732 resultados para Residential habitat
Resumo:
Cambiamenti di habitat in ambienti marini: uno studio sperimentale sulla perdita di foreste a Cystoseira barbata (Stackhouse) C. Agardh e sui popolamenti che le sostituiscono La presente tesi affronta il tema scientifico generale di come prevedere e mitigare la perdita di habitat marini naturali causata dalle attività umane. La tesi si è focalizzata sugli habitat subtidali a “canopy” formati da macroalghe brune a tallo eretto dell’ordine Fucales, che per morfologia, ruolo ed importanza ecologica possono essere paragonate alle “foreste” in ambienti terrestri temperati. Questi sistemi sono tra i più produttivi in ambienti marini, e sono coinvolti in importanti processi ecologici, offrendo cibo, protezione, riparo ed ancoraggio a diverse altre specie animali e vegetali, modificando i gradienti naturali di luce, sedimentazione e idrodinamismo, e partecipando al ciclo dei nutrienti. Sulle coste temperate di tutto il mondo, le foreste di macroalghe a canopy sono in forte regressione su scala locale, regionale e globale. Questo fenomeno, che sta accelerando a un ritmo sempre più allarmante, sta sollevando interesse e preoccupazione. Infatti, data la loro importanza, la perdita di questi habitat può avere importanti conseguenze ecologiche ed economiche, tra cui anche il possibile declino della pesca che è stato osservato in alcune aree in seguito alla conseguente riduzione della produttività complessiva dei sistemi marini costieri. Nel Mar Mediterraneo questi tipi di habitat sono originati prevalentemente da alghe appartenenti al genere Cystoseira, che sono segnalate in forte regressione in molte regioni. Gli habitat a Cystoseira che ancora persistono continuano ad essere minacciati da una sineregia di impatti antropici, ed i benefici complessivi delle misure di protezione fin ora attuate sono relativamente scarsi. Scopo della presente tesi era quello di documentare la perdita di habitat a Cystoseira (prevalentemente Cystoseira barbata (Stackhouse) C. Agardh) lungo le coste del Monte Conero (Mar Adriatico centrale, Italia), e chiarire alcuni dei possibili meccanismi alla base di tale perdita. Studi precedentemente condotti nell’area di studio avevano evidenziato importanti cambiamenti nella composizione floristica e della distribuzione di habitat a Cystoseira in quest’area, e avevano suggerito che la scarsa capacità di recupero di questi sistemi potesse essere regolata da interazioni tra Cystoseira e le nuove specie dominanti sui substrati lasciati liberi dalla perdita di Cystoseira. Attraverso ripetute mappature dell’habitat condotte a partire da Luglio 2008 fino a Giugno 2010, ho documentato la perdita progressiva delle poche, e sempre più frammentate, patch di habitat originate da questa specie in due siti chiamati La Vela e Due Sorelle. Attraverso successivi esperimenti, ho poi evidenziato le interazioni ecologiche tra le specie dominanti coinvolte in questi cambiamenti di habitat, al fine di identificare possibili meccanismi di feedback che possano facilitare la persistenza di ciascun habitat o, viceversa, l’insediamento di habitat alternativi. La mappatura dell’habitat ha mostrato un chiaro declino della copertura, della densità e della dimensione degli habitat a Cystoseira (rappresentati soprattutto dalla specie C. barbata e occasionalmente C. compressa che però non è stata inclusa nei successivi esperimenti, d’ora in avanti per semplicità verrà utilizzato unicamente il termine Cystoseira per indicare questo habitat) durante il periodo di studio. Nel sito Due Sorelle le canopy a Cystoseira sono virtualmente scomparse, mentre a La Vela sono rimaste poche, sporadiche ed isolate chiazze di Cystoseira. Questi habitat a canopy sono stati sostituiti da nuovi habitat più semplici, tra cui soprattutto letti di mitili, feltri algali e stand monospecifici di Gracilaira spp.. La mappatura dell’habitat ha inoltre sottolineato una diminuzione del potenziale di recupero del sistema con un chiaro declino del reclutamento di Cystoseira durante tutto il periodo di studio. Successivamente ho testato se: 1) una volta perse, il recupero di Cystoseira (reclutamento) possa essere influenzato dalle interazioni con le nuove specie dominanti, quali mitili e feltri algali; 2) il reclutamento di mitili direttamente sulle fronde di Cystoseira (sia talli allo stadio adulto che giovanili) possa influenzare la sopravvivenza e la crescita della macroalga; 3) la sopravvivenza e la crescita delle nuove specie dominanti, in particolare mitili, possa essere rallentata dalla presenza di canopy di Cystoseira. I risultati dimostrano che le nuove specie dominanti insediatesi (feltri algali e mitili), possono inibire il reclutamento di Cystoseira, accelerandone il conseguente declino. L’effetto diretto dei mitili sulle fronde non è risultato particolarmente significativo né per la sopravvivenza di Cystoseira che finora non è risultata preclusa in nessun stadio di sviluppo, né per la crescita, che nel caso di individui adulti è risultata leggermente, ma non significativamente, più elevata per le fronde pulite dai mitili, mentre è stato osservato il contrario per i giovanili. La presenza di canopy a Cystoseira, anche se di piccole dimensioni, ha limitato la sopravvivenza di mitili. Questi risultati complessivamente suggeriscono che una foresta di macroalghe in buone condizioni può avere un meccanismo di autoregolazione in grado di facilitare la propria persistenza. Quando però il sistema inizia a degradarsi e a frammentarsi progressivamente, i cambiamenti delle condizioni biotiche determinati dall’aumento di nuove specie dominanti contribuiscono alla mancanza di capacità di recupero del sistema. Pertanto le strategie per una gestione sostenibile di questi sistemi dovrebbero focalizzarsi sui primi segnali di cambiamenti in questo habitat e sui possibili fattori che ne mantengono la resilienza.
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Die Fragmentierung von Waldgebieten, der Verlust geeigneter Habitate, die Invasion exotischer Arten und globale Klimaveränderung haben auf Artengemeinschaften erhebliche Auswirkungen. Vögel dienen in vielen Fällen als Indikatorarten für Umweltveränderungen und, besonders, für Veränderungen im Zusammenhang mit globaler Erwärmung. In meiner Arbeit habe ich zuerst einen Literaturüberblick über die Auswirkungen globaler Klimaveränderung auf die Verbreitungsgebiete, den Artenreichtum und die Zusammensetzung von Vogelgemeinschaften dargestellt. Zahlreiche Untersuchungen zeigen, daß die Grenzen der Verbreitungsgebiete der meisten Vogelarten mit klimatischen Faktoren korrelieren. Verschiebungen der Verbreitungsgebiete in nördliche Richtung oder in höhere Regionen im Gebirge konnten bereits für viele temperate Vogelarten beobachtet werden. Weiterhin wurde ein zunehmender Artenreichtum besonders in nördlichen Breiten und in höheren Lagen für viele temperate Vogelgemeinschaften vorhergesagt. In trockenen Gebieten ist dagegen mit einer Abnahme des Artenreichtums zu rechnen. Im zweiten Teil meiner Arbeit habe ich untersucht, ob beobachtete Veränderungen in der Zusammensetzung europäischer Vogelgemeinschaften tatsächlich durch aktuelle Klimaveränderungen beeinflußt werden. Das Zugverhalten der Arten war dabei ein Schwerpunkt der Untersuchung, weil zu erwarten war, daß Vogelarten mit verschiedenem Zugverhalten unterschiedlich auf Klimaveränderungen reagieren. Ich habe ein Regressionsmodell genutzt, welches die räumliche Beziehung zwischen dem Anteil von Langstreckenziehern, Kurzstreckenziehern und Standvögeln in europäischen Vogelgemeinschaften und verschiedenen Klimavariablen beschreibt. Für 21 Gebiete in Europa habe ich Daten über beobachtete Veränderungen in der Struktur der Vogelgemeinschaften und isochrone Klimaveränderungen zusammengetragen. Mit Hilfe dieser Klimaveränderungen und dem räumlichen Regressionsmodell konnte ich berechnen, welche Veränderungen in den Vogelgemeinschaften aufgrund der veränderten Klimabedingungen zu erwarten wären und sie mit beobachteten Veränderungen vergleichen. Beobachtete und berechnete Veränderungen korrelierten signifikant miteinander. Die beobachteten Veränderungen konnten nicht durch räumliche Autokorrelationseffekte oder durch alternative Faktoren, wie z.B. Veränderungen in der Landnutzung, erklärt werden. Im dritten Teil der Arbeit untersuchte ich für eine mitteleuropäische Vogelgemeinschaft welchen Einfluß Habitatveränderungen, die Invasion exotischer Arten und die Klimaveränderung auf Veränderungen der Häufigkeit und Verbreitungsgröße der 159 Vogelarten am Bodensee zwischen 1980-1981 und 2000-2002 hatten. Dabei konnte gezeigt werden, daß Veränderungen in der regionalen Abundanz sowohl durch Habitatveränderungen als auch durch Klimavänderungen hervorgerufen wurden. Exotische Arten schienen in dieser Zeit keinen bedeutenden Einfluß zu haben. Besonders bei Agrarlandarten, Arten mit nördlicheren Verbreitungsgebieten und bei Langstreckenziehern konnten signifikante Abnahmen in der Abundanz beobachtet werden. Vor allem die anhaltenden negativen Bestandsveränderungen bei Langstreckenziehern und die in den letzten zehn Jahren aufgetretenen Abnahmen nördlicher verbreiteter Vogelarten deuten darauf hin, daß die Klimaveränderung aktuell als der größte Einfluß für Vögel in Europa angesehen werden muß. Insgesamt zeigen die Ergebnisse dieser Arbeit, daß sich der anhaltende Druck auf die Umwelt in erster Linie durch Habitat- und Klimaveränderungen manifestiert.
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Plant communities on weathered rock and outcrops are characterized by high values in species richness (Dengler 2006) and often persist on small and fragmented surfaces. Yet very few studies have examined the relationships between heterogeneity and plant diversity at small scales, in particular in poor-nutrient and low productive environment (Shmida and Wilson 1985, Lundholm 2003). In order to assess these relationships both in space and time in relationship, two different approaches were employed in the present study, in two gypsum outcrops of Northern Apennine. Diachronic and synchronic samplings from April 2012 to March 2013 were performed. A 50x50 cm plot was used in both samplings such as the sampling unit base. The diachronic survey aims to investigate seasonal patterning of plant diversity by the use of images analysis techniques integrated with field data and considering also seasonal climatic trend, the substrate quality and its variation in time. The purpose of the further, synchronic sampling was to describe plant diversity pattern as a function of the environmental heterogeneity meaning in substrate typologies, soil depth and topographic features. Results showed that responses of diversity pattern depend both on the resources availability, environmental heterogeneity and the manner in which the different taxonomic group access to them during the year. Species richness and Shannon diversity were positively affected by increasing in substrate heterogeneity. Furthermore a good turnover in seasonal species occurrence was detected. This vegetation may be described by the coexistence of three groups of species which created a gradient from early colonization stages, characterized by greater slope and predominance of bare rock, gradually to situation of more developed soil.
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Scopo della tesi è la realizzazione di rilievi fitosociologici nel SIC “IT4080008 Balze di Verghereto, Monte Fumaiolo, Ripa della Moia” (provincia di Forlì-Cesena). Il gruppo montuoso del Monte Fumaiolo, posto al confine tra le Vallate del Savio e del Tevere, è stato proposto nel 1995 come Sito di Importanza Comunitaria. E' un'area colonizzata già nell'antichità dall'uomo e comprende una grande estensione di pascoli montani, con rupi calcaree e rilievi comprendenti faggete, abetine artificiali, rimboschimenti e prati pascoli. Nell'ambito di una ricerca sulla distribuzione degli habitat di maggior pregio in questo sito sono stati realizzati campionamenti, basati sul metodo Braun Blanquet, nel periodo tra Lunglio e Settembre 2013. I dati raccolti sono stati successivamente elaborati tramite software Matlab versione 7.10.0.282 creando due dendrogrammi allo scopo di descrivere sia la qualità naturale del SIC, sia dal punto di vista degli habitat. Dalle informazioni raccolte è stata possibile la definizione di due tipologie di vegetazione: le formazioni forestali e gli ambienti aperti. I risultati mostrano 57 rilievi inerenti ai boschi divisi in ulteriori sottogruppi rappresentanti boschi a faggio, situazioni miste con Fagus sylvatica e Abies alba, querceti misti e rimboschimenti a Pinus nigra. I 27 rilievi degli ambienti aperti mostrano invece una predominanza di prati-pascolo e pascoli con situazioni di evoluzione ad arbusteti a Cytisus scoparius e Juniperus communis. Sono state campionate anche le vegetazioni a succulente presenti su affioramenti rocciosi. Le informazioni ottenute ed elaborate possono essere utili per studi futuri e per la creazione di una carta fitosociologica sulla base dei rilievi effettuati e della pregressa carta della vegetazione su base fisionomica (Barlotti 2013).
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Il presente lavoro di tesi si propone di confrontare la risposta delle comunità bentoniche associate a una macroalga “habitat-former”, Cystoseira crinita (Duby), sottoposte a diverse intensità e frequenze di calpestio, tramite un esperimento di manipolazione in campo. Tale simulazione si è svolta in un tratto di costa rocciosa nel SIC (Sito di Importanza Comunitaria) di “Berchida-Bidderosa”, Sardegna Nord-Orientale. I risultati di questo esperimento mostrano come, in conseguenza del calpestio, si possa osservare una significativa perdita di biomassa di Cystoseira crinita. La perdita di biomassa si registra principalmente nei campioni sottoposti a calpestio con frequenze/intensità maggiori di 50 passi per unità di area. Le aree sottoposte a medio-alta frequenza/intensità di calpestio non mostrano nel breve periodo un significativo recupero della biomassa algale. Nel presente studio il confronto tra intensità e frequenze di calpestio rivela che il calpestio ripetuto in più giornate non mostra differenze significative rispetto a quello effettuato in un unica giornata. Il fattore che sembra incidere maggiormente sulla perdita di biomassa di Cystoseira crinita è dunque l’intensità di calpestio. L’analisi dei campioni meiobentonici ha rivelato una ricca comunità animale associata a Cystoseira crinita, con 29 taxa identificati. Analizzando gli effetti del calpestio si osserva come la meiofauna risenta negativamente dell’effetto del calpestio in termini di perdita di densità totale e di riduzione del numero di taxa, anche a basse intensità. I campioni meiofaunali sottoposti a medio alte intensità di calpestio non mostrano un recupero nel breve periodo. I risultati ottenuti sull’insieme dei popolamenti, in termini multivariati mostrano un evoluzione della struttura di comunità nel tempo, indicando una variazione delle relazioni di dominanza fra i taxa, che si modificano fra i diversi trattamenti e tempi. Anche nel caso delle analisi condotte sulla meiofauna non si riscontrano differenze tra intensità di calpestio e frequenze. Per valutare quanto la risposta dei popolamenti meiobentonici sia correlata alle variazioni di biomassa di Cystoseira crinita rispetto che ad un effetto diretto del calpestio, tutte le analisi sono state condotte pesando le densità dei diversi taxa in funzione della biomassa algale. Le analisi multivariate mostrano una chiara correlazione tra la biomassa algale e struttura della comunità meiobentoniche. L’effetto del calpestio riduce le abbondanze di organismi meiobentonici in maniera diretta, mentre il successivo ripopolamento dei differenti taxa è legato al recupero o meno di biomassa di Cystoseira crinita. In conclusione, i risultati di questo studio confermano che il calpestio umano sulle coste rocciose possa danneggiare una specie considerata ad alto valore ecologico, come Cystoseira crinita, producendo inoltre effetti negativi diretti ed indiretti sui popolamenti meiobentonici ad essa associati.
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L’utilizzo del Multibeam Echo sounder (MBES) in ambienti di transizione poco profondi, con condizioni ambientali complesse come la laguna di Venezia, è ancora in fase di studio e i dati biologici e sedimentologici inerenti ai canali della laguna di Venezia sono attualmente scarsi e datati in letteratura. Questo studio ha lo scopo di mappare gli habitat e gli oggetti antropici di un canale della laguna di Venezia in un intervallo di profondità tra 0.3 e 20 m (Canale San Felice) analizzando i dati batimetrici e di riflettività (backscatter) acquisiti da ISMAR-Venezia nell’ambito del progetto RITMARE. A tale scopo il fondale del canale San Felice (Venezia) è stato caratterizzato dal punto di vista geomorfologico, sedimentologico e biologico; descrivendo anche l’eventuale presenza di oggetti antropici. L’ecoscandaglio utilizzato è il Kongsberg EM2040 Dual-Compact Multibeam in grado di emettere 800 beam (400 per trasduttore) ad una frequenza massima di 400kHZ e ci ha consentito di ricavare ottimi risultati, nonostante le particolari caratteristiche degli ambienti lagunari. I dati acquisiti sono stati processati tramite il software CARIS Hydrographic information processing system (Hips) & Sips, attraverso cui è possibile applicare le correzioni di marea e velocità del suono e migliorare la qualità dei dati grezzi ricavati da MBES. I dati sono stati quindi convertiti in ESRI Grid, formato compatibile con il software ArcGIS 10.2.1 (2013) che abbiamo impiegato per le interpretazioni e per la produzione delle mappe. Tecniche di ground-truthing, basate su riprese video e prelievi di sedimento (benna Van Veen 7l), sono state utilizzate per validare il backscatter, dimostrandosi molto efficaci e soddisfacenti per poter descrivere i fondali dal punto di vista biologico e del substrato e quindi degli habitat del canale lagunare. Tutte le informazioni raccolte durante questo studio sono state organizzate all’interno di un geodatabase, realizzato per i dati relativi alla laguna di Venezia.
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The Great Barrier Reef hosts the only known reliable aggregation of dwarf minke whale (Balaenoptera acutorostrata subspecies) in Australian waters. While this short seasonal aggregation is quite predictable, the distribution and movements of the whales during the rest of their annual cycle are poorly understood. In particular, feeding and resting areas on their southward migration which are likely to be important have not been described. Using satellite telemetry data, I modelled the habitat use of seven whales during their southward migration through waters surrounding Tasmania. The whales were tagged with LIMPET satellite tags in the GBR in July 2013 (2 individuals) and 2014 (5 individuals). The study area around Tasmania was divided into 10km² cells and the time spent by each individual in each cell was calculated and averaged based on the number of animals using the cell. Two areas of high residency time were highlighted: south-western Bass Strait and Storm Bay (SE Tasmania). Remotely sensed ocean data were extracted for each cell and averaged temporally during the entire period of residency. Using Generalised Additive Models I explored the influence of key environmental characteristics. Nine predictors (bathymetry, distance from coast, distance from shore, gradient of sea surface temperature, sea surface height (absolute and variance), gradient of current speed, wind speed and chlorophyll-a concentration) were retained in the final model which explained 68% of the total variance. Regions of higher time-spent values were characterised by shallow waters, proximity to the coast (but not to the shelf break), high winds and sea surface height but low gradient of sea surface temperature. Given that the two high residency areas corresponded with regions where other marine predators also forage in Bass Strait and Storm Bay, I suggest the whales were probably feeding, rather than resting in these areas.
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P>1. There are a number of models describing population structure, many of which have the capacity to incorporate spatial habitat effects. One such model is the source-sink model, that describes a system where some habitats have a natality that is higher than mortality (source) and others have a mortality that exceeds natality (sink). A source can be maintained in the absence of migration, whereas a sink will go extinct. 2. However, the interaction between population dynamics and habitat quality is complex, and concerns have been raised about the validity of published empirical studies addressing source-sink dynamics. In particular, some of these studies fail to provide data on survival, a significant component in disentangling a sink from a low quality source. Moreover, failing to account for a density-dependent increase in mortality, or decrease in fecundity, can result in a territory being falsely assigned as a sink, when in fact, this density-dependent suppression only decreases the population size to a lower level, hence indicating a 'pseudo-sink'. 3. In this study, we investigate a long-term data set for key components of territory-specific demography (mortality and reproduction) and their relationship to habitat characteristics in the territorial, group-living Siberian jay (Perisoreus infaustus). We also assess territory-specific population growth rates (r), to test whether spatial population dynamics are consistent with the ideas of source-sink dynamics. 4. Although average mortality did not differ between sexes, habitat-specific mortality did. Female mortality was higher in older forests, a pattern not observed in males. Male mortality only increased with an increasing amount of open areas. Moreover, reproductive success was higher further away from human settlement, indicating a strong effect of human-associated nest predators. 5. Averaged over all years, 76% of the territories were sources. These territories generally consisted of less open areas, and were located further away from human settlement. 6. The source-sink model provides a tool for modelling demography in distinct habitat patches of different quality, which can aid in identifying key habitats within the landscape, and thus, reduce the risk of implementing unsound management decisions.
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Among various groups of fishes, a shift in peak wavelength sensitivity has been correlated with changes in their photic environments. The genus Sebastes is a radiation of marine fish species that inhabit a wide range of depths from intertidal to over 600 m. We examined 32 species of Sebastes for evidence of adaptive amino acid substitution at the rhodopsin gene. Fourteen amino acid positions were variable among these species. Maximum likelihood analyses identify several of these to be targets of positive selection. None of these correspond to previously identified critical amino acid sites, yet they may in fact be functionally important. The occurrence of independent parallel changes at certain amino acid positions reinforces this idea. Reconstruction of habitat depths of ancestral nodes in the phylogeny suggests that shallow habitats have been colonized independently in different lineages. The evolution of rhodopsin appears to be associated with changes in depth, with accelerated evolution in lineages that have had large changes in depth.
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Palestinian refugees registered with UNRWA and their housing conditions are officially characterized by a “ temporary status” , a situation which has lasted the past sixty years. This article explores this time-paradox by focusing on the host governments’ and UNRWA’s policies affecting the refugees’ housing conditions. After having reviewed available literature, this contribution analyses the current housing situation. Drawing on data from a recent survey, the authors provide insights on areas where intervention is needed. In all UNRWA’s fields of operation, overcrowding, lack of public spaces, humidity and structural defects are the main sources of housing discomfort that camp refugees endure. Host countries’ restrictions as well as the incapacity or unwillingness of larger urban municipalities to incorporate refugee camps in their master plans are among the main obstacles to the refugees’ housing development. Rehabilitation and self-help re-housing programs may offer substantial incentives for housing improvement. The success of such programs depends, among several factors, on the host governments’ good will to provide UNRWA with authorizations, financial support, and land, as well as on the capacity of involving the refugee communities in projects’ planning and implementation.