796 resultados para MUSICA RUSA


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Ad un progetto architettonico, sia che si parli di composizione che di restauro, si dovrebbe assegnare un motto il quale, insito direttamente nell'idea progettuale , abbia la capacità di dare forza al lavoro stesso sia, simultaneamente, di motivare il progettista nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. "Ritorno al castello" diviene quindi il motto più consono per il progetto (che ci si appresta a sviluppare) di recupero dell'edificio monumentale noto come "castello" di Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona. Come motto "Ritorno al castello" racchiude in se tre fondamentali chiavi di lettura: innanzitutto fa riferimento al ritorno, dopo adeguato restauro conservativo, del manufatto storico architettonico come fulcro urbanistico monumentale principale del paese. Tale significativa architettura infatti nel tempo ha mutato forma e funzione andando a perdere il suo ruolo nella vita del paese "scadendo" nel dimenticatoio degli abitanti stessi tanto da passare quasi inosservata. In secondo luogo il ritornare è riferito agli abitanti stessi che, nel voler riscoprire il loro castello attraverso la futura destinazione ad uso pubblico, saranno spinti, come antichi pellegrini a raggiungere la rocca. In ultimo nel motto vi è insita la nuova destinazione d'uso. Un tempo i castelli non rappresentavano soltanto baluardi difensivi, dimore del Signore e della sua corte ma al contempo erano luoghi dove venivano coltivate arte, musica e poesia, ospitando talvolta i grandi illuminati dell'epoca. In un certo qual modo i castelli potevano definirsi roccaforti della cultura e del sapere ed il "ritono" sta appunto nel portare il castello di Castelnuovo a diventare un edificio pubblico per la cultura.

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Progetto per la città di Jesolo, situato nell'area denominata Parco della Musica nel P.R.G. e in cui insiste già un progetto denominato X-Site. Si prevede la realizzazioone di un ecomuseo per la laguna veneta completo di altri edifici al suo servizio come una stazione fluviale, case d'affitto e laboratoti e aule didattiche.

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Igor Stravinskij (1882-1971) utilizzò di sovente fonti preesistenti come parte integrante del proprio artigianato compositivo. In questa tesi dottorale ho studiato il processo creativo di Stravinskij negli anni Venti sulle musiche di Pëtr Il'ič Čajkovskij (1840-1893). Nella prima parte della dissertazione ho indagato la Sleeping Princess (1921) e il successivo Mariage d’Aurore (1922-1929), entrambi allestiti dai Ballets russes di Sergej Djagilev (1872-1929). Dopo aver localizzato e contestualizzato le fonti manoscritte e i materiali d’uso, ho ricostruito le ri-orchestrazioni effettuate da Stravinskij della Danse russe (Coda del Pas de deux n. 28) e del Presto del Finale (n. 30), che erano a tutt’oggi inedite. La ricerca sulla Sleeping Princess si è rivelata fondamentale per la conseguente analisi del Baiser de la Fée (1928, Ballets de Mme Ida Rubinstein), balletto basato su pezzi pianistici e romanze per voce e pianoforte di Čajkovskij. Grazie allo studio dello Skizzenbuch VIII, della partitura pianistica manoscritta e di tutte le fonti rinvenute, ho gettato ulteriore luce sul processo compositivo di Stravinskij sulle fonti čajkovskiane. Ho rinvenuto nuove appropriazioni che finora non erano note.

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La dissertazione è suddivisa in due capitoli più tre appendici. Nel I capitolo, Musica e dolore, si indagano i casi di metamusicalità in riferimento al dolore, che si intensificano in Euripide: si nota lo sviluppo di una riflessione sul ruolo della mousike rispetto al dolore, espressa attraverso un lessico medico e musicale. Si dimostra che in Euripide si pone il problema di quale scopo abbia la musica, se sia utile, e in quale forma lo sia. Nella prima produzione si teorizza una mousa del lamento come dolce o terapeutica per chi soffre. Molti personaggi, però, mostrano sfiducia nel potere curativo del lamento. Nell’ultima produzione si intensificano gli interrogativi sulla performance del canto, che si connotano come casi metamusicali e metateatrali. Nell’Elena, nell’Ipsipile e nelle Baccanti, E. sembra proporre una terapia ‘omeopatica’ del dolore attraverso la musica orgiastico-dionisiaca. Nel II capitolo, Natura e musica, si sceglie l’Ifigenia Taurica come esempio di mimetismo orchestico-musicale fondato – oltre che su casi di autoreferenzialità – su un immaginario naturale che, ‘facendo musica’, contribuisce all’espressività della choreia e della musica in scena. Si ipotizza inoltre un accompagnamento musicale mimetico rispetto ai suoni della natura e movimenti di danza lineari accanto a formazioni circolari, che sembrano richiamare la ‘doppia natura’ del ditirambo. L’Appendice I, Gli aggettivi poetici ξουθός e ξουθόπτερος: il loro significato e la loro potenzialità allusiva, affronta un caso particolare e problematico di ‘mimetismo lessicale’, innescato dal termine ξουθός e dal composto euripideo ξουθόπτερος. Si dimostra che l’aggettivo indica originariamente un movimento vibratorio, ma sviluppa anche un senso sonoro, ed è quindi un termine evocativo rispetto alla performance. Nell’Appendice II, Il lessico musicale in Euripide, è raccolto il lessico euripideo coreutico-musicale. Nell’Appendice III, La mousike nei drammi euripidei, sono raccolti i riferimenti alla mousike in ogni dramma.

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La tesi si occupa della «processione con Misteri» organizzata da Carlo Bascapè, preposito generale dei Barnabiti, a Milano, la notte del venerdì santo, a partire dal 1587. Di questo importante rito processionale sono giunte fino a noi diverse testimonianze documentarie, conservate presso l’Archivio Storico dei Barnabiti a Milano, che sono state il cuore di questa ricerca. La processione è una grande meditazione pubblica dove la musica svolge un ruolo molto importante. Il percorso che ho seguito è stato teso a rendere ragione delle motivazioni drammatiche e devozionali della processione, per poi approdare al significativo ruolo che la componente musicale svolgeva nel rito stesso. Nel primo capitolo ho rievocato la figura di Carlo Bascapè (1550-1615), inserendo la sua figura all’interno delle esperienze storiche nelle quali si è formato (la Milano di san Carlo Borromeo e l’Ordine dei Chierici regolari di San Paolo). Nel secondo capitolo ho scandagliato le radici devozionali alla base della processione (i concetti di devozione e orazione) e messo a fuoco il ruolo della musica nell’esperienza religiosa dei Barnabiti e, in particolar modo, di Carlo Bascapè. Il terzo capitolo si concentra sulle principali modalità di rappresentazione e meditazione della passione di Cristo. Nel quarto capitolo ho ricostruito, attraverso una lettura dei documenti, e con approfondimenti tratti dalla letteratura devozionale tardocinquecentesca sulla passione, i vari aspetti della processione e i suoi protagonisti (religiosi, nobili della città di Milano, musicisti), e, infine, ho messo in luce gli aspetti devozionali e drammaturgici. Nel quinto capitolo ho analizzato le musiche superstiti, pervenendo alla conclusione che ogni aspetto musicale era concepito tenendo ben presenti i due aspetti su cui era imperniata la processione: la rappresentazione della passione e l’immedesimazione dei fedeli. L’ultima parte della tesi consiste, infine, nella trascrizione dei documenti archivistici, nella loro parte testuale e musicale.

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La tesi esamina il codice musicale Gr. Rés Vm7 676 della Biblioteca Nazionale di Parigi, che rappresenta una fonte di grande interesse per lo studio della musica vocale italiana tra Quattro e Cinquecento. Compilato nel 1502, il codice è stato oggetto di analisi da parte di vari studiosi, che ne hanno preso in esame singoli brani o intere sezioni, allo scopo di attestare procedimenti compositivi particolari (Torrefranca) o caratteri stilistici locali, in particolare relativi alla frottola mantovana e ferrarese (Prizer). Un’accurata ricognizione sul repertorio è stata effettuata da Nanie Bridgman in un saggio degli anni Cinquanta del secolo scorso, ma non è mai stato realizzato uno studio organico sul manoscritto. Pertanto la ricerca si è proposta di riconsiderare l’intero repertorio italiano tramandato dal codice, per proporre un plausibile inquadramento stilistico nella cultura della poesia per musica coeva. La trascrizione dei testi e delle musiche, supportata dal confronto con le fonti manoscritte e a stampa, letterarie e musicali, ha consentito di formulare alcune ipotesi in merito alla circolazione del repertorio tramandato e all’ambiente di produzione del documento. L’inconsueta varietà di forme musicali riscontrate nel codice consente inoltre di assumere questo manoscritto come una delle principali fonti della tradizione musicale che precede immediatamente la ‘sistemazione’ del repertorio frottolistico effettuata da Ottaviano Petrucci, a partire dal 1504, con la pubblicazione dei suoi undici libri di frottole (1501-1514).

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Le musiche “popolaresche” urbane, in genere trascurate nella letteratura etnomusicologica, sono state quasi completamente ignorate nel caso della Romania. Il presente studio si propone di colmare almeno in parte questa lacuna, indagando questo fenomeno musicale nella Bucarest degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Le musiche esaminate sono tuttavia inserite entro una cornice storica più ampia, che data a partire dalla fine del XVIII secolo, e messe in relazione con alcune produzioni di origine rurale che con queste hanno uno stretto rapporto. Il caso di Maria Lătărețu (1911-1972) si è rivelato particolarmente fecondo in questo senso, dal momento che la cantante apparteneva ad entrambi i versanti musicali, rurale e urbano, e nepadroneggiava con disinvoltura i rispettivi repertori. Dopo il suo trasferimento nella capitale, negli anni Trenta, è diventata una delle figure di maggior spicco di quel fenomeno noto come muzică populară (creazione musicale eminentemente urbana e borghese con radici però nel mondo delle musiche rurali). L’analisi del repertorio (o, per meglio dire, dei due repertori) della Lătărețu, anche nel confronto con repertori limitrofi, ha permesso di comprendere più da vicino alcuni dei meccanismi musicali alla base di questa creazione. Un genere musicale che non nasce dal nulla nel dopo-guerra, ma piuttosto continua una tradizione di musica urbana, caratterizzata in senso locale, ma influenzata dal modello della canzone europea occidentale, che data almeno dagli inizi del Novecento. Attraverso procedimenti in parte già collaudati da compositori colti che sin dal XIX secolo, in Romania come altrove, si erano cimentati con la creazione di melodie in stile popolare o nell’armonizzazione di musiche di provenienza contadina, le melodie rurali nel bagaglio della cantante venivano trasformate in qualcosa di inedito. Una trasformazione che, come viene dimostrato efficacemente nell’ultimo capitolo, non investe solo il livello superficiale, ma coinvolge in modo profondo la sintassi musicale.

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In base ad una recensione esaustiva dei riferimenti alla musica e al sonoro nella produzione filosofica di Gilles Deleuze e Félix Guattari, la presente ricerca s’incentra sulla posizione che il pensiero musicale di John Cage occupa in alcuni testi deleuziani. Il primo capitolo tratta del periodo creativo di Cage fra il 1939 e il 1952, focalizzandosi su due aspetti principali: la struttura micro-macrocosmica che contraddistingue i suoi primi lavori, e i quattro elementi che in questo momento sintetizzano per Cage la composizione musicale. Questi ultimi sono considerati in riferimento alla teoria della doppia articolazione che Deleuze e Guattari riprendono da Hjelmslev; entrambi gli aspetti rimandano al sistema degli strati e della stratificazione esposta su Mille piani. Il secondo capitolo analizza la musica dei decenni centrali della produzione cagiana alla luce del luogo in Mille piani dove Cage è messo in rapporto al concetto di “piano fisso sonoro”. Un’attenzione particolare è posta al modo in cui Cage concepisce il rapporto fra durata e materiali sonori, e al grado variabile in cui sono presenti il caso e l’indeterminazione. Le composizioni del periodo in questione sono inoltre viste in riferimento al concetto deleuzo-guattariano di cartografia, e nelle loro implicazioni per il tempo musicale. L’ultimo quindicennio della produzione di Cage è considerata attraverso il concetto di rizoma inteso come teoria delle molteplicità. In primo luogo è esaminata la partitura di Sylvano Bussotti che figura all’inizio di Mille piani; in seguito, i lavori testuali e musicali di Cage sono considerati secondo le procedure compositive cagiane del mesostico, delle parentesi di tempo che concorrono a formare una struttura variabile, e dell’armonia anarchica dell’ultimo Cage.

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La tesi descrive lo sviluppo di un'applicazione web per comporre musica tramite la tecnica del "live looping" che fornisce anche la possibilità di effettuare lo streaming di ciò che si crea in tempo reale e in maniera peer-to-peer. L'applicazione in oggetto (chiamata WebLooper) fa uso di due tecnologie web emergenti in ambito multimediale: Web Audio e WebRTC, attualmente in attesa di diventare standard W3C.

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La mia tesi tratta il cammino storico dell'evoluzione della musica e in che modo l'informatica ha contribuito all'evoluzione e al cambiamento della musica.

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La dissertazione è uno studio monografico delle cantate dialogiche e delle serenate a più voci e strumenti composte da Händel in Italia negli anni 1706-1710. Insieme ai drammi per musica e agli oratori coevi, le quattro cantate "Aminta e Fillide" HWV 83, "Clori, Tirsi e Fileno" HWV 96, "Il duello amoroso" HWV 82, "Apollo e Dafne" HWV 122 e le due serenate "Aci, Galatea e Polifemo" HWV 72 e "Olinto pastore arcade alle glorie del Tebro" HWV 143 costituiscono le prime importanti affermazioni di Händel come compositore di musica vocale. Le sei composizioni sono state studiate sotto l’aspetto storico-letterario, drammaturgico-musicale e della committenza, con l’obiettivo di individuare intersecazioni fra questi piani. I testi poetici, di cui si è curata l’edizione, sono stati analizzati da un punto di vista storico e stilistico e collocati nel particolare contesto romano del primo Settecento, in cui la proibizione di ogni spettacolo teatrale determinò, sotto la spinta di una raffinata committenza, un ‘drammatizzazione’ dei generi della cantata e della serenata. L’analisi musicale di ciascuna composizione è stata dunque finalizzata a una lettura ‘drammaturgica’, che ha portato alla individuazione dei dispositivi di ascendenza teatrale nella scelte compositive di Händel. Lo studio si conclude con un selettivo confronto con le cantate e le serenate scritte negli stessi anni a Roma da Alessandro Scarlatti.

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La mia tesi approfondisce le dinamiche della cinefilia su Facebook: quali relazioni s'instaurano tra lo spettatore cinefilo, e dunque il suo particolare sguardo, e la moltitudine di frammenti di cinema dispersi nella rete; come si sono modificati i rapporti, gli atteggiamenti, i processi di negoziazione, le abitudini e soprattutto i discorsi dei cinefili al cospetto di tracce di cinema sui social network e in particolare su Facebook. Inoltreprovo a dimostrare che la cinefilia è un'esperienza costitutivamente autobiografica, cui il web permette il perpetuare potenzialmente infinito della (auto)narrazione di sé.

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La pratica del remix è al giorno d’oggi sempre più diffusa e un numero sempre più vasto di persone ha ora le competenze e gli strumenti tecnologici adeguati per eseguire operazioni un tempo riservate a nicchie ristrette. Tuttavia, nella sua forma audiovisiva, il remix ha ottenuto scarsa attenzione a livello accademico. Questo lavoro esplora la pratica del remix intesa al contempo come declinazione contemporanea di una pratica di lungo corso all’interno della storia della produzione audiovisiva – ovvero il riuso di immagini – sia come forma caratteristica della contemporaneità mediale, atto di appropriazione grassroots dei contenuti mainstream da parte degli utenti. La tesi si articola in due sezioni. Nella prima, l’analisi di tipo teorico e storico-critico è suddivisa in due macro-aree di intervento: da una parte il remix inteso come pratica, atto di appropriazione, gesto di riciclo, decontestualizzazione e risemantizzazione delle immagini mediali che ha attraversato la storia dei media audiovisivi [primo capitolo]. Dall’altra, la remix culture, ovvero il contesto culturale e sociale che informa l’ambiente mediale entro il quale la pratica del remix ha conosciuto, nell’ultimo decennio, la diffusione capillare che lo caratterizza oggi [secondo capitolo]. La seconda, che corrisponde al terzo capitolo, fornisce una dettagliata panoramica su un caso di studio, la pratica del fan vidding. Forma di remix praticata quasi esclusivamente da donne, il vidding consiste nel creare fan video a partire da un montaggio d’immagini tratte da film o serie televisive che utilizza come accompagnamento musicale una canzone. Le vidders, usando specifiche tecniche di montaggio, realizzano delle letture critiche dei prodotti mediali di cui si appropriano, per commentare, criticare o celebrare gli oggetti di loro interesse. Attraverso il vidding il presente lavoro indaga le tattiche di rielaborazione e riscrittura dell’immaginario mediale attraverso il riuso di immagini, con particolare attenzione al remix inteso come pratica di genere.

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Lo studio analizza le svolte nel teatro di innovazione francese prodotte dalla rivolta sociale e dalla sua rivoluzione culturale del 1968. La ricerca si è concentrata su tre livelli di analisi: un'analisi – storica, politica, sociale, culturale – dell'anno-tournant; un'analisi delle reazioni nel mondo del teatro contemporanee alla rivolta; un'analisi delle prassi spettacolari di lunga durata originate dall'evento. Sono stati, quindi, esaminati criticamente i testi cardine degli intellettuali ispiratori, protagonisti e interpreti della breccia culturale, per poi rintracciare i valori emersi all'interno del mondo dello spettacolo. La contestazione sociale ha agito sul mondo del teatro producendo delle ripercussioni immediate – l'occupazione dell'Odéon, la contestazione al XXII Festival d'Avignon, la produzione della Déclaration de Villeurbanne – e delle prassi di lunga durata che hanno agito sui processi formativi e creativi delle compagnie francesi che, dalla fine degli anni Sessanta, hanno prodotto creazioni collettive (in particolare il Théâtre du Soleil e il Théâtre de l'Aquarium, ma anche la Nouvelle Compagnie d'Avignon, il Grand Magic Circus e il Théâtre Populaire di Lorraine) e sul corpus drammaturgico e teorico di Michel Vinaver. Sono state, quindi, analizzate le relazioni che si sono instaurate tra i protagonisti appena nominati e i differenziati contesti, sociali e teatrali, facendo emergere nuove istanze creative. Tali istanze hanno saputo rispondere alle spinte etiche ed estetiche del momento storico, le hanno declinate sul piano delle prassi teatrali e rilanciate verso modalità nuove che hanno favorito l'emersione di una nuova civiltà del testuale.