641 resultados para Polpa


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L’imballaggio alimentare si può definire come un sistema coordinato per disporre i beni per il trasporto, la distribuzione, la conservazione, la vendita e l’utilizzo. Uno dei materiali maggiormente impiegati, nell’industria alimentare, per la produzione di imballaggi sono le materie plastiche. Esse sono sostanze organiche derivanti da petrolio greggio, sono composti solidi allo stato finito, ma possono essere modellate allo stato fluido. Un imballaggio alimentare deve svolgere determinate funzioni tra cui: - contenimento del prodotto - protezione del prodotto da agenti esterni - logistica - comunicativa - funzionale - ecologica L'ultimo punto sopracitato è il principale problema delle materie plastiche derivanti dal petrolio greggio. Questi materiali sono difficilmente riciclabili perché spesso un imballaggio è composto da più materiali stratificati o perché si trova a diretto contatto con gli alimenti. Inoltre questi materiali hanno un lungo tempo di degradazione (da 100 a 1000 anni) che ne rendono difficile e costoso lo smaltimento. Per questo nell’ultimo decennio è cominciata la ricerca di un materiale plastico, flessibile alle esigenze industriali e nel contempo biodegradabile. Una prima idea è stata quella di “imitare la natura” cercando di replicare macromolecole già esistenti (derivate da amido e zuccheri) per ottenere una sostanza plastico-simile utilizzabile per gli stessi scopi, ma biodegradabile in circa sei mesi. Queste bioplastiche non hanno preso piede per l’alto costo di produzione e perché risulta impossibile riconvertire impianti di produzione in tutto il mondo in tempi brevi. Una seconda corrente di pensiero ha indirizzato i propri sforzi verso l’utilizzo di speciali additivi aggiunti in minima misura (1%) ai classici materiali plastici e che ne permettono la biodegradazione in un tempo inferiore ai tre anni. Un esempio di questo tipo di additivi è l’ECM Masterbatch Pellets che è un copolimero di EVA (etilene vinil acetato) che aggiunto alle plastiche tradizionali rende il prodotto finale completamente biodegradabile pur mantenendo le proprie caratteristiche. Scopo di questo lavoro di tesi è stato determinare le modificazioni di alcuni parametri qualitativi di nettarine di Romagna(cv.-Alexa®) confezionate-con-film-plastici-tradizionali-e-innovativi. I campioni di nettarine sono stati confezionati in cestini in plastica da 1 kg (sigillati con un film flow-pack macroforato) di tipo tradizionale in polipropilene (campione denominato TRA) o vaschette in polipropilene additivato (campione denominato BIO) e conservati a 4°C e UR 90-95% per 7 giorni per simulare un trasporto refrigerato successivamente i campioni sono stati posti in una camera a 20°C e U.R. 50% per 4 giorni al fine di simulare una conservazione al punto vendita. Al tempo 0 e dopo 4, 7, 9 e 11 giorni sono state effettuate le seguenti analisi: - coefficiente di respirazione è stato misurata la quantità di CO2 prodotta - indice di maturazione espresso come rapporto tra contenuto in solidi solubili e l’acidità titolabile - analisi di immagine computerizzata - consistenza della polpa del frutto è stata misurata attraverso un dinamometro Texture Analyser - contenuto in solidi totali ottenuto mediante gravimetria essiccando i campioni in stufa sottovuoto - caratteristiche sensoriali (Test Accettabilità) Conclusioni In base ai risultati ottenuti i due campioni non hanno fatto registrare dei punteggi significativamente differenti durante tutta la conservazione, specialmente per quanto riguarda i punteggi sensoriali, quindi si conclude che le vaschette biodegradabili additivate non influenzano la conservazione delle nettarine durante la commercializzazione del prodotto limitatamente ai parametri analizzati. Si ritiene opportuno verificare se il processo di degradazione del polimero additivato si inneschi già durante la commercializzazione della frutta e soprattutto verificare se durante tale processo vengano rilasciati dei gas che possono accelerare la maturazione dei frutti (p.e. etilene), in quanto questo spiegherebbe il maggiore tasso di respirazione e la più elevata velocità di maturazione dei frutti conservati in tali vaschette. Alimentary packaging may be defined as a coordinate system to dispose goods for transport, distribution, storage, sale and use. Among materials most used in the alimentary industry, for the production of packaging there are plastics materials. They are organic substances deriving from crude oil, solid compounds in the ended state, but can be moulded in the fluid state. Alimentary packaging has to develop determinated functions such as: - Product conteniment - Product protection from fieleders agents - logistic - communicative - functional - ecologic This last term is the main problem of plastic materials deriving from crude oil. These materials are hardly recyclable because a packaging is often composed by more stratified materials or because it is in direct contact with aliments. Beside these materials have a long degradation time(from 100 to 1000 years) that make disposal difficult and expensive. For this reason in the last decade the research for a new plastic material is begin, to make industrial demands more flexible and, at the same time, to make this material biodegradable: At first, the idea to “imitate the nature” has been thought, trying to reply macromolecules already existents (derived from amid and sugars) to obtain a similar-plastic substance that can be used for the same purposes, but it has to be biodegradable in about six months. These bioplastics haven’t more success bacause of the high production cost and because reconvert production facilities of all over the wolrd results impossible in short times. At second, the idea to use specials addictives has been thought. These addictives has been added in minim measure (1%) to classics plastics materials and that allow the biodegradation in a period of time under three years. An example of this kind of addictives is ECM Masterbatch Pellets which is a coplymer of EVA (Ethylene vinyl acetate) that, once it is added to tradizional plastics, make final product completely biodegradable however maintaining their own attributes. The objective of this thesis work has been to determinate modifications of some Romagna’s Nectarines’ (cv. Alexa®) qualitatives parameters which have been packaged-with traditional and innovative-plastic film. Nectarines’ samples have been packaged in plastic cages of 1 kg (sealed with a macro-drilled flow-pack film) of traditional type in polypropylene (sample named TRA) or trays in polypropylene with addictives (sample named BIO) and conservated at 4°C and UR 90-95% for 7 days to simulate a refrigerated transport. After that, samples have been put in a camera at 20°C and U.R. 50% for 4 days to simulate the conservation in the market point. At the time 0 and after 4, 7, 9 and 11 days have been done the following analaysis: - Respiration coefficient wherewith the amount CO2 producted has been misurated - Maturation index which is expressed as the ratio between solid soluble content and the titratable acidity - Analysis of computing images - Consistence of pulp of the fruit that has been measured through Texture Analyser Dynanometer - Content in total solids gotten throught gravimetry by the drying of samples in vacuum incubator - Sensorial characteristic (Panel Test) Consequences From the gotten results, the two samples have registrated no significative different scores during all the conservation, expecially about the sensorial scores, so it’s possible to conclude that addictived biodegradable trays don’t influence the Nectarines’ conservation during the commercialization of the product qualifiedly to analized parameters. It’s advised to verify if the degradation process of the addicted polymer may begin already during the commercialization of the fruit and in particular to verify if during this process some gases could be released which can accelerate the maturation of fruits (p.e. etylene), because all this will explain the great respiration rate and the high speed of the maturation of fruits conservated in these trays.

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Lo scheletro è un tessuto dinamico, capace di adattarsi alle richieste funzionali grazie a fenomeni di rimodellamento ed alla peculiare proprietà rigenerativa. Tali processi avvengono attraverso l’azione coordinata di osteoclasti ed osteoblasti. Queste popolazioni cellulari cooperano allo scopo di mantenere l’ equilibrio indispensabile per garantire l’omeostasi dello scheletro. La perdita di tale equilibrio può portare ad una diminuzione della massa ossea e, ad una maggiore suscettibilità alle fratture, come avviene nel caso dell’osteoporosi. E’ noto che, nella fisiopatologia dell’osso, un ruolo cruciale è svolto da fattori endocrini e paracrini. Dati recenti suggeriscono che il rimodellamento osseo potrebbe essere influenzato dal sistema nervoso. L’ipotesi è supportata dalla presenza, nelle vicinanze dell’osso, di fibre nervose sensoriali responsabili del rilascio di alcuni neuro peptidi, tra i quali ricordiamo la sostanza P. Inoltre in modelli animali è stato dimostrato il diretto coinvolgimento del sistema nervoso nel mantenimento dell’omeostasi ossea, infatti ratti sottoposti a denervazione hanno mostrato una perdita dell’equilibrio esistente tra osteoblasti ed osteoclasti. Per tali ragioni negli ultimi anni si è andata intensificando la ricerca in questo campo cercando di comprendere il ruolo dei neuropeptidi nel processo di differenziamento dei precursori mesenchimali in senso osteogenico. Le cellule stromali mesenchimali adulte sono indifferenziate multipotenti che risiedono in maniera predominante nel midollo osseo, ma che possono anche essere isolate da tessuto adiposo, cordone ombelicale e polpa dentale. In questi distretti le MSC sono in uno stato non proliferativo fino a quando non sono richieste per processi locali di riparo e rigenerazione tessutale. MSC, opportunamente stimolate, possono differenziare in diversi tipi di tessuto connettivo quali, tessuto osseo, cartilagineo ed adiposo. L’attività di ricerca è stata finalizzata all’ottimizzazione di un protocollo di espansione ex vivo ed alla valutazione dell’influenza della sostanza P, neuropeptide presente a livello delle terminazioni sensoriali nelle vicinanze dell’osso, nel processo di commissionamento osteogenico.

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Questa tesi è dedicata alla qualità dell'alimento ittico in tre delle sue possibili accezioni. Dopo aver spiegato il complicato rapporto del consumatore con gli alimenti ittici e come l'Unione Europea abbia cercato di fare chiarezza al riguardo, gli argomenti di discussione saranno: Autenticazione d'origine La polpa di 160 esemplari di spigola (Dicentrachus labrax), suddivisi tra selvatici, allevati intensivamente e allevati estensivamente, provenienti dall'Italia e dall'estero per un totale di 18 fonti indagate, è stati analizzata individualmente per caratterizzarne la componente lipidica, isotopica e minerale e verificare le potenzialità di queste informazioni ai fini della autenticazione di origine in senso lato. Stima della Freshness Quality Numerosi lotti di seppia (Sepia officinalis), nasello (Merluccius merluccius) e triglia di fango (Mullus barbatus) sono stati sottoposti a due possibili modalità di stoccaggio sotto ghiaccio fondente, per indagare come, nell’arco della loro vita commerciale, ne evolvessero importanti connotati chimici (cataboliti dell’ATP e loro rapporti), fisici (proprietà dielettriche dei tessuti) e sensoriali (Quality Index Methods specie-specifici. Studio del profilo nutrizionale La componente lipidica di numerosi lotti di mazzancolla (Penaeus kerathurus), canocchia (Squilla mantis) e seppia (Sepia officinalis) è stata caratterizzata allo stato crudo e dopo cottura secondo tecniche “dedicate” per stabilire il contributo di queste matrici come fonte di acidi grassi polinsaturi della serie omega 3 e per pervenire alla determinazione dei loro coefficienti di ritenzione vera.

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Il pomodoro è una delle colture principali del panorama agro-alimentare italiano e rappresenta un ingrediente base della tradizione culinaria nazionale. Il pomodoro lavorato dall’industria conserviera può essere trasformato in diverse tipologie merceologiche, che si differenziano in base alla tecniche di lavorazione impiegate ed alle caratteristiche del prodotto finito. la percentuale di spesa totale destinata all’acquisto di cibo fuori casa è in aumento a livello globale e l’interesse dell’industria alimentare nei confronti di questo canale di vendita è quindi crescente. Mentre sono numerose le indagine in letteratura che studiano i processi di acquisto dei consumatori finali, non ci sono evidenze di studi simili condotti sugli operatori del Food Service. Obiettivo principale della ricerca è quello di valutare le preferenze dei responsabili acquisti del settore Food Service per diverse tipologie di pomodoro trasformato, in relazione ad una gamma di attributi rilevanti del prodotto e di caratteristiche del cliente. La raccolta dei dati è avvenuta attraverso un esperimento di scelta ipotetico realizzato in Italia e alcuni mercati esteri. Dai risultati ottenuti dall’indagine emerge che i Pelati sono la categoria di pomodoro trasformato preferita dai responsabili degli acquisti del settore Food Service intervistati, con il 35% delle preferenze dichiarate nell'insieme dei contesti di scelta proposti, seguita dalla Polpa (25%), dalla Passata (20%) e dal Concentrato (15%). Dai risultati ottenuti dalla stima del modello econometrico Logit a parametri randomizzati è emerso che alcuni attributi qualitativi di fiducia (credence), spesso impiegati nelle strategie di differenziazione e posizionamento da parte dell’industria alimentare nel mercato Retail, possono rivestire un ruolo importante anche nell’influenzare le preferenze degli operatori del Food Service. Questo potrebbe quindi essere un interessante filone di ricerca da sviluppare nel futuro, possibilmente con l'impiego congiunto di metodologie di analisi basate su esperimenti di scelta ipotetici e non ipotetici.

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La presente tesi di laurea tratta la valorizzazione degli scarti della lavorazione degli agrumi. Tutti i processi di trasformazione utilizzati nell’industria agrumaria danno origine a tre prodotti principali: succo, olio essenziale e pastazzo; il terzo, sottoprodotto a basso valore o scarto di lavorazione, è una biomassa vegetale costituita da scorze, detriti di polpa, semi e frutti di scarto. Questo lavoro si è concentrato su due aspetti fondamentali: lo studio dei possibili utilizzi del pastazzo di agrumi, che si può considerare una fonte di sostanze ad alto valore aggiunto, e la valorizzazione di tale sottoprodotto mediante digestione anaerobica per la produzione di biogas. La composizione chimica degli scarti della lavorazione degli agrumi offre ampie possibilità di utilizzazione: come alimento zootecnico, per la produzione di compost, per l’estrazione di pectina, fibre alimentari e oli essenziali, per il recupero di limonene e per produrre bioetanolo. Infine di recente il pastazzo è stato individuato come componente nella produzione di biogas, attraverso la digestione anaerobica; ciò risulta coerente con il quadro normativo riguardante gli incentivi per la produzione di biogas. E' stato analizzato un caso pratico, l’impianto di produzione di biogas alimentato a biomasse, situato in Sicilia, in contrada Nuova Scala a Mussomeli (CL); l’impianto ha una potenza di 999 KW ed è attivo dal 31 Dicembre 2012. In generale, affinchè si realizzi un corretto dimensionamento di un impianto di produzione di biogas, è necessario conoscere il potenziale metanigeno, che esprime la quantità di biogas metano massimo potenzialmente ottenibile da una biomassa, e la quantità di biomasse disponibili. In particolare, per l’impianto in questione, sono stati elaborati dati relativi alle analisi chimiche condotte sulle singole matrici in input all’impianto, sulla base delle quali è possibile dare un primo giudizio di fermentescibilità dei vari substrati e della rispettiva resa in biogas.

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I dati riportati in letteratura relativi alla struttura degli organi linfoidi dei Cetacei sono scarsi, talvolta discordanti e riferiti solo ad alcune specie. Per questo motivo è stato condotto il presente studio che ha utilizzato il tursiope (Tursiops truncatus) come specie di riferimento. In particolare, in tre soggetti di tursiope è stata analizzata, mediante l’ausilio di specifici software di analisi dell’immagine, la struttura dei seguenti organi linfoidi: timo, milza e linfonodi. Il timo, analogamente a quanto si osserva negli altri Mammiferi, si presenta come organo lobulato. In ciascun lobulo è possibile individuare due zone: la corticale e la midollare. A differenza di quanto si osserva nell’Uomo, è interessante sottolineare come nella midollare di ciascun lobulo non sia mai stata osservata la componente fibrillare. E’ possibile ipotizzare che tale differenza sia dovuta ad eventi connessi con l’organogenesi del timo. Nel tursiope il rapporto cortico/midollare non mostra differenze rispetto a quanto si osserva in altri Mammiferi. La milza del tursiope mostra caratteristiche strutturali simili a quelle osservate in altri Mammiferi. Nel tursiope, rispetto ad altri Mammiferi (Equidi, Ruminanti, Suidi e Carnivori), la quantità di polpa bianca, sul totale della polpa splenica, appare decisamente inferiore (5% vs 30%). Dal momento che le dimensioni della milza non sono particolarmente evidenti, anche la polpa rossa, se rapportata alle dimensioni dell’animale, non si presenta abbondante come in altre specie. Tale dato indica come la milza del tursiope, analogamente a quanto si osserva nell’Uomo e nei Roditori, non svolge alcuna funzione di deposito del sangue. I linfonodi di tursiope sono, tra gli organi linfoidi esaminati, quelli che mostrano le maggiori differenze strutturali rispetto a quelli di numerosi altri Mammiferi (eccezion fatta per il maiale). I noduli linfatici ed il tessuto internodulare sono, infatti, posti sia nella parte superficiale che in quella profonda del linfonodo. Tale aspetto non consente di identificare la zona paracorticale e di definire una precisa delimitazione topografica tra corticale e midollare. Il rapporto tra noduli linfatici e tessuto internodulare indica come nel linfonodo di tursiope sia più diffuso il tessuto internodulare che, a differenza del nodulo linfatico (area B-competente), contiene anche territori T-competenti.

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Introdução: A polpa farinácea do jatobá-do-cerrado (Hymenaea stigonocarpa Mart.) apresenta alto teor de fibra alimentar, em média 60 g/100 g, que são importantes para a redução do risco e controle de doenças crônicas não transmissíveis (DCNT). A extrusão termoplástica neutraliza aromas intensos, proporciona a formação de amido resistente, aumenta a fibra alimentar solúvel e melhora a textura do produto final. Objetivo: Estudar o efeito das farinhas de jatobá-do-cerrado in natura (FIN) e extrusada (FE) no metabolismo lipídico e parâmetros fermentativos em hamsters, bem como verificar a resposta glicêmica em humanos após a extrusão. Métodos: Processo de extrusão: velocidade de 200 rpm; matriz com 4 mm de diâmetro; taxa de compressão 3:1; alimentação constante de 70 gramas/minuto; temperatura de 150 °C; proporção farinha de jatobá-do-cerrado e amido de milho: 70:30 por cento e umidade a 25 por cento . Foi realizado um experimento animal com hamsters durante 21 dias, em que se analisou alguns parâmetros do metabolismo lipídico e colônico (fermentativos) dos animais, divididos em quatro grupos experimentais, se diferenciando pela dieta. As dietas controle (GC), in natura (GFI) e extrusada (GFE) eram hipercolesterolemizantes (13,5 por cento de gordura de coco e 0,1 por cento de colesterol) e a dieta referência (GR) com óleo de soja como fonte lipídica, não. Todas as dietas apresentavam 15 por cento de fibra alimentar, sendo que as dietas GR e GC tinham como fonte de fibra a celulose, e as dietas GFI e GFE tiveram as próprias fibras como fonte. A resposta glicêmica em humanos foi verificada por meio do ensaio do índice glicêmico e carga glicêmica da FE, com dez voluntários saudáveis que consumiram 25 gramas de carboidratos disponíveis do alimento teste (farinha extrusada) ou do pão branco como alimento controle. Resultados: Não foi observada diferença significativa entre o peso final, ingestão diária média e total, ganho de peso e CEA entre os animais dos quatro grupos. A concentração de triglicerídeos foi menor em 41 por cento e 38 por cento nos animais que receberam as dietas GFI e GFE, em relação aqueles que receberam a dieta GC, assim como também para o colesterol total (55 por cento e 47 por cento ), LDL-c (70 por cento e 53 por cento ) e não-HDL-c (63 por cento e 49 por cento ) séricos, lipídeos totais hepáticos (39 por cento e 45 por cento ) e o peso dos fígados dos animais também foi menor (21 por cento em ambos os grupos). Não houve diferença no colesterol hepático e excretado nas fezes dos animais dos quatro grupos. Os animais do GFE excretaram 57 por cento mais ácidos biliares nas fezes que os animais do GC. Com relação aos parâmetros fermentativos, observou-se maior excreção de fibras (1,24 ± 0,08 e 1,52 ± 0,09 gramas) nos animais dos grupos GR e GC respectivamente, em relação aos do GFI e GFE (0,50 e 0,48 gramas), porém o escore fecal (3,50 ± 0,19 e 3,38 ± 0,18) e o grau de fermentação (54 e 52 por cento ) foi maior nos animais dos grupos GFI e GFE. Houve uma maior produção de AGCC no ceco dos animais dos grupos GFI e GFE (80 e 57,5 µmol/g de ceco respectivamente) e maior diminuição do pH no conteúdo cecal nos animais do grupo GFI (7,49 ± 0,10), em relação ao GC (8,06 ± 0,13). Os ácidos acético e propiônico, estiveram presentes em maior quantidade no ceco dos animais dos grupos GFI (58,5 e 6,1 µmol/g de ceco) e GFE (42,5 e 6,6 µmol/g de ceco) e os animais do GFI produziram mais ácido butírico (15 µmol/g de ceco), em relação aos demais grupos. Quanto à resposta glicêmica da farinha pós extrusão, não houve diferença entre a área de resposta glicêmica da farinha extrusada e do pão branco, o índice glicêmico da farinha extrusada (glicose como controle) foi classificado como moderado, e a carga glicêmica (na porção de 30 gramas), baixa. Conclusão: As FIN e FE favoreceram a redução do colesterol total, LDL-c, não-HDL-c e dos triglicerídeos séricos, além da diminuição do acúmulo de lipídeos hepáticos. Foi observado também aumento expressivo na formação de AGCC e no grau de fermentação. A FE proporcionou um aumento na excreção de ácidos biliares nas fezes e apresentou índice glicêmico moderado e baixa carga glicêmica.

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Silagens de milho são mais propensas à deterioração quando expostas ao ar. As leveduras assimiladoras de ácido lático são frequentemente os primeiros microrganismos a iniciar a deterioração aeróbia nas silagens. Alguns estudos reportam que silagem de milho aerobicamente instável está associada à redução no consumo, na produção de leite e depressão no teor de gordura do leite. Portanto, o objetivo deste estudo foi avaliar a influência de inoculação de leveduras (Pichia norvegensis) e a exposição ao ar por 48 horas sobre o valor nutritivo das silagens e o desempenho de vacas leiteiras. O milho foi colhido com 34% de MS, tratado sem (Controle) ou com P. norvegensis, na dose 1×105 ufc/g MV (Levedura) e armazenado silos tipo bolsa (40 t/silo). Após 123 dias de armazenamento, os silos foram abertos e a silagem foi fornecida para vacas leiteiras. Diariamente, as silagens foram retiradas e fornecidas imediatamente (Fresca) ou após 48 horas de exposição (Exposta). Vinte vacas Holandesas foram distribuídas em 5 quadrados latinos replicados 4×4, com períodos de 21 dias (15 d para adaptação + 6 d para amostragem). As dietas foram formuladas para conter: 53% silagem de milho, 8% caroço de algodão, 18% farelo de soja, 9,5% polpa cítrica, 9% milho seco moído e 2,5% premix vitamínico e mineral. Os quatro tratamentos foram assim constituídos: silagem controle fresca (CF), silagem controle exposta (CE), silagem inoculada com levedura fresca (LF) e silagem inoculada com levedura exposta (LE). A inoculação com levedura aumentou as perdas de matéria seca (P<0,001) e reduziu o tempo de estabilidade aeróbia (P=0,03) das silagens de milho. No ensaio de desempenho animal, reduziu a produção de leite corrigida para 3,5% de gordura (P=0,03) e a eficiência alimentar (ELL leite/CMS) (P<0,01), porém não alterou o teor de gordura do leite. Quanto aos efeitos da exposição ao ar por 48 horas, estes reduziram a concentração de ácido lático (P<0,001), que consequentemente aumentou o pH (P=0,004) das silagens, além de reduzir outros produtos de fermentação. A exposição também reduziu a produção de leite corrigido para gordura (P=0,02) e a eficiência alimentar (P=0,10). Nenhum tratamento alterou o consumo de MS. Houve tendência para redução da digestibilidade da MS e FDN e do NDT, quando as silagens foram expostas ao ar. A inoculação com leveduras e a exposição ao ar por 48 horas deprimem o desempenho animal através da redução no valor nutritivo das silagens de milho.

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O objetivo deste trabalho foi avaliar os efeitos da inclusão de caroço de algodão e vitamina E em dietas para bovinos confinados por 83, 104 e 111 dias sobre as características da carcaça, qualidade da carne e características sensoriais da carne in natura e de hambúrgueres. Foram utilizados 54 bovinos da raça Nelore, machos, não castrados, com média de 350 kg ± 30 kg de peso vivo inicial e 24 meses de idade, divididos em três grupos de acordo com o peso vivo inicial e distribuídos em três dietas: dieta sem inclusão de caroço de algodão (C), dieta contendo 30% MS de caroço de algodão (CA) e dieta contendo 30% MS de caroço de algodão e 500 UI de vitamina E/kg de matéria seca da ração (CAE). As dietas empregadas foram compostas de diferentes concentrados, incluindo milho grão seco, polpa cítrica, bagaço de cana cru e farelo de soja, com relação volumoso:concentrado de 14:86 e média de 16% PB nas três dietas. Os animais abatidos aos 83 dias de confinamento eram correspondentes ao grupo de maior peso vivo, já os animais mais leves foram abatidos aos 111 dias de confinamento. O experimento foi em arranjo fatorial 3 x 3, considerando três dietas e três períodos de confinamento, totalizando 9 tratamentos. Os animais que permaneceram em confinamento por mais tempo apresentaram maior rendimento de carcaça (56,33%) e carnes mais macias (3,02 kg). As dietas CA e CAE resultaram em menor força de cisalhamento (3,15 e 3,31 kg, respectivamente). A inclusão de vitamina E se mostrou indiferente para a cor e TBARS, em relação à dieta CA. A inclusão do caroço de algodão em dietas para bovinos não influenciou no teor de ácidos graxos saturados, porém aumentou os teores de alguns ácidos graxos poli-insaturados (AGPI) nas carnes. Por outro lado, houve um aumento linear nos níveis de ácidos graxos saturados (AGS) à medida que aumentaram os dias de confinamento. Em relação às características sensoriais, no teste descritivo, as carnes in natura dos animais alimentados com CA e CAE foram mais macias e suculentas (P < 0,05), porém apresentaram um sabor mais intenso e os provadores treinados detectaram um sabor estranho nestas carnes (P < 0,05). No entanto, para o teste afetivo, apenas foi detectado sabor estranho para os hambúrgueres provenientes da dieta CA, os atributos aroma e aroma estranho não foram influenciados pelas dietas (P > 0,05). Por meio do teste discriminativo, foi observado que os hambúrgueres provenientes de animais alimentados com CA e CAE por 104 e 111 dias de confinamento apresentaram diferença em relação ao sabor quando comparados aos hambúrgueres de animais do grupo C destes mesmos períodos, e que os hambúrgueres da dieta CA não apresentaram diferença de sabor quanto aos dias de confinamento. A inclusão de 30% MS de caroço de algodão mostrou ser uma boa alternativa para melhorar as características físico-químicas da carne e seu perfil de ácidos graxos, entretanto atribui um sabor estranho ao produto final, independente do período de confinamento, sendo perceptível ao consumidor e reduzindo aceitabilidade. Ao longo dos dias de confinamento, a carne dos animais se torna menos saudável, do ponto de vista de composição lipídica, ao consumo humano. A adição de 500 UI de vitamina E em dietas contendo caroço de algodão mostrou-se desnecessária

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Os cães, por fatores diversos, acabam por apresentar dentes fraturados com ou sem exposição de polpa. Estas fraturas basicamente são identificadas como fraturas recuperáveis não complicadas, recuperáveis complicadas ou irrecuperáveis. As fraturas recuperáveis (localizadas apenas no esmalte e dentina) são tratadas com dentística restauradora. As recuperáveis complicadas (com lesões em esmalte, dentina e exposição do canal radicular) passam por tratamento endodôntico, podendo ser seguidas de restaurações metálicas. Os dentes mais comumente acometidos são os dentes caninos, superiores ou inferiores. Este trabalho em dentes artificiais simulando considerável destruição de sua porção coronal objetivou testar, após a adaptação da restauração metálica fundida, a resistência às fraturas no dente canino. Os dentes artificiais foram padronizados com uma técnica de replicação de raízes artificiais em molde de resina acrílica quimicamente ativada. Oitenta réplicas iguais de resina composta fotopolimerizável, padronizadas em tamanho e forma, foram construídas a partir desta técnica. Antes da reconstrução protética, aplicou-se o tratamento endodôntico, desobturação, preparo do canal radicular e moldagem. Proteticamente, um pino intrarradicular reto e outro curvo, ambos com núcleo para sustentar a coroa metálica fundida foram cimentados na porção coronal de cada raiz-réplica. Os núcleos e coroa metálica foram ambos ferulados ou estojados. Avaliou-se os dois tipos de restauração com pino intrarradicular curvos ou retos cimentados com cimento de fosfato de zinco ou resinoso para identificar o melhor conjunto restaurador. Os testes de resistência biomecânica de 80 raízes-réplicas foram divididos em 4 grupos com 20 corpos de prova para cada um dos grupos. Grupo 1: das raízes-réplicas com pino intrarradicular curvo cimentados com cimento resinoso. Grupo 2: das raízes-réplicas com pino intrarradicular curvo cimentados com cimento de fosfato de zinco. Grupo 3: das raízes-réplicas com pino intrarradicular reto cimentados com cimento resinoso. Grupo 4: das raízes-réplicas com pino intrarradicular reto cimentados com cimento de fosfato de zinco. Estes grupos foram submetidos a teste de força com pré-carga de 1,5 N, com velocidade de avanço constante de 0,05 mm por minuto em ponto pré- determinado (mésio-lateral vestibularizada) até ocorrência de fratura do conjunto ou parte dele em uma Máquina Universal Kratos. Com a avaliação biomecânica e estudo estatístico de Kruskall-Wallis, identificou-se que os dados obtidos não seguiram distribuição normal. Esta diferença mostrou-se com o p<0,05 na interpretação do teste. No caso de dados não paramétricos o post-hoc do Kruskal-Wallis foi o teste de U de Mann-Withney. Paralelamente, um estudo com análise de elementos finitos comparou os resultados obtidos. Não houve diferença significativa sobre o tipo de cimento utilizado ou que favorecesse o uso do pino reto ou do pino curvo, recaindo a escolha para o operador decidir de acordo com a melhor indicação para cada caso clínico

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O objetivo deste trabalho foi avaliar o potencial de uso do resíduo da extração de pigmento de cúrcuma na produção de filmes e coberturas. Para o estudo dos filmes, foram utilizados glicerol e sorbitol como plastificantes e avaliados os efeitos da concentração de farinha de cúrcuma e do plastificante sobre as propriedades mecânicas, solubilidade, permeabilidade ao vapor de água (PVA), molhabilidade, atividade antioxidante, teor de curcuminóides e teor de compostos fenólicos totais utilizando um Delineamento Central Composto Rotacional 22, e os resultados foram avaliados utilizando a metodologia de superfície de resposta (MSR). A concentração de farinha afetou de forma positiva a espessura, PVA e o teor de curcuminóides totais dos filmes plastificados com glicerol e sorbitol. Entretanto, esta variável afetou as propriedades de solubilidade, molhabilidade e teor de compostos fenólicos totais somente dos filmes com glicerol. A concentração de plastificante (glicerol ou sorbitol) afetou significativamente a solubilidade, PVA e molhabilidade de ambos os filmes. Filmes de farinha de cúrcuma com boas propriedades mecânicas, baixa permeabilidade ao vapor de água, alta atividade antioxidante, alto teor de curcuminóides e alto teor de compostos fenólicos totais podem ser produzidos utilizando 27,9 a 30 g glicerol/100 g farinha ou 30 a 42 g sorbitol/100 g farinha e concentração de farinha na faixa de 5% a 6,41%. A cobertura de farinha de cúrcuma contendo 6% de farinha e 30 g glicerol/100 g de farinha foi aplicada em bananas Maçã (Musa acuminata) armazenadas a 27ºC e 65% UR. Assim, foi avaliado o efeito da cobertura na qualidade pós-colheita das bananas em função à suas características físico-químicas como perda de massa, firmeza da polpa, pH, acidez titulável, sólidos solúveis, açúcares redutores e cor da casca. Os resultados mostraram que a cobertura foi eficiente em diminuir a perda de massa, o teor de açúcares redutores, a acidez, a perda da firmeza e a cor da casca principalmente durante a etapa de maturação do fruto. Entretanto, não foi observado grande efeito da cobertura sobre o pH e o teor de sólidos solúveis durante o período estudado. As bananas sem a cobertura tiveram vida útil de 6 dias, enquanto as bananas com cobertura tiveram vida útil de 9 dias.

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A qualidade da dispersão de gás em células de flotação é comumente caracterizada através de parâmetros como velocidade superficial do gás (Jg), hold-up do gás (?g), distribuição de tamanho de bolha (db ou D3,2) e fluxo de superfície de bolha (Sb). Sendo um processo de separação de minerais que é dependente da interação (colisão + adesão) entre partículas hidrofóbicas e bolhas de ar, a flotação tem seu desempenho dependente de uma dispersão de gás apropriada na polpa de minério. Desta forma, este trabalho objetivou caracterizar o estado da dispersão de gás de duas células em um banco composto por quatro células Wemco de 42,5 m³ (subaeradas), operando em série na usina da Vale Fertilizantes (Cajati-SP). Realizaram-se três campanhas de medidas que foram conduzidas sob diferentes condições operacionais: a) Diâmetro do rotor (D) de 1,09 m e rotação (N) entre 145 RPM e 175 RPM; b) D = 0,99 m e N entre 110 RPM e 190 RPM; c) D = 0,99 m e N de 120 RPM e de 130 RPM. Observaram-se os seguintes valores de dispersão de gás: 0,7 <= Jg <= 5,4 cm/s, 7 <= ?g <= 15%, 1,6 <= D3,2 <= 2,4 mm e Sb na faixa de 24 a 162 s-1. A magnitude de Jg medida na 1ª e 2ª campanhas mostrou-se acima dos valores reportados pela literatura, indicando necessidade de modificação de condições operacionais dos equipamentos, assim como cuidadosa manutenção. Posteriormente, a 3ª campanha indicou maior conformidade dos parâmetros de dispersão de gás em relação à literatura, constatando-se uma considerável melhora de desempenho do processo de flotação.

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O desgaste de corpos moedores constitui um custo importante na indústria mineral, que depende da operação de cominuição para promover a liberação das espécies minerais e produzir concentrados. Embora se conheça alguns dos mecanismos individuais que afetam o desgaste, a interação entre eles num sistema tão complexo quanto um moinho ainda precisa ser melhor entendido. Este trabalho avaliou o efeito da corrosão no desgaste de bolas de aço e de ferro fundido branco de alto cromo durante a moagem de minério de ferro, através de ensaios eletroquímicos e de desgaste em moinho de laboratório. Foi feita uma alteração no modo tradicional de realização do ensaio de polarização potenciodinâmica, utilizando polpa de minério de ferro a 70% de sólidos (em peso) como eletrólito. As curvas de polarização obtidas foram compatíveis com os resultados de desgaste, de modo que as curvas correspondentes aos metais na condição mais ativa estavam associadas às menores taxas de desgaste nos ensaios de moagem em laboratório, demonstrando que os ensaios de polarização realizados podem ser utilizados como indicativo do comportamento do metal na moagem de minério de ferro. Sobretudo, os testes demonstraram que o desgaste das bolas de aço é devido, principalmente, à abrasão, já que uma pequena diferença, de apenas 8%, foi observada nas taxas de desgaste nas condições avaliadas (polpa no pH 5 e pH 8). Por outro lado, as bolas de ferro fundido branco de alto cromo, que são mais caras, são mais propensas a resistir ao desgaste em polpa ácida, em que a taxa de desgaste foi 40% menor que a determinada em pH 8.

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O açaizeiro é uma palmeira com potencial comercial valorizado principalmente pela polpa do fruto que possui propriedades químicas benéficas à saúde humana. Os produtores necessitam corresponder ao incremento de demanda e a produção de mudas deve contemplar essa tendência de mercado. O conhecimento a respeito do manejo hídrico de mudas da espécie ainda pode ser ampliado e a utilização de polímero hidroabsorvente (hidrogel) na produção de mudas da espécie surge como uma opção para redução de custos em irrigação associada a uma boa qualidade das plantas. O objetivo deste estudo é gerar informações que correlacionem a influência de doses de hidrogel à produção de mudas de açaizeiro em diferentes regimes hídricos. O experimento foi conduzido no Departamento de Engenharia de Biossistemas da Escola Superior de Agricultura \"Luiz de Queiroz\". O delineamento utilizado foi o de blocos ao acaso sob os seguintes tratamentos, quatro doses de hidrogel (0; 1,0; 2,0; 3,0 g L-1) e três níveis de depleção (0-5; 25; 50% da capacidade de retenção de água do substrato com o polímero) com quatro repetições. O experimento foi conduzido por 9 meses e ao final foram realizadas avaliações biométricas e análises destrutivas para obtenção de valores de massa seca. Para embasamento estatístico dos dados aplicou-se o teste F, em 1 e 5% de probabilidade, análise de regressão polinomial e o teste de Tukey em 5% de probabilidade. O hidrogel aumentou a capacidade de retenção hídrica do substrato e os resultados mostraram que a presença do polímero acrescentou qualidade à muda de forma crescente em função das doses; todavia, doses de 3g L-1 podem acarretar problemas com drenagem devido à perda de eficiência de absorção do polímero. Os níveis de depleção (25 e 50%) afetaram substancialmente, de forma negativa, o desempenho da muda quando comparados ao tratamento de menor depleção (0-5%), demonstrando que a espécie é bastante sensível a regimes com menor disponibilidade hídrica. Não foi observado efeito de interação entre as doses do polímero e os níveis de depleção para a grande maioria das variáveis analisadas, com exceção apenas da área foliar específica (AFE) e da irrigação aplicada (IA). O Kc médio da cultura, para cultivo protegido, apresentou tendência crescente ao longo do experimento. Conclui-se que a melhor dose do polímero é de 2 g L-1 e que o nível de depleção de 0-5% apresentou o melhor desempenho. O Kc determinado mostra tendência de acordo com a fase de desenvolvimento da espécie, variando de 0,76 até 1,41.

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O processo tradicional de recuperação de metais de resíduos de equipamentos eletroeletrônicos (REEE) geralmente envolve processamento pirometalúrgico. Entretanto, o uso desta tecnologia para processar placas de circuito impresso (PCI) obsoletas pode levar à liberação de dioxinas e furanos, devido à decomposição térmica de retardantes de chama e resinas poliméricas presentes no substrato das placas. Portanto, este trabalho propõe uma rota hidrometalúrgica para recuperação de metais. O comportamento dos metais, com destaque para cobre, zinco e níquel, durante a lixiviação ácida, foi estudado em três temperaturas diferentes (35ºC, 65ºC e 75ºC), com e sem adição de um agente oxidante (peróxido de hidrogênio H2O2). A cinética de dissolução ácida desses metais foi estudada baseada na análise química por ICP-OES (Espectrometria de emissão ótica por plasma acoplado indutivamente) e EDX (Espectroscopia de fluorescência de raios-X por energia dispersiva). O balanço de massa e a análise química indicaram que a etapa de lixiviação sem adição de oxidante é pouco eficaz na extração dos metais, sendo responsável pela dissolução de menos do que 6% do total extraído. A 65ºC e H2SO4 1 mol/L, com adição de 5 mL de H2O2 (30%) a cada quinze minutos e densidade de polpa de 1 g / 10 mL, 98,1% do cobre, 99,9% do zinco e 99,0% do níquel foram extraídos após 4 horas. A cinética de dissolução desses metais é controlada pela etapa da reação química, seguindo, dependendo da temperatura, a equação 1 (1 XB)1/3 = k1.t ou a equação ln (1 XB) = k4.t.