644 resultados para fosfato bicálcico


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The effects of foliar and soil applied phosphite on grain yield in common bean (Phaseolus vulgaris L.) grown in a weathered soil under low and adequate phosphate availability were evaluated. In the first experiment, treatments were composed of a 2 x 7 + 2 factorial scheme, with 2 soil P levels supplied as phosphate (40 e 200 mg P dm-3 soil), 7 soil P levels supplied as phosphite (0-100 mg P dm-3 soil), and 2 additional treatments (without P supply in soil, and all P supplied as phosphite). In the second experiment, treatments were composed of a 2 x 3 x 2 factorial scheme, with 2 soil phosphate levels (40 e 200 mg P dm-3 soil), combined with 3 nutrient sources applied via foliar sprays (potassium phosphite, potassium phosphate, and potassium chloride as a control), and 2 foliar application numbers (single and two application). Additional treatments showed that phosphite is not P source for common bean nutrition. Phosphite supply in soil increased the P content in shoot (at full physiological maturity stage) and grains, but at the same time considerably decreased grain yield, regardless of the soil phosphate availability. Foliar sprays of phosphite decreased grain yield in plants grown under low soil phosphate availability, but no effect was observed in plants grown under adequate soil phosphate availability. In general, foliar sprays of phosphate did not satisfactorily improve grain yield of the common bean plants grown under low soil phosphate availability.

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Máster Oficial en Cultivos Marinos. VI Máster Internacional en Acuicultura. Trabajo presentado como requisito parcial para la obtención del Título de Máster Oficial en Cultivos Marinos, otorgado por la Universidad de Las Palmas de Gran Canaria (ULPGC), el Instituto Canario de Ciencias Marinas (ICCM), y el Centro Internacional de Altos Estudios Agronómicos Mediterráneos de Zaragoza (CIHEAM)

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[ES] Las técnicas de propagación in vitro son consideradas como una de las soluciones más plausibles al declive de las comunidades de fanerógamas que actualmente se registra en todo el mundo. En este trabajo, se establecieron cultivos de Cymodocea nodosa, a partir de explantos, que mediante multiplicación vegetativa o formación de callo previo emitieron hojas nuevas en medios que contenían la citoquinina TDZ. Otros reguladores afectaron a la extensión y la regeneración de la hoja. Los fragmentos, constituidos por hoja, rizoma y raíz, se comportaban como una unidad fisiológica, donde el carbono fijado por la hoja era rápidamente traslocado al resto del tejido. Estos explantos asimilaron preferentemente el amonio y el fosfato inorgánico, siendo indispensable la presencia de tejido sumergido para mantener los niveles de fósforo.

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Máster Oficial en Cultivos Marinos. Trabajo presentado como requisito parcial para la obtención del Título de Máster Oficial en Cultivos Marinos, otorgado por la Universidad de Las Palmas de Gran Canaria (ULPGC), el Instituto Canario de Ciencias Marinas (ICCM), y el Centro Internacional de Altos Estudios Agronómicos Mediterráneos de Zaragoza (CIHEAM)

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Máster Oficial en Cultivos Marinos. Trabajo presentado como requisito parcial para la obtención del Título de Máster Oficial en Cultivos Marinos, otorgado por la Universidad de Las Palmas de Gran Canaria (ULPGC), el Instituto Canario de Ciencias Marinas (ICCM), y el Centro Internacional de Altos Estudios Agronómicos Mediterráneos de Zaragoza (CIHEAM)

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Programa de doctorado de Oceanografía ; 2006-2008

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Il core catalitico della DNA polimerasi III, composto dalle tre subunità α, ε e θ, è il complesso minimo responsabile della replicazione del DNA cromosomiale in Escherichia coli. Nell'oloenzima, α ed ε possiedono rispettivamente un'attività 5'-3' polimerasica ed un'attività 3'-5' esonucleasica, mentre θ non ha funzioni enzimatiche. Il presente studio si è concentrato sulle regioni del core che interagiscono direttamente con ε, ovvero θ (interagente all'estremità N-terminale di ε) e il dominio PHP di α (interagente all'estremità C-terminale di ε), delle quali non è stato sinora identificato il ruolo. Al fine di assegnare loro una funzione sono state seguite tre linee di ricerca parallele. Innanzitutto il ruolo di θ è stato studiato utilizzando approcci ex-vivo ed in vivo. I risultati presentati in questo studio mostrano che θ incrementa significativamente la stabilità della subunità ε, intrinsecamente labile. Durante gli esperimenti condotti è stata anche identificata una nuova forma dimerica di ε. Per quanto la funzione del dimero non sia definita, si è dimostrato che esso è attivamente dissociato da θ, che potrebbe quindi fungere da suo regolatore. Inoltre, è stato ritrovato e caratterizzato il primo fenotipo di θ associato alla crescita. Per quanto concerne il dominio PHP, si è dimostrato che esso possiede un'attività pirofosfatasica utilizzando un nuovo saggio, progettato per seguire le cinetiche di reazione catalizzate da enzimi rilascianti fosfato o pirofosfato. L'idrolisi del pirofosfato catalizzata dal PHP è stata dimostrata in grado di sostenere l'attività polimerasica di α in vitro, il che suggerisce il suo possibile ruolo in vivo durante la replicazione del DNA. Infine, è stata messa a punto una nuova procedura per la coespressione e purificazione del complesso α-ε-θ

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Questa ricerca presenta i risultati di una indagine volta a verificare la reale efficacia di rinforzo corticale su rocce carbonatiche di differenti caratteristiche mineralogiche, utilizzando consolidanti inorganici in soluzione acquosa quali l’Ossalato Ammonico (AmOX) e il Diammonio Fosfato Acido (DAHP). Le matrici carbonatiche scelte sono quelle del marmo invecchiato e una biomicrite. Sui campioni sono state effettuate indagini (SEM,MIP,XRD,MO,TG-DTA) di caratterizzazione prima e dopo i trattamenti volte a valutare eventuali effetti di rinforzo e misure fisiche di suscettività all’acqua. L’efficacia dei consolidanti inorganici è stata comparata con diversi consolidanti organici e ibridi presenti in commercio ed utilizzati in ambito conservativo. L'efficacia si è mostrata fortemente legata al fabric del materiale e alle modalità di strutturazione del prodotto di neomineralizzazione all’interno della compagine deteriorata. Nel caso del trattamento con AmOx il soluzione acquosa al 4%, la whewellite è l’unica fase di neoformazione riscontrata; la sua crescita avviene con un meccanismo essenzialmente topochimico. Nei materiali carbonatici compatti si possono ottenere solo modesti spessori di coating di neoformazione; per le rocce porose, contenenti difetti come lesioni, pori o micro-fratture, l’efficacia del trattamento può risultare più incisiva. Questo trattamento presenta lo svantaggio legato alla rapidissima formazione dei cristalli di whewellite che tendono a passivare le superfici impedendo la progressione della reazione; il vantaggio è connesso alla facile applicazione in cantiere. Nel caso del DAHP sulla matrice carbonatica trattata, si formano cluster cristallini contenenti specie più o meno stabili alcune riconducibili all’idrossiapatite. La quantità e qualità delle fasi, varia fortemente in funzione della temperatura, pH, pressione con conseguenze interferenza nelle modalità di accrescimento dei cristalli. Il trattamento alla stato attuale appare comunque di notevole interesse ma allo stesso tempo difficilmente applicabile e controllabile nelle reali condizioni operative di un cantiere di restauro.

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This work deals with a comparison of the catalytic behavior of several heterogeneous acid catalysts in the direct hydrolysis of an untreated softwood dust. Amongst the various catalysts investigated, some were characterized by relatively high yield to monosaccharides, such as a Zirconium phosphate and the reference Amberlyst 15. Conversely, some catalyst types, ie, Sn/W mixed oxide and Zirconia-grafted trifluoromethanesulphonic acid, were selective into glucose, since sugars derived from hemicellulose dissolution and hydrolysis were rapidly degraded. A detailed analysis of the reactivity of Zr/P/O was pursued, in the hydrolysis of both untreated and ball-milled microcrystalline cellulose; at 150°C and 3h reaction time, the catalyst gave high selectivity to glucose, with negligible formation of 5-hydroxymethylfurfural, and moderate cellulose conversion. After ball-milling of the cellulose, a remarkable increase of conversion was achieved, still with a high selectivity to glucose and very low formation of degradation compounds. The catalyst showed high affinity for β-1,4-glucans, as demonstrated by the activity in cellobiose hydrolysis into glucose.

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Nel presente lavoro di tesi si è analizzata l’ossidazione catalitica per la valorizzazione di arabinosio a prodotti chimici. Per questa complessa serie di trasformazioni, si è studiata la reattività di nanoparticelle di oro supportate su niobio fosfato. Quindi, si è ipotizzato che la doppia funzionalità del catalizzatore così sintetizzato potesse favorire i due step alla base dell’intero processo: l’acidità del NbOPO4 è fondamentale per la prima disidratazione del monosaccaride a furfurale, mentre le condizioni ossidanti garantite da un’atmosfera di ossigeno e dalle nanoparticelle di oro hanno il ruolo di permettere una successiva ossidazione. Data l’instabilità del furfurale si propone di condurre una reazione one-pot (150°C, 10 bar di O2), che porti all’ossidazione in situ del furfurale, a sua volta prodotto dalla disidratazione dello zucchero. Purtroppo la bassa selettività del processo, nonostante gli accorgimenti adottati, evidenzia le considerevoli perdite di monosaccaride in reazioni indesiderate. Ulteriori studi saranno necessari al fine di migliorare la selettività del processo, analizzando il meccanismo di reazione ed intervenendo sulle condizioni di lavoro.

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Ottimizzazione di un protocollo di anticoagulazione regionale con citrato in CRRT Introduzione: La necessità di un'anticoagulazione continua e l'ipofosforemia in corso di trattamento sono problemi costranti in corso di CRRT. Il nostro studio ha cercato di dimostrare l'efficacia e la sicurezza dell'anticoagulazione regionale con citrato in CVVH basato sull'utilizzo di una soluzione di citrato (18 mmol/L) associata ad una soluzione di reinfusione contenente fosfato, recentemente disponibile in commercio, al fine di ridurre l'ipofosfatemia in corso di CRRT. Metodi: Abbiamo utilizzato il nostro protocollo basato sull'utilizzo di una concentrazione di citrato contenente 18 mmol/l associata ad una soluzione di reinfusione contenente fosfato in un piccolo gruppo di pazienti ricoverati in terapia intensiva post-cardiochirurgica, sottoposti a CRRT per insufficienza renale acuta. Risultati: Il nostro protocollo ha garantito un'adeguata durata del circuito ed un ottimo controllo dell'equilibrio acido-base in ogni paziente. E' stata necessaria solo una minima supplementazione di fosforo in alcuni dei pazienti trattati. Conclusioni: Il nostro protocollo basato sull' utilizzo di una soluzione a concentrazione di citrato maggiore (18 mmol/l), permette un miglior controllo dell'equilibrio acido-base rispetto all'utilizzo della soluzione a più bassa concentrazione di citrato. L'uso di una minore dose di citrato ed il mantenimento di un target maggiore di calcio ionizzato all'interno del circuito sono comunque associati ad un'adeguata durata del circuito. I livelli di fosforemia sono rimasti sostanzialmente stabili nella maggior parte dei pazienti trattati, grazie alla presenza di fosfato nella soluzione utilizzata come reinfusione in post-diluizione.

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L’idrotermocarbonizzazione è un processo che permette di convertire un’elevata quantità di materie prime solide in carbone. Ciò viene realizzato inserendo come sostanza in input, oltre alla materia prima iniziale, acqua liquida e, successivamente, riscaldando fino a 180°C, temperatura alla quale inizia la reazione esotermica ed il processo diventa di tipo stand-alone. Tale reazione presenta un tempo di reazione variabile nel range di 4÷12 h. I prodotti in uscita sono costituiti da una sostanza solida che ha le caratteristiche del carbone marrone naturale e un’acqua di processo, la quale è altamente inquinata da composti organici. In questo elaborato viene illustrata una caratterizzazione dei prodotti in uscita da un impianto di idrotermo carbonizzazione da laboratorio, il quale utilizza in input pezzi di legno tagliati grossolanamente. Inizialmente tale impianto da laboratorio viene descritto nel dettaglio, dopodiché la caratterizzazione viene effettuata attraverso DTA-TGA dei materiali in ingresso ed uscita; inoltre altre sostanze vengono così analizzate, al fine di confrontarle col char ed i pezzi di legno. Quindi si riporta anche un’analisi calorimetrica, avente l’obiettivo di determinare il calore di combustione del char ottenuto; attraverso questo valore e il calore di combustione dei pezzi di legno è stato possibile calcolare l’efficienza di ritenzione energetica del processo considerato, così come la densificazione energetica riscontrata nel materiale in uscita. In aggiunta, è stata eseguita un’analisi delle specie chimiche elementari sul char ed il legno in modo da determinare i seguenti parametri: fattori di ritenzione e fattori di ritenzione pesati sulla massa in termini di concentrazione di C, H, N e S. I risultati ottenuti da tale analisi hanno permesso di effettuare una caratterizzazione del char. Un tentativo di attivazione del char viene riportato, descrivendo la procedura di attivazione seguita e la metodologia utilizzata per valutare il buon esito o meno di tale tentativo di attivazione. La metodologia consiste di uno studio isotermo dell’adsorbimento di acido acetico sul char “attivato” attraverso una titolazione. I risultati sperimentali sono stati fittati usando le isoterme di Langmuir e Freundlich e confrontati con le capacità di adsorbimento del semplice char e di un campione di carbone attivo preso da un’azienda esterna. Infine si è considerata l’acqua di processo, infatti un’analisi fotometrica ne ha evidenziato le concentrazioni di TOC, COD, ioni nitrato e ioni fosfato. Questi valori sono stati conseguentemente confrontati con i limiti italiani e tedeschi massimi ammissibili per acque potabili, dando quindi un’idea quantitativa della contaminazione di tale acqua di processo.

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Lo scopo di questo elaborato è stato determinare una modalità per ridurre il rischio di Listeria monocytogenes in semi di ravanello utilizzati per produrre germogli ad uso alimentare. Per fare ciò è stato utilizzato il timolo, un composto fenolico la cui attività antimicrobica è nota. In primo luogo sono state eseguite prove preliminari in vitro per verificare gli effetti di diverse concentrazioni di questo terpene su L. monocytogenes mediante l’uso di un citofluorimetro. I risultati hanno mostrato che 30 minuti di esposizione a 500 ppm di timolo in acqua peptonata determinano un danneggiamento della membrana cellulare in metà della popolazione microbica. Quando l’esposizione avviene in tampone fosfato, l’effetto è evidente già a 250 ppm (82% di cellule danneggiate). Successivamente, è stato valutato l’effetto di diverse concentrazioni di timolo su cellule di L. monocytogenes preventivamente inoculate su semi di ravanello. La prova è stata condotta in due modalità: la prima in contenitori sterili, la seconda in germogliatori per riprodurre fedelmente le tecniche utilizzate nel processo industriale o casalingo. Sono stati effettuati sia campionamenti microbiologici (su semi, germogli e acqua degli ammolli) sia prove di germinabilità per individuare un’eventuale riduzione della capacità germinativa dei semi a seguito del contatto con timolo. Dai dati ottenuti è emerso che il timolo riesce a contenere entro certi limiti la crescita di L. monocytogenes nell’acqua usata per l’ammollo, ma non ha un effetto significativo sul suo destino nei semi durante la germinazione. La presenza di timolo non compromette la capacità germinativa ma rallenta il processo di germinazione. In conclusione, il processo produttivo di germogli lascia spazio a molti rischi microbiologici nel caso siano già presenti nella matrice delle specie patogene. Ciò nonostante l’impiego di trattamenti preliminari sui semi prima del germogliamento, può essere una strada importante per ridurne i rischi.

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En Mendoza se realizó un estudio clínico de intervención, prospectivo de dos años, dirigido a preescolares en riesgo social con alto índice de caries con el objetivo de evaluar la eficacia y efectividad de un programa preventivo basado en fluoruros. El programa preventivo se basó en acciones de educación para la salud, enseñanza de técnicas de higiene bucal y aplicación tópica de flúor fosfato acidulado realizadas dos veces durante el ciclo escolar. La muestra intencionada sumó 96 niños de sala de 4 años (2009) que fueron evaluados en su cursado posterior en sala de 5 años (2010) y en 1er año de EGB durante 2011. Niños asistentes a sala de 5 años y primer año EGB al momento del examen basal (2009) conformaron el grupo control. Se les aplicó el mismo programa por razones éticas. A 12 y 24 meses de aplicado el programa se evaluó: porcentaje de libres de caries, ceod+CPOD, cpos+CPOS y sus valores discriminados, medias de categorías ICDAS II, índice de Placa Bacteriana de Löe y Silness e índice de necesidad de tratamiento de caries de Bordoni. Se determinó la distribución de frecuencias e intervalos de confianza para cada variable; medidas de tendencia central y dispersión y se realizaron comparaciones entre grupos mediante la prueba T de Student y chi cuadrado con un nivel de p=0.05. Resultados: Comparando sala 5 años 2010 / sala de 5 años 2009: disminuyeron significativamente las medias de ceod +CPOD, ICDAS 6, Índice Placa Löe e índice de necesidad de tratamiento. Comparando 1er año 2011 / 1er año 2009: disminuyeron significativamente las medias de cs+CS, ceos+CPOS e ICDAS 4. El resto de los valores no mostró diferencias significativas. Conclusión: Un programa preventivo basado en fluoruros es efectivo y tiene efectos positivos sobre la prevalencia de caries en preescolares de Mendoza.

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El objetivo de este trabajo fue analizar el efecto de diferentes dosis de fertilizantes foliares con macronutrientes en plantas de naranja Valencia y de tangor Murcott. Los experimentos fueron realizados durante tres campañas consecutivas en Corrientes Argentina. El diseño experimental fue en bloques completos al azar con cuatro repeticiones y parcelas experimentales de cuatro plantas. Los tratamientos ensayados fueron T1 control; T2 N (12%) 2 L.ha-1; T3 N (12%) 4 L.ha-1; T4 N (9%) y P (2,6%) 2 L ha- 1; T5 N (9%) y P (2,6%) 4 L.ha-1; T6 N (9,3%), P (2,6%) y K (2,1%) 2 L.ha-1; T7 N (9,3%), P (2,6%) y K (2,1%) 4 L.ha-1, de fertilizante foliar formulados en base a sales de sulfato de amonio, fosfato monoamónico y nitrato de potasio según tratamiento. Los mismos fueron aplicados por campaña en prefloración, plena floración y en otoño. Se midieron las concentraciones foliares de N, P y K en hojas de otoño de ramas fructíferas y al momento de cosecha se determinó rendimiento total, diámetro de fruta, porcentaje de jugo, sólidos solubles, acidez y relación sólidos solubles/acidez. En Valencia late todos los tratamientos incrementaron el contenido de P foliar en comparación con el control. El tratamiento T7 incrementó un 38,7% el rendimiento respecto de T1, aunque los frutos presentaron menor diámetro. En "Murcott" todos los tratamientos incrementaron el rendimiento comparados con T1, y las máximas producciones se observaron en los tratamientos T7 (64,9% mayor) y T6 (43,8% mayor) además T7 incrementó el contenido de P foliar y disminuyó el contenido de sólidos solubles en comparación con el control. La fertilización foliar con macronutrientes incrementó la productividad en naranja Valencia late y tangor Murcott. Este trabajo muestra la utilidad de la fertilización foliar con macronutrientes como una herramienta complementaria en los programas de fertilización diseñados para optimizar el rendimiento.