998 resultados para Tecniche di enhancement, Impronte digitali, Riconoscimento biometrico


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Il lavoro presentato in questa tesi si colloca nel contesto della programmazione con vincoli, un paradigma per modellare e risolvere problemi di ricerca combinatoria che richiedono di trovare soluzioni in presenza di vincoli. Una vasta parte di questi problemi trova naturale formulazione attraverso il linguaggio delle variabili insiemistiche. Dal momento che il dominio di tali variabili può essere esponenziale nel numero di elementi, una rappresentazione esplicita è spesso non praticabile. Recenti studi si sono quindi focalizzati nel trovare modi efficienti per rappresentare tali variabili. Pertanto si è soliti rappresentare questi domini mediante l'uso di approssimazioni definite tramite intervalli (d'ora in poi rappresentazioni), specificati da un limite inferiore e un limite superiore secondo un'appropriata relazione d'ordine. La recente evoluzione della ricerca sulla programmazione con vincoli sugli insiemi ha chiaramente indicato che la combinazione di diverse rappresentazioni permette di raggiungere prestazioni di ordini di grandezza superiori rispetto alle tradizionali tecniche di codifica. Numerose proposte sono state fatte volgendosi in questa direzione. Questi lavori si differenziano su come è mantenuta la coerenza tra le diverse rappresentazioni e su come i vincoli vengono propagati al fine di ridurre lo spazio di ricerca. Sfortunatamente non esiste alcun strumento formale per paragonare queste combinazioni. Il principale obiettivo di questo lavoro è quello di fornire tale strumento, nel quale definiamo precisamente la nozione di combinazione di rappresentazioni facendo emergere gli aspetti comuni che hanno caratterizzato i lavori precedenti. In particolare identifichiamo due tipi possibili di combinazioni, una forte ed una debole, definendo le nozioni di coerenza agli estremi sui vincoli e sincronizzazione tra rappresentazioni. Il nostro studio propone alcune interessanti intuizioni sulle combinazioni esistenti, evidenziandone i limiti e svelando alcune sorprese. Inoltre forniamo un'analisi di complessità della sincronizzazione tra minlex, una rappresentazione in grado di propagare in maniera ottimale vincoli lessicografici, e le principali rappresentazioni esistenti.

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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.

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Sperm cells need hexoses as a substrate for their function, for both the maintenance of membrane homeostasis and the movement of the tail. These cells have a peculiar metabolism that has not yet been fully understood, but it is clear that they obtain energy from hexoses through glycolisis and/or oxidative phosphorylation. Spermatozoa are in contact with different external environments, beginning from the testicular and epididymal fluid, passing to the seminal plasma and finally to the female genital tract fluids; in addition, with the spread of reproductive biotechnologies, sperm cells are diluted and stored in various media, containing different energetic substrates. To utilize these energetic sources, sperm cells, as other eukaryotic cells, have a well-constructed protein system, that is mainly represented by the GLUT family proteins. These transporters have a membrane-spanning α-helix structure and work as an enzymatic pump that permit a fast gradient dependent passage of sugar molecules through the lipidic bilayer of sperm membrane. Many GLUTs have been studied in man, bull and rat spermatozoa; the presence of some GLUTs has been also demonstrated in boar and dog spermatozoa. The aims of the present study were - to determine the presence of GLUTs 1, 2, 3, 4 and 5 in boar, horse, dog and donkey spermatozoa and to describe their localization; - to study eventual changes in GLUTs location after capacitation and acrosome reaction in boar, stallion and dog spermatozoa; - to determine possible changes in GLUTs localization after capacitation induced by insulin and IGF stimulation in boar spermatozoa; - to evaluate changes in GLUTs localization after flow-cytometric sex sorting in boar sperm cells. GLUTs 1, 2, 3 and 5 presence and localization have been demonstrated in boar, stallion, dog and donkey spermatozoa by western blotting and immunofluorescence analysis; a relocation in GLUTs after capacitation has been observed only in dog sperm cells, while no changes have been observed in the other species examined. As for boar, the stimulation of the capacitation with insulin and IGF didn’t cause any change in GLUTs localization, as well as for the flow cytometric sorting procedure. In conclusion, this study confirms the presence of GLUTs 1, 2 ,3 and 5 in boar, dog, stallion and donkey spermatozoa, while GLUT 4 seems to be absent, as a confirmation of other studies. Only in dog sperm cells capacitating conditions induce a change in GLUTs distribution, even if the physiological role of these changes should be deepened.

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PRESUPPOSTI: Le tachicardie atriali sono comuni nei GUCH sia dopo intervento correttivo o palliativo che in storia naturale, ma l’incidenza è significativamente più elevata nei pazienti sottoposti ad interventi che prevedono un’estesa manipolazione atriale (Mustard, Senning, Fontan). Il meccanismo più frequente delle tachicardie atriali nel paziente congenito adulto è il macrorientro atriale destro. L’ECG è poco utile nella previsione della localizzazione del circuito di rientro. Nei pazienti con cardiopatia congenita sottoposta a correzione biventricolare o in storia naturale il rientro peritricuspidale costituisce il circuito più frequente, invece nei pazienti con esiti di intervento di Fontan la sede più comune di macrorientro è la parete laterale dell’atrio destro. I farmaci antiaritmici sono poco efficaci nel trattamento di tali aritmie e comportano un’elevata incidenza di effetti avversi, soprattutto l’aggravamento della disfunzione sinusale preesistente ed il peggioramento della disfunzione ventricolare, e di effetti proaritmici. Vari studi hanno dimostrato la possibilità di trattare efficacemente le IART mediante l’ablazione transcatetere. I primi studi in cui le procedure venivano realizzate mediante fluoroscopia tradizionale, la documentazione di blocco di conduzione translesionale bidirezionale non era routinariamente eseguita e non tutti i circuiti di rientro venivano sottoposti ad ablazione, riportano un successo in acuto del 70% e una libertà da recidiva a 3 anni del 40%. I lavori più recenti riportano un successo in acuto del 94% ed un tasso di recidiva a 13 mesi del 6%. Questi ottimi risultati sono stati ottenuti con l’utilizzo delle moderne tecniche di mappaggio elettroanatomico e di cateteri muniti di sistemi di irrigazione per il raffreddamento della punta, inoltre la dimostrazione della presenza di blocco di conduzione translesionale bidirezionale, l’ablazione di tutti i circuiti indotti mediante stimolazione atriale programmata, nonché delle sedi potenziali di rientro identificate alla mappa di voltaggio sono stati considerati requisiti indispensabili per la definizione del successo della procedura. OBIETTIVI: riportare il tasso di efficia, le complicanze, ed il tasso di recidiva delle procedure di ablazione transcatetere eseguite con le moderne tecnologie e con una rigorosa strategia di programmazione degli obiettivi della procedura. Risultati: Questo studio riporta una buona percentuale di efficacia dell’ablazione transcatetere delle tachicardie atriali in una popolazione varia di pazienti con cardiopatia congenita operata ed in storia naturale: la percentuale di successo completo della procedura in acuto è del 71%, il tasso di recidiva ad un follow-up medio di 13 mesi è pari al 28%. Tuttavia se l’analisi viene limitata esclusivamente alle IART il successo della procedura è pari al 100%, i restanti casi in cui la procedura è stata definita inefficace o parzialmente efficace l’aritmia non eliminata ma cardiovertita elettricamente non è un’aritmia da rientro ma la fibrillazione atriale. Inoltre, sempre limitando l’analisi alle IART, anche il tasso di recidiva a 13 mesi si abbassa dal 28% al 3%. In un solo paziente è stato possibile documentare un episodio asintomatico e non sostenuto di IART al follow-up: in questo caso l’aspetto ECG era diverso dalla tachicardia clinica che aveva motivato la prima procedura. Sebbene la diversa morfologia dell’attivazione atriale all’ECG non escluda che si tratti di una recidiva, data la possibilità di un diverso exit point del medesimo circuito o di un diverso senso di rotazione dello stesso, è tuttavia più probabile l’emergenza di un nuovo circuito di macrorientro. CONCLUSIONI: L'ablazione trancatetere, pur non potendo essere considerata una procedura curativa, in quanto non in grado di modificare il substrato atriale che predispone all’insorgenza e mantenimento della fibrillazione atriale (ossia la fibrosi, l’ipertrofia, e la dilatazione atriale conseguenti alla patologia e condizione anatomica di base)è in grado di assicurare a tutti i pazienti un sostanziale beneficio clinico. È sempre stato possibile sospendere l’antiaritmico, tranne 2 casi, ed anche nei pazienti in cui è stata documentata una recidiva al follow-up la qualità di vita ed i sintomi sono decisamente migliorati ed è stato ottenuto un buon controllo della tachiaritmia con una bassa dose di beta-bloccante. Inoltre tutti i pazienti che avevano sviluppato disfunzione ventricolare secondaria alla tachiaritmia hanno presentato un miglioramento della funzione sistolica fino alla normalizzazione o al ritorno a valori precedenti la documentazione dell’aritmia. Alla base dei buoni risultati sia in acuto che al follow-up c’è una meticolosa programmazione della procedura e una rigorosa definizione degli endpoint. La dimostrazione del blocco di conduzione translesionale bidirezionale, requisito indispensabile per affermare di aver creato una linea continua e transmurale, l’ablazione di tutti i circuiti di rientro inducibili mediante stimolazione atriale programmata e sostenuti, e l’ablazione di alcune sedi critiche, in quanto corridoi protetti coinvolti nelle IART di più comune osservazione clinica, pur in assenza di una effettiva inducibilità periprocedurale, sono obiettivi necessari per una procedura efficace in acuto e a distanza. Anche la disponibilità di moderne tecnologie come i sistemi di irrigazione dei cateteri ablatori e le metodiche di mappaggio elettroanantomico sono requisiti tecnici molto importanti per il successo della procedura.

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Questa tesi si occupa degli aspetti di usabilità nell'interazione degli utenti con le applicazioni, usando le tecniche di generazione automatica della Model-Driven Architecture. Viene prodotto un generatore di applicazioni model-driven, basato su un modello di progettazione Goal-Oriented, con risultati apprezzabili nel fornire all'utente un'interazione dinamica con l'applicazione prodotta.

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Synchronization is a key issue in any communication system, but it becomes fundamental in the navigation systems, which are entirely based on the estimation of the time delay of the signals coming from the satellites. Thus, even if synchronization has been a well known topic for many years, the introduction of new modulations and new physical layer techniques in the modern standards makes the traditional synchronization strategies completely ineffective. For this reason, the design of advanced and innovative techniques for synchronization in modern communication systems, like DVB-SH, DVB-T2, DVB-RCS, WiMAX, LTE, and in the modern navigation system, like Galileo, has been the topic of the activity. Recent years have seen the consolidation of two different trends: the introduction of Orthogonal Frequency Division Multiplexing (OFDM) in the communication systems, and of the Binary Offset Carrier (BOC) modulation in the modern Global Navigation Satellite Systems (GNSS). Thus, a particular attention has been given to the investigation of the synchronization algorithms in these areas.

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Questa tesi prende spunto da altri studi realizzati nel campo delle esattamente nel campo delle “Swam Intelligence”, una branca delle intelligenze artificiali prende spunto dal comportamento di animali sociali, sopratutto insetti come termini, formiche ed api, per trarne interessanti metafore per la creazione di algoritmi e tecniche di programmazione. Questo tipo di algoritmi, come per gli esempi tratti dalla biologia, risultano dotati di interessanti proprietà adatte alla risoluzione di certi problemi nell'ambito dell'ingegneria. Lo scopo della tesi è quello di mostrare tramite un esempio pratico le proprietà dei sistemi sviluppati tramite i principi delle Swarm Intelligence, evidenziando la flessibilità di questi sistemi. Nello specifico, la mia tesi analizzerà il problema della suddivisione del lavoro in una colonia di formiche, fornendo un esempio pratico quale il compito di cattura di prede in un determinato ambiente. Ho sviluppato un'applicazione software in Java che simula tale comportamento, i dati utilizzati durante le diverse simulazioni possono essere modificati tramite file di testo, in modo da ottenere risultati validi per diversi contesti.

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In questa dissertazione viene descritto un sistema sviluppato per ottenere una rappresentazione a tre dimensioni in real time di una superficie. Il sistema si avvale di alcune tecniche di ottimizza- zione e di trattamento dell’immagine e sfrutta dispositivi comuni e di facile reperibilita`: una videocamera e un proiettore.

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La ricerca impostata considera campi disciplinari specifici e distinti, verso la loro integrazione, mirando a produrre un avanzamento relativo alla scienza della voce attraverso la pratica e lo studio della sua applicazione in campo artistico. A partire dall’analisi delle teorie novecentesche relative alla fonazione nel mondo della scena (Antonin Artaud, Stanislavskij e altri) per giungere alle acquisizioni prodotte dalle terapie corporee e vocali (Tomatis, Lowen, Wilfart in particolare), Marco Galignano ha sviluppato un percorso originale che è passato inoltre attraverso lo studio della pratica di una serie di artisti contemporanei (tra cui Baliani, Belli, Bergonzoni, Jodorowski, Hera, Lucenti e Manfredini) e di pedagoghi e terapeuti (da Serge Wilfart al maestro Paolo Zedda). Galignano ha inoltre riferito, nel suo lavoro, gli esiti della sua personale esperienza di formatore, sviluppata a Bologna all’interno di diversi Dipartimenti dell’Università Alma Mater, del Conservatorio di Musica G.B. Martini, dell’Accademia di Belle Arti e del Teatro Duse in particolare. L’obiettivo della tesi è dunque quello di fondare le basi teoriche per una rinnovata pedagogia vocale, a partire dalla possibile riscoperta del suono naturale fino a giungere alle potenzialità terapeutiche ed artistiche del linguaggio. Gli obiettivi di questo lavoro contemplano l’istituzione di una nuova modalità pedagogica, la sua diffusione attraverso una presentazione opportunamente composta e la sua inscrizione in diverse occorrenze artistiche e professionali. Molte le personalità di spicco del panorama internazionale della scienza e dell’arte della voce che hanno contribuito, negli anni, alla presente ricerca: Francesca Della Monica, insegnante di canto e performer, Tiziana Fuschini, logopedista, Franco Fussi, foniatra, Silvia Magnani, foniatra ed esperta di teatro, Gianpaolo Mignardi, logopedista, Dimitri Pasquali, pedagogo, Livio Presutti, medico chirurgo otorinolaringoiatra, Simonetta Selva, medico dello sport, Serge Wilfart, terapeuta della voce, Paolo Zedda, professore di canto in diverse realtà e Maestro di dizione al Conservatorio Nazionale di Parigi, e molti altri, oltre agli artisti citati in fondo, con le loro ricerche hanno contribuito direttamente alla redazione dell’elaborato finale, che mira a fondare le basi di una rinnovata pedagogia vocale per il teatro in Italia. La ricerca vuole infatti colmare in parte la penuria di apporti scientifici specificamente rivolti alla formazione vocale dell’attore teatrale. II lavoro vorrebbe inoltre raccogliere l’eredita di quei teorici, maestri e registi-pedagoghi che nel Novecento hanno posto le basi per la formazione dell’attore, e al tempo stesso prolungare la linea genealogica che da Stanislavskji trascorre in Grotowski, senza escludere esperienze fondate su presupposti alternativi alla formazione del repertorio vocale del performer: psicofisicità, terapie olistiche, fisica quantistica. Come accennato, una parte della ricerca è stata condotta in collaborazione col Prof. Franco Fussi, correlatore, e grazie al lavoro di redazione nel gruppo della rivista Culture Teatrali, diretto da Marco De Marinis, relatore. II percorso ha inteso infatti sviluppare alcune delle linee di ricerca aperte da Fussi virandole verso lo specifico dell’attività e del training vocale dell’attore, e ha avuto una tappa di verifica rilevante nel Convegno Internazionale di Foniatria e Logopedia “La Voce Artistica” di cui Fussi è direttore, a cui Galignano ha partecipato in veste di relatore. 1. II concetto guida del lavoro di Galignano risiede nell’idea di vibrazione e nel rapporto che questa intrattiene col suono. Il suono, per l’essere umano, costituisce la base materiale della fonazione, del linguaggio codificato comunitariamente così come dei particolari idioletti in continua evoluzione, basi della comunicazione verbale e paraverbale. Il linguaggio umano è costituito principalmente da sonorità vocale e da articolazione consonantica (rumori), e cioè composto di suoni armonici e di rumori prodotti da apparati articolari del corpo che risultano efficaci solo se integrati nel corpo da cui originano. A partire da un tentativo di definizione di salute corporea e di equilibrio psicofisico, attraverso l’analisi della rigenerazione cellulare e delle dinamiche comportamentali, Galignano definisce scientificamente la lingua parlata come emersione di codici comunicativi che originano da una schematizzazione del mondo intimo-personale del soggetto e si fondano su memorie molecolari, sull’attitudine comportamentale abituale, tra spontaneità, automatismi e capacità episodica di attenzione psicofisica. Ciò costituisce, per Galignano, la “risonanza olistica” alla base dell’efficacia comunicativa in sede pedagogica. L’argomento, che verrà sviluppato per la presentazione editoriale dell’elaborato e di cui la tesi di dottorato è solo una prima tappa in fieri, è stato sviscerato anche sulla base di nozioni di fisica classica e di fisica quantistica. Ciò senza dimenticare gli studi approfonditi sulla vocalità in ambito filosofico, da Bologna a Cavarero, da Napolitano a Zumthor. La tesi è composta attraverso una progressione che, a partire da una dichiarazione di poetica, trascorre poi verso l’analisi della fisiologia e della psicologia della voce, per approdare a una zona di approfondimento scientifico, teorico ed empirico, di una serie di metodi d’avanguardia di abilitazione e riabilitazione. In ultimo, come appendice, vengono riferiti i risultati del percorso laboratoriale condotto nel corso degli anni del dottorato di ricerca. Le esperienze sul campo maturate nell’ambito dell’attività pedagogica e laboratoriale si sono inoltre sviluppate a partire da un Progetto Strategico d’Ateneo dell’Università di Bologna intitolato “La Voce nel Corpo. La Recitazione e il Movimento Coreografico”, di cui Marco Galignano è responsabile scientifico. Un tempo specifico della tesi di dottorato è dunque composto a partire dai risultati maturati attraverso le varie azioni, laboratoriali e artistiche, che fin qui il progetto “La Voce nel Corpo” ha prodotto. In definitiva, attraverso il tessuto composto da esperienze pedagogiche, pratica artistica e ricerca scientifica, la tesi di dottorato di Galignano, work in progress, mira a comporre un sistema integrato, teorico-pratico, per l’insegnamento e la trasmissione di una specifica tecnica vocale calata nella pratica attoriale, ma utile a fini ulteriori, da quello riabilitativo fino alle tecniche di cura del sé su cui s’e appuntata la riflessione filosofica erede della teoresi artaudiana. La parte conclusiva della ricerca riguarda i suoi possibili futuri sviluppi, specifici, impostati attraverso la collaborazione, attuale, passata o in divenire, con artisti quali Marco Baliani, Matteo Belli, Alessandro Bergonzoni, Albert Hera, Michela Lucenti, Danio Manfredini e altri a cui Marco Galignano è particolarmente riconoscente.

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Nel trentennale dalla morte di Gianni Rodari, la tesi elabora problemi e riflessioni circa la maggiore urgenza corrente tra gli attuali studi rodariani: la necessità, per la cultura nazionale, di conferire a Gianni Rodari e alla letteratura per l’infanzia il ruolo intellettuale determinante da essi rivestito. La tesi sceglie di concentrarsi sui maggiori libri poetici e sul capolavoro teorico, la Grammatica della fantasia, utilizzando come strumenti il confronto con Gramsci, con la tradizione del folklore, con i grandi scrittori per l’infanzia dell’Inghilterra e con le altre esperienze poetiche del Novecento, discutendo Rodari da una specola esclusivamente filologica e letteraria. Parte prima: Rodari utopista. Nella prima parte Gianni Rodari viene inquadrato in un confronto diretto con l’Antonio Gramsci dei Quaderni, che aveva lucidamente individuato la separatezza tutta italiana tra classe intellettuale e mondo popolare, con conseguente inesistenza di una letteratura nazionale-popolare e di una specifica letteratura per l’infanzia. Rodari, primo intellettuale a dedicare tutto se stesso al riempimento di questa lacuna, risponde con intento sociale e politico al problema, adottando un atteggiamento che la tesi definisce utopico. Tramite una disamina del pensiero delle utopie letterarie a confronto con la tradizione popolare del paese di Cuccagna, la tesi procede all’accurato rinvenimento nell’opera di Rodari dei luoghi utopici, tutti orientati a suggerire un utilizzo dell’utopia come chiave per forzare un presente insoddisfacente e accedere a un futuro costruito da ogni individuo in prima persona. Parte seconda: Rodari poeta nonsense? Scritta in Inghilterra presso l’Istitute of Germanic and Romance Studies della University of London, la seconda e corposa parte della tesi si propone come un ampliamento della traccia gettata nel 1983 dall’articolo di Cristina Bertea Gianni Rodari in Gran Bretagna. La tesi analizza dapprima il problema del nonsense, ancora scarsamente trattato in Italia, riflettendo criticamente sulla maggiore bibliografia anglosassone che ha studiato il tema. Successivamente, mette a raffronto il lavoro linguistico che Gianni Rodari ha compiuto lungo l’arco di tutta la vita e le tecniche di composizione poetica elaborate nella Grammatica della fantasia con gli strumenti retorico-formali del nonsense individuati nell’opera di Lewis Carroll, di Edward Lear e delle nursery rhymes inglesi. Parte terza: Traccia per una mappatura della poesia per l’infanzia in Italia, a partire da Gianni Rodari. L’ultima parte della tesi si avventura alla ricerca di un percorso possibile attraverso la poesia per l’infanzia del Novecento e le sue esperienze di comicità. I capitoli si soffermano sul nonsense di Toti Scialoja e di Nico Orengo, sui precedenti di Lina Schwarz e Alfonso Gatto, sul Petel di Zanzotto, sulla poesia di soglia di Vivian Lamarque e sull’eredità della Grammatica della fantasia con particolare riferimento a Calicanto, di Ersilia Zamponi e Roberto Piumini.

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Il trauma cranico é tra le piú importanti patologie traumatiche. Ogni anno 250 pazienti ogni 100.000 abitanti vengono ricoverati in Italia per un trauma cranico. La mortalitá é di circa 17 casi per 100.000 abitanti per anno. L’Italia si trova in piena “media” Europea considerando l’incidenza media in Europa di 232 casi per 100.000 abitanti ed una mortalitá di 15 casi per 100.000 abitanti. Degli studi hanno indicato come una terapia anticoagulante é uno dei principali fattori di rischio di evolutiviá di una lesione emorragica. Al contrario della terapia anticoagulante, il rischio emorragico correlato ad una terapia antiaggregante é a tutt’oggi ancora in fase di verifica. Il problema risulta rilevante in particolare nella popolazione occidentale in quanto l’impiego degli antiaggreganti é progressivamente sempre piú diffuso. Questo per la politica di prevenzione sostenuta dalle linee guida nazionali e internazionali in termini di prevenzione del rischio cardiovascolare, in particolare nelle fasce di popolazione di etá piú avanzata. Per la prima volta, é stato dimostrato all’ospedale di Forlí[1], su una casistica sufficientemente ampia, che la terapia cronica con antiaggreganti, per la preven- zione del rischio cardiovascolare, puó rivelarsi un significativo fattore di rischio di complicanze emorragiche in un soggetto con trauma cranico, anche di grado lieve. L’ospedale per approfondire e convalidare i risultati della ricerca ha condotto, nell’anno 2009, una nuova indagine. La nuova indagine ha coinvolto oltre l’ospedale di Forlí altri trentuno centri ospedalieri italiani. Questo lavoro di ricerca vuole, insieme ai ricercatori dell’ospedale di Forlí, verificare: “se una terapia con antiaggreganti influenzi l’evolutivitá, in senso peggiorativo, di una lesione emorragica conseguente a trauma cranico lieve - moderato - severo in un soggetto adulto”, grazie ai dati raccolti dai centri ospedalieri nel 2009. Il documento é strutturato in due parti. La prima parte piú teorica, vuole fissare i concetti chiave riguardanti il contesto della ricerca e la metodologia usata per analizzare i dati. Mentre, la seconda parte piú pratica, vuole illustrare il lavoro fatto per rispondere al quesito della ricerca. La prima parte é composta da due capitoli, che sono: • Il capitolo 1: dove sono descritti i seguenti concetti: cos’é un trauma cra- nico, cos’é un farmaco di tipo anticoagulante e cos’é un farmaco di tipo antiaggregante; • Il capitolo 2: dove é descritto cos’é il Data Mining e quali tecniche sono state usate per analizzare i dati. La seconda parte é composta da quattro capitoli, che sono: • Il capitolo 3: dove sono state descritte: la struttura dei dati raccolti dai trentadue centri ospedalieri, la fase di pre-processing e trasformazione dei dati. Inoltre in questo capitolo sono descritti anche gli strumenti utilizzati per analizzare i dati; • Il capitolo 4: dove é stato descritto come é stata eseguita l’analisi esplorativa dei dati. • Il capitolo 5: dove sono descritte le analisi svolte sui dati e soprattutto i risultati che le analisi, grazie alle tecniche di Data Mining, hanno prodotto per rispondere al quesito della ricerca; • Il capitolo 6: dove sono descritte le conclusioni della ricerca. Per una maggiore comprensione del lavoro sono state aggiunte due appendici. La prima tratta del software per data mining Weka, utilizzato per effettuare le analisi. Mentre, la seconda tratta dell’implementazione dei metodi per la creazione degli alberi decisionali.

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Uno dei principali ambiti di ricerca dell’intelligenza artificiale concerne la realizzazione di agenti (in particolare, robot) in grado di aiutare o sostituire l’uomo nell’esecuzione di determinate attività. A tal fine, è possibile procedere seguendo due diversi metodi di progettazione: la progettazione manuale e la progettazione automatica. Quest’ultima può essere preferita alla prima nei contesti in cui occorra tenere in considerazione requisiti quali flessibilità e adattamento, spesso essenziali per lo svolgimento di compiti non banali in contesti reali. La progettazione automatica prende in considerazione un modello col quale rappresentare il comportamento dell’agente e una tecnica di ricerca (oppure di apprendimento) che iterativamente modifica il modello al fine di renderlo il più adatto possibile al compito in esame. In questo lavoro, il modello utilizzato per la rappresentazione del comportamento del robot è una rete booleana (Boolean network o Kauffman network). La scelta di tale modello deriva dal fatto che possiede una semplice struttura che rende agevolmente studiabili le dinamiche tuttavia complesse che si manifestano al suo interno. Inoltre, la letteratura recente mostra che i modelli a rete, quali ad esempio le reti neuronali artificiali, si sono dimostrati efficaci nella programmazione di robot. La metodologia per l’evoluzione di tale modello riguarda l’uso di tecniche di ricerca meta-euristiche in grado di trovare buone soluzioni in tempi contenuti, nonostante i grandi spazi di ricerca. Lavori precedenti hanno gia dimostrato l’applicabilità e investigato la metodologia su un singolo robot. Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire prova di principio relativa a un insieme di robot, aprendo nuove strade per la progettazione in swarm robotics. In questo scenario, semplici agenti autonomi, interagendo fra loro, portano all’emergere di un comportamento coordinato adempiendo a task impossibili per la singola unità. Questo lavoro fornisce utili ed interessanti opportunità anche per lo studio delle interazioni fra reti booleane. Infatti, ogni robot è controllato da una rete booleana che determina l’output in funzione della propria configurazione interna ma anche dagli input ricevuti dai robot vicini. In questo lavoro definiamo un task in cui lo swarm deve discriminare due diversi pattern sul pavimento dell’arena utilizzando solo informazioni scambiate localmente. Dopo una prima serie di esperimenti preliminari che hanno permesso di identificare i parametri e il migliore algoritmo di ricerca, abbiamo semplificato l’istanza del problema per meglio investigare i criteri che possono influire sulle prestazioni. E’ stata così identificata una particolare combinazione di informazione che, scambiata localmente fra robot, porta al miglioramento delle prestazioni. L’ipotesi è stata confermata applicando successivamente questo risultato ad un’istanza più difficile del problema. Il lavoro si conclude suggerendo nuovi strumenti per lo studio dei fenomeni emergenti in contesti in cui le reti booleane interagiscono fra loro.

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Negli ultimi anni la ricerca nella cura dei tumori si è interessata allo sviluppo di farmaci che contrastano la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) per l’apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti tumorali, necessari per l’accrescimento e la sopravvivenza del tumore. Per valutare l’efficacia di questi farmaci antiangiogenesi esistono tecniche invasive: viene prelevato tramite biopsia un campione di tessuto tumorale, e tramite analisi microscopica si quantifica la densità microvascolare (numero di vasi per mm^2) del campione. Stanno però prendendo piede tecniche di imaging in grado di valutare l’effetto di tali terapie in maniera meno invasiva. Grazie allo sviluppo tecnologico raggiunto negli ultimi anni, la tomografia computerizzata è tra le tecniche di imaging più utilizzate per questo scopo, essendo in grado di offrire un’alta risoluzione sia spaziale che temporale. Viene utilizzata la tomografia computerizzata per quantificare la perfusione di un mezzo di contrasto all’interno delle lesioni tumorali, acquisendo scansioni ripetute con breve intervallo di tempo sul volume della lesione, a seguito dell’iniezione del mezzo di contrasto. Dalle immagini ottenute vengono calcolati i parametri perfusionali tramite l’utilizzo di differenti modelli matematici proposti in letteratura, implementati in software commerciali o sviluppati da gruppi di ricerca. Al momento manca un standard per il protocollo di acquisizione e per l’elaborazione delle immagini. Ciò ha portato ad una scarsa riproducibilità dei risultati intra ed interpaziente. Manca inoltre in letteratura uno studio sull’affidabilità dei parametri perfusionali calcolati. Il Computer Vision Group dell’Università di Bologna ha sviluppato un’interfaccia grafica che, oltre al calcolo dei parametri perfusionali, permette anche di ottenere degli indici sulla qualità dei parametri stessi. Questa tesi, tramite l’analisi delle curve tempo concentrazione, si propone di studiare tali indici, di valutare come differenti valori di questi indicatori si riflettano in particolari pattern delle curve tempo concentrazione, in modo da identificare la presenza o meno di artefatti nelle immagini tomografiche che portano ad un’errata stima dei parametri perfusionali. Inoltre, tramite l’analisi delle mappe colorimetriche dei diversi indici di errore si vogliono identificare le regioni delle lesioni dove il calcolo della perfusione risulta più o meno accurato. Successivamente si passa all’analisi delle elaborazioni effettuate con tale interfaccia su diversi studi perfusionali, tra cui uno studio di follow-up, e al confronto con le informazioni che si ottengono dalla PET in modo da mettere in luce l’utilità che ha in ambito clinico l’analisi perfusionale. L’intero lavoro è stato svolto su esami di tomografia computerizzata perfusionale di tumori ai polmoni, eseguiti presso l’Unità Operativa di Diagnostica per Immagini dell’IRST (Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori) di Meldola (FC). Grazie alla collaborazione in atto tra il Computer Vision Group e l’IRST, è stato possibile sottoporre i risultati ottenuti al primario dell’U. O. di Diagnostica per Immagini, in modo da poterli confrontare con le considerazioni di natura clinica.

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L’evoluzione dei sensori multispettrali e la prospettiva di sviluppo dei sensori iperspettrali nel campo del telerilevamento ottico offrono nuovi strumenti per l’indagine del territorio e rinnovano la necessità di ridefinire potenzialità, limiti e accuratezza delle metodologie tradizionali. Nel caso delle immagini iperspettrali, in particolare, l’elevatissima risoluzione spettrale apre nuove possibilità di sviluppo di modelli fisicamente basati per correlare grandezze radiometriche con indicatori fisico-chimici caratteristici delle superfici osservate, a prezzo però di maggiori oneri nella gestione del dato. Il presente lavoro mira appunto ad esaminare, per alcune applicazioni di carattere ambientale e attraverso casi di studio specifici, le criticità del problema del rilevamento da remoto nel suo complesso: dai problemi di correzione radiometrica delle immagini, all'acquisizione di dati di calibrazione sul campo, infine all'estrazione delle informazioni di interesse dal dato telerilevato. A tal fine sono stati sperimentati diversi modelli di trasferimento radiativo ed è stata sviluppata un’interfaccia per la gestione del modello 6SV. Per quest’ultimo sono state inoltre sviluppate routine specifiche per il supporto dei sensori Hyperion e World View 2. La ricerca svolta intende quindi offrire un contributo alla definizione di procedure operative ripetibili, per alcune applicazioni intimamente connesse all’indagine conoscitiva ed al monitoraggio dei processi in atto sul territorio. Nello specifico, si è scelto il caso di studio dell’oasi del Fayyum, in Egitto, per valutare il contenuto informativo delle immagini satellitari sotto tre diversi profili, soltanto in apparenza distinti: la classificazione della litologia superficiale, la valutazione dello stato di qualità delle acque ed il monitoraggio delle opere di bonifica. Trattandosi di un’oasi, le aree coltivate del Fayyum sono circondate dai suoli aridi del deserto libico. La mancanza di copertura vegetale rappresenta una condizione privilegiata per l’osservazione della litologia superficiale da remoto, auspicabile anche per la scarsa accessibilità di alcune aree. Il fabbisogno idrico dell’oasi è garantito dall’apporto di acque del fiume Nilo attraverso una rete di irrigazione che ha, come recettore finale, il lago Qarun, situato nella porzione più depressa dell’oasi. Questo lago, privo di emissari, soffre enormi problemi di salinizzazione, visto il clima iper-arido in cui si trova, e di inquinamento da fertilizzanti agricoli. Il problema della sostenibilità ambientale dello sfruttamento agricolo intensivo dell’oasi è un problema di deterioramento della qualità dell’acqua e della qualità dei suoli. È un problema che richiede una adeguata conoscenza del contesto geologico in cui questi terreni sono inseriti ed una capacità di monitoraggio degli interventi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto; entrambe conoscenze necessarie alla definizione di un piano di sviluppo economico sostenibile. Con l’intento di contribuire ad una valutazione delle effettive potenzialità del telerilevamento come strumento di informazione territoriale, sono state sperimentate tecniche di classificazione di immagini multispettrali ASTER ed iperspettrali Hyperion di archivio per discriminare la litologia superficiale sulle aree adiacenti al lago Qarun nell’oasi del Fayyum. Le stesse immagini Hyperion di archivio più altre appositamente acquisite sono state utilizzate, assieme ad immagini multispettrali ALI, per la valutazione qualitativa e quantitativa di parametri di qualità delle acque, attraverso l’applicazione di modelli empirici di correlazione. Infine, per valutare l’ipotesi che il deterioramento della qualità delle acque possa essere correlato ai processi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto negli ultimi decenni, le immagini dell’archivio Landsat sono state utilizzate per analisi di change detection. Per quanto riguarda il problema della validazione dei risultati, si è fatto uso di alcuni dati di verità a terra acquisiti nel corso di un survey preliminare effettuato nell’Ottobre 2010. I campioni di roccia prelevati e le misure di conducibilità elettrica delle acque del lago, benché in numero estremamente limitato per la brevità della missione e le ovvie difficoltà logistiche, consentono alcune valutazioni preliminari sui prodotti ottenuti dalle elaborazioni. Sui campioni di roccia e sabbie sciolte, in particolare, sono state effettuate misure di riflettività in laboratorio ed analisi mineralogiche dettagliate. Per la valutazione della qualità delle acque, più precisamente delle concentrazioni di clorofilla, la metodologia utilizzata per il caso di studio egiziano è stata applicata anche sul tratto costiero adriatico antistante le foci dei fiumi Tronto e Salinello. In questo sito sono state effettuate misure in situ di conducibilità elettrica ed il prelievo di campioni di acqua per la determinazione in laboratorio delle concentrazioni di clorofilla. I risultati ottenuti hanno evidenziato le potenzialità offerte dall’informazione spettrale contenuta nelle immagini satellitari e consentono l’individuazione di alcune pratiche operative. D’altro canto hanno anche messo in luce le carenze dei modelli attualmente esistenti, nonché le criticità legate alla correzione atmosferica delle grandezze radiometriche rilevate.

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Obiettivo di questa tesi è sviscerare i concetti fondamentali legati al SEO, in particolar modo dal punto di vista delle aziende italiane: l’evoluzione di questo business nel nostro territorio, gli strumenti e le tecniche di ottimizzazione impiegati nella realizzazione dei siti internet, i capitali, umani ed economici, che alimentano questo mercato in Italia e all’estero e i fattori che oggigiorno sono considerati di fondamentale importanza per ottenere visibilità nei motori di ricerca.