948 resultados para Rinforzo di edifici storici mediante Tecnica di Repointing
Resumo:
Campagna sperimentale e ricerca bibliografica su elementi rinforzati con fibre naturali, in particolare fibre di canapa. Definizione delle caratteristiche meccaniche e comportamento a trazione.
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L’obiettivo dell’elaborato è analizzare la fattibilità tecnica ed economica di un impianto di prelievo d’acqua da falda artesiana per lo scambio termico nell’impianto frigorifero centralizzato dell’ospedale civile nuovo di Imola. Esso provvede a fornire acqua refrigerata a tutte le unità di trattamento aria (u.t.a.) del complesso ospedaliero ed è finalizzato a garantire per ogni locale le specifiche condizioni igrometriche , nonchè il benessere degli operatori e dei pazienti della struttura. Il lavoro di progettazione ha riguardato il dimensionamento di componenti e reti idrauliche con l’ausilio del software “EPANET” (programma per la simulazione di reti idrauliche). L’idea che ha guidato il presente elaborato è stata la creazione di un “ciclo” dell’acqua tale per cui l’acqua di scarto delle torri evaporative viene utilizzata per l’irrigazione degli orti nei pressi dei quale sorge il pozzo e successivamente, va ad alimentare la falda stessa. Le scelte progettuali hanno quindi dovuto considerare questo importante vincolo e sono state tese alla minimizzazione dei consumi d’acqua e , quindi, alla sostenibilità ambientale dell’intero impianto. In generale, infatti non è detto che la soluzione economicamente più vantaggiosa lo sia anche dal punto di vista ambientale. La soluzione adottata con rilancio dell’acqua agli orti limita il prelievo medio giornaliero d’acqua di falda di 20 m3/gg durante il periodo estivo. E’stato dimostrato come il progetto sia tecnicamente fattibile e generi valore per l’impresa con indice di rendimento IR(VAN/Capitale investito) pari a 1,29 per i primi 20 anni e pari a 2,06 per n anni di funzionamento dell’impianto con un tempo di recupero del capitale investito pari a sei anni.
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Con il presente progetto di tesi si intende proporre la riqualificazione di una porzione della cittadina di Toscanella di Dozza, attraverso la realizzazione di diversi edifici quali: una nuova chiesa parrocchiale corredata di aule e sale per le attività di catechesi ed altri spazi comuni, un centro culturale polivalente, che comprende anche diverse ricettività, un centro sportivo di modeste dimensioni con campo da calcetto all’aperto. Tutto il nuovo complesso si inserisce all’interno di un’area verde che costeggia il rio Sabbioso, e che collega attraverso un sistema di spazi aperti, i vari edifici oggetto di progettazione.
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Il mio lavoro di tesi è partito da uno studio approfondito del contesto in cui si trova la Darsena di Ravenna, la mia area di progetto. Tutta la storia dell’evoluzione di Ravenna è legata soprattutto a due fattori principali: la necessità di difendersi dalle incursioni esterne e il continuo adattarsi alle trasformazioni del territorio soprattutto per quanto riguarda la linea di costa e il corso dei due fiumi che la circondano, il Ronco e il Montone. Questi due fattori hanno fatto si che Ravenna sia apparsa, sin dai primi secoli d. C., una città cinta da grandi mura, circondate da fiumi. Il Ronco e il Montone, sono poi diventati, a metà del XVI sec. i protagonisti principali della storia di Ravenna. I diversi progetti che si sono susseguiti nel tempo per cercare di deviarli e allontanarli dalla città, dato che ormai rappresentavano solo un grosso pericolo di alluvione, hanno determinato l’abbandono del primo porto della città, voluto dall’imperatore Augusto e la nascita dell’attuale canale Candiano. Fin dall’inizio il nuovo porto di Ravenna ha presentato una serie di problemi legati alla scarsa profondità del fondale e ai costi di manutenzione, a tal punto che le attività del porto sono sempre state molto limitate. Oggi la Darsena di città è caratterizzata da una moltitudine di edifici di archeologia industriale, risalenti al boom economico degli anni ’50, che risultano per la maggior parte, in uno stato di degrado e abbandono, incominciato con la crisi petrolifera degli anni ’70. A partire dal P.R.G. del 1993, si sono messi in atto una serie di iniziative atte a rivitalizzare e reintegrare quest’area all’interno della città storica, in modo che non sembri più un’entità separata ma che possa diventare un grande potenziale di sviluppo per la città stessa. La politica di riqualificazione del waterfront non riguarda solo Ravenna, ma è una strategia che molte città del modo hanno adottato negli ultimi decenni per ridare lustro alla città stessa e, allo stesso tempo recuperare zone spesso lasciate al loro destino. Fra queste città ho scelto di approfondirne cinque, Baltimora, Barcellona, Genova, Amburgo e Bilbao, evidenziando le diverse situazioni ma soprattutto le diverse motivazioni che le hanno spinte a raggiungere la medesima conclusione, quella che l’area portuale rappresenta un grande fattore di sviluppo. La mia attenzione poi si è spostata su quale attività potesse essere più adatta ad assolvere questo obiettivo. Ho pensato di progettare un museo e una serie di edifici ad esso collegati, come un centro di ricerca con residenze annesse e una torre belvedere, che dessero all’area la possibilità di essere vissuta in tutto l’arco della giornata e per tutto l’anno. Prima di affrontare direttamente la parte progettuale ho cercato di capire quale fosse la tipologia di museo e quali fossero i principali elementi indispensabili che caratterizzano questi edifici. Durante lo studio di questi casi ho classificato i musei secondo 5 categorie diverse, la galleria, la rotonda, la corte, la spirale e la pianta libera, che rispecchiano anche lo sviluppo storico di questa particolare tipologia architettonica. In base a tutte queste considerazioni ho affrontato il mio progetto. L’area presa in esame è caratterizzata da un’ampia superficie su cui insistono tre imponenti edifici di archeologia industriale molto degradati e utilizzati come magazzini dalla società proprietaria dell’area. Due di questi presentano un orientamento parallelo alla tessitura dei campi, il terzo invece segue un orientamento proprio. Oltre a queste due trame nell’area se ne può rilevare una terza legata all’andamento del canale. Queste grandi cattedrali del lavoro mi hanno fatto subito pensare di poterle utilizzare come spazi espositivi per mostre permanenti e temporanee, mantenendo intatta la loro struttura portante. Ho deciso di immergere l’edificio più imponente dei tre, che si trova in asse con la strada veicolare di accesso dalla città, in una grande corte verde delimitata ai lati da due nuovi edifici a L adibiti a veri e propri musei. Se da una parte questi musei costituiscono i limiti della corte, dall’altra rappresentano le quinte sceniche di aree completamenti differenti. Il museo adiacente al canale si affaccia su una grande piazza pavimentata dove troneggia l’edificio di archeologia industriale più simile ad una basilica e che accoglie i visitatori che arrivano tramite la navetta costiera; l’altro invece guarda verso il centro di ricerca e le residenze universitarie legati tra loro da un grande campo lungo completamente verde. A concludere la composizione ho pensato ad una torre belvedere dalla pianta circolare che potesse assorbire tutte le diverse direzioni e che si trova proprio in asse con il terzo edificio di archeologia industriale e a contatto con l’acqua. Per quanto riguarda l’organizzazione interna dei musei ho scelto di proporre due sezioni dello stesso museo con caratteristiche ben distinte. Il primo museo riguarda la storia della civiltà marinara di Ravenna ed è caratterizzato da ambienti conclusi lungo un percorso prestabilito che segue un criterio cronologico, il secondo invece presenta una pianta abbastanza libera dove i visitatori possono scegliere come e su cosa indirizzare la propria visita. Questa decisione è nata dalla volontà di soddisfare le esigenze di tutta l’utenza, pensando soprattutto alla necessità di coinvolgere persone giovani e bambini. Il centro di ricerca è organizzato planimetrica mente come una grande C, dove le due ali più lunghe ospitano i laboratori mentre l’ala più corta rappresenta l’ingresso sottolineato da un portico aggettante sulla corte. Simmetricamente si trovano i sette volumi delle residenze. Ognuno di questi può alloggiare sei studenti in altrettanti monolocali con servizi annessi, e presenta al piano terra aree di relax e sale lettura comuni. La torre belvedere invece riveste un ruolo più commerciale ospitando negozi, uffici per le varie associazioni legate al mare e un ristorante su più livelli, fino ad arrivare alla lanterna, che, come il faro per le navi, diventa un vero segno di riconoscimento e di orientamento dell’area sia dal mare che dalla città.
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Scopo della ricerca è stato definire le dinamiche spazio-temporali degli insetti studiati mediante lâimpiego di tecniche geostatistiche. La ricerca è stata condotta su due casi studio, il primo riguardante tre specie di Elateridi di elevata importanza economica su scala aziendale, il secondo inerente al monitoraggio di Diabrotica virgifera virgifera (diabrotica del mais) su scala regionale. Gli scopi specifici dei due casi studio sono stati: Caso studio 1 a) Monitorare lâentità della popolazione di Elateridi su scala aziendale mediante approccio geostatistico. b) Elaborazione di mappe di distribuzione spaziale interfacciabili allâambiente GIS. c) Individuare i fattori predisponenti lâinfestazione. d) Verificare la necessità dellâimpiego di mezzi chimici per il controllo delle specie dannose. e) Proporre strategie alternative volte alla riduzione dellâimpiego di trattamenti geodisinfestanti. Caso studio 2 a) Studiare la distribuzione spaziale su scala regionale la popolazione del fitofago D. virgifera virgifera. b) Applicare a livello regionale una griglia di monitoraggio efficace per studiarne la diffusione. c) Individuare le aree a rischio e studiare i fattori predisponenti lâinfestazione e diffusione. d) Ottimizzare ed economizzare il piano di monitoraggio.
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Le celle a combustibile ad ossido solido (SOFC) sono dei sistemi elettrochimici in grado di trasformare direttamente l’energia chimica di un combustibile (generalmente H2) e di un comburente (O2) in energia elettrica, senza l’intervento intermedio di un ciclo termico. Le SOFCs rappresentano un sistema energetico pulito, efficiente e sicuro, tuttavia questa tecnologia presenta costi di produzione ancora elevati e necessita di un maggiore sviluppo. L’argomento della presente tesi si colloca nell’ambito dello studio e realizzazione di materiali per l’elettrolita di SOFCs ed il contributo scientifico che si propone di fornire trova spazio nella necessità di migliorare la sinterizzazione di tali materiali e nell’ottimizzazione dei processi di formatura per produzioni facilmente scalabili a livello industriale con costo contenuto ed ecocompatibili. L’approccio di ricerca adottato è stato quello di approfondire le conoscenze relative ad un ossido di cerio drogato con gadolinio (GDC), scelto come elettrolita, cercando di comprendere su quali parametri intervenire per promuovere la densificazione ed ottimizzare il seguente processo di formatura. La ricerca si è articolata nei seguenti punti: a) Studio del processo di sinterizzazione in relazione alle caratteristiche morfologiche delle polveri di GDC pura ed esaminando l’influenza dell’ossido di rame, aggiunto come drogante, sul comportamento in sinterizzazione e microstruttura finale. I risultati indicano che il processo di sinterizzazione è enormemente influenzato dalla presenza del CuO, dalla sua morfologia e dalla procedura usata per il drogaggio b) Realizzazione di un inchiostro serigrafico a base di GDC in matrice acquosa da depositare su anodi in verde. La serigrafia rappresenta un’importante tecnica di formatura, facilmente adattabile ad una produzione industriale, con cui è possibile ottenere film di GDC densi. L’ottimizzazione dei processi in matrice acquosa porta un enorme contributo per la diminuzione dei costi di produzione e per la realizzazione di un processo maggiormente ecocompatibile. Questo obiettivo è stato raggiunto con la corretta scelta e caratterizzazione di tutti gli additivi di formatura c) Assemblaggio della semicella SOFC anodo supportante e relativo trattamento in co-firing. La messa a punto di un idoneo ciclo di burn out degli organici ha contribuito a preservare l’integrità ed omogeneità dei film depositati che dopo sinterizzazione risultano perfettamente densi e privi di cricche.
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Si studia in modo formale una specifica proprietà della Computazione Quantistica. In particolare, il modello di calcolo che si utilizzerà (circuito quantistico) può essere rappresentato da una sequenza di operazioni. Una sequenza è detta mista (circuito misto) se si presentano operazioni classiche e quantistiche in modo alternato (sequenze del tipo Q-C-C-Q-Q-C). Una sequenza in Forma Normale, invece, ammette operazioni classiche solamente all'inizio o alla fine, mentre in mezzo possono esserci solamente operazioni quantistiche (sequenze del tipo C-C-Q-Q-Q-C). Una sequenza di operazioni esclusivamente quantistiche porta numerosi vantaggi, per questo la forma normale è molto importante. Essa infatti separa le operazioni classiche da quelle quantistiche, concentrandole tutte all'interno. Quello che si farà in questa tesi sarà fornire un modo operativo (mediante riscritture) per ottenere la forma normale di una qualsiasi sequenza di operazioni classiche o quantistiche.
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Fino ad un recente passato, le macchine elettriche di tipo trifase costituivano l’unica soluzione in ambito industriale per la realizzazione di azionamenti di grande potenza. Da quando i motori sono gestiti da convertitori elettronici di potenza si è ottenuto un notevole passo in avanti verso l’innovazione tecnologica. Infatti, negli ultimi decenni, le tecnologie sempre più all’avanguardia e l’aumento dell’utilizzo dell’elettronica, sia in campo civile quanto in quello industriale, hanno contribuito a una riduzione dei costi dei relativi componenti; questa situazione ha permesso di utilizzare tecnologie elaborate che in passato avevano costi elevati e quindi risultavano di scarso interesse commerciale. Nel campo delle macchine elettriche tutto questo ha permesso non solo la realizzazione di azionamenti alimentati e controllati tramite inverter, in grado di garantire prestazioni nettamente migliori di quelle ottenute con i precedenti sistemi di controllo, ma anche l’avvento di una nuova tipologia di macchine con un numero di fasi diverso da quello tradizionale trifase, usualmente impiegato nella generazione e distribuzione dell’energia elettrica. Questo fatto ha destato crescente interesse per lo studio di macchine elettriche multifase. Il campo di studio delle macchine multifase è un settore relativamente nuovo ed in grande fermento, ma è già possibile affermare che le suddette macchine sono in grado di fornire prestazioni migliori di quelle trifase. Un motore con un numero di fasi maggiore di tre presenta numerosi vantaggi: 1. la possibilità di poter dividere la potenza su più fasi, riducendo la taglia in corrente degli interruttori statici dell’inverter; 2. la maggiore affidabilità in caso di guasto di una fase; 3. la possibilità di sfruttare le armoniche di campo magnetico al traferro per ottenere migliori prestazioni in termini di coppia elettromagnetica sviluppata (riduzione dell’ampiezza e incremento della frequenza della pulsazione di coppia); 4. l’opportunità di creare azionamenti elettrici multi-motore, collegando più macchine in serie e comandandole con un unico convertitore di potenza; 5. Maggiori e più efficaci possibilità di utilizzo nelle applicazioni Sensorless. Il presente lavoro di tesi, ha come oggetto lo studio e l’implementazione di una innovativa tecnica di controllo di tipo “sensorless”, da applicare in azionamenti ad orientamento di campo per macchine asincrone eptafase. Nel primo capitolo vengono illustrate le caratteristiche e le equazioni rappresentanti il modello della macchina asincrona eptafase. Nel secondo capitolo si mostrano il banco di prova e le caratteristiche dei vari componenti. Nel terzo capitolo sono rappresentate le tecniche di modulazione applicabili per macchine multifase. Nel quarto capitolo vengono illustrati il modello del sistema implementato in ambiente Simulink ed i risultati delle simulazioni eseguite. Nel quinto capitolo viene presentato il Code Composer Studio, il programma necessario al funzionamento del DSP. Nel sesto capitolo, sono presentati e commentati i risultati delle prove sperimentali.
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Prima di procedere con il progetto sono state fatte sezioni storiche dell’area, in epoche indicative, per comprendere quelle che sono le invarianti e le caratteristiche di tale tessuto. Da qui si è dedotto lo schema generatore dell’insediamento che parte dall’identificazione degli assi viari (pedonali e carrabili) già presenti nell’area, che fanno diretto riferimento allo schema cardo-decumanico generatore dell’impianto angioino della città. Con il tracciamento si individuano gli isolati base, che con variazioni formali e tipologiche hanno originato gli edifici di progetto. I corpi di fabbrica generatori della planimetria, dialogano e rimangono a stretto contatto con i pochi edifici agibili, per i quali sono previsti consolidamenti e ristrutturazioni, qualora necessari. Inevitabile è stato il confronto con l’orografia, prestando particolare attenzione a non annullare con l’inserimento degli edifici il dislivello presente, ma lasciarlo percepire chiaramente: l’attacco a terra di ogni edificio avviene gradualmente, passando dai due piani fuori terra a monte ai tre, quattro a valle. Ovviamente non tutti gli assi sono stati trattati allo stesso modo, ma conseguentemente alla loro funzione e carattere di utilizzo. Analizzando la struttura viaria dell’intera area, si presentano schematicamente due anelli di circonvallazione del centro urbano: uno più esterno, di più recente costruzione, rappresentato da via XX Settembre, e uno più vecchio, che rimane rasente al centro storico, costituito dal viale Duca Degli Abruzzi, che prosegue in viale Giovanni XXIII e termina nel viadotto Belvedere. Quest’ultimo asse rappresenta sicuramente un importante collegamento cittadino, sia per la vicinanza al centro, sia per le porzioni di città messe in comunicazione; nonostante ciò il viadotto ha subito, all’altezza di viale Nicolò Persichetti, uno smottamento dopo il 6 aprile, ed essendo un elemento di scarso valore architettonico e spaziale, la sua presenza è stata ripensata. Compiendo una deviazione su via XX Settembre al termine di viale Duca Degli Abruzzi, che va a sfruttare la già presente via Fonte Preturo, non si va a rivoluzionante l’odierno assetto, che confluisce comunque, qualche centinaio di metri dopo, in via XX Settembre è si eliminano le connotazioni negative che il viadotto avrebbe sul rinnovato ingresso al centro storico. La vivibilità tende a favorire così collegamento e all’eterogeneità degli spazi più che la separazione fisica e psicologica: il concetto di città fa riferimento alla vita in comune; per favorirla è importante incentivare i luoghi di aggregazione, gli spazi aperti. Dalle testimonianze degli aquilani la vita cittadina vedeva il centro storico come principale luogo d’incontro sociale. Esso era animato dal numeroso “popolo” di studenti, che lo manteneva attivo e vitale. Per questo nelle intenzioni progettuali si pone l’accento su una visione attiva di città con un carattere unitario come sostiene Ungers3. La funzione di collegamento, che crea una struttura di luoghi complementari, può essere costituita dal sistema viario e da quello di piazze (luoghi sociali per eccellenza). Via Fontesecco ha la sua terminazione nell’omonima piazza: questo spazio urbano è sfruttato, nella conformazione attuale, come luogo di passaggio, piuttosto che di sosta, per questo motivo deve essere ricalibrato e messo in relazione ad un sistema più ampio di quello della sola via. In questo sistema di piazze rientra anche la volontà di mettere in relazione le emergenze architettoniche esistenti nell’area e nelle immediate vicinanze, quali la chiesa e convento dell’Addolorata, Palazzo Antonelli e la chiesa di San Domenico (che si attestano tutte su spazi aperti), e la chiesa di San Quinziano su via Buccio di Ranallo. In quest’ottica l’area d’intervento è intesa come appartenente al centro storico, parte del sistema grazie alla struttura di piazze, e allo stesso tempo come zona filtro tra centro e periferia. La struttura di piazze rende l’area complementare alla trama di pieni e vuoti già presente nel tessuto urbano cittadino; la densità pensata nel progetto, vi si accosta con continuità, creando un collegamento con l’esistente; allontanandosi dal centro e avvicinandosi quindi alle più recenti espansioni, il tessuto muta, concedendo più spazio ai vuoti urbani e al verde. Via Fontesecco, il percorso che delimita il lato sud dell’area, oltre ad essere individuata tra due fronti costruiti, è inclusa tra due quinte naturali: il colle dell’Addolorata (con le emergenze già citate) e il colle Belvedere sul quale s’innesta ora il viadotto. Questi due fronti naturali hanno caratteri molto diversi tra loro: il colle dell’Addolorata originariamente occupato da orti, ha un carattere urbano, mentre il secondo si presenta come una porzione di verde incolto e inutilizzato che può essere sfruttato come cerniera di collegamento verticale. Lo stesso declivio naturale del colle d’Addolorata che degrada verso viale Duca Degli Abruzzi, viene trattato nel progetto come una fascia verde di collegamento con il nuovo insediamento universitario. L’idea alla base del progetto dell’edilizia residenziale consiste nel ricostruire insediamenti che appartengano parte della città esistente; si tratta quindi, di una riscoperta del centro urbano e una proposta di maggior densità. Il tessuto esistente è integrato per ottenere isolati ben definiti, in modo da formare un sistema ben inserito nel contesto. Le case popolari su via Fontesecco hanno subito con il sisma notevoli danni, e dovendo essere demolite, hanno fornito l’occasione per ripensare all’assetto del fronte, in modo da integrarlo maggiormente con il tessuto urbano retrostante e antistante. Attualmente la conformazione degli edifici non permette un’integrazione ideale tra i percorsi di risalita pedonale al colle dell’Addolorata e la viabilità. Le scale terminano spesso nella parte retrostante gli edifici, senza sfociare direttamente su via Fontesecco. Si è quindi preferito frammentare il fronte, che rispecchiasse anche l’assetto originario, prima cioè dell’intervento fascista, e che consentisse comunque una percezione prospettica e tipologica unitaria, e un accesso alla grande corte retrostante. Il nuovo carattere di via Fontesecco, risultante dalle sezioni stradali e dalle destinazioni d’uso dei piani terra degli edifici progettuali, è quello di un asse commerciale e di servizio per il quartiere. L’intenzione, cercando di rafforzare l’area di progetto come nuovo possibile ingresso al centro storico, è quella di estendere l’asse commerciale fino a piazza Fontesecco, in modo da rendere tale spazio di aggregazione vitale: “I luoghi sono come monadi, come piccoli microcosmi, mondi autonomi, con tutte le loro caratteristiche, pregi e difetti, inseriti in un macrocosmo urbano più grande, che partendo da questi piccoli mondi compone una metropoli e un paesaggio”.4[...] Arretrando verso l’altura dell’Addolorata è inserita la grande corte del nuovo isolato residenziale, anch’essa con servizi (lavanderie, spazi gioco, palestra) ma con un carattere diverso, legato più agli edifici che si attestano sulla corte, anche per l’assenza di un accesso carrabile diretto; si crea così una gerarchia degli spazi urbani: pubblico sulla via e semi-pubblico nella corte pedonale. La piazza che domina l’intervento (piazza dell’Addolorata) è chiusa da un edificio lineare che funge da “quinta”, il centro civico. Molto flessibile, presenta al suo interno spazi espositivi e un auditorium a diretta disposizione del quartiere. Sempre sulla piazza sono presenti una caffetteria, accessibile anche dal parco, che regge un sistema di scale permettendo di attraversare il dislivello con la “fascia” verde del colle, e la nuova ala dell’Hotel “Duca degli Abruzzi”, ridimensionata rispetto all’originale (in parte distrutto dal terremoto), che si va a collegare in maniera organica all’edificio principale. Il sistema degli edifici pubblici è completo con la ricostruzione del distrutto “Istituto della Dottrina Cristiana”, adiacente alla chiesa di San Quinziano, che va a creare con essa un cortile di cui usufruiscono gli alunni di questa scuola materna ed elementare. Analizzando l’intorno, gran parte dell’abitato è definito da edifici a corte che, all’interno del tessuto compatto storico riescono a sopperire la mancanza di spazi aperti con corti, più o meno private, anche per consentire ai singoli alloggi una giusta illuminazione e areazione. Nel progetto si passa da due edifici a corti semi-private, chiusi in se stessi, a un sistema più grande e complesso che crea un ampio “cortile” urbano, in cui gli edifici che vi si affacciano (case a schiera e edifici in linea) vanno a caratterizzare gli spazi aperti. Vi è in questa differenziazione l’intenzione di favorire l’interazione tra le persone che abitano il luogo, il proposito di realizzare elementi di aggregazione più privati di una piazza pubblica e più pubblici di una corte privata. Le variazioni tipologiche degli alloggi poi, (dalla casa a schiera e i duplex, al monolocale nell’edilizia sociale) comportano un’altrettanta auspicabile mescolanza di utenti, di classi sociali, età e perché no, etnie diverse che permettano una flessibilità nell’utilizzo degli spazi pubblici.
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Questa tesi si pone come obiettivo la riqualificazione architettonica del plesso scolastico del Comune di Galeata, cittadina della media valle del Bidente conosciuta sia per gli estesi ritrovamenti archeologici dell’antica città romana di Mevaniola e del cosiddetto “Palazzo di Teodorico”, sia per essere la città con la percentuale più alta di immigrati regolari a livello nazionale. Sono proprio queste peculiarità a guidare il progetto verso un intervento mirato non solo alla rigenerazione urbana dell’area ma anche civica e sociale attraverso la dotazione di nuovi servizi e spazi pubblici. Il progetto nasce dall’idea di dare un carattere unitario e riconoscibile ad un’area attualmente caratterizzata da singoli edifici che semplicemente si susseguono l’uno dopo l’altro in modo paratattico. La volontà è invece quella di dar vita ad un vero e proprio “palazzo” dell’istruzione, caratterizzato da spazi privati e spazi pubblici, spazi aperti e spazi chiusi in grado di dare una molteplicità di risposte e soluzioni alla complessità della società odierna galeatese. Proprio lo spazio pubblico è infatti il vero motore dell’intervento; quello spazio pubblico attualmente negato a Galeata, che si è vista mutilata nella parte centrale del suo centro storico sventrato alla fine dell’Ottocento per la costruzione della strada statale bidentina, diventa ora generatore di nuove relazioni con gli edifici dell’area e di nuove dinamiche tra il plesso scolastico e la città grazie alla realizzazione di corti aperte e terrazzate, piazze e strade pedonali che fungono sia da giardini sia da spazi espositivi o comunque spazi polifunzionali che possono accogliere eventi nei vari mesi dell’anno, entrando così a far parte di quella serie di attrezzature a servizio delle manifestazioni culturali in cui è sempre attiva la valle del Bidente e la comunità di Galeata. La scuola d’infanzia e di istruzione primaria viene così a configurarsi non solo come il primo luogo della crescita culturale del bambino, ma anche come primo luogo di integrazione sociale, perché il nuovo progetto genera all’interno e all’esterno degli edifici occasioni di incontro e confronto tra gli scolari grazie all’attenzione riservata agli spazi per le attività di interciclo e per le attività libere. Inoltre l’area viene dotata di un centro maternità/consultorio dove sono collocati servizi di assistenza per le donne in gravidanza e dove le stesse possono confrontare e condividere la propria esperienza con le altre future mamme. L’intero intervento è guidato a livello progettuale anche da criteri di ecoefficienza come educazione alla responsabilità ambientale.
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Data la forte prolificazione culturale, sbocciata a Faenza all’inizio del XIX secolo, nasce intorno al 1830, nel pieno centro storico della città, un giardino di stampo romantico. Si affacciano a questo piccolo parco due edifici: uno è il convento di Santa Caterina, l’altro è il palazzo più importante per il neoclassicismo in Romagna, palazzo Milzetti. La sua forte caratteristica è un nucleo centrale costituito da ponticelli, vasche e una particolarissima piccola costruzione di legno con tetto in paglia, affrescata all’interno con tempere di Romolo Liverani, risalente al 1851. Nel passare degli anni il parco subirà notevoli modifiche e nel 1947 sarà incautamente diviso a metà, tramite una recinzione. In questo modo il complesso romantico rimarrà di proprietà non più di palazzo Milzetti, ma del circolo del Dopo Lavoro Ferroviario. Attorno a questo nucleo all’inglese verranno nel tempo costruiti molte strutture a servizio del circolo, e demolite le aiuole e il verde che un tempo caratterizzavano questo luogo. Anche il capanno di legno rimarrà per anni abbandonato e senza la manutenzione necessaria per la sua sopravvivenza. Solo nel 1981 saranno condotti i primi lavori di restauro, con l’intento di recuperare il manufatto e il suo intorno. Ma solo un decennio dopo, una grossa nevicata crea grossi danni alla copertura del capanno, il quale verrà poi protetto da una struttura in tubi metallici, esteticamente poco congrua al carattere del sito. Il progetto di restauro, che viene qui presentato, riguarda in primo luogo il recupero dell’assetto originario del giardino, eliminando quindi la barriera che separa le due parti, per far acquisire una ritrovata spazialità e una originaria interezza. Dopo un rilievo dell’area, sono state quindi esaminate, una ad una, le piante del giardino e catalogate per capirne l’importanza estetica, storica o progettuale. In questo modo è stata scelta la vegetazione che dovrà essere rimossa per creare un ambiente più lineare, pulito e organizzato. Anche per gli elementi artificiali che sono stati incautamente aggiunti, è stata pensata la rimozione: pavimentazioni, palco, campo coperto da bocce, servizi igienici. L’area è stata risarcita tenendo in considerazione il tessuto originario dell’Ottocento, caratterizzato da aiuole verdi sinuose e sentieri in ghiaia. Sono stati utilizzati materiali conformi e già presenti nel parco, come la ghiaia, pavimentazione in ciottolato e aiuole erbose, ma al tempo stesso gli elementi di nuova costruzione non si vogliono del tutto mimetizzare con il resto ma denunciare, anche se sottovoce, la loro contemporaneità. Come secondo passo, si è pensato al restauro del capanno rustico. La prima necessaria operazione è stata quella di compiere il rilievo del manufatto e capire così in che modo fosse possibile intervenire. Il lavoro è stato quindi condotto su due registri: il primo quello dell’analisi dello stato di conservazione dei materiali, l’altro per capire la sua resistenza strutturale. Grazie ad un restauratore del legno, si è compreso quali trattamenti fossero più idonei, a seconda dell’essenza, dell’età e della collocazione. Per quanto riguarda la verifica strutturale si è giunti alla conclusione che l’edificio non è in uno stato di rischio e che quindi è necessaria la sola sostituzione degli elementi della copertura, ormai deteriorata. Proprio lo stato terminale del tetto, in paglia, è in condizioni precarie ed è necessario sostituirlo. Per quel che riguarda il complesso romantico, vengono ristuccate e impermeabilizzate le vasche e vengono poi sostituiti i parapetti lignei con altri che si avvicinano maggiormente alle forme riprodotte nella tela di Tancredi Liverani (1851) dove immortala l’edificio subito dopo la sua costruzione. Il nuovo progetto non vuole essere un intervento invasivo, ma desidera invece riprendere le linee e i punti di vista di un parco in stile romantico. Come infatti è noto, sono gli scorci, le pause e i percorsi le fondamenta del progetto, che vuole ridare a Faenza un’ area verde nel suo pieno centro storico.
Resumo:
L’isolamento alla base è una tecnica grazie alla quale una struttura è protetta dagli effetti di danneggiamento dei terremoti grazie all’istallazione alla base della struttura di elementi flessibili che aumentano il periodo fondamentale della struttura fino ad un valore sufficientemente lontano dal periodo dominante del sisma atteso, oppure grazie ad elementi scorrevoli che entrano in funzione quando i carichi laterali superano un livello predefinito. In questo modo, le deformazioni indotte da un sisma si ritroveranno principalmente al livello di questi elementi flessibili o scorrevoli e la struttura si muoverà essenzialmente come un corpo rigido.
Resumo:
Obiettivo del progetto di tesi è ritrovare un percorso urbano, riguardante un tratto della città di Cesena, che oggi non è più leggibile nella sua originaria identità. La cinta muraria di Cesena è da sempre motivo di vanto della città. Esso è dovuto anche al fatto che gran parte di tale cinta è stato oggetto di restauri puntuali. Vi è un tratto di esse però dove non risulta più immediata la sua l’appartenenza ad un tutto più ampio e finito che è quello dell’intero perimetro fortificato. Il nostro progetto vuole suggerire nuovamente quale fosse il suo andamento, e il suo rapporto con il resto della città quindi proponiamo il restauro e la valorizzazione degli elementi significativi che s’incontrano percorrendo il suddetto tratto di città. Precisamente si tratta dei manufatti della porta d’accesso del torrente Cesuola detta Portaccia e di porta Fiume, due delle antiche porte delle mura cesenati. Si propone per questi un riuso degli ambienti che saranno adibiti a punto informativo, piuttosto che aree espositive, museali. Saranno aperte al pubblico e rese visibili per portare un esempio le antiche cannoniere. Si è progettata anche la sistemazione dell’area esterna direttamente prospiciente gli edifici in questione, al fine di renderli maggiormente visibili e riconoscibili all’interno del panorama cittadino. Questi due edifici vogliono essere importanti poli per i turisti o per chiunque voglia immergersi nella storia della città di Cesena. S’incontra poi in questa passeggiata, un’area archeologica. La si raggiunge partendo per esempio dalla Portaccia e seguendo quello che era il tracciato delle antiche mura. Tale area testimonia l’esistenza di tratti di antiche fortificazioni e ci racconta i caratteri costruttivi delle abitazioni del tempo e dell’impianto urbano, oltre ad aver riportato alla luce antichi manufatti e reperti archeologici importanti. Questo spazio verrà opportunamente valorizzato e reso noto ai visitatori. Si sceglie di non portare alla luce gli elementi trovati nel sottosuolo per non variare le loro condizioni termo-igrometriche, e di suggerire la dimensione degli stessi attraverso la progettazione fedele fuori terra di elementi in alzato cavi contenenti vegetazione. Il visitatore potrà girovagare fra questi nel “giardino archeologico”. Un altro elemento di fondamentale importanza proseguendo nel percorso è la presenza dei suggestivi ruderi della rocca Vecchia, che hanno resistito allo scorrere inesorabile del tempo e che sono ancora in grado di testimoniare di un passato ormai distante e sfocato. Sarà la vegetazione a fare da protagonista in quest’area poiché attraverso la scelta di alcune piante che, con le loro radici sono in grado di aiutare i ruderi a sopravvivere, verrà dato nuova veste a ciò che resta della rocca Vecchia. Contestualmente a ciò, si è deciso di riproporre nella zona retrostante i ruderi, il sistema degli antichi terrazzamenti di cui il colle è stato dotato in passato. Essi sono importanti a livello strutturale per ovviare alle problematiche conseguenti al dilavamento del terreno verso valle, ma non solo. Si vuole sì riproporre questi terrazzamenti come citazione storica, ma essa vuole essere un’emulazione non un’imitazione, pertanto, verranno trattati come una sorta di “giardino botanico”. La discesa del colle verso porta Fiume sarà certamente più piacevole se si potranno ammirare le specie autoctone presenti in questo luogo ben organizzate lungo la passeggiata. L’obiettivo del progetto è rendere palesi le importanti caratteristiche architettoniche che contraddistinguono l’eccezionale valore dei beni oggetto di analisi, migliorando le condizioni di conservazione ed assicurando una fruizione degli ambienti, ove sia possibile, e donando una nuova destinazione d’uso agli stessi.
Resumo:
Il progetto si sviluppa nell’area dell’ex Eridania di Forlì, un’area molto vasta, adiacente al centro storico e come tema della Tesi abbiamo deciso di studiare un progetto che potesse contenere funzioni pubbliche a disposizione di tutti i cittadini. Ci è sembrato interessante ragionare sull’area in questi termini poiché dagli studi effettuati è risultato che la città di Forlì è priva di un polo culturale compatto che possa costituire un punto di ritrovo per i forlivesi. Nelle nostre intenzioni gli spazi progettati dovranno ospitare attività espositive, concerti, spettacoli all’aperto, rappresentazioni teatrali, conferenze e laboratori artistici che coinvolgano tutte le fasce d’età. Importante per noi era portare all’interno di quest’area dismessa nuove funzioni culturali di cui Forlì è oggi carente. Dall’analisi svolta sulla città è emerso che gli spazi esistenti dedicati ad attività per lo spettacolo non sono sufficienti a soddisfare le esigenze dei cittadini sia a livello quantitativo che di assortimento. Abbiamo perciò deciso di inserire nel progetto auditorium, teatro, teatro all’aperto, laboratori artistici, zone espositive, attività annesse come uffici per l’amministrazione, biglietterie, info point e un grande parco. La prima problematica che abbiamo cercato di risolvere è stata quella dell’attraversamento della ferrovia e, più in particolare, di un collegamento con il centro storico della città e con lo sviluppo di Forlì in generale che l’ha sempre vista come un limite invalicabile. Il problema è stato affrontato ipotizzando la realizzazione di un edificio su via Vittorio Veneto adibito a commercio e terziario dal quale, attraverso un ponte che oltrepassa la ferrovia, si giunge a un edificio, all’interno dell’area, che ospita i servizi di risalita, alcuni uffici e un bar. La scelta è stata quella di non porci ortogonalmente agli edifici affacciati su questa importante arteria ma di legarci all’intero progetto che segue l’orientamento dettato dalle preesistenze. All’interno dell’area spicca per dimensioni il corpo principale dell’ex Eridania che, conserviamo eliminando le superfetazioni e intervenendo per la messa in sicurezza e per permetterne l’adeguata fruibilità. La scelta di riordinare il prospetto Nord di questo edificio nasce dalla volontà di realizzare una grande corte sulla quale si affacciassero tutti gli edifici ad esclusione dei vecchi magazzini che ne risultano racchiusi all’interno e del teatro all’aperto che rimane immerso nel verde. Per definire questa corte abbiamo pensato a un porticato che proseguisse, seguendone l’aspetto, le dimensioni e il ritmo dei pilastri, quello già esistente a lato dell’edificio conservato dell’ex zuccherificio e che fungesse da percorso coperto per raggiungere i diversi laboratori artistici che si innestano su questo. A chiudere il quarto lato della corte sono il teatro e l’auditorium, simmetrici rispetto all’asse del progetto che è dato dalle vasche originariamente usate per il lavaggio delle barbabietole, allineate con l’edificio principale dell’ex zuccherificio. Per rendere la direzione ancora più evidente decidiamo di proseguirla con un tratto d’acqua diretto verso il teatro all’aperto, conclusione della stessa. Gli edifici di progetto sono immersi in un grande parco caratterizzato dalla vegetazione già esistente nell’area, cresciuta durante l’abbandono della stessa. Così facendo manteniamo delle zone che possono definirsi boschive, dove la vegetazione è molto fitta e intricata, e altre invece più libere dagli alberi e quindi utilizzabili per altre funzioni ricreative. Un diverso trattamento è riservato alla zona di parco racchiusa tra i due percorsi rettilinei e simmetrici che collegano il teatro all’aperto alla piazza: qui si è preferito eliminare la vegetazione esistente ricavando un grande prato libero definito da filari di alberi opportunamente disposti per focalizzare l’attenzione sul teatro stesso.