o alcance dos seus propósitos, reafirmaram, na conclusão do projeto, a sua confiança nos princípios colaborativos que os uniram, antecipando a continuidade de uma experiência que entenderam como primeiro passo na concretização desses princípios. No balanço das fragilidades vividas e dos ganhos conquistados pelo ICA/DL, o estudo permite renovar a convicção inicial no poder transformador das práticas de investigação/formação colaborativa em Didática, e assim, na emergência de uma comunidade una de professores e de académicos, movida por um projeto comum de desenvolvimento da Educação. Nessa perspetiva, avançam-se sugestões que abrangem a investigação, o processo de ensino/aprendizagem nas escolas, a formação de professores, as políticas em Didática e a Supervisão.