999 resultados para 004.072 Elaborazione dei dati, Scienza degli elaboratori, Informatica - Attività di ricerca


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Il presente lavoro di tesi si inserisce nel Progetto “Monitoraggio dei sedimenti del litorale” dell’ARPA-Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente, e ne prende in considerazione parte dei risultati. Il progetto è nato con l’obiettivo di fornire una caratterizzazione dei sedimenti della costa emiliano-romagnola sommersa. Nello specifico questa tesi ha riguardato l’apprendimento e l’esecuzione delle analisi ecotossicologiche dei sedimenti compiute su due specie, l’Ampelisca diadema (Costa, 1853) e il Paracentrotus lividus (Lamarck, 1816), allo scopo di determinare lo stato di contaminazione dei sedimenti considerati e classificarli secondo classi di giudizio di tossicità predefinite. A tali test ecotossicologici sono stati sottoposti campioni di sedimenti campionati nel 2010 in 104 siti e 4 diverse batimetrie posti lungo tutto il litorale emiliano-romagnolo. I risultati ottenuti nell’ambito dei due test ecotossicologici sono stati analizzati separatamente e confrontati con dati riguardanti la batimetria e le caratteristiche chimico-fisiche dei sedimenti raccolti (granulometria, contenuto di contaminanti) al fine di poter spiegare il ruolo delle componenti abiotiche nella definizione della tossicità. A tale scopo sono state eseguite delle analisi univariate e multivariate (PCA) dei dati. In seguito si sono stati comparati i risultati ottenuti nei due test. Il presente lavoro ha permesso di avere un quadro preliminare dello stato di contaminazione dei sedimenti della costa sommersa dell’Emilia-Romagna

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La necessità di conservazione e recupero di murature, di qualsiasi interesse storico/architettonico, ha evidenziato la necessità di conoscere il più dettagliatamente possibile le caratteristiche strutturali delle opere interessate: un intervento risulterà tanto più efficace e adatto agli scopi prefissi quanto maggiore sarà la conoscenza dell’opera, della sua evoluzione, dei materiali utilizzati per la realizzazione, della tecnica costruttiva e della struttura portante. Spesso è necessario eseguire interventi di adeguamento sismico di comuni edifici su cui poter intervenire più o meno indiscriminatamente, mentre, per opere di interesse storico è necessario ridurre al minimo l’invasività degli interventi: in tutti e due i casi, una buona riuscita dell’intervento dipende dalla conoscenza dell’organismo strutturale sul quale si deve operare. Come spesso accade, anche per opere di recente costruzione, risulta difficile poter recuperare i dati progettuali (disegni e calcoli) e spesso le tecniche e le tipologie utilizzate per le costruzioni si differenziavano da zona a zona, così come diversi erano i materiali da costruzione; risulta quindi evidente che per progettare una serie di interventi di recupero è necessario poter ottenere il maggior numero di informazioni al riguardo. Diverse sono le esperienze maturate in questo campo in tutta Europa e queste hanno mostrato come non è sufficiente intervenire con tecniche innovative per adeguare agli standard attuali di sicurezza opere del passato: infatti, in molti casi, l’applicazione sbagliata di queste tecniche o gli interventi progettati in modo non adeguato non hanno svolto il loro compito e in alcuni casi hanno peggiorato la situazione esistente. Dalle esperienze maturate è stato possibile osservare che anche le migliore tecniche di recupero non possono risultare efficaci senza un’adeguata conoscenza dello stato di degrado degli edifici, del loro assetto strutturale e delle possibili carenze. La diagnostica strutturale si vuole inserire proprio in questo livello potendo fornire ad un progettista tutte le informazioni necessarie per effettuare al meglio ed in maniera efficace gli interventi di recupero e restauro necessari. Oltre questi aspetti, le analisi diagnostiche possono essere utilizzate anche per verificare l’efficacia degli interventi effettuati. Diversi sono gli aspetti che si possono analizzare in un’indagine di diagnostica ed in base alle esigenze e alle necessità del rilievo da effettuare sono varie le tecniche a disposizione, ognuna con le sue peculiarità e potenzialità. Nella realizzazione di questa tesi sono state affrontate diverse problematiche che hanno previsto sia l’analisi di situazioni reali in cantiere, sia lo studio in laboratorio. La prima parte del presente elaborato prevede lo studio delle attività svolte a Palazzo Malvezzi, attuale sede della Provincia di Bologna. L’edificio, di interesse storico, ha subito diverse trasformazioni durate la sua vita ed in alcuni casi, queste, eseguite con tecnologie e materiali inadatti, hanno provocato variazioni nell’assetto statico della struttura; inoltre, il palazzo, è soggetto a movimenti a livello di fondazione in quanto è presente una faglia di subsidenza che attraversa l’edificio. Tutte queste problematiche hanno creato movimenti differenziali alla struttura in elevazione che si sono evidenziati con crepe distribuite in tutto l’edificio. Il primo aspetto analizzato (capitoli 4 e 5) è lo studio della profondità delle fessure presenti nel solaio della sala Rossa, sede dei comunicati stampa e delle conferenze della Provincia. Senza dubbio antiestetiche, le crepe presenti in una struttura, se sottovalutate, possono compromettere notevolmente le funzioni statiche dell’elemento in cui si sviluppano: la funzione di protezione fornita dal solaio o da qualsiasi altro elemento strutturale alle armature in questo immerse, viene meno, offrendo vie preferenziali a possibili situazioni di degrado, specialmente se in condizioni ambientali aggressive. E' facile intuire, quindi, che un aspetto all’apparenza banale come quello delle fessure non può essere sottovalutato. L’analisi è stata condotta utilizzando prove soniche ed impact-echo, tecniche che sfruttano lo stresso principio, la propagazione delle onde elastiche nel mezzo, ma che si differenziano per procedure di prova e frequenze generate nel test. Nel primo caso, la presenza del martello strumentato consente di valutare anche la velocità di propagazione delle onde elastiche, fenomeno utilizzato per ottenere indicazioni sulla compattezza del mezzo, mentre nel secondo non è possibile ricavare queste informazioni in quanto la tecnica si basa solamente sullo studio in frequenza del segnale. L’utilizzo dell’impact-echo è stato necessario in quanto la ristilatura effettuata sulle fessure scelte per l’analisi, non ha permesso di ottenere risultati utili tramite prove soniche ; infatti, le frequenze generate risultano troppo basse per poter apprezzare queste piccole discontinuità materiali. La fase di studio successiva ha previsto l’analisi della conformazione dei solai. Nel capitolo 6, tale studio, viene condotto sul solaio della sala Rossa con lo scopo di individuarne la conformazione e la presenza di eventuali elementi di rinforzo inseriti nelle ristrutturazioni avvenute nel corso della vita del palazzo: precedenti indagini eseguite con endoscopio, infatti, hanno mostrato una camera d’aria ed elementi metallici posizionati al di sotto della volta a padiglione costituente il solaio stesso. Le indagini svolte in questa tesi, hanno previsto l’utilizzo della strumentazione radar GPR: con questa tecnica, basata sulla propagazione delle onde elettromagnetiche all’interno di un mezzo, è possibile variare rapidamente la profondità d’ispezione ed il dettaglio ottenibile nelle analisi cambiando le antenne che trasmettono e ricevono il segnale, caratteristiche fondamentali in questo tipo di studio. I risultati ottenuti hanno confermato quanto emerso nelle precedenti indagini mostrando anche altri dettagli descritti nel capitolo. Altro solaio oggetto d’indagine è quello della sala dell’Ovale (capitoli 7 e 8): costruito per dividere l’antica sala da ballo in due volumi, tale elemento è provvisto al suo centro di un caratteristico foro ovale, da cui ne deriva il nome. La forma del solaio lascia supporre la presenza di una particolare struttura di sostegno che le precedenti analisi condotte tramite endoscopio, non sono riuscite a cogliere pienamente. Anche in questo caso le indagini sono state eseguite tramite tecnica radar GPR, ma a differenza dei dati raccolti nella sala Rossa, in questo caso è stato possibile creare un modello tridimensionale del mezzo investigato; inoltre, lo studio è stato ripetuto utilizzando un’antenna ad elevata risoluzione che ha consentito di individuare dettagli in precedenza non visibili. Un ulteriore studio condotto a palazzo Malvezzi riguarda l’analisi della risalita capillare all’interno degli elementi strutturali presenti nel piano interrato (capitolo 9): questo fenomeno, presente nella maggior parte delle opere civili, e causa di degrado delle stesse nelle zone colpite, viene indagato utilizzando il radar GPR. In questo caso, oltre che individuare i livelli di risalita osservabili nelle sezioni radar, viene eseguita anche un’analisi sulle velocità di propagazione del segnale e sulle caratteristiche dielettriche del mezzo, variabili in base al contenuto d’acqua. Lo scopo è quello di individuare i livelli massimi di risalita per poterli confrontare con successive analisi. Nella fase successiva di questo elaborato vengono presentate le analisi svolte in laboratorio. Nella prima parte, capitolo 10, viene ancora esaminato il fenomeno della risalita capillare: volendo studiare in dettaglio questo problema, sono stati realizzati dei muretti in laterizio (a 2 o 3 teste) e per ognuno di essi sono state simulate diverse condizioni di risalita capillare con varie tipologie di sale disciolto in acqua (cloruro di sodio e solfato di sodio). Lo scopo è di valutare i livelli di risalita osservabili per diverse tipologie di sale e per diverse concentrazioni dello stesso. Ancora una volta è stata utilizzata la tecnica radar GPR che permette non solo di valutare tali livelli, ma anche la distribuzione dell’umidità all’interno dei provini, riuscendo a distinguere tra zone completamente sature e zone parzialmente umide. Nello studio è stata valutata anche l’influenza delle concentrazioni saline sulla propagazione del segnale elettromagnetico. Un difetto delle tecniche di diagnostica è quello di essere strumenti qualitativi, ma non quantitativi: nel capitolo 11 viene affrontato questo problema cercando di valutare la precisione dei risultati ottenuti da indagini condotte con strumentazione radar GPR. Studiando gli stessi provini analizzati nel capitolo precedente, la tecnica radar è stata utilizzata per individuare e posizionare i difetti (muretti a 3 teste) e le pietre (muretti a 2 teste) inserite in questi elementi: i risultati ottenuti nella prova sono stati confrontati, infine, con la reale geometria. Nell’ultima parte (capitolo 12), viene esaminato il problema dell’individuazione dei vuoti all’interno di laterizi: per questo scopo sono state create artificialmente delle cavità di diversa forma e a diverse profondità all’interno di laterizi pieni che, dopo un trattamento in cella climatica per aumentarne la temperatura, sono stati sottoposti a riprese termografiche nella fase di raffreddamento. Lo scopo di queste prove è quello di valutare quale sia la massima differenza di temperatura superficiale causata dai diversi difetti e per quale intervallo di temperature questa si verifica.

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Il lavoro di ricerca esplora il panorama dell’efficienza energetica dei sistemi acquedottistici, soffermandosi a considerare possibili indicatori che possano valutarla in maniera corretta e completa, in particolare nei confronti della presenza di perdite in rete. Si prendono in considerazione con maggiore attenzione, tra tutte le strategie per aumentare l’efficienza energetica, quelle che contemporaneamente producono anche risparmi idrici, come la riduzione della pressione e la ricerca attiva delle perdite . Dopo un inquadramento internazionale, sono stati analizzati mediante mappe tematiche di intensità energetica, i consumi energetici specifici sui sistemi acquedottistici della regione Emilia Romagna per gli anni 2006 e 2007, si è passati ad una analisi critica degli indicatori attualmente in uso. Inoltre per casi di studio sintetici e tutti i casi di studio proposti, si sono valutate curve di relazione tra percentuale di perdita idrica e aumento del consumo energetico, in grado di dare indicazioni su come ciascun sistema reagisce, in termini di aumento dell’energia consumata, all’aumentare del livello di perdita. Questa relazione appare fortemente influenzata da fattori come la modalità di pompaggio, la posizione delle rotture sulla rete e la scabrezza delle condotte. E’ emersa la necessità solo poter analizzare separatamentel’influenza sull’efficienza energeticadei sistemi di pompaggio e della rete, mostrando il ruolo importante con cui questa contribuisce all’efficienza globale del sistema. Viene proposto uno sviluppo ulteriore dell’indicatore GEE Global Energy Efficiency (Abadia, 2008), che consente di distinguere l’impatto sull’efficienza energetica dovuto alle perdite idriche e alla struttura intrinseca della rete, in termini di collocazione reciproca tra risorsa idrica e domanda e schema impiantistico.Questa metodologia di analisi dell’efficienza energetica è stata applicata ai casi di studio, sia sintetici che reali, il distretto di Marzaglia (MO) e quello di Mirabello (FE), entrambi alimentati da pompe a giri variabili.. La ricerca ha consentito di mostrare inoltre il ruolo della modellazione numerica in particolare nell’analisi dell’effetto prodotto sull’efficienza energetica dalla presenza di perdite idriche. Nell’ultimo capitolo si completa la panoramica dei benefici ottenibili attraverso la riduzione della pressione, che nei casi citati viene conseguita tramite pompe asservite ad inverter, con il caso di studio del distretto Bolognina all’interno del sistema di distribuzione di Bologna, che vede l’utilizzo di valvole riduttrici di pressione. Oltre a stimare il risparmio energetico derivante dalla riduzione delle perdite ottenuta tramite le PRV, sono stati valutati su modello i benefici energetici conseguenti all’introduzione nel distretto di turbine per la produzione di energia

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Il lavoro valuta le prestazioni di 14 stati membri dell'Unione Europea, la quale attraverso la strategia Europa 2020 propone il raggiungimento di 8 target fondamentali per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva entro il 2020. I target riguardano l'occupazione, il tasso d'istruzione superiore, la percentuale di energia rinnovabile, il consumo energetico, le emissioni di gas serra, la spesa in ricerca e sviluppo, la povertà , il prematuro abbandono scolastico. A tali target corrispondono indicatori che sono annualmente censiti attraverso le autorità statistiche nazionali ed Eurostat. La misura della performance degli Stati è stata effettuata mediante il calcolo della distanza dal target di ciascun paese negli anni compresi tra il 2000 e il 2009. In particolare si è effettuato, adattandolo alle esigenze del lavoro, il calcolo della distanza euclidea e della distanza di Mahalanobis. Con le limitazioni dovute alla qualità dei dati disponibili e ad una difficoltà oggettiva di stabilire una linea di base, il lavoro ha permesso di dare un giudizio alla qualità dello sforzo compiuto da ciascun paese per raggiungere i target, fornendo un quadro analitico e articolato dei rapporti che intercorrono tra i diversi indicatori. In particolare è stato realizzato un modello relazionale basato su quattro indicatori che sono risultati essere correlati e legati da relazioni di tipo causale. I risultati possono essere sintetizzati come segue. La strategia Europa 2020 sembra partire da buone basi in quanto si è potuto osservare che in generale tutti gli stati membri osservati, Europa a 15, mostrano avere un miglioramento verso i loro rispettivi target dal 2005. Durante gli anni osservati si è notato che il range temporale 2005 e 2008 sembra essere stato il periodo dove gli stati hanno rallentato maggiormente la loro crescita di performance, con poi un buon miglioramento nell'anno finale. Questo miglioramento è stato indagato ed è risultato essere coincidente con l'anno di inizio della crisi economica. Inoltre si sono osservate buone relazioni tra il GDP e gli indicatori che hanno contribuito alla diminuzione delle performance, ma il range di riferimento non molto ampio, non ha permesso di definire la reale correlazione tra il GDP e il consumo energetico ed il GDP e l'investimento in ricerca e sviluppo.

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La catena respiratoria mitocondriale è principalmente costituita da proteine integrali della membrana interna, che hanno la capacità di accoppiare il flusso elettronico, dovuto alle reazioni redox che esse catalizzano, al trasporto di protoni dalla matrice del mitocondrio verso lo spazio intermembrana. Qui i protoni accumulati creano un gradiente elettrochimico utile per la sintesi di ATP ad opera dell’ATP sintasi. Nonostante i notevoli sviluppi della ricerca sulla struttura e sul meccanismo d’azione dei singoli enzimi della catena, la sua organizzazione sovramolecolare, e le implicazioni funzionali che ne derivano, rimangono ancora da chiarire in maniera completa. Da questa problematica trae scopo la presente tesi volta allo studio dell’organizzazione strutturale sovramolecolare della catena respiratoria mediante indagini sia cinetiche che strutturali. Il modello di catena respiratoria più accreditato fino a qualche anno fa si basava sulla teoria delle collisioni casuali (random collision model) che considera i complessi come unità disperse nel doppio strato lipidico, ma collegate funzionalmente tra loro da componenti a basso peso molecolare (Coenzima Q10 e citocromo c). Recenti studi favoriscono invece una organizzazione almeno in parte in stato solido, in cui gli enzimi respiratori si presentano sotto forma di supercomplessi (respirosoma) con indirizzamento diretto (channeling) degli elettroni tra tutti i costituenti, senza distinzione tra fissi e mobili. L’importanza della comprensione delle relazioni che si instaurano tra i complessi , deriva dal fatto che la catena respiratoria gioca un ruolo fondamentale nell’invecchiamento, e nello sviluppo di alcune malattie cronico degenerative attraverso la genesi di specie reattive dell’ossigeno (ROS). E’ noto, infatti, che i ROS aggrediscono, anche i complessi respiratori e che questi, danneggiati, producono più ROS per cui si instaura un circolo vizioso difficile da interrompere. La nostra ipotesi è che, oltre al danno a carico dei singoli complessi, esista una correlazione tra le modificazioni della struttura del supercomplesso, stress ossidativo e deficit energetico. Infatti, la dissociazione del supercomplesso può influenzare la stabilità del Complesso I ed avere ripercussioni sul trasferimento elettronico e protonico; per cui non si può escludere che ciò porti ad un’ulteriore produzione di specie reattive dell’ossigeno. I dati sperimentali prodotti a sostegno del modello del respirosoma si riferiscono principalmente a studi strutturali di elettroforesi su gel di poliacrilammide in condizioni non denaturanti (BN-PAGE) che, però, non danno alcuna informazione sulla funzionalità dei supercomplessi. Pertanto nel nostro laboratorio, abbiamo sviluppato una indagine di tipo cinetico, basata sull’analisi del controllo di flusso metabolico,in grado di distinguere, funzionalmente, tra supercomplessi e complessi respiratori separati. Ciò è possibile in quanto, secondo la teoria del controllo di flusso, in un percorso metabolico lineare composto da una serie di enzimi distinti e connessi da intermedi mobili, ciascun enzima esercita un controllo (percentuale) differente sull’intero flusso metabolico; tale controllo è definito dal coefficiente di controllo di flusso, e la somma di tutti i coefficienti è uguale a 1. In un supercomplesso, invece, gli enzimi sono organizzati come subunità di una entità singola. In questo modo, ognuno di essi controlla in maniera esclusiva l’intero flusso metabolico e mostra un coefficiente di controllo di flusso pari a 1 per cui la somma dei coefficienti di tutti gli elementi del supercomplesso sarà maggiore di 1. In questa tesi sono riportati i risultati dell’analisi cinetica condotta su mitocondri di fegato di ratto (RLM) sia disaccoppiati, che accoppiati in condizioni fosforilanti (stato 3) e non fosforilanti (stato 4). L’analisi ha evidenziato l’associazione preferenziale del Complesso I e Complesso III sia in mitocondri disaccoppiati che accoppiati in stato 3 di respirazione. Quest’ultimo risultato permette per la prima volta di affermare che il supercomplesso I+III è presente anche in mitocondri integri capaci della fosforilazione ossidativa e che il trasferimento elettronico tra i due complessi possa effettivamente realizzarsi anche in condizioni fisiologiche, attraverso un fenomeno di channeling del Coenzima Q10. Sugli stessi campioni è stata eseguita anche un analisi strutturale mediante gel-elettroforesi (2D BN/SDS-PAGE) ed immunoblotting che, oltre a supportare i dati cinetici sullo stato di aggregazione dei complessi respiratori, ci ha permesso di evidenziare il ruolo del citocromo c nel supercomplesso, in particolare per il Complesso IV e di avviare uno studio comparativo esteso ai mitocondri di cuore bovino (BHM), di tubero di patata (POM) e di S. cerevisiae.

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Oggi, grazie al continuo progredire della tecnologia, in tutti i sistemi di produzione industriali si trova almeno un macchinario che permette di automatizzare determinate operazioni. Alcuni di questi macchinari hanno un sistema di visione industriale (machine vision), che permette loro di osservare ed analizzare ciò che li circonda, dotato di algoritmi in grado di operare alcune scelte in maniera automatica. D’altra parte, il continuo progresso tecnologico che caratterizza la realizzazione di sensori di visione, ottiche e, nell’insieme, di telecamere, consente una sempre più precisa e accurata acquisizione della scena inquadrata. Oggi, esigenze di mercato fanno si che sia diventato necessario che macchinari dotati dei moderni sistemi di visione permettano di fare misure morfometriche e dimensionali non a contatto. Ma le difficoltà annesse alla progettazione ed alla realizzazione su larga scala di sistemi di visione industriali che facciano misure dimensioni non a contatto, con sensori 2D, fanno sì che in tutto il mondo il numero di aziende che producono questo tipo di macchinari sia estremamente esiguo. A fronte di capacità di calcolo avanzate, questi macchinari necessitano dell’intervento di un operatore per selezionare quali parti dell’immagine acquisita siano d’interesse e, spesso, anche di indicare cosa misurare in esse. Questa tesi è stata sviluppata in sinergia con una di queste aziende, che produce alcuni macchinari per le misure automatiche di pezzi meccanici. Attualmente, nell’immagine del pezzo meccanico vengono manualmente indicate le forme su cui effettuare misure. Lo scopo di questo lavoro è quello di studiare e prototipare un algoritmo che fosse in grado di rilevare e interpretare forme geometriche note, analizzando l’immagine acquisita dalla scansione di un pezzo meccanico. Le difficoltà affrontate sono tipiche dei problemi del “mondo reale” e riguardano tutti i passaggi tipici dell’elaborazione di immagini, dalla “pulitura” dell’immagine acquisita, alla sua binarizzazione fino, ovviamente, alla parte di analisi del contorno ed identificazione di forme caratteristiche. Per raggiungere l’obiettivo, sono state utilizzate tecniche di elaborazione d’immagine che hanno permesso di interpretare nell'immagine scansionata dalla macchina tutte le forme note che ci siamo preposti di interpretare. L’algoritmo si è dimostrato molto robusto nell'interpretazione dei diametri e degli spallamenti trovando, infatti, in tutti i benchmark utilizzati tutte le forme di questo tipo, mentre è meno robusto nella determinazione di lati obliqui e archi di circonferenza a causa del loro campionamento non lineare.

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Nel trasporto di cose si registra l’intervento nella fase di riconsegna della merce di un soggetto diverso dall’originario contraente con il vettore: il destinatario. Tale contratto si caratterizza per uno sfasamento tra il momento della stipulazione del contratto tra mittente e vettore e quello della riconsegna delle merci, nel quale al destinatario viene riconosciuta facoltà di esercitare i diritti nascenti dal contratto di trasporto nei confronti del vettore; tale sfasamento temporale fra l’inizio e la fine della prestazione del vettore comporta una scissione in seno alla figura del creditore del trasporto nei confronti del vettore fra mittente e destinatario. Questo elemento crea una particolare situazione giuridica che è stata variamente inquadrata. Si verifica, infatti, un fenomeno di successione del destinatario al mittente nell’acquisto e nel conseguente esercizio dei diritti nascenti dal contratto di trasporto, ossia un trasferimento dei diritti dal mittente al destinatario, di portata apparentemente eversiva del principio della relatività degli effetti del contratto codificato dall’art. 1372 c.c. Si pone, dunque, il problema di individuare quali diritti nei confronti del vettore siano esercitabili dal destinatario, ossia quale sia il contenuto di tali diritti. In secondo luogo, si pone il problema di accertare con quali modalità temporali il destinatario acquisti tali diritti. Bisogna, poi, stabilire a quale titolo tale acquisto avvenga. Inoltre è necessario stabilire come si concili la legittimazione all’esercizio di tali diritti con i poteri di disposizione del carico e, in definitiva, di modifica del contratto del trasporto, riconosciuti al mittente e determinare a chi spetti la legittimazione ad esercitare le azioni derivanti dal contratto di trasporto verso il vettore. Questi quesiti toccano un problema di più ampia portata riguardante la configurazione giuridica della posizione negoziale assunta dal destinatario all’interno della complessa fattispecie contrattuale che vincola fra loro i tre soggetti e la determinazione del meccanismo giuridico che rende possibile il trasferimento dei diritti che nascono dal contratto di trasporto al destinatario, il quale si sostituisce al mittente nella titolarità degli stessi. La disciplina del trasporto non si presta ad una interpretazione univoca, ponendo problemi applicativi di non facile soluzione. Le esigenze di un’idonea configurazione giuridica del contratto di trasporto e dei rapporti intercorrenti fra i soggetti intorno ad esso interagiscono, quelle di un equo contemperamento degli interessi delle parti e quelle di una compiuta risposta ai problemi pratici connessi all’attuale realtà dei traffici non hanno trovato risposte condivise. La dottrina e la giurisprudenza hanno fornito diverse soluzioni, per lo più basate su un’interpretazione sistematica del contratto di trasporto, a margine del codice di commercio del 1882, prima, e del codice civile del 1942, poi. Si è dunque dato vita alla ricerca, all’interno delle norme generali in tema di obbligazioni e contratti, delle logiche e degli istituti ai quali può essere ricondotto l’acquisto da parte del destinatario del risultato della prestazione del vettore nella fase finale della riconsegna del carico. L’elaborato analizza tutte le teorie sviluppate dagli interpreti. In particolare viene esaminata la tesi accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie, volta a qualificare il trasporto come un contratto a favore a terzi, la tesi che qualifica tale contratto come un’ipotesi di indicazione o di delegazione di pagamento e la tesi che qualifica il trasporto come di cose come contratto naturalmente suscettibile di cessione al destinatario. Di tali teorie vengono indagate le conseguenze applicative, con particolare riferimento al contenuto dei diritti, delle azioni e delle eccezioni esercitabili dei soggetti che partecipano al contratto, per concludere che la teoria che fornisce il più ampio contemperamento degli interessi delle parti, alla luce dell’attuale realtà dei traffici, è quella che riconduce il trasferimento dei diritti inerenti al contratto di trasporto di cose all’istituto della cessione.

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I moderni sistemi embedded sono equipaggiati con risorse hardware che consentono l’esecuzione di applicazioni molto complesse come il decoding audio e video. La progettazione di simili sistemi deve soddisfare due esigenze opposte. Da un lato è necessario fornire un elevato potenziale computazionale, dall’altro bisogna rispettare dei vincoli stringenti riguardo il consumo di energia. Uno dei trend più diffusi per rispondere a queste esigenze opposte è quello di integrare su uno stesso chip un numero elevato di processori caratterizzati da un design semplificato e da bassi consumi. Tuttavia, per sfruttare effettivamente il potenziale computazionale offerto da una batteria di processoriè necessario rivisitare pesantemente le metodologie di sviluppo delle applicazioni. Con l’avvento dei sistemi multi-processore su singolo chip (MPSoC) il parallel programming si è diffuso largamente anche in ambito embedded. Tuttavia, i progressi nel campo della programmazione parallela non hanno mantenuto il passo con la capacità di integrare hardware parallelo su un singolo chip. Oltre all’introduzione di multipli processori, la necessità di ridurre i consumi degli MPSoC comporta altre soluzioni architetturali che hanno l’effetto diretto di complicare lo sviluppo delle applicazioni. Il design del sottosistema di memoria, in particolare, è un problema critico. Integrare sul chip dei banchi di memoria consente dei tempi d’accesso molto brevi e dei consumi molto contenuti. Sfortunatamente, la quantità di memoria on-chip che può essere integrata in un MPSoC è molto limitata. Per questo motivo è necessario aggiungere dei banchi di memoria off-chip, che hanno una capacità molto maggiore, come maggiori sono i consumi e i tempi d’accesso. La maggior parte degli MPSoC attualmente in commercio destina una parte del budget di area all’implementazione di memorie cache e/o scratchpad. Le scratchpad (SPM) sono spesso preferite alle cache nei sistemi MPSoC embedded, per motivi di maggiore predicibilità, minore occupazione d’area e – soprattutto – minori consumi. Per contro, mentre l’uso delle cache è completamente trasparente al programmatore, le SPM devono essere esplicitamente gestite dall’applicazione. Esporre l’organizzazione della gerarchia di memoria ll’applicazione consente di sfruttarne in maniera efficiente i vantaggi (ridotti tempi d’accesso e consumi). Per contro, per ottenere questi benefici è necessario scrivere le applicazioni in maniera tale che i dati vengano partizionati e allocati sulle varie memorie in maniera opportuna. L’onere di questo compito complesso ricade ovviamente sul programmatore. Questo scenario descrive bene l’esigenza di modelli di programmazione e strumenti di supporto che semplifichino lo sviluppo di applicazioni parallele. In questa tesi viene presentato un framework per lo sviluppo di software per MPSoC embedded basato su OpenMP. OpenMP è uno standard di fatto per la programmazione di multiprocessori con memoria shared, caratterizzato da un semplice approccio alla parallelizzazione tramite annotazioni (direttive per il compilatore). La sua interfaccia di programmazione consente di esprimere in maniera naturale e molto efficiente il parallelismo a livello di loop, molto diffuso tra le applicazioni embedded di tipo signal processing e multimedia. OpenMP costituisce un ottimo punto di partenza per la definizione di un modello di programmazione per MPSoC, soprattutto per la sua semplicità d’uso. D’altra parte, per sfruttare in maniera efficiente il potenziale computazionale di un MPSoC è necessario rivisitare profondamente l’implementazione del supporto OpenMP sia nel compilatore che nell’ambiente di supporto a runtime. Tutti i costrutti per gestire il parallelismo, la suddivisione del lavoro e la sincronizzazione inter-processore comportano un costo in termini di overhead che deve essere minimizzato per non comprometterre i vantaggi della parallelizzazione. Questo può essere ottenuto soltanto tramite una accurata analisi delle caratteristiche hardware e l’individuazione dei potenziali colli di bottiglia nell’architettura. Una implementazione del task management, della sincronizzazione a barriera e della condivisione dei dati che sfrutti efficientemente le risorse hardware consente di ottenere elevate performance e scalabilità. La condivisione dei dati, nel modello OpenMP, merita particolare attenzione. In un modello a memoria condivisa le strutture dati (array, matrici) accedute dal programma sono fisicamente allocate su una unica risorsa di memoria raggiungibile da tutti i processori. Al crescere del numero di processori in un sistema, l’accesso concorrente ad una singola risorsa di memoria costituisce un evidente collo di bottiglia. Per alleviare la pressione sulle memorie e sul sistema di connessione vengono da noi studiate e proposte delle tecniche di partizionamento delle strutture dati. Queste tecniche richiedono che una singola entità di tipo array venga trattata nel programma come l’insieme di tanti sotto-array, ciascuno dei quali può essere fisicamente allocato su una risorsa di memoria differente. Dal punto di vista del programma, indirizzare un array partizionato richiede che ad ogni accesso vengano eseguite delle istruzioni per ri-calcolare l’indirizzo fisico di destinazione. Questo è chiaramente un compito lungo, complesso e soggetto ad errori. Per questo motivo, le nostre tecniche di partizionamento sono state integrate nella l’interfaccia di programmazione di OpenMP, che è stata significativamente estesa. Specificamente, delle nuove direttive e clausole consentono al programmatore di annotare i dati di tipo array che si vuole partizionare e allocare in maniera distribuita sulla gerarchia di memoria. Sono stati inoltre sviluppati degli strumenti di supporto che consentono di raccogliere informazioni di profiling sul pattern di accesso agli array. Queste informazioni vengono sfruttate dal nostro compilatore per allocare le partizioni sulle varie risorse di memoria rispettando una relazione di affinità tra il task e i dati. Più precisamente, i passi di allocazione nel nostro compilatore assegnano una determinata partizione alla memoria scratchpad locale al processore che ospita il task che effettua il numero maggiore di accessi alla stessa.

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I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneità di un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.

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Questo lavoro di tesi è finalizzato fondamentalmente allo studio di un’importante problematica che caratterizza gli impianti fotovoltaici: il mismatching, ovvero la disomogeneità nelle caratteristiche elettriche delle celle e quindi dei pannelli fotovoltaici, dal quale scaturisce che la potenza massima, risultante dal collegamento in serie/parallelo dei vari pannelli, è sempre inferiore alla somma delle potenze massime dei pannelli fotovoltaici prima della connessione. In particolare, si è realizzato con il software Simulink un modello flessibile che consente, attraverso una rappresentazione compatta di pochissimi blocchi, di simulare un campo fotovoltaico del tutto arbitrario, in una qualunque condizione operativa di temperatura e di ombreggiamento solare dei pannelli che compongono il campo stesso. A fronte di ciò si è condotta un’analisi approfondita degli effetti del mismatching in un generico campo fotovoltaico sottoposto a diverse disomogeneità per quanto concerne le condizioni operative di temperatura e irraggiamento solare dei vari pannelli. Il software ha permesso, inoltre, di evidenziare l’importanza delle protezioni da impiegare opportunamente negli impianti fotovoltaici; ad esempio, a livello di simulazioni, si è visto come il collegamento di un diodo di by-pass in antiparallelo ai pannelli in ombra permetta di limitare notevolmente l’impatto degli ombreggiamenti. Infine è stato condotto uno studio analitico del mismatching per difformità di fabbricazione di una serie di pannelli dei quali erano noti solo i punti di funzionamento di massima potenza, con la finalità di valutare la possibilità di migliorare la disposizione dei pannelli, e quindi ottimizzare la massima potenza erogabile dal corrispondente campo fotovoltaico.

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Negli ultimi anni si è sviluppata una forte sensibilità nei confronti del rischio che il dissesto idrogeologico comporta per il territorio, soprattutto in un paese come il nostro, densamente abitato e geologicamente fragile. Il rischio idrogeologico In Italia infatti è diffuso in modo capillare e si presenta in modo differente a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio. Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni, rientra la conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia giovane e da rilievi in via di sollevamento. A seguito del verificarsi di una serie di eventi calamitosi (Piemonte 1994, Campania 1998 e 1999, Sovereto 2000, Alpi centrali 2000 e 2002) sono state emanate leggi specifiche finalizzate all’individuazione e all’applicazione di norme, volte a prevenire e contenere i gravi effetti derivanti dai fenomeni di dissesto. Si fa riferimento in particolare, alle leggi n°267 del 3/08/1998 e 365/2000 che hanno integrato la legge 183/1989. In questo modo gli enti territoriali (Regioni, Autorità di bacino) sono stati obbligati a predisporre una adeguata cartografia con perimetrazione delle aree a differente pericolosità e rischio. Parallelamente continuano ad essere intrapresi, promossi e finanziati numerosi studi scientifici volti allo studio dei fenomeni ed alla definizione più puntuale delle condizioni di rischio, oltre alle iniziative volte alla creazione di un efficace sistema di allertamento e di sorveglianza dei fenomeni e alla messa a punto di una pianificazione di emergenza volta a coordinare in modo efficace la risposta delle istituzioni agli eventi. In questo contesto gli studi su validi approcci metodologici per l’analisi e la valutazione del rischio possono fornire un supporto al processo decisionale delle autorità preposte alla gestione del territorio, identificando gli scenari di rischio e le possibili strategie di mitigazione, e individuando la soluzione migliore in termini di accettabilità sociale e convenienza economica. Nel presente elaborato si vuole descrivere i temi relativi alla valutazione della pericolosità, del rischio e della sua gestione, con particolare attenzione ai fenomeni di instabilità dei versanti e nello specifico ai fenomeni di crollo da pareti rocciose che interessano il territorio della Provincia Autonoma di Bolzano. Il fenomeno della caduta massi infatti è comunemente diffuso in tutte le regioni di montagna e lungo le falesie costiere, ed in funzione dell’elevata velocità con cui si manifesta può costituire una costante fonte di pericolo per le vite, i beni e le attività umane in zone generalmente molto attive dal punto di vista del turismo e delle grandi vie di comunicazione. Il territorio della Provincia Autonoma di Bolzano è fortemente interessato da questo problema, sia per la morfologia montuosa della provincia che per le infrastrutture che sempre più occupano zone di territorio un tempo poco urbanizzate. Al fine di pervenire ad una legittima programmazione delle attività di previsione e prevenzione, il Dipartimento dei Lavori Pubblici della Provincia, ha scelto di utilizzare una strategia che prevedesse un insieme di attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi, ed alla determinazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi. E’ nato così, con l’operatività dell’Ufficio Geologia e Prove Materiali, il supporto del Dipartimento Opere Pubbliche e della Ripartizione Protezione Civile e la collaborazione scientifica del DISTART – Università degli Studi di Bologna, Alma Mater Studiorum, il progetto VISO che riguarda i pericoli generati da frane di crollo, ribaltamento, scivolamento di porzioni di pareti rocciose e caduta massi. Il progetto ha come scopo la valutazione del pericolo, della vulnerabilità e del rischio e dell’effettiva funzionalità delle opere di protezione contro la caduta massi lungo la strada statale del Brennero. Il presente elaborato mostra l’iter per l’individuazione del rischio specifico che caratterizza un particolare tratto stradale, così come è stato pensato dalla Provincia Autonoma di Bolzano all’interno di una strategia di previsione e prevenzione, basata su metodi il più possibile oggettivi, ed estesa all’intera rete stradale di competenza provinciale. Si esamina l’uso di metodologie diverse per calcolare l’intensità di un fenomeno franoso che potrebbe potenzialmente svilupparsi su un versante e si osserva in che modo la presenza di opere di protezione passiva influisce sull’analisi di pericolosità. Nel primo capitolo viene presentata una panoramica sui fenomeni di crollo descrivendo i fattori principali che li originano e gli interventi di protezione posti a difesa del versante. Si esaminano brevemente le tipologie di intervento, classificate in opere attive e passive, con particolare attenzione alle barriere paramassi., che si collocano tra gli interventi di difesa passivi e che stanno diventando il tipo di intervento più frequentemente utilizzato. Nel capitolo vengono descritte dal punto di vista progettuale, prendendo in esame anche la normativa di riferimento nonché le nuove linee guida per la certificazione CE delle barriere, nate negli ultimi anni per portare ad una facile comparabilità dei vari prodotti sottoposti ad impatti normalizzati, definendo con chiarezza i livelli energetici ai quali possono essere utilizzati i vari prodotti e, nel contempo, fornendo informazioni assolutamente indispensabili per la buona progettazione degli stessi. Nel capitolo successivo si prendono in esame i temi relativi alla valutazione della pericolosità e del rischio, l’iter procedurale di analisi del rischio adottato dalla Provincia Autonoma di Bolzano in relazione alle frane da crollo che investono le strade della rete provinciale ed in particolare viene descritto il progetto VISO (Viability Information Operating System), nato allo scopo di implementare un catasto informatizzato che raccolga indicazioni sul patrimonio delle opere di protezione contro la caduta massi e di rilevare e valutare il pericolo, la vulnerabilità, il rischio e l’effettiva funzionalità delle opere di protezione contro la caduta massi lungo le strade statali e provinciali. All’interno dello stesso capitolo si espone come, nell’ambito del progetto VISO e grazie alla nascita del progetto europeo Paramount ” (Improved accessibility reliability and safety of Alpine tran sport infrastructure related to mountainous hazard in a changing climate) si è provveduto, con l’aiuto di una collega del corso di laurea, a raccogliere i dati relativi all’installazione delle barriere paramassi sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano. Grazie ad un’analisi di archivio effettuata all’interno delle diverse sedi del servizio strade della Provincia Autonoma di Bolzano, si è presa visione (laddove presenti) delle schede tecniche delle barriere collocate sul territorio, si sono integrati i dettagli costruttivi contattando le principali ditte fornitrici e si è proceduto con una classificazione delle opere, identificando alcuni modelli di “barriere-tipo che sono stati inseriti nel database PARAMOUNT, già creato per il progetto VISO. Si è proseguito associando a tali modelli le barriere provviste di documentazione fotografica rilevate in precedenza dall’istituto di Geologia della Provincia Autonoma di Bolzano e inserite in VISO e si è valutata la corrispondenza dei modelli creati, andando a verificare sul posto che le barriere presenti sul territorio ed inserite nel database (tramite modello), effettivamente coincidessero, nelle misure e per le caratteristiche geometrico-costruttive, ai modelli a cui erano state associate. Inoltre sono stati considerati i danni tipici a cui può essere soggetta una barriera paramassi durante il suo periodo di esercizio poiché tali difetti andranno ad incidere sulla valutazione dell’utilità del sistema di difesa e di conseguenza sulla valutazione della pericolosità del versante(H*). Nel terzo capitolo si è esposta una possibile integrazione, mediante il software di calcolo RocFall, della procedura di valutazione dell’analisi di pericolosità di un versante utilizzata nell’ambito del progetto VISO e già analizzata in dettaglio nel secondo capitolo. Il software RocFall utilizza un metodo lumped mass su schema bidimensionale basato su ipotesi semplificative e consente di effettuare simulazioni probabilistiche di fenomeni di caduta massi, offrendo importanti informazioni sull’energia che si sviluppa durante il crollo, sulle velocità raggiunte e sulle altezze di rimbalzo lungo tutto il versante considerato, nonché sulla distanza di arresto dei singoli massi. Si sono realizzati dei profili-tipo da associare al versante, considerando il pendio suddiviso in tre parti : parete verticale (H = 100 m) lungo la quale si sviluppa il movimento franoso; pendio di altezza H = 100 m e angolo pari ai quattro valori medi della pendenza indicati nella scheda di campagna; strada (L = 10 m). Utilizzando il software Cad si sono realizzati 16 profili associando la pendenza media del versante a 4 morfologie individuate grazie all’esperienza dell’Istituto di Geologia e Prove materiali della Provincia Autonoma di Bolzano; si è proceduto importando tali profili in RocFall dove sono state aggiunte informazioni riguardanti la massa del blocco e l’uso del suolo, ottenendo 256 profili-tipo ai quali è stata associata una sigla definita come segue : morfologia (1, 2, 3, 4) _ pendenza (37, 53, 67, 83 gradi) _ uso del suolo (A, B, C, D) _ massa (a,b,c,d). Fissando i parametri corrispondenti al peso del masso ( inserito al solo scopo di calcolare la velocità rotazionale e l’energia cinetica ) e considerando, per ogni simulazione, un numero di traiettorie possibili pari a 1000, avendo osservato che all’aumentare di tale numero (purchè sufficientemente elevato) non si riscontrano variazioni sostanziali nei risultati dell’analisi, si è valutato come i parametri uso del suolo (A;B;C;D), morfologia (1;2;3;4) e pendenza (37°;53°;67°;83°) incidano sulla variazione di energia cinetica, di altezza di rimbalzo e sulla percentuale di massi che raggiunge la strada, scegliendo come punto di riferimento il punto di intersezione tra il pendio e la strada. Al fine di realizzare un confronto tra un profilo reale e un profilo-tipo, sono stati utilizzati 4 profili posti su un versante situato nel Comune di Laives, noto per le frequenti cadute di massi che hanno raggiunto in molti casi la strada. Tali profili sono stati visionati in sede di sopralluogo dove si è provveduto alla compilazione delle schede di campagna (impiegate per valutare l’intensità del fenomeno che potenzialmente si sviluppa dal versante) e all’individuazione dei profili-tipo corrispondenti. Sono state effettuate analisi di simulazione per entrambe le tipologie di profilo, e sono stati confrontati i risultati ottenuti in termini di Energia cinetica; altezza di rimbalzo e percentuale dei blocchi in corrispondenza della strada. I profili reali sono stati importati in RocFal in seguito ad estrapolazione dal modello digitale del terreno (ottenuto da analisi con Laser Scanner) utilizzando l’ estensione Easy Profiler nel software Arcmap. Infine si è valutata la possibilità di collocare eventuali barriere paramassi su un profilo reale, si è proceduto effettuando una analisi di simulazione di caduta massi in RocFall, importando in excel i valori corrispondenti all’andamento dei massimi dell’Energia cinetica e dell’altezza di rimbalzo lungo il pendio che forniscono una buona indicazione circa l´idonea ubicazione delle opere di protezione.

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Con il trascorrere del tempo, le reti di stazioni permanenti GNSS (Global Navigation Satellite System) divengono sempre più un valido supporto alle tecniche di rilevamento satellitare. Esse sono al tempo stesso un’efficace materializzazione del sistema di riferimento e un utile ausilio ad applicazioni di rilevamento topografico e di monitoraggio per il controllo di deformazioni. Alle ormai classiche applicazioni statiche in post-processamento, si affiancano le misure in tempo reale sempre più utilizzate e richieste dall’utenza professionale. In tutti i casi risulta molto importante la determinazione di coordinate precise per le stazioni permanenti, al punto che si è deciso di effettuarla tramite differenti ambienti di calcolo. Sono stati confrontati il Bernese, il Gamit (che condividono l’approccio differenziato) e il Gipsy (che utilizza l’approccio indifferenziato). L’uso di tre software ha reso indispensabile l’individuazione di una strategia di calcolo comune in grado di garantire che, i dati ancillari e i parametri fisici adottati, non costituiscano fonte di diversificazione tra le soluzioni ottenute. L’analisi di reti di dimensioni nazionali oppure di reti locali per lunghi intervalli di tempo, comporta il processamento di migliaia se non decine di migliaia di file; a ciò si aggiunge che, talora a causa di banali errori, oppure al fine di elaborare test scientifici, spesso risulta necessario reiterare le elaborazioni. Molte risorse sono quindi state investite nella messa a punto di procedure automatiche finalizzate, da un lato alla preparazione degli archivi e dall’altro all’analisi dei risultati e al loro confronto qualora si sia in possesso di più soluzioni. Dette procedure sono state sviluppate elaborando i dataset più significativi messi a disposizione del DISTART (Dipartimento di Ingegneria delle Strutture, dei Trasporti, delle Acque, del Rilevamento del Territorio - Università di Bologna). E’ stato così possibile, al tempo stesso, calcolare la posizione delle stazioni permanenti di alcune importanti reti locali e nazionali e confrontare taluni fra i più importanti codici scientifici che assolvono a tale funzione. Per quanto attiene il confronto fra i diversi software si è verificato che: • le soluzioni ottenute dal Bernese e da Gamit (i due software differenziati) sono sempre in perfetto accordo; • le soluzioni Gipsy (che utilizza il metodo indifferenziato) risultano, quasi sempre, leggermente più disperse rispetto a quelle degli altri software e mostrano talvolta delle apprezzabili differenze numeriche rispetto alle altre soluzioni, soprattutto per quanto attiene la coordinata Est; le differenze sono però contenute in pochi millimetri e le rette che descrivono i trend sono comunque praticamente parallele a quelle degli altri due codici; • il citato bias in Est tra Gipsy e le soluzioni differenziate, è più evidente in presenza di determinate combinazioni Antenna/Radome e sembra essere legato all’uso delle calibrazioni assolute da parte dei diversi software. E’ necessario altresì considerare che Gipsy è sensibilmente più veloce dei codici differenziati e soprattutto che, con la procedura indifferenziata, il file di ciascuna stazione di ciascun giorno, viene elaborato indipendentemente dagli altri, con evidente maggior elasticità di gestione: se si individua un errore strumentale su di una singola stazione o se si decide di aggiungere o togliere una stazione dalla rete, non risulta necessario il ricalcolo dell’intera rete. Insieme alle altre reti è stato possibile analizzare la Rete Dinamica Nazionale (RDN), non solo i 28 giorni che hanno dato luogo alla sua prima definizione, bensì anche ulteriori quattro intervalli temporali di 28 giorni, intercalati di sei mesi e che coprono quindi un intervallo temporale complessivo pari a due anni. Si è così potuto verificare che la RDN può essere utilizzata per l’inserimento in ITRF05 (International Terrestrial Reference Frame) di una qualsiasi rete regionale italiana nonostante l’intervallo temporale ancora limitato. Da un lato sono state stimate le velocità ITRF (puramente indicative e non ufficiali) delle stazioni RDN e, dall’altro, è stata effettuata una prova di inquadramento di una rete regionale in ITRF, tramite RDN, e si è verificato che non si hanno differenze apprezzabili rispetto all’inquadramento in ITRF, tramite un congruo numero di stazioni IGS/EUREF (International GNSS Service / European REference Frame, SubCommission for Europe dello International Association of Geodesy).

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Le moderne tecniche di imaging e i recenti sviluppi nel campo della visione computazionale consentono sempre più diffusamente l'utilizzo di metodi di image analysis, specialmente in ambito medico e biologico, permettendo un maggiore supporto sia alla diagnosi, sia alla ricerca. Il lavoro svolto in questa tesi si pone in un contesto di ricerca di carattere interdisciplinare, e riguarda il progetto e la realizzazione di un‘interfaccia grafica per l'analisi di colture batteriche geneticamente modificate, marcate con proteine fluorescenti (GFP), acquisite tramite un microscopio ad epifluorescenza. Nota la funzione di risposta del sistema di acquisizione delle immagini, l'analisi quantitativa delle colture batteriche è effettuata mediante la misurazione di proprietà legate all'intensità della risposta al marcatore fluorescente. L'interfaccia consente un'analisi sia globale dei batteri individuati nell'immagine, sia di singoli gruppi di batteri selezionati dall'utente, fornendo utili informazioni statistiche, sia in forma grafica che numerica. Per la realizzazione dell'interfaccia sono state adottate tecniche di ingegneria del software, con particolare enfasi alla interazione uomo-macchina e seguendo criteri di usability, al fine di consentire un corretto utilizzo dello strumento anche da parte di personale senza conoscenza in campo informatico.

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La tematica del presente scritto è l’analisi teorico-sperimentale del sistema edificio-impianto, che è funzione delle soluzioni progettuali adottate, dei componenti scelti e del tipo di conduzione prevista. La Direttiva 2010/31/CE sulle prestazioni energetiche degli edifici, entrata in vigore l’8 luglio 2010, pubblicata sulla Gazzetta Europea del 18 giugno 2010, sostituirà, dal 1º febbraio 2012, la direttiva 2002/91/CE. La direttiva prevede che vengano redatti piani nazionali destinati ad aumentare il numero di “edifici a energia quasi zero” e che entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere “edifici a energia quasi zero”, per gli edifici pubblici questa scadenza è anticipata al 31 dicembre 2018. In questa prospettiva sono stati progettati due “edifici a energia quasi zero”, una villa monofamiliare e un complesso scolastico (scuola dell’infanzia, elementare, media inferiore) attualmente in via di realizzazione, con l’obiettivo principale di fornire un caso studio unico per ogni tipologia in quanto anche modulare e replicabile nella realtà del nostro territorio, che anticipano gli obiettivi fissati dalla Direttiva 2010/31/CE. I risultati ottenibili dai suddetti progetti, esposti nella tesi, sono il frutto di un attenta e proficua progettazione integrata, connubio tra progettazione architettonica ed energetico/impiantistica. La stessa progettazione ha esaminato le tecnologie, i materiali e le soluzioni tecniche “mirate” ai fini del comfort ambientale e di un’elevata prestazione energetica dell’edificio. Inoltre è stato dedicato ampio rilievo alla diagnosi energetica degli edifici esistenti attraverso 4 casi studio, i principali svolti durante i tre anni di dottorato di ricerca, esemplari del patrimonio edilizio italiano. Per ogni caso studio è stata condotta una diagnosi energetica dell’edificio, valutati i risultati e definita la classe energetica, ed in seguito sono stati presi in considerazione i possibili interventi migliorativi sia da un punto di vista qualitativo sia economico tenendo conto degli incentivi statali per l’incremento dell’efficienza energetica.

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Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “la salute mentale è la base per un corretto sviluppo emotivo, psicologico, intellettuale e sociale degli individui e allo stesso tempo ha effetti favorevoli sull’ambiente in cui le persone vivono e sul luogo di lavoro, generando crescita economica e sviluppo sociale”. In tutti i paesi la frequenza dei disturbi mentali è in aumento, con conseguente incremento dei costi sociali ed economici. Circa il 14 % della popolazione adulta a livello mondiale è colpita da un disturbo mentale o di comportamento, con picchi di oltre il 20% negli Stati Uniti. Negli ultimi anni le politiche sanitarie si sono orientate sempre più verso la ricerca di soluzioni per l’organizzazione dei servizi di salute mentale, favorendo un approccio territoriale piuttosto che ospedaliero, che ha portato in alcuni paesi ad una netta riduzione di posti letto riservati a malati psichiatrici. Fondamentale quindi l’istituzione di percorsi integrati che soddisfino i bisogni di salute mentale dei pazienti, garantiscano la continuità assistenziale e perseguano un miglioramento della qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari. Obiettivo di questa tesi è la proposta di un set di indicatori per la salute mentale che avranno l’obiettivo di monitorare tutte le fasi del percorso assistenziale. A tale scopo, sarà necessario collegare i diversi flussi di informazioni: schede di dimissione ospedaliera, specialistica ambulatoriale, prestazioni farmaceutiche effettuate in distribuzione diretta o per conto, prestazioni dei dipartimenti di salute mentale, registro di mortalità, anagrafe.