1000 resultados para Campo geomagnetico,Geodinamo,Inversioni di polarità,comportamento caotico


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La tesi individua alcune strategie di rigenerazione urbana e di riqualificazione edilizia, al fine di ottenere una serie di linee guida per l’intervento sul patrimonio di edilizia abitativa situata nelle periferie urbane. Tali principi sono stati poi applicati ad un edificio ACER collocato nella prima periferia di Forlì, per sperimentare l’efficacia delle strategie individuate. Dalla ricerca svolta sulle strategie di intervento volte alla riqualificazione sociale delle periferie, in particolare la teoria del “Defencible space” di Jacobs, si evidenzia l’importanza di accentuare nei residenti il sentimento di territorialità, ovvero la consapevolezza di far parte di una comunità specifica insediata in un particolare spazio, alimentata attraverso la frequentazione e l’appropriazione percettivo-funzionale degli spazi pubblici. Si è deciso quindi di allargare il campo di intervento alla rigenerazione dell’interno comparto, attraverso la riorganizzazione degli spazi verdi e la dotazione di attrezzature sportive e ricreative, in modo da offrire spazi specifici per le diverse utenze (anziani, giovani, bambini) e la definizione di un programma funzionale di servizi ricreativi e spazi destinati a piccolo commercio per integrare le dotazioni carenti dell’area. Dall’analisi approfondita dell’edificio sono emerse le criticità maggiori su cui intervenire: - l’intersezione dei percorsi di accesso all’edificio - la struttura portante rigida, non modificabile - la scarsa varietà tipologica degli alloggi - l’elevato fabbisogno energetico. La riqualificazione dell’edificio ha toccato quindi differenti campi: tecnologico, funzionale, energetico e sociale; il progetto è stato strutturato come una serie di fasi successive di intervento, eventualmente realizzabili in tempi diversi, in modo da consentire il raggiungimento di diversi obiettivi di qualità, in funzione della priorità data alle diverse esigenze. Secondo quest’ottica, il primo grado di intervento, la fase 1 - riqualificazione energetica, si limita all’adeguamento dello stato attuale alle prestazioni energetiche richieste dalla normativa vigente, in assenza di adeguamenti tipologici e spaziali. La fase 2 propone la sostituzione degli impianti di riscaldamento a caldaie autonome presenti attualmente con un impianto centralizzato con pompa di calore, un intervento invasivo che rende necessaria la realizzazione di un “involucro polifunzionale” che avvolge completamente l’edificio. Questo intervento nasce da tre necessità fondamentali : - architettonica: poter ampliare verso l’esterno le superfici degli alloggi, così da intervenire sulle unità abitative rendendole più rispondenti alle necessità odierne; - statica: non dover gravare in ciò sull’edificio esistente apportando ulteriori carichi, difficilmente sopportabili dalla struttura esistente, assicurando il rispetto della normativa antisismica in vigore; - impiantistica/tecnologica: alloggiare i condotti del nuovo impianto centralizzato per il riscaldamento, raffrescamento e acs; La fase 3 è invece incentrata sull’ampliamento dell’offerta abitativa, in modo da rispondere anche a necessità legate ad utenze speciali, come utenti disabili o anziani. L’addizione di nuovi volumi si sviluppa in tre direzioni: - un volume parassita, che aderisce all’edificio nel fronte sud/est, indipendente dal punto di vista strutturale, ruotato per sfruttare al meglio l’orientamento ottimale. - un volume satellite, indipendente, connesso all’edificio esistente tramite un elemento di raccordo, e nel quale sono collocati alcuni alloggi speciali. - un’addizione in copertura, che non appoggia direttamente sul solaio di copertura esistente, ma grava sull’elemento di chiusura del’involucro realizzato nella fase 2 Completano il progetto le addizioni volumetriche a piano terra, destinate a servizi quali un centro diurno, un micronido e un bar, i quali costituiscono la traduzione alla scala dell’edificio delle strategie applicate nel progetto di comparto. Questi interventi hanno consentito di trasformare un edificio costruito negli anni ’80 in un complesso residenziale moderno, dotato spazi accessori di grande qualità, tecnologie moderne che ne garantiscono il comfort abitativo, servizi alla persona disponibili in prossimità dell’edificio.

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Questa tesi affronta il progetto di riqualificazione energetica, riorganizzazione funzionale ed ampliamento del plesso scolastico a Villa Romiti a Forlì, costituito da tre istituti scolastici (scuola dell'infanzia "Le Api", scuola primaria "P. Squadrani" e scuola secondaria inferiore "G. Mercuriali") inseriti in un comparto su cui insistono anche il palazzetto dello sport "Pala-Romiti" e la torre piezometrica dell'acquedotto, a servizio dell'omonimo quartiere. Al fine di comprendere meglio le dinamiche che intercorrono tra il plesso scolastico, il quartiere in cui è collocato e la città , è stata inizialmente effettuata un'analisi dell'area, del territorio circostante e del sistema scolastico forlivese, che ne ha evidenziato alcuni dei tratti salienti. Il comparto è una superficie pianeggiante di forma rettangolare, con un'estensione di 34000 mq, collocata a ovest del centro storico di Forlì, in prossimità  del fiume Montone e a contatto diretto con il territorio agricolo periurbano, delimitata su due lati dalla rete viaria urbana e sui restanti due dai campi circostanti. Questa particolare collocazione dispone l'area nel punto di incontro tra due diverse trame del territorio: quella urbana definita dall'allineamento dei corpi di fabbrica del quartiere Romiti, ripreso dall'orientamento degli edifici all'interno del plesso scolastico, e la trama agricola derivante dalla centuriazione romana, che segna l'intero territorio circostante in relazione al tracciato dell'antica via Emilia. In seguito, l'attenzione si è focalizzata sulle relazioni tra i vari elementi che occupano l'area e sugli elementi di criticità  che le condizionano. Sulla scorta dei programmi fissati dall'Amministrazione comunale, un ulteriore approfondimento ha permesso di individuare le criticità  a livello del singolo edificio e di delineare le strategie di intervento per la riqualificazione del comparto. Rispetto al sistema scolastico forlivese, che si è sviluppato invece seguendo le direttrici di espansione della città storica verso est, l'area appare come un nucleo isolato, in cui gli indirizzi dell'Amministrazione prevedono di mantenere ed intensificare la presenza di più istituti scolastici, in modo da rafforzarne il carattere di polo di formazione, a servizio di un bacino di utenza molto vasto, che dall'insediamento urbano più prossimo si estende fino alle frazioni presenti sui colli circostanti. La presenza all'interno del comparto del Palazzetto dello sport accentua le difficoltà  di gestione e l'utilizzo promiscuo degli spazi connettivi e di pertinenza, già  complesse a causa della convivenza di diverse scuole. La necessità  di assicurare l'accesso al Palazzetto anche da parte degli utenti esterni alle scuole ha generato una confusa rete di percorsi di accesso all'area; in cui percorrenze carrabili e pedonali si sovrappongono, con conseguenti problemi sia di funzionalità  che di sicurezza, soprattutto per gli alunni degli istituti. Elemento positivo su cui innestare una riqualificazione del plesso è la presenza di estese aree verdi, in parte di pertinenza esclusiva, che ospitano le attività  ludiche degli studenti ma che attualmente soffrono di incuria e di scarsa manutenzione, aggravate dalla mancanza di un efficiente sistema perimetrale di controllo. Il palazzetto dello sport e la torre piezometrica, servizi di quartiere utili alla collettività , rappresentano due emergenze architettoniche che, nell'ottica di una sistemazione planivolumetrica dell'area, necessitano di un'attenzione particolare, al fine di integrarle all'interno di un unico disegno generale di un "campus" scolastico. Approfondendo l'analisi alla scala dei singoli edifici, di ciascuno di essi sono state evidenziate le principali criticità , in termini architettonici, funzionali ed energetici. La scuola primaria "P. Squadrani", costruita alla fine degli anni "40, è un edificio a corte, con un regolare disegno di facciata scandito da aperture ad arco, che gli conferiscono un'identità  architettonica, molto più debole invece negli altri edifici del comparto. Per questo edificio, che presenta problemi legati alla fruizione e all'orientamento delle aule per la didattica, il programma dell'Amministrazione comunale prevede un ampliamento in grado di ospitare un'ulteriore sezione. L'Amministrazione non prevede prossimi interventi, invece, per scuola secondaria inferiore "G. Mercuriali", che però, nonostante la sua costruzione risalga agli anni '80, appare in cattivo stato di conservazione e manca sia di un'adeguata area verde di pertinenza, che di una palestra a uso esclusivo. Infine, la scuola dell'infanzia "Le Api", di recente costruzione, è dotata di un'area verde di grande estensione, ma collocata in posizione sfavorevole, a causa dell'ombra proiettata dall'edificio "Pala-Romiti". Per questo istituto, l'Amministrazione prevede il raddoppio della capienza, per raggiungere il numero di sei unità  pedagogiche complessive. Le analisi effettuate sul comportamento energetico evidenziano che le prestazioni di tutti e tre gli edifici sono inadeguate e devono essere sensibilmente migliorate per allinearsi agli standard della recente normativa regionale (DAL 156/2008 Regione Emilia-Romagna). Sulla base degli elementi emersi dalle analisi preliminari e degli obiettivi fissati dall'Amministrazione comunale, la strategia di progetto adottata si è focalizzata su sette principali obiettivi: riorganizzare il sistema di accessi e percorsi, separando l'uso carrabile da quello pedonale: si è previsto di declassare e riservare ai soli mezzi pubblici il tratto di strada comunale antistante il lato sud del comparto e di innestarvi un asse principale di accesso all'area scolastica, ad uso esclusivo degli utenti delle scuole; attestare sul nuovo asse principale di percorrenza i cinque diversi nuclei funzionali presenti nell'area: le tre scuole, il palazzetto dello sport, il nuovo parco pubblico e infine l'area riservata alla torre piezometrica e ai parcheggi; progettare un'unica nuova scuola per l'infanzia, dimensionata per ospitare tutte le sei sezioni previste, collocata a diretto contatto con il verde agricolo circostante, caratterizzata da una separazione netta -funzionale e volumetrica- tra gli spazi dedicati ai bambini e quelli dedicati al personale e organizzata in due blocchi indipendenti di unità pedagogiche, da tre aule ciascuno, dotate di un ampio spazio esterno di gioco e attività all'aperto; riqualificare energeticamente e funzionalmente la scuola primaria e ampliarla con l'aggiunta di un adiacente corpo di fabbrica di nuova costruzione, in continuità planimetrica e volumetrica con l'edificio esistente, a cui il nuovo volume si collega tramite una corte coperta; sottoporre il "Pala-Romiti" ad un "restyling" delle facciate e riorganizzarne i sistemi di collegamento verticale esterni; riconfigurare l'area di pertinenza esclusiva della scuola secondaria inferiore, raccordandola con il nuovo parco pubblico progettato sull'area liberata dalla demolizione della precedente scuola dell'infanzia, collocato nelle vicinanze dell'attuale parco di quartiere, cosi da rinforzare la presenza di verde urbano nel comparto; dotare la torre piezometrica di una propria via di accesso indipendente, sulla quale vengono concentrati i parcheggi necessari alle esigenze dell'intera area. In sintesi, l'obiettivo da raggiungere attraverso questa tesi è quello di proporre un intervento che analizzi e ponga rimedio alle criticità  e contemporaneamente valorizzi i punti di forza già presenti, cercando di progettare uno spazio a misura di bambino, un'isola pedonale immersa nel verde.

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Il Medio Oriente è una regione in cui le scarse risorse idriche giocano un ruolo fondamentale nei rapporti e nelle relazioni tra gli Stati. Soprattutto nell'area di Israele, Palestina e Giordania la natura transfrontaliera delle fonti idriche condivise è considerata da qualche ricercatore come un catalizzatore del più ampio conflitto arabo-israeliano. Altri studiosi, tuttavia, vedono nella cooperazione regionale sulle risorse idriche un potenziale cammino verso una pace duratura veicolata dalla natura interdipendente delle fonti idriche comuni a più territori. Dato che l'acqua è l'elemento che per molti aspetti contribuisce allo sviluppo sociale ed economico e dato che le fonti idriche sotterranee e di superficie non conoscono confini e si muovono liberamente nel territorio, la cooperazione tra gli Stati rivieraschi delle risorse idriche dovrebbe arrivare a prevalere sul conflitto. Unica nel suo genere, l'ong trilaterale israelo-palestinese giordana Friends of the Earth Middle East, FoEME, ha fatto proprio tale auspicio e dal 1994 punta a sviluppare progetti di cooperazione per la salvaguardia del patrimonio naturale dell'area del bacino del fiume Giordano e del Mar Morto. Attraverso l'esperienza del Progetto Good Water Neighbors, GWN, avviato nel 2002, sta lavorando ad una serie di iniziative nel campo dell'environmental awareness e del social empowerment a favore di comunità  israeliane, palestinesi e giordane transfrontaliere che condividono risorse idriche sotterranee o di superficie. Operando inizialmente a livello locale per identificare i problemi idrico-ambientali di ogni comunità  selezionata e lavorare con i cittadini (ragazzi, famiglie e amministratori municipali) per migliorare la conoscenza idrica locale attraverso attività  di educazione ambientale, di water awareness e piani di sviluppo urbano eco-compatibile, il Progetto GWN ha facilitato a livello transfrontaliero i rapporti tra le comunità  confinanti abbattendo la barriera di sfiducia e sospetto che normalmente impedisce relazioni pacifiche, ha coadiuvato l'analisi dei problemi idrici comuni cercando di risolverli attraverso uno sforzo programmatico condiviso e sostenibile, per giungere infine a livello regionale ad incoraggiare la gestione idrica comune attraverso lo scambio di informazioni, il dialogo e lo sforzo/impegno cooperativo congiunto tra gli attori parte del GWN al fine di incentivare la pace attraverso l'interesse comune della tutela delle fonti idriche condivise. Gli approcci di local development e participation, le azioni di confidence building e il peacebuilding attraverso la tutela ambientale applicati con il metodo di bottom up all'interno di un contesto non pacificato come quello del conflitto arabo-israeliano, fanno del Progetto GWN un esperimento innovativo e originale. Le comunità  israeliane, palestinesi e giordane selezionate hanno imparato a migliorare le proprie condizioni idrico-ambiennali cooperando assieme e sfruttando l'interdipendenza dalle fonti idriche condivise, avviando nel contempo rapporti pacifici con società  sempre considerate nemiche. La sfida è stata quella di far comprendere le potenzialità  di una cooperazione locale, in vista di un coordinamento regionale e di uno sforzo comune in grado di generare un beneficio collettivo. La lezione appresa finora durante questi primi sette anni di Progetto è stata quella di capire che non è necessario attendere la fine del conflitto per poter essere di aiuto alle proprie comunità  o per un benessere personale, ma si può agire subito, anche nel pieno dell'Intifada al-Aqsa e con i coprifuoco.

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L’introduzione massiccia dell’elettronica di potenza nel campo degli azionamenti elettrici negli ultimi decenni ha sostanzialmente rivoluzionato la tipologia di alimentazione dei motori elettrici. Da un lato ciò ha migliorato la qualità del controllo della velocità, ma dall’altro ha aggravato le sollecitazioni che gli isolanti delle macchine devono sopportare. Si è infatti passati da tecniche di controllo tradizionali, che consistevano nell’alimentare i motori in alternata direttamente con la rete sinusoidale a 50 Hz (o a 60 Hz), ad alimentazioni indirette, cioè realizzate interponendo tra la rete e la macchina un convertitore elettronico (inverter). Tali dispositivi operano una conversione di tipo ac/dc e dc/ac che permette, come nella modulazione Pulse Width Modulation (PWM), di poter variare la frequenza di alimentazione della macchina, generando una sequenza di impulsi di larghezza variabile. Si è quindi passati dalle tradizionali alimentazioni con forme d’onda alternate sinusoidali a forme di tensione impulsive e ad elevata frequenza, cioè caratterizzate da rapidi fronti di salita e di discesa (dell’ordine di qualche kV/µs). La natura impulsiva di queste forme d’onda ha aggravato la sollecitazione elettrica a cui sono sottoposti i materiali impiegati per l’isolamento dei conduttori degli avvolgimenti delle macchine. E’ importante notare che l’utilizzo dei dispositivi elettronici, che ormai si trovano sparsi nelle reti di bassa tensione, assorbono correnti ad elevato contenuto armonico sul lato di prelievo, hanno quindi un effetto distorcente che altera l’andamento sinusoidale della rete stessa. Quindi, senza opportuni filtri, anche tutte le altre utenze connesse nelle vicinanze, dimensionate per alimentazioni sinusoidali di tipo tradizionale, possono risentire di queste distorsioni armoniche. Per tutti questi motivi è sorta la necessità di verificare l’adeguatezza dei tradizionali isolamenti ad essere in grado di sopportare le sollecitazioni che derivano dall’utilizzo di convertitori elettronici. In particolare, per i motori elettrici tale interrogativo è stato posto in seguito al verificarsi di un elevato numero di guasti inaspettati (precoci), probabilmente imputabile alla diversa sollecitazione elettrica applicata ai materiali. In questa tesi ci si è occupati della progettazione di un inverter di media tensione, che verrà impiegato per eseguire prove sugli avvolgimenti di statore di motori (formette), al fine di condurre successivamente uno studio sull’invecchiamento dei materiali che compongono gli isolamenti. Tale inverter è in grado di generare sequenze di impulsi con modulazione PWM. I parametri caratteristici delle sequenze possono essere modificati in modo da studiare i meccanismi di degradazione in funzione della tipologia delle sollecitazioni applicate. Avendo a che fare con provini di natura capacitiva, il cui isolamento può cedere durante la prova, il sistema deve essere intrinsecamente protetto nei confronti di tutte le condizioni anomale e di pericolo. In particolare deve essere in grado di offrire rapide ed efficaci protezioni per proteggere l’impianto stesso e per salvaguardare la sicurezza degli operatori, dato l’elevato livello delle tensioni in gioco. Per questo motivo è stata pensata un’architettura di sistema ad hoc, in grado di fronteggiare le situazioni anomale in modo ridondante. E’ infatti stato previsto l’inserimento di un sistema di controllo basato sul CompactRIO, sul quale è stato implementato un software in grado di monitorare le grandezze caratteristiche del sistema e le protezioni che affiancheranno quelle hardware, realizzate con dispositivi elettronici. I dispositivi elettronici di protezione e di interfacciamento sono stati studiati, implementati e simulati con PSpice, per poi essere successivamente dimensionati e realizzati su schede elettroniche, avvalendosi del software OrCAD. La tesi è strutturata come segue: - Il primo capitolo tratta, in maniera generale, i motori asincroni trifase, gli inverter e l’invecchiamento dei sistemi isolanti, con particolare interesse alle sollecitazioni meccaniche, termiche ed elettriche nel caso di sollecitazioni impulsive; - Il secondo capitolo riguarda il sistema realizzato nel suo complesso. Inizialmente verrà descritto lo schema elettrico generale, per poi analizzare più nello specifico le varie parti di cui il sistema è composto, come l’inverter di media tensione, il generatore di media tensione, la scheda di disaccoppiamento ottico, la scheda di controllo del generatore di media tensione, la scheda OCP; - Il terzo capitolo descrive le lavorazioni meccaniche eseguite sulle scatole contenti i rami di inverter, la realizzazione delle fibre ottiche e riporta le fasi di collaudo dell’intero sistema. Infine, verranno tratte le conclusioni.

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Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica complessa di notevole prevalenza ed incidenza nella popolazione generale, con elevata mortalità e morbidità. Le numerose alterazioni strutturali e funzionali che lo caratterizzano sono in grado di generare contemporaneamente diversi tipi di alterazioni del ritmo: dalle tachiaritmie ventricolari/sopraventricolari alle turbe della conduzione dell’impulso con bradi-aritmie e dissincronie di contrazione. La cardioversione della fibrillazione atriale e la resincronizzazione cardiaca rappresentano due terapie elettriche molto importanti in tale contesto. Le modificazioni emodinamiche, funzionali e neuro-ormonali indotte da tali trattamenti, tanto in acuto che a medio/lungo termine, possono generare numerose informazioni sulla fisio-patologia di questa sindrome. Il progetto scientifico alla base del presente manoscritto è costituito da due studi volti ad affrontare separatamente le tematiche accennate. Il primo studio è stato focalizzato sulle modificazioni indotte in 38 pazienti dalla terapia di resincronizzazione cardiaca sui parametri di circolazione periferica. I risultati ottenuti evidenziano come il trattamento consenta un incremento del flusso muscolare, soprattutto in chi presenterà un rimodellamento ventricolare inverso. La diversa eziologia sottostante (ischemica vs. non ischemica) appare influenzare i parametri relativi alla circolazione periferica tanto in acuto, quanto in cronico. Il diverso comportamento in merito alle variabili della circolazione periferica nelle valutazioni seriate suggerisce che la terapia di resincronizzazione cardiaca abbia, principalmente nei pazienti responders, effetti non solo “centrali”, e che essi non siano puramente meccanici ma mediati da fattori probabilmente di natura neuro-ormonale. Il secondo studio si è occupato della cardioversione elettrica esterna di fibrillazione atriale, un’aritmia che presenta strette relazioni con l’insufficienza cardiaca. 242 pazienti sono stati sottoposti a cardioversione elettrica esterna con onda bifasica, utilizzando due 1 diverse configurazioni di erogazione dell’energia: antero-posteriore con patch adesivi e antero-apicale con piastre standard. Il ripristino del ritmo sinusale è stato ottenuto in oltre l’80% dei pazienti già col primo shock a 120J. Sebbene fra le due metodiche non si evidenzi una significatività in termini di efficacia, i risultati ottenuti suggeriscono che la scelta della specifica configurazione di shock dovrebbe prendere in considerazione anche alcune variabili biometriche: peso, altezza e superficie corporea del paziente. Il ripristino ed il mantenimento del ritmo sinusale inducono un’importante modificazione della concentrazione di NT-pro-BNP. Un’elevata attivazione neuro-ormonale pre-procedura predispone alle recidive a medio-lungo termine, mentre le recidive nel breve-medio periodo appaiono influenzate da tale fattore solo in corso di profilassi anti-aritmica per il mantenimento del ritmo sinusale. In conclusione i risultati del progetto di ricerca sottolineano come trattamenti mirati a parametri strettamente cardiaci (ritmo e conduzione dell’impulso) siano in grado di determinare importanti modificazioni sugli equilibri emodinamici e neuro-ormonali dell’intero organismo, confermando la stretta relazione tra questi parametri e l’evoluzione del quadro clinico.

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Abstract L’utilizzo dei dati satellitari per la gestione dei disastri naturali è fondamentale nei paesi in via di sviluppo, dove raramente esiste un censimento ed è difficile per i governi aggiornare le proprie banche dati con le tecniche di rilevamento e metodi di mappatura tradizionali che sono entrambe lunghe e onerose. A supporto dell’importanza dell’impiego del telerilevamento e per favorirne l’uso nel caso di catastrofi, vi è l’operato di diverse organizzazioni internazionali promosse da enti di ricerca, da agenzie governative o da organismi sopranazionali, le quali svolgono un lavoro di cruciale valore, fornendo sostegno tecnico a chi si occupa di far giungere alle popolazioni colpite gli aiuti umanitari e i soccorsi nel più breve tempo possibile. L’attività di tesi è nata proprio dalla collaborazione con una di esse, ITHACA (Information Technology for Humanitarian Assistance, Cooperation and Action), organizzazione no-profit, fondata dal Politecnico di Torino e SiTI (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione), la quale a sua volta collabora con il WFP (World Food Programme) delle Nazioni Unite, realizzando cartografie speditive necessarie per la valutazione delle conseguenze di un evento catastrofico, attraverso l’impiego di dati acquisiti da satellite. Su questo tema si è inserito il presente lavoro che ha come obiettivo quello di dimostrare la valenza dei dati telerilevati, siano essi di tipo ottico o Radar, nel caso di alcuni dei disastri naturali più catastrofici, le alluvioni. In particolare è stata studiata la vulnerabilità del Bangladesh, il quale annualmente si trova ad affrontare eventi alluvionali, spesso di grave intensità. Preliminarmente allo studio, è stata condotta una ricerca bibliografica al fine di avere una buona conoscenza dell’area sia in termini geografici e fisici che di sviluppo e tipologia di urbanizzazione. E’stata indagata in particolare l’alluvione che ha colpito il paese nel Luglio del 2004, attraverso delle immagini satellitari multispettrali, in particolare Landsat 7, per un inquadramento pre-evento, ed ASTER per studiare la situazione a distanza di tre mesi dall’accaduto (immagine rilevata il 20 Ottobre 2004). Su tali immagini sono state condotte delle classificazioni supervisionate con il metodo della massima verosimiglianza che hanno portato la suddivisione del territorio in quattro classi di destinazione d’uso del suolo: urbano (Build-up), campi e vegetazione (Crops&Vegetation), sabbia e scavi (Sand&Excavation), idrografia e zone alluvionate (Water). Dalla sperimentazione è emerso come tali immagini multispettrali si prestino molto bene per l’analisi delle differenti caratteristiche del territorio, difatti la validazione condotta sulla mappa tematica derivata dall’immagine Landsat 7 ha portato ad un’accuratezza del 93% circa, mentre la validazione dell’immagine ASTER è stata solo di tipo qualitativo, in quanto, considerata l’entità della situazione rilevata, non è stato possibile avere un confronto con dei punti da assumere come verità a terra. Un’interpretazione della mappa tematica derivante dalla classificazione dell’immagine ASTER è stata elaborata incrociandola in ambiente GIS con dati forniti dal CEGIS (Center for Environmental and Geographic Information Services) riguardanti il landuse della zona in esame; da ciò è emerso che le zone destinate alla coltivazione del riso sono più vulnerabili alle inondazioni ed in particolare nell’Ottobre 2004 il 95% delle aree esondate ha interessato tali colture. Le immagini ottiche presentano un grosso limite nel caso delle alluvioni: la rilevante copertura nuvolosa che spesso accompagna siffatti eventi impedisce ai sensori satellitari operanti nel campo dell’ottico di rilevare il territorio, e per questo di frequente essi non si prestano ad essere impiegati per un’indagine nella fase di prima emergenza. In questa circostanza, un valido aiuto giunge dall’impiego di immagini Radar, le quali permettono osservazioni ad ogni ora del giorno e della notte, anche in presenza di nuvole, rendendole di fondamentale importanza nelle situazioni descritte. Per dimostrare la valididi questi sensori si sono analizzati due subset derivanti da un mosaico di immagini della nuova costellazione italiana ad alta risoluzione CosmoSkymed: il primo va dalla città di Dhaka al Golfo del Bengala ed il secondo copre la zona più a Nord nel distretto di Sylhet. Dalla sperimentazione condotta su tali immagini radar, che ha comportato come ovvio problematiche del tutto differenti rispetto alle elaborazioni tradizionalmente condotte su immagini nel campo dell’ottico, si è potuto verificare come l’estrazione dei corpi d’acqua e più in generale dell’idrografia risulti valida e di veloce computazione. Sono emersi tuttavia dei problemi, per esempio per quanto riguarda la classificazione dell’acqua in presenza di rilievi montuosi; tali complicazioni sono dovute alla presenza di zone d’ombra che risultano erroneamente assegnate alla classe water, ma è stato possibile correggere tali errori di attribuzione mascherando i rilievi con l’ausilio di una mappa delle pendenze ricavata da modelli di elevazione SRTM (Shuttle Radar Topographic Mission). La validazione dei risultati della classificazione, condotta con un grande numero di check points, ha fornito risultati molto incoraggianti (ca. 90%). Nonostante le problematiche riscontrate, il Radar, in sé o in accoppiamento con altri dati di diversa origine, si presta dunque a fornire in breve tempo informazioni sull’estensione dell’esondazione, sul grado di devastazione, sulle caratteristiche delle aree esondate, sulle vie di fuga più adatte, diventando un’importante risorsa per chi si occupa di gestire l’emergenza in caso di eventi calamitosi. L’integrazione con i dati di tipo ottico è inoltre essenziale per pervenire ad una migliore caratterizzazione del fenomeno, sia in termini di change detection che di monitoraggio post-evento.

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La tesi dottorale in oggetto prende spunto da alcune considerazioni di base relative alla salute di una comunità. Infatti quest’ultima si fonda sulla sicurezza dell’ambiente in cui vive e sulla qualità delle relazioni tra i suoi componenti. In questo ambito la mobilità rappresenta uno degli elementi di maggior criticità, sia per la sicurezza delle persone, che per la salute pubblica, che per le conseguenze sull’ambiente che ne derivano. Negli ultimi anni la circolazione stradale è notevolmente aumentata è questo ha portato a notevoli aspetti negativi, uno dei quali è connesso agli incidenti stradali. In tale ambito viene ricordato che l’Unione Europea ha da tempo indicato come obiettivo prioritario il miglioramento della sicurezza stradale e nel 2001 ha fissato il traguardo di dimezzare entro il 2010 il numero delle vittime degli incidenti stradali. Non ultima, l’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio di un atto legislativo (d’imminente pubblicazione sulla GU Europea) relativo alla gestione della sicurezza in tutte le fasi della pianificazione, della progettazione e del funzionamento delle infrastrutture stradali, in cui si evidenzia l’esigenza di una quantificazione della sicurezza stradale. In tale contesto viene sottolineato come uno dei maggiori problemi nella gestione della sicurezza stradale sia la mancanza di un metodo affidabile per stimare e quantificare il livello di sicurezza di una strada esistente o in progetto. Partendo da questa considerazione la tesi si sviluppa mettendo in evidenza le grandezza fondamentali nel problema della sicurezza stradale, (grado di esposizione, rischio d’incidente e le possibili conseguenze sui passeggeri) e analizzando i sistemi adottati tradizionalmente per effettuare analisi di sicurezza: • Statistiche dei dati storici d’incidente; • Previsione da modelli basati su analisi di regressione dei dati incidentali; • Studi Before-After; • Valutazione da giudizi di esperti. Dopo aver analizzato gli aspetti positivi e negativi delle alternative in parola, viene proposto un nuovo approccio, che combina gli elementi di ognuno dei metodi sopra citati in un algoritmo di previsione incidentale. Tale nuovo algoritmo, denominato Interactive Highway Safety Design Model (IHSDM) è stato sviluppato dalla Federal Highway Administration in collaborazione con la Turner Fairbank Higway Research Center ed è specifico per le strade extraurbane a due corsie. Il passo successivo nello sviluppo della tesi è quello di un’analisi dettagliata del modello IHSDM che fornisce il numero totale di incidenti previsti in un certo intervallo temporale. Viene analizzata la struttura del modello, i limiti d’applicabilità, le equazioni che ne sono alla base e i coefficienti moltiplicativi relativi ad ogni caratteristica geometrica e funzionale. Inoltre viene presentata un’ampia analisi di sensibilità che permette di definire quale sia l’influenza d’ogni singolo Fattore di Previsione incidentale (Accident Predication Factor) sul risultato finale. Dai temi trattati, emerge chiaramente come la sicurezza è legata a più sistemi tra loro interconnessi e che per utilizzare e migliorare i modelli previsionali è necessario avere a disposizione dati completi, congruenti, aggiornati e facilmente consultabili. Infatti, anche quando sono disponibili elementi su tutti gli incidenti avvenuti, spesso mancano informazioni di dettaglio ma fondamentali, riguardanti la strada come ad esempio il grado di curvatura, la larghezza della carreggiata o l’aderenza della pavimentazione. In tale ottica, nella tesi viene presentato il Sistema Informativo Stradale (SIS) della Provincia di Bologna, concepito come strumento di gestione delle problematiche inerenti la viabilità e come strumento di supporto per la pianificazione degli interventi e la programmazione delle risorse da investire sulla rete. Viene illustrato come il sistema sia in grado di acquisire, elaborare ed associare dati georeferenziati relativi al territorio sia sotto forma di rappresentazioni grafiche, sia mediante informazioni descrittive di tipo anagrafico ed alfanumerico. Quindi viene descritto il rilievo ad alto rendimento, effettuato con l’ausilio di un laboratorio mobile multifunzionale (Mobile Mapping System), grazie al quale è stato possibile definire con precisione il grafo completo delle strade provinciali e il database contenente i dati relativi al patrimonio infrastrutturale. Tali dati, relativi alle caratteristiche plano-altimetriche dell’asse (rettifili, curve planimetriche, livellette, raccordi altimetrici, ecc...), alla sezione trasversale (numero e larghezza corsie, presenza di banchine, ecc..), all’ambiente circostante e alle strutture annesse vengono presentati in forma completa specificando per ognuno la variabilità specifica. Inoltre viene evidenziato come il database si completi con i dati d’incidentali georeferenziati sul grafo e compresivi di tutte le informazioni contenute nel modello ISTAT CTT/INC spiegandone le possibili conseguenze sul campo dell’analisi di sicurezza. La tesi si conclude con l’applicazione del modello IHSDM ad un caso reale, nello specifico la SP255 di S.Matteo Decima. Infatti tale infrastruttura sarà oggetto di un miglioramento strutturale, finanziato dalla Regione Emilia Romagna, che consistente nell’allargamento della sede stradale attraverso la realizzazione di una banchina pavimentata di 1.00m su entrambi i lati della strada dalla prog. km 19+000 al km 21+200. Attraverso l’utilizzo dell’algoritmo di previsione incidentale è stato possibile quantificare gli effetti di questo miglioramento sul livello di sicurezza dell’infrastruttura e verificare l’attendibilità del modello con e senza storia incidentale pregressa. Questa applicazione ad un caso reale mette in evidenza come le informazioni del SIS possano essere sfruttate a pieno per la realizzazione di un analisi di sicurezza attraverso l’algoritmo di previsione incidentale IHSDM sia nella fase di analisi di uno specifico tronco stradale che in quella fondamentale di calibrazione del modello ad una specifica rete stradale (quella della Provincia di Bologna). Inoltre viene sottolineato come la fruibilità e la completezza dei dati a disposizione, possano costituire la base per sviluppi di ricerca futuri, come ad esempio l’indagine sulle correlazioni esistenti tra le variabili indipendenti che agiscono sulla sicurezza stradale.

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La ricerca indaga le dinamiche socio - economiche in atto in rapporto con le trasformazioni territoriali e valuta in quale misura la pianificazione territoriale ed urbanistica sia in grado di soddisfare le attuali esigenze nella gestione del territorio, urbanizzato e non. La riflessione parte dalla necessità di capire come un territorio possa conservare vitalità nel momento in cui si ritrova all’interno di un sistema di dinamiche che non si rivolge più ad ambiti di riferimento vicini (fino ad una decina d’anni fa la competitività veniva misurata, generalmente, tra regioni contermini, al massimo con riferimento ai trend nazionali), ma che necessita di confrontarsi per lo meno con le realtà regionali europee, se non, per certi versi, con la scala mondiale, globale appunto. La generalità della tematica ha imposto, di conseguenza, l’individuazione di un case book al quale riferirsi così da approfondirla attraverso una conoscenza diretta di un preciso ambito territoriale. È stato scelto, quale esemplificazione, il territorio della regione Veneto, con particolare riferimento all’area centrale. La ragione di tale scelta è da individuarsi, oltre che in motivi meramente strumentali, nel fatto che il Veneto, tra le regioni italiane, tuttora si configura come un territorio soggetto a forti trasformazioni indotte dalle dinamiche socio - economiche. Infatti da un primo periodo veneto, legato alla costruzione dell’armatura territoriale articolata su una molteplicità di poli diffusi sul territorio, si è passati al Secondo Veneto, quello della diffusione produttiva, dei capannoni, della marmellata urbanistica, del consumo del suolo. L’epoca attuale risponde poi ad un Terzo Veneto, un periodo forse di transizione verso un nuovo assetto. Il punto di partenza è stato dunque quello della delimitazione dell’area di riferimento, attraverso il riconoscimento di quei caratteri territoriali che la contraddistinguono da altre aree all’interno della regione stessa e su scala europea. Dopo una prima descrizione in chiave descrittiva e storico - evolutiva rivolta alla comprensione dei fenomeni in atto (diffuso e frammentazione insediativa tra i principali) si è passati ad una lettura quantitativa che consentisse, da un lato, di comprendere meglio alcuni caratteri della Regione e, dall’altro, di confrontarla con la scala globale, che si è scelto essere per la realtà considerata quella dell’Unione Europea. Le problematiche, i punti di forza e di debolezza emersi hanno consentito di formulare alcune ipotesi volte al miglioramento del territorio dell’area centrale veneta attraverso un processo che individuasse, non solo gli attori interessati alla trasformazione, ma anche gli strumenti maggiormente idonei per la realizzazione degli stessi. Sono emerse così le caratteristiche che potrebbe assumere il Quarto Veneto, il Veneto che verrà. I temi trattati spaziano dall’individuazione dei metodi di governance che, tramite il processo di visioning, siano in grado di individuare le priorità, di definire l’intensità d’uso, la vocazione dei luoghi e chi siano gli operatori interessati, all’integrazione tra i valori della storia e della cultura territoriale con i nuovi modi del fare (nuove tecnologie), fino all’individuazione di strumenti di coesione economica, sociale e territoriale per scongiurare quei rischi di disgregazione insiti nella globalizzazione. La ricerca si è dunque concretizzata attraverso un approccio euristico alla problematica delle trasformazioni territoriali, in cui il tema della scala di riferimento (locale - globale), ha consentito di valutare esperienze, tecniche e progetti volti al raggiungimento di livelli di sviluppo territoriale ed urbano sostenibili.

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Spesso il termine virtuale viene associato ad un mondo immateriale, lontano dalla realtà e distante dagli elementi più concreti che la caratterizzano. La virtualità, tuttavia, non è solo questo. Se considerata, come lo stesso Levy sostiene, un mondo che non si contrappone al reale (ma all’attuale), anzi lo potenzia e lo rafforza, il suo valore e l’idea di essa cambiano notevolmente. Già la fotografia, il cinema, la televisione possono essere considerate, ancora prima della più moderna realtà virtuale e delle innovative tecnologie forme di virtualità. Il loro utilizzo largamente diffuso ha ampliato le potenzialità del concreto ed è oggi apprezzato e utilizzato da tutti. Il nostro progetto nasce dalla volontà di sperimentare le nuove forme del virtuale associandole al campo dell’architettura per potenziarne la conoscenza didattica, la diffusione e trasmettere gli importanti contenuti che le sottendono in maniera chiara ed efficace. Il progetto sviluppato affronta un tema concreto di concept di museo virtuale su web e una proposta di installazione interattiva all’interno del salone di Palazzo Barbaran a Vicenza. A cardine di questi due lavori vi è il lascito Palladiano, a cominciare dallo sprawl di ville, palazzi e chiese diffusi nel paesaggio Veneto, passando per i progetti ideali rimasti solo su carta e concludendo con la sua opera bibliografica più famosa: I quattro libri dell’architettura. Palladio e il digitale è dunque un progetto che vuole dimostrare l’importanza e la versatilità delle installazioni virtuali, quali strumenti utili all’apprendimento e alla trasmissione della conoscenza, e dall’altro rispondere concretamente ai cambiamenti della società, cercando, attraverso queste sperimentazioni, di definire anche i nuovi caratteri dell’ evoluzione museale.

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Nel contesto della progettazione di interventi di difesa da frane di crollo, la tesi è rivolta allo studio del comportamento di opere di protezione dalla caduta massi, con particolare riguardo alle barriere paramassi, strutture metalliche progettate per arrestare blocchi in caduta lungo un versante. Specificamente, il comportamento altamente non lineare di queste strutture è stato osservato mediante modellazione numerica agli elementi finiti con codice di calcolo STRAUS 7 v.2.3.3. La formulazione dei modelli è stata sviluppata a partire dai dati contenuti nel Catasto delle opere di protezione (VISO), recentemente messo a punto dalla Provincia Autonoma di Bolzano, nel contesto di una più ampia procedura di analisi della pericolosità di versante in presenza di opere di protezione, finalizzata ad una appropriata gestione del rischio indotto da frane di crollo. Sono stati messi a punto una serie di modelli agli elementi finiti di alcune tra le tipologie più ricorrenti di barriere paramassi a limitata deformabilità. Questi modelli, sottoposti ad una serie di analisi dinamiche e non-lineari, intese a simulare l’impatto di blocchi aventi massa e velocità nota, hanno permesso di osservare la risposta complessiva di queste strutture in regime dinamico identificando i meccanismi di rottura a partire dall’osservazione della formazione di cerniere plastiche, monitorando contestualmente grandezze rilevanti quali gli spostamenti e le forze mobilitate in fondazione. Questi dati, opportunamente interpretati, possono fornire i parametri necessari all’implementazione di più ampie procedure di analisi del rischio indotto da movimenti frane di crollo.

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Introduzione La diagnosi di HCC con le tecniche di immagine ed in particolare con CEUS su fegato cirrotico secondo le ultime linee guida prevede un comportamento contrastografico di ipervascolarizzazione nella fase arteriosa e wash-out nella fase tardiva. CEUS è ormai una metodica accettata per la diagnosi ma il wash out nella fase tardiva presenta notevoli difficoltà nel determinare il comportamento contrastografico in quanto valutato soggettivamente su display, infatti il giudizio di tale fase dipende molto dall’operatore e non è rarissimo che nascono discordanza tra operatori anche per piccole differenze. Recentemente è stato proposto un nuovo software(SonoLiver, Bracco, Italy) in grado di quantificare la perfusione delle lesione durante CEUS. Pertanto lo scopo di questo studio pilota è quello di valutare l’impatto di SonoLiver nel rilevare caratteristiche contrastografiche tipiche dell’HCC e valutare la riproducibilità tra due operatori. Pazienti e metodi: Sono stati presi in considerazione 20 noduli (di dimensioni tra 12-95 mm) con diagnosi di HCC in 20 pazienti con cirrosi . La CEUS è stata valutata dapprima ad occhio nudo su display e successivamente con le curve ottenute con DVP da parte di due operatori diversi in cieco, dopo un periodo di formazione adeguata. Sono state quindi analizzate le performance di ciascuna metodica sia in termini di variabilità tra i due operatori che la variabilità tra CEUS ad occhio nudo e CEUS con SonoLiver dello stesso operatore. Risultati:Operatore 1 ha rilevato ipervascolarizzazione in fase arteriosa in 17 su 20 pazienti con valutazione ad occhio nudo su schermo e su 19/20 con le curve ottenute con DVP (+10% sensibilità) mentre operatore 2 ha rilevato ipervascolarizzazione in fase arteriosa19/20 pazienti sia con valutazione ad occhio nudo che con le curve DVP. Nella fase tardiva il wash-out è stato rilevato in 7/20 ad occhio nudo e 10/20 pazienti con le curve DVP (sensibilità aumenta da 35% a 50%) mentre operatore 2 ha rilevato rispettivamente 8/20 e 11/20 (sensibilità aumenta da 40% a 55%). La riproducibilità tra i due operatori rimane invariata con la valutazione di Sonoliver sia nella fase arteriosa che nella fase tardiva. Conclusione:La quantificazione perfusionale con SonoLiver sembra essere uno strumento promettente nella diagnosi di HCC su fegato cirrotico, aumentando aspetti tipici contrastografici.

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Il lavoro della presente Tesi è stato lo sviluppo della sintesi asimmetrica di aziridine chirali a partire da chetoni α,β-insaturi α-sostituiti, verificando la possibilità di applicare ammine primarie come organocatalizzatori attraverso un meccanismo tandem ione imminio-enammina. Nelle nostre prove le migliori ammine primarie si sono rivelate gli pseudoenantiomeri 9-ammino-9-deossi-epi-idrochinina e idrochinidina, e i migliori acidi per formare il sale catalitico sono stati acido trifluoroacetico (TFA) e acido salicilico. Il fattore chiave per le reazioni di aziridinazione è stata la scelta della molecola sorgente di azoto, che deve avere comportamento nucleofilico nel primo step di aza-Michael (via ione imminio), e comportamento elettrofilico nello step di chiusura del ciclo (via enammina). Le prove preliminari sono state condotte con il sale catalitico formato dalla 9-ammino-9-deossi-epi-idrochinina e TFA in toluene a 50 °C. Migliori risultati sono stati ottenuti sostituendo la sorgente di azoto utilizzata inizialmente e utilizzando il sale catalitico composto da 9-ammino-9-deossi-epi-idrochinidina e acido salicilico in toluene a 50 °C. In questo caso la resa è stata pari a 56% ed eccesso enantiomerico (ee) del 90%. Sfruttando quindi le condizioni ottimizzate inizialmente, abbiamo provato la reazione su altri due chetoni con maggiore ingombro sterico rispetto a quello utilizzato per l’ottimizzazione iniziale del processo. In entrambi i casi la reattività è stata sensibilmente inferiore a quanto atteso, con rese non superiori al 14%. Inoltre anche i valori di ee sono stati poco soddisfacenti. Ipotizziamo che questi risultati deludenti siano causati dall’ingombro sterico della catena in posizione β che impedisce l’avvicinamento del catalizzatore, il quale, non creando un intorno asimmetrico, non crea una distinzione tra le due possibili direzioni di attacco del nucleofilo. Da questi ultimi risultati sembra che la reazione di aziridinazione da noi ottimizzata sia per ora limitata al solo chetone utilizzato nella fase iniziale del lavoro. Al fine di estendere l’applicazione di queste condizioni, nel futuro saranno effettuate prove anche con altri chetoni α,β-insaturi α-sostituiti, ma che non presentino sostituzione in posizione β, dato che abbiamo osservato che essa rappresenta il maggiore limite per la reattività e selettività. Infine sarà importante determinare la configurazione assoluta del prodotto finora ottenuto, mediante spettroscopia ECD e VCD. E’ infatti importante conoscere tutte le caratteristiche chimiche e fisiche di prodotto ottenuto, in modo da avere maggiore conoscenza del processo da noi sviluppato, per poterlo migliorare ed estenderne l’applicabilità in futuro.

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In questa tesi viene descritto lo studio delle fasi liquido-cristalline del 4-n-ottil-4-cianobifenile eseguito tramite simulazioni al calcolatore molecular dynamics, sia per campioni bulk che per film smectici sottili. Impiegando un campo di forze "molecular mechanics" precedentemente usato con successo per studiare sistemi composti da 250 molecole della serie degli n-cianobifenili (nCB, con n pari a 4-8 atomi di carbonio nella catena alifatica), si è simulato il comportamento di un sistema bulk di 750 molecole e di un film smectico di 1500 molecole. Nel primo caso, sottoponendo il campione a un graduale raffreddamento, si è osservata la formazione spontanea di fasi ordinate quali quella nematica e quella smectica. Nel secondo caso, invece, si è studiata l'influenza dell'interfaccia con il vuoto sull'ordine posizionale e orientazionale di film sottili di diverso spessore e temperatura. Si sono confrontate le proprietà di entrambi i sistemi simulati con i dati sperimentali disponibili in letteratura, confermando la bontà del modello nel riprodurre fedelmente le caratteristiche dei campioni reali.

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Nel corso di questa Tesi sono state studiate le reazioni di cluster carbonil anionici di Platino con fosfine. In particolare, sono state investigate nel dettaglio le reazioni dei cluster [Pt3n(CO)6n]2– (n = 3,4) e [Pt19(CO)22]n– (n = 3,4) con PPh3. Sono state poi preliminarmente studiate anche le reazioni di [Pt24(CO)30]2– e [Pt38(CO)44]2– con PPh3. Questo ha portato alla sintesi e alla completa caratterizzazione mediante diffrazione di raggi X su cristallo singolo delle specie [NBu4]2[Pt9(CO)16(PPh3)2] e [NBu4]x[Pt22(CO)22(PPh3)6]2•yCH3CN, contenenti gli anioni [Pt9(CO)16(PPh3)2]2– e [Pt22(CO)22(PPh3)6]2–. È stato inoltre preparato un nuovo composto tentativamente formulato come [Pt19(CO)20(PPh3)2]4–, sulla base dei dati IR, 31P NMR e ESI-MS. Questi rappresentano i primi esempi di cluster carbonilici anionici di Platino contenenti fosfine. Nel caso delle reazioni di [Pt24(CO)30]2– e [Pt38(CO)44]2– con PPh3 i prodotti sono stati caratterizzati al momento solo mediante spettroscopia IR, e quindi è molto difficile ipotizzare una loro struttura. I composti [Pt9(CO)16(PPh3)2]2– e [Pt19(CO)20(PPh3)2]4– sono stati investigati mediante spettroscopia 31P NMR in soluzione a temperatura variabile. Il primo mostra un unico segnale 31P NMR, in accordo con la struttura allo stato solido, mentre [Pt19(CO)20(PPh3)2]4– è risultato essere flussionale. È stato poi studiato nel dettaglio il comportamento fotochimico dei cluster [Pt3n(CO)6n]2– (n = 3-6) in funzione della concentrazione, confermando la loro natura di “Double emitting quantum dots”. Infine è stato preparato e caratterizzato strutturalmente il sale [DAMS]2[Pt9(CO)18]•dmf, contenente il catione [DAMS]+.

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I policlorobifenili (PCB) sono inquinanti tossici e fortemente recalcitranti che contaminano suoli e sedimenti di acqua dolce e marini. Le tecnologie attualmente impiegate per la loro rimozione (dragaggio e trattamento chimoco-fisico o conferimento in discarica) sono molto costose, poco efficaci o ad alto impatto ambientale. L’individuazione di strategie alternative, di natura biologica, consentirebbe lo sviluppo di un processo alternativo più sostenibile. Nel processo di declorurazione riduttiva i congeneri di PCB a più alto grado di clorurazione, che sono i più tossici, recalcitranti e maggiormente tendenti al bioaccumulo, vengono utilizzati da alcuni microrganismi anaerobici come accettori finali di elettroni nella catena respiratoria e bioconvertiti in congeneri a minor grado di clorurazione, meno pericolosi, che possono essere mineralizzati da parte di batteri aerobi. La declorurazione riduttiva dei PCB è stata spesso studiata in colture anaerobiche di arricchimento in terreno minerale ottenute a partire da sedimenti di acqua dolce; questi studi hanno permesso di dimostrare che batteri del phylum dei Chloroflexi e appartenenti al genere Dehalococcoides o filogeneticamente facenti parte del gruppo dei Dehalococcoides-like sono i decloruranti. Sono tuttavia scarse le informazioni riguardanti l'occorrenza della declorurazione dei PCB in ambienti marini, nei quali l'alta salinità e concentrazione di solfati influenzano diversamente l'evoluzione delle popolazioni microbiche. In sedimenti contaminati della laguna di Venezia è stata osservata declorurazione sia dei PCB preesistenti che di congeneri esogeni; questi studi hanno permesso l'ottenimento di colture di arricchimento fortemente attive nei confronti di 5 congeneri di PCB coplanari. In questa tesi, a partire dalle colture capaci di declorurare i PCB coplanari, sono stati allestiti nuovi passaggi di arricchimento su Aroclor®1254, una miscela di PCB più complessa e che meglio rappresenta la contaminazione ambientale. Le colture sono state allestite come microcosmi anaerobici in fase slurry, preparati risospendendo il sedimento nell'acqua superficiale, ricreando in tal modo in laboratorio le stesse condizioni biogeochimiche presenti in situ; gli slurry sterili sono stati inoculati per avviare le colture. Per favorire la crescita dei microrganismi decloruranti e stimolare così la decloruraazione dei PCB sono stati aggiunti inibitori selettivi di metanogeni (Bromoetansulfonato o BES) e solfato-riduttori (molibdato), sono state fornite fonti di carbonio ed energia (eD), quali acidi grassi a corta catena e idrogeno, utilizzate di batteri decloruranti noti, e per semplificare la comunità microbica sono stati aggiunti antibiotici cui batteri decloruranti del genere Dehalococcoides sono resistenti. Con questo approccio sono stati allestiti passaggi di arricchimento successivi e le popolazioni microbiche delle colture sono state caratterizzate con analisi molecolari di fingerprinting (DGGE). Fin dal primo passaggio di arricchimento nei microcosmi non ammendati ha avuto luogo un'estesa declorurazione dell'Aroclor®1254; nei successivi passaggi si è notato un incremento della velocità del processo e la scomparsa della fase di latenza, mentre la stessa stereoselettività è stata mantenuta a riprova dell’arricchimento degli stessi microrganismi decloruranti. Le velocità di declorurazione ottenute sono molto alte se confrontate con quelle osservate in colture anaerobiche addizionate della stessa miscela descritte in letteratura. L'aggiunta di BES o molibdato ha bloccato la declorurazione dei PCB ma in presenza di BES è stata riscontrata attività dealogenante nei confronti di questa molecola. La supplementazione di fonti di energia e di carbonio ha stimolato la metanogenesi e i processi fermentativi ma non ha avuto effetti sulla declorurazione. Ampicillina e vancomicina hanno incrementato la velocità di declorurazione quando aggiunte singolarmente, insieme o in combinazione con eD. E' stato però anche dimostrato che la declorurazione dei PCB è indipendente sia dalla metanogenesi che dalla solfato-riduzione. Queste attività respiratorie hanno avuto velocità ed estensioni diverse in presenza della medesima attività declorurante; in particolare la metanogenesi è stata rilevata solo in dipendenza dall’aggiunta di eD alle colture e la solfato-riduzione è stata inibita dall’ampicillina in microcosmi nei quali un’estesa declorurazione dei PCB è stata osservata. La caratterizzazione delle popolazioni microbiche, condotte mediante analisi molecolari di fingerprinting (DGGE) hanno permesso di descrivere le popolazioni batteriche delle diverse colture come complesse comunità microbiche e di rilevare in tutte le colture decloruranti la presenza di una banda che l’analisi filogenetica ha ascritto al batterio m-1, un noto batterio declorurante in grado di dealogenare un congenere di PCB in colture di arricchimento ottenute da sedimenti marini appartenente al gruppo dei Dehalococcoides-like. Per verificare se la crescita di questo microrganismo sia legata alla presenza dei PCB, l'ultimo passaggio di arricchimento ha previsto l’allestimento di microcosmi addizionati di Aroclor®1254 e altri analoghi privi di PCB. Il batterio m-1 è stato rilevato in tutti i microcosmi addizionati di PCB ma non è mai stato rilevato in quelli in cui i PCB non erano presenti; la presenza di nessun altro batterio né alcun archebatterio è subordinata all’aggiunta dei PCB. E in questo modo stato dimostrato che la presenza di m-1 è dipendente dai PCB e si ritiene quindi che m-1 sia il declorurante in grado di crescere utilizzando i PCB come accettori di elettroni nella catena respiratoria anche in condizioni biogeochimiche tipiche degli habitat marini. In tutte le colture dell'ultimo passaggio di arricchimento è stata anche condotta una reazione di PCR mirata alla rilevazione di geni per dealogenasi riduttive, l’enzima chiave coinvolto nei processi di dealogenazione. E’ stato ottenuto un amplicone di lughezza analoga a quelle di tutte le dealogenasi note in tutte le colture decloruranti ma un tale amplificato non è mai stato ottenuto da colture non addizionate di PCB. La dealogenasi ha lo stesso comportamento di m-1, essendo stata trovata come questo sempre e solo in presenza di PCB e di declorurazione riduttiva. La sequenza di questa dealogenasi è diversa da tutte quelle note sia in termini di sequenza nucleotidica che aminoacidica, pur presentando due ORF con le stesse caratteristiche e domini presenti nelle dealogenasi note. Poiché la presenza della dealogenasi rilevata nelle colture dipende esclusivamente dall’aggiunta di PCB e dall’osservazione della declorurazione riduttiva e considerato che gran parte delle differenze genetiche è concentrata nella parte di sequenza che si pensa determini la specificità di substrato, si ritiene che la dealogenasi identificata sia specifica per i PCB. La ricerca è stata condotta in microcosmi che hanno ricreato fedelmente le condizioni biogeochimiche presenti in situ e ha quindi permesso di rendere conto del reale potenziale declorurante della microflora indigena dei sedimenti della laguna di Venezia. Le analisi molecolari condotte hanno permesso di identificare per la prima volta un batterio responsabile della declorurazione dei PCB in sedimenti marini (il batterio m-1) e una nuova dealogenasi specifica per PCB. L'identificazione del microrganismo declorurante permette di aprire la strada allo sviluppo di tecnologie di bioremediation mirata e il gene della dealogenasi potrà essere utilizzato come marker molecolare per determinare il reale potenziale di declorurazione di miscele complesse di PCB in sedimenti marini.