614 resultados para cellule dendritique


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CysK, uno degli isoenzimi di O-acetilserina sulfidrilasi (OASS) presenti in piante e batteri, è un enzima studiato da molto tempo ed il suo ruolo fisiologico nella sintesi della cisteina è stato ben definito. Recentemente sono state scoperte altre funzioni apparentemente non collegate alla sua funzione enzimatica (moonlighting). Una di queste è l’attivazione di una tossina ad attività tRNAsica, CdiA-CT, coinvolta nel sistema di inibizione della crescita da contatto (CDI) di ceppi patogeni di E. coli. In questo progetto abbiamo studiato il ruolo di CysK nel sistema CDI e la formazione di complessi con due differenti partner proteici: CdiA-CT e CysE (serina acetiltransferasi, l’enzima che catalizza la reazione precedente nella biosintesi della cisteina). I due complessi hanno le stesse caratteristiche spettrofluorimetriche e affinità molto simili, ma la cinetica di raggiungimento dell’equilibrio per il complesso tossina:CysK è più lenta che per il complesso CysE:CysK (cisteina sintasi). In entrambi i casi la formazione veloce di un complesso d’incontro è seguita da un riarrangiamento conformazionale che porta alla formazione di un complesso ad alta affinità. L’efficienza di formazione del complesso cisteina sintasi è circa 200 volte maggiore rispetto al complesso CysK:tossina. Una differenza importante, oltre alla cinetica di formazione dei complessi, è la stechiometria di legame. Infatti mentre CysE riesce a legare solo uno dei due siti attivi del dimero di CysK, nel complesso con CdiA-CT entrambi i siti attivi dell’enzima risultano essere occupati. Le cellule isogeniche esprimono un peptide inibitore della tossina (CdiI), e sono quindi resistenti all’azione tRNAsica. Tuttavia, siccome CdiI non altera la formazione del complesso CdiA-CT:CysK, CdiA-CT può esercitare comunque un ruolo nel metabolismo della cisteina e quindi nella fitness dei batteri isogenici, attraverso il legame e l'inibizione di CysK e la competizione con CysE. La via biosintetica della cisteina, un precursore di molecole riducenti, risulta essere molto importante per i batteri soprattutto in condizioni avverse come all’interno dei macrofagi nelle infezioni persistenti. Perciò questa via metabolica è di interesse per lo sviluppo di nuovi antibiotici, e in particolare le due isoforme dell’OASS negli enterobatteri, CysK e CysM, sono potenziali target per lo sviluppo di nuove molecole ad azione antibatterica. Partendo dall’analisi delle modalità di interazione con CysK del suo partner ed inibitore fisiologico, CysE, si è studiato dapprima l’interazione di pentapeptidi che mimassero la regione C-terminale di quest'ultimo, e in base ai dati ottenuti sono stati sviluppati piccoli ligandi sintetici. La struttura generale di questi composti è costituita da un gruppo acido ed un gruppo lipofilo, separati da un linker ciclopropanico che mantiene questi due gruppi in conformazione trans, ottimale per l’interazione col sito attivo dell’enzima. Sulla base di queste considerazioni, di docking in silico e di dati sperimentali ottenuti con la tecnica dell’STD-NMR e con saggi di binding spettrofluorimetrici, si è potuta realizzare una analisi di relazione struttura-attività che ha portato via via all’ottimizzazione dei ligandi. Il composto più affine che è stato finora ottenuto ha una costante di dissociazione nel range del nanomolare per entrambe le isoforme, ed è un ottimo punto di partenza per lo sviluppo di nuovi farmaci.

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Helicobacter pylori è un batterio Gram-negativo in grado di colonizzare la mucosa gastrica umana e persistere per l'intero arco della vita dell'ospite. E' associato a patologie gastrointestinali, quali gastrite cronica, ulcere gastriche e duodenali, adenocarcinomi e linfomi gastrici. Si tratta di uno dei patogeni più diffusi, presente in circa metà della popolazione mondiale, e il solo che si è adattato a vivere nell'ambiente ostile dello stomaco umano. Molteplici sono i fattori di virulenza che permettono al batterio la colonizzazione della nicchia gastrica e contribuiscono, anche attraverso l' induzione di una risposta infiammatoria, a profonde modificazioni dell' omeostasi gastrica. Queste ultime si associano, ad esempio, all'iperproduzione di fattori proinfiammatori, ad alterazioni sia della regolazione della secrezione acida gastrica sia del ciclo cellulare e della morte cellulare programmata (apoptosi) delle cellule epiteliali gastriche, a disordini nel metabolismo del ferro e a carenze di elementi essenziali. Studi sulla diversità genetica di H. pylori osservata in ceppi isolati da varie regioni del mondo, dimostrano che tale batterio ha avuto una coevoluzione col genere umano attraverso la storia, ed è verosimile che H. pylori sia stato un costituente del microbiota gastrico per almeno 50.000 anni. Scopo della tesi è stato quello di identificare e caratterizzare proteine importanti per la colonizzazione e l'adattamento di H. pylori alla nicchia gastrica. In particolare gli sforzi si sono concentrati su due proteine periplasmatiche, la prima coinvolta nella difesa antiossidante (l'enzima catalasi-like, HP0485), e la seconda nel trasporto di nutrienti presenti nell'ambiente dello stomaco all'interno della cellula (la componente solubile di un ABC transporter, HP0298). La strategia utilizzata prevede un'analisi bioinformatica preliminare, l'ottenimento del gene per amplificazione, mediante PCR, dal genoma dell'organismo, la costruzione di un vettore per il clonaggio, l'espressione eterologa in E. coli e la successiva purificazione. La proteina così ottenuta viene caratterizzata mediante diverse tecniche, quali spettroscopia UV, dicroismo circolare, gel filtrazione analitica, spettrometria di massa. Il capitolo 1 contiene un'introduzione generale sul batterio, il capitolo 2 e il capitolo 3 descrivono gli studi relativi alle due proteine e sono entrambi suddivisi in un abstract iniziale, un'introduzione, la presentazione dei risultati, la discussione di questi ultimi, i materiali e i metodi utilizzati. La catalasi-like (HP0485) è una proteina periplasmatica con struttura monomerica, appartenente ad una famiglia di enzimi a funzione per la maggior parte sconosciuta, ma evolutivamente correlati alla ben nota catalasi, attore fondamentale nella difesa di H. pylori, grazie alla sua azione specifica di rimozione dell'acqua ossigenata. HP0485, pur conservando il fold catalasico e il legame al cofattore eme, non può compiere la reazione di dismutazione dell'acqua ossigenata; possiede invece un'attività perossidasica ad ampio spettro, essendo in grado di accoppiare la riduzione del perossido di idrogeno all'ossidazione di diversi substrati. Come la catalasi, lavora ad alte concentrazioni di aqua ossigenata e non arriva a saturazione a concentrazioni molto elevate di questo substrato (200 mM); la velocità di reazione catalizzata rimane lineare anche a questi valori, aspetto che la differenzia dalle perossidasi che vengono in genere inattivate da concentrazioni di perossido di idrogeno superiori a 10-50 mM. Queste caratteristiche di versatilità e robustezza suggeriscono che la catalasi-like abbia un ruolo di scavenger dell'acqua ossigenata e probabilmente anche un'altra funzione connessa al suo secondo substrato, ossia l'ossidazione di composti nello spazio periplasmatico cellulare. Oltre alla caratterizzazione dell'attività è descritta anche la presenza di un ponte disolfuro, conservato nelle catalasi-like periplasmatiche, con un ruolo nell'assemblaggio dell'eme per ottenere un enzima attivo e funzionale. La proteina periplasmatica HP0298, componente di un sistema di trasporto ABC, è classificata come trasportatore di dipeptidi e appartiene a una famiglia di proteine in grado di legare diversi substrati, tra cui di- e oligopeptidi, nichel, eme, glutatione. Benchè tutte associate a trasportatori di membrana batterici, queste proteine presentano un dominio di legame al substrato che risulta essere conservato nei domini extracellulari di recettori specifici di mammifero e uomo. Un esempio sono i recettori ionotropici e metabotropici del sistema nervoso. Per caratterizzare questa proteina è stato messo a punto un protocollo di ligand-fishing accoppiato alla spettrometria di massa. La proteina purificata, avente un tag di istidine, è stata incubata con un estratto cellulare di H. pylori per poter interagire con il suo substrato specifico all'interno dell'ambiente naturale in cui avviene il legame. Il complesso proteina-ligando è stato poi purificato per cromatografia di affinità e analizzato mediante HPLC-MS. L'identificazione dei picchi differenziali tra campioni con la proteina e 5 campioni di controllo ha portato alla caratterizzazione di pentapeptidi particolarmente ricchi in aminoacidi idrofobici e con almeno un residuo carico negativamente. Considerando che H. pylori necessita di alcuni aminoacidi essenziali, per la maggior parte idrofobici, e che lo stomaco umano è particolarmente ricco di peptidi prodotti dalla digestione delle proteine introdotte con il cibo, il ruolo fisiologico di HP0298 potrebbe essere l'internalizzazione di peptidi, con caratteristiche specifiche di lunghezza e composizione, che sono naturalmente presenti nella nicchia gastrica.

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Le VIH infecte les cellules par fusion de sa membrane avec la membrane de la cellule cible. Cette fusion est effectuée par les glycoprotéines de l'enveloppe (Env) qui sont synthétisées en tant que précurseur, gp160, qui est ensuite clivé en gp120 et gp41. La protéine gp41 est la partie transmembranaire du complexe de l'enveloppe et l’ancre à la particule virale alors que la gp120 assure la liaison au récepteur cellulaire CD4 et corécepteur CCR5 ou CXCR4. Ces interactions successives induisent des changements de conformation d’Env qui alimentent le processus d'entrée du virus conduisant finalement à l'insertion du peptide de fusion de la gp41 dans la membrane de la cellule cible. La sous-unité extérieure gp120 contient cinq régions variables (V1 à V5), dont trois (V1, V2 et V3) étant capables d’empêcher l’adoption spontanée de la conformation liée à CD4. Cependant, le rôle de régions variables V4 et V5 vis-à-vis de ces changements de conformation reste inconnu. Pour étudier leur effet, des mutants de l'isolat primaire de clade B YU2, comprenant une délétion de la V5 ou une mutation au niveau de tous les sites potentiels de N-glycosylation de la V4 (PNGS), ont été générés. L'effet des mutations sur la conformation des glycoprotéines d'enveloppe a été analysé par immunoprécipitation et résonance de plasmon de surface avec des anticorps dont la liaison dépend de la conformation adopté par la gp120. Ni le retrait des PNGS de la V4 ni la délétion de V5 n’a affecté les changements conformationnels d’Env tels que mesurés par ces techniques, ce qui suggère que les régions variables V1, V2 et V3 sont les principaux acteurs dans la prévention de l’adoption de la conformation lié de CD4 d’Env.

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L’ubiquitination est une modification post-traductionnelle qui joue un rôle majeur dans la régulation d’une multitude de processus cellulaires. Dans cette thèse, je discuterai de la caractérisation de deux protéines, BRCA1 et BAP1, soit deux suppresseurs de tumeurs fonctionnellement reliés. BRCA1, une ubiquitine ligase qui catalyse la liaison de l’ubiquitine à une protéine cible, est mutée dans les cancers du sein et de l'ovaire. Il est bien établi que cette protéine aide à maintenir la stabilité génomique suite à un bris double brin de l’ADN (BDB), et ce, à l’aide d’un mécanisme de réparation bien caractérisé appelé recombinaison homologue. Cependant, les mécanismes de régulation de BRCA1 suite à des stresses génotoxiques n’impliquant pas directement un BDB ne sont pas pleinement élucidés. Nous avons démontré que BRCA1 est régulée par dégradation protéasomale suite à une exposition des cellules à deux agents génotoxiques reconnus pour ne pas directement générer des BDBs, soit les rayons UV, qui provoquent la distorsion de l’hélice d’ADN, et le méthyle méthanesulfonate (MMS), qui entraîne l’alkylation de l’ADN. La dégradation de BRCA1 est réversible et indépendante des kinases associées à la voie des PI3 kinase, soit ATM, ATR et DNA-PK, protéines qui sont rapidement activées par les dommages à l’ADN. Nous proposons que la dégradation de BRCA1 prévienne son recrutement intempestif, ainsi que celui des facteurs qui lui sont associés, à des sites de dommages d’ADN qui ne sont pas des BDBs, et que cette régulation coordonne la réparation de l’ADN. L’enzyme de déubiquitination BAP1 a initialement été identifiée comme une protéine capable d’interagir avec BRCA1 et de réguler sa fonction. Elle est également connue pour sa capacité à se lier avec les protéines du groupe Polycomb, ASXL1 et ASXL2. Cependant, l’importance de ces interactions n’a toujours pas été établie. Nous avons démontré que BAP1 forme deux complexes protéiques mutuellement exclusifs avec ASXL1 et ASXL2. Ces interactions sont critiques pour la liaison de BAP1 à l’ubiquitine ainsi que pour la stimulation de son activité enzymatique envers l’histone H2A. Nous avons également identifié des mutations de BAP1 dérivées de cancers qui empêchent à la fois son interaction avec ASXL1 et AXSL2, et son activité de déubiquitinase, ce qui fournit un lien mécanistique direct entre la déubiquitination de H2A et la tumorigenèse. Élucider les mécanismes de régulation de BRCA1 et BAP1 menera à une meilleure compréhension de leurs rôles de suppresseurs de tumeurs, permettant ainsi d’établir de nouvelles stratégies de diagnostic et traitement du cancer.

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L’évolution d’une cellule tumorale initiée à une tumeur solide nécessite, à chaque étape, un microenvironnement favorable à sa survie et à sa croissance. Le microenvironnement tumoral est comparé à un foyer d’inflammation chronique dont la composition cellulaire et moléculaire est complexe. Les cellules souches mésenchymateuses (CSM) représentent l’un des principaux acteurs cellulaires présents. Elles migrent vers les sites tumoraux où elles soutiennent l’inflammation, l’angiogenèse et le développement tumoral en activant plusieurs voies de signalisation. Une des voies majeures qui contribuent à l’inflammation est la voie de signalisation NF-B. L’initiation de cette voie provient de la membrane cellulaire entre autres des cavéoles. Nous soumettons l’hypothèse que l’une des cavines, protéines associées aux cavéoles, modulerait le phénotype inflammatoire etou migratoire dans les CSM traitées à la cytokine TNF- (facteur de nécrose tumorale ) en modulant la voie de signalisation NF-B. En effet, nous avons observé une régulation à la hausse de l’expression de la COX-2 (cyclooxygénase-2) et une diminution de l’expression d’IκB qui sont synonymes de l’activation de la voie NF-B dans les CSM que nous avons traitées au TNF-. Nous avons trouvé que le TNF- induit la migration des CSM, et que la répression génique de la Cavine-2 augmente significativement la migration des CSM traitées par le TNF-. La répression génique de la Cavine-2 vient aussi amplifier la tubulogenèse dans les CSM en réponse au TNF-. D’un point de vue moléculaire, la répression génique de la Cavine-2 a montré une très forte amplification de l'expression protéique de la COX-2 dans les CSM en réponse au TNF-. Dans ces mêmes cellules où la Cavine-2 a été réprimée, et suite à un traitement au TNF-, le pic de phosphorylation est plus intense et la courbe de phosphorylation est plus prolongée dans le temps. Ces observations nous permettent d’affirmer que la Cavine-2 a un rôle répresseur sur l’expression de COX-2. Collectivement, nos résultats montrent que la Cavine-2 peut être proposée comme un gène suppresseur de tumeur et est de ce fait, une bonne cible thérapeutique dans les CSM qui permettraient d’agir à des stades précoces du développement tumoral.

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L’initiation de la leucémogénèse dans la leucémie aigue lymphoblastique (LAL)-T résulte de l’activation aberrante de facteurs de transcription de la lignée lymphocytaire T. Nous démontrons que les gènes de fusion NUP98-PHF23 (NP23) et NUP98-HOXD13 (NHD13) reprogramment les thymocytes normaux en cellules souches pré-leucémiques (CS-préL) possédant un potentiel aberrant d’auto-renouvellement. Basé sur des essais de clonalité performés sur des thymocytes transplantés en série, nous avons découvert que cette population est hiérarchisée similairement aux cellules souches hématopoïétiques normales. Ces CS-préL dévoilent un enrichissement du compartiment de précurseurs thymiques immatures KIT+ où les deux oncogènes, NP23 et NHD13, activent des gènes impliqués dans l’autorenouvellement, incluant Hoxa9, Hoxa10, Lyl1 et Hhex. De plus, l’activité d’autorenouvellement est abrogée par les ARN interférents contre Lyl1 et Hhex, indiquant leur implication fonctionnelle en aval de NP23 et NHD13. Puisque ces gènes sont aussi activés en aval de trois autres oncogènes dans la LAL-T, SCL/TAL1, LMO1 et LMO2, nous concluons que les niveaux d’activation de Lyl1 et Hhex fixent le seuil de reprogrammation des thymocytes normaux en CS-préL. Malgré l'efficacité des traitements de chimiothérapie actuels à diminuer la masse tumorale, les CS-préL sont épargnées, pouvant mener à des rechutes. Nos résultats répondent à ce besoin et proposent de nouvelles avenues permettant de cibler les CS-préL du compartiment de thymocytes immatures dans la LAL-T.

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Le co-transporteur KCC2 spécifique au potassium et chlore a pour rôle principal de réduire la concentration intracellulaire de chlore, entraînant l’hyperpolarisation des courants GABAergic l’autorisant ainsi à devenir inhibiteur dans le cerveau mature. De plus, il est aussi impliqué dans le développement des synapses excitatrices, nommées aussi les épines dendritiques. Le but de notre projet est d’étudier l’effet des modifications concernant l'expression et la fonction de KCC2 dans le cortex du cerveau en développement dans un contexte de convulsions précoces. Les convulsions fébriles affectent environ 5% des enfants, et ce dès la première année de vie. Les enfants atteints de convulsions fébriles prolongées et atypiques sont plus susceptibles à développer l’épilepsie. De plus, la présence d’une malformation cérébrale prédispose au développement de convulsions fébriles atypiques, et d’épilepsie du lobe temporal. Ceci suggère que ces pathologies néonatales peuvent altérer le développement des circuits neuronaux irréversiblement. Cependant, les mécanismes qui sous-tendent ces effets ne sont pas encore compris. Nous avons pour but de comprendre l'impact des altérations de KCC2 sur la survenue des convulsions et dans la formation des épines dendritiques. Nous avons étudié KCC2 dans un modèle animal de convulsions précédemment validé, qui combine une lésion corticale à P1 (premier jour de vie postnatale), suivie d'une convulsion induite par hyperthermie à P10 (nommés rats LHS). À la suite de ces insultes, 86% des rats mâles LHS développent l’épilepsie à l’âge adulte, au même titre que des troubles d’apprentissage. À P20, ces animaux presentent une augmentation de l'expression de KCC2 associée à une hyperpolarisation du potentiel de réversion de GABA. De plus, nous avons observé des réductions dans la taille des épines dendritiques et l'amplitude des courants post-synaptiques excitateurs miniatures, ainsi qu’un déficit de mémoire spatial, et ce avant le développement des convulsions spontanées. Dans le but de rétablir les déficits observés chez les rats LHS, nous avons alors réalisé un knock-down de KCC2 par shARN spécifique par électroporation in utero. Nos résultats ont montré une diminution de la susceptibilité aux convulsions due à la lésion corticale, ainsi qu'une restauration de la taille des épines. Ainsi, l’augmentation de KCC2 à la suite d'une convulsion précoce, augmente la susceptibilité aux convulsions modifiant la morphologie des épines dendritiques, probable facteur contribuant à l’atrophie de l’hippocampe et l’occurrence des déficits cognitifs. Le deuxième objectif a été d'inspecter l’effet de la surexpression précoce de KCC2 dans le développement des épines dendritiques de l’hippocampe. Nous avons ainsi surexprimé KCC2 aussi bien in vitro dans des cultures organotypiques d’hippocampe, qu' in vivo par électroporation in utero. À l'inverse des résultats publiés dans le cortex, nous avons observé une diminution de la densité d’épines dendritiques et une augmentation de la taille des épines. Afin de confirmer la spécificité du rôle de KCC2 face à la région néocorticale étudiée, nous avons surexprimé KCC2 dans le cortex par électroporation in utero. Cette manipulation a eu pour conséquences d’augmenter la densité et la longueur des épines synaptiques de l’arbre dendritique des cellules glutamatergiques. En conséquent, ces résultats ont démontré pour la première fois, que les modifications de l’expression de KCC2 sont spécifiques à la région affectée. Ceci souligne les obstacles auxquels nous faisons face dans le développement de thérapie adéquat pour l’épilepsie ayant pour but de moduler l’expression de KCC2 de façon spécifique.

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Le co-transporteur KCC2 spécifique au potassium et chlore a pour rôle principal de réduire la concentration intracellulaire de chlore, entraînant l’hyperpolarisation des courants GABAergic l’autorisant ainsi à devenir inhibiteur dans le cerveau mature. De plus, il est aussi impliqué dans le développement des synapses excitatrices, nommées aussi les épines dendritiques. Le but de notre projet est d’étudier l’effet des modifications concernant l'expression et la fonction de KCC2 dans le cortex du cerveau en développement dans un contexte de convulsions précoces. Les convulsions fébriles affectent environ 5% des enfants, et ce dès la première année de vie. Les enfants atteints de convulsions fébriles prolongées et atypiques sont plus susceptibles à développer l’épilepsie. De plus, la présence d’une malformation cérébrale prédispose au développement de convulsions fébriles atypiques, et d’épilepsie du lobe temporal. Ceci suggère que ces pathologies néonatales peuvent altérer le développement des circuits neuronaux irréversiblement. Cependant, les mécanismes qui sous-tendent ces effets ne sont pas encore compris. Nous avons pour but de comprendre l'impact des altérations de KCC2 sur la survenue des convulsions et dans la formation des épines dendritiques. Nous avons étudié KCC2 dans un modèle animal de convulsions précédemment validé, qui combine une lésion corticale à P1 (premier jour de vie postnatale), suivie d'une convulsion induite par hyperthermie à P10 (nommés rats LHS). À la suite de ces insultes, 86% des rats mâles LHS développent l’épilepsie à l’âge adulte, au même titre que des troubles d’apprentissage. À P20, ces animaux presentent une augmentation de l'expression de KCC2 associée à une hyperpolarisation du potentiel de réversion de GABA. De plus, nous avons observé des réductions dans la taille des épines dendritiques et l'amplitude des courants post-synaptiques excitateurs miniatures, ainsi qu’un déficit de mémoire spatial, et ce avant le développement des convulsions spontanées. Dans le but de rétablir les déficits observés chez les rats LHS, nous avons alors réalisé un knock-down de KCC2 par shARN spécifique par électroporation in utero. Nos résultats ont montré une diminution de la susceptibilité aux convulsions due à la lésion corticale, ainsi qu'une restauration de la taille des épines. Ainsi, l’augmentation de KCC2 à la suite d'une convulsion précoce, augmente la susceptibilité aux convulsions modifiant la morphologie des épines dendritiques, probable facteur contribuant à l’atrophie de l’hippocampe et l’occurrence des déficits cognitifs. Le deuxième objectif a été d'inspecter l’effet de la surexpression précoce de KCC2 dans le développement des épines dendritiques de l’hippocampe. Nous avons ainsi surexprimé KCC2 aussi bien in vitro dans des cultures organotypiques d’hippocampe, qu' in vivo par électroporation in utero. À l'inverse des résultats publiés dans le cortex, nous avons observé une diminution de la densité d’épines dendritiques et une augmentation de la taille des épines. Afin de confirmer la spécificité du rôle de KCC2 face à la région néocorticale étudiée, nous avons surexprimé KCC2 dans le cortex par électroporation in utero. Cette manipulation a eu pour conséquences d’augmenter la densité et la longueur des épines synaptiques de l’arbre dendritique des cellules glutamatergiques. En conséquent, ces résultats ont démontré pour la première fois, que les modifications de l’expression de KCC2 sont spécifiques à la région affectée. Ceci souligne les obstacles auxquels nous faisons face dans le développement de thérapie adéquat pour l’épilepsie ayant pour but de moduler l’expression de KCC2 de façon spécifique.

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"Index bibliographique": p. [533]-544.

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Each plate accompanied by guard sheet with descriptive letterpress.

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"Extrait de la Revue 'La Cellule', t. XVI, 1. fascicule." p. [63]-176.

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La Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) è una malattia polmonare cronica, irreversibile la cui eziologia risulta essere ignota, caratterizzata da un processo fibrotico progressivo che inizia nel tratto respiratorio inferiore. Le persone affette da IPF presentano età media compresa tra 55 e 77 anni. L’incidenza annuale di IPF è stata recentemente stimata tra 14 e 42,7 casi per 100.000 persone e tale dato risulta essere in aumento. IPF fa parte delle malattie Polmonari Idiopatiche Interstiziali (IIP) che comprendono patologie con quadri istologici e clinici differenti. Le affezioni su cui si concentrerà questo studio sono: UIP (Usual Interstitial Pneumonia) caratterizzata da fibrosi interstiziale e dalla presenza di foci fibrotici connessi alla pleura e corrispondente al quadro anatomopatologico della maggior parte dei casi di IPF; NSIP (Non Specific Interstitial Pneumonia) simile alla UIP ma con maggiore uniformità temporale e spaziale delle manifestazioni; Sarcoidosi, malattia granulomatosa ad eziologia ignota. Attualmente la gravità della IPF, che implica una mortalità del 50% dei pazienti a 5 anni dall’esordio, e la scarsa efficacia farmacologica nel rallentarne la progressione vedono il trapianto polmonare come unica possibilità di sopravvivenza nelle forme più severe. Al momento non è chiaro il meccanismo patogenetico di insorgenza e progressione della IPF anche se sono stati individuati alcuni fattori scatenanti quali fumo di sigaretta, infezioni respiratorie e inquinanti atmosferici; tuttavia nessuno di tali elementi può da solo determinare un così esteso e progressivo rimodellamento del parenchima polmonare. Numerose sono le evidenze di come il substrato genetico, le alterazioni del rapporto morte/proliferazione cellulare e le citochine svolgano un ruolo nella genesi e nella progressione della malattia, ma non sono ancora chiari i fenomeni biologico-cellulari che la sostengono e, quindi, quali siano i punti di attacco per poter incidere terapeuticamente nel modificare l’evoluzione della IPF. Poiché il nostro laboratorio ha partecipato alla scoperta dell’esistenza di cellule staminali nel polmone umano normale, uno degli obiettivi finali di questo progetto si basa sull’ipotesi che un’alterazione del compartimento staminale svolga un ruolo cruciale nella eziopatogenesi di IPF. Per questo in precedenti esperienze abbiamo cercato di identificare nella IPF cellule che esprimessero antigeni associati a staminalità quali c-kit, CD34 e CD133. Questo lavoro di tesi si è proposto di condurre un’indagine morfometrica ed immunoistochimica su biopsie polmonari provenienti da 9 pazienti affetti da UIP, 3 da NSIP e 5 da Sarcoidosi al fine di valutare le alterazioni strutturali principali imputabili alle patologie. Preparati istologici di 8 polmoni di controllo sono stati usati come confronto. Come atteso, è stato osservato nelle tre patologie esaminate (UIP, NSIP e Sarcoidosi) un significativo incremento nella sostituzione del parenchima polmonare con tessuto fibrotico ed un ispessimento dei setti alveolari rispetto ai campioni di controllo. L’analisi dei diversi pattern di fibrosi presenti fa emergere come vi sia una netta differenza tra le patologie con una maggiore presenza di fibrosi di tipo riparativo e quindi altamente cellulata nei casi di UIP, e NSIP mentre nelle Sarcoidosi il pattern maggiormente rappresentato è risultato essere quello della fibrosi replacement o sostitutiva. La quantificazione delle strutture vascolari è stata effettuata tenendo separate le aree di polmone alveolare rispetto a quelle occupate da focolai sostitutivi di danno (componente fibrotica). Nei campioni patologici analizzati era presente un significativo riarrangiamento di capillari, arteriole e venule rispetto al polmone di controllo, fenomeno principalmente riscontrato nel parenchima fibrotico. Tali modifiche erano maggiormente presenti nei casi di NSIP da noi analizzati. Inoltre le arteriole subivano una diminuzione di calibro ed un aumento dello spessore in special modo nei polmoni ottenuti da pazienti affetti da Sarcoidosi. Rispetto ai controlli, nella UIP e nella Sarcoidosi i vasi linfatici risultavano inalterati nell’area alveolare mentre aumentavano nelle aree di estesa fibrosi; quadro differente si osservava nella NSIP dove le strutture linfatiche aumentavano in entrambe le componenti strutturali. Mediante indagini immunoistochimiche è stata documentata la presenza e distribuzione dei miofibroblasti, positivi per actina muscolare liscia e vimentina, che rappresentano un importante componente del danno tissutale nella IPF. La quantificazione di questo particolare fenotipo è attualmente in corso. Abbiamo inoltre analizzato tramite immunoistochimica la componente immunitaria presente nei campioni polmonari attraverso la documentazione dei linfociti T totali che esprimono CD3, andando poi a identificare la sottopopolazione di T citotossici esprimenti la glicoproteina CD8. La popolazione linfocitaria CD3pos risultava notevolmente aumentata nelle tre patologie analizzate soprattutto nei casi di UIP e Sarcoidosi sebbene l`analisi della loro distribuzione tra i vari distretti tissutali risultasse differente. Risultati simili si sono ottenuti per l`analisi dei linfociti CD8pos. La componente monocito-macrofagica è stata invece identificata tramite la glicoproteina CD68 che ha messo in evidenza una maggiore presenza di cellule positive nella Sarcoidosi e nella UIP rispetto ai casi di NSIP. I dati preliminari di questo studio indicano che il rimodellamento strutturale emo-linfatico e cellulare infiammatorio nella UIP si differenziano rispetto alle altre malattie interstiziali del polmone, avanzando l’ipotesi che il microambiente vascolare ed immunitario giochino un ruolo importante nella patogenesi della malattia

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L’atrofia ottica dominante (ADOA) è una malattia mitocondriale caratterizzata da difetti visivi, che si manifestano durante l’infanzia, causati da progressiva degenerazione delle cellule gangliari della retina (RGC). ADOA è una malattia genetica associata, nella maggior parte dei casi, a mutazioni nel gene OPA1 che codifica per la GTPasi mitocondriale OPA1, appartenente alla famiglia delle dinamine, principalmente coinvolta nel processo di fusione mitocondriale e nel mantenimento del mtDNA. Finora sono state identificate più di 300 mutazioni patologiche nel gene OPA1. Circa il 50% di queste sono mutazioni missenso, localizzate nel dominio GTPasico, che si pensa agiscano come dominanti negative. Questa classe di mutazioni è associata ad una sindrome più grave nota come “ADOA-plus”. Nel lievito Saccharomyces cerevisiae MGM1 è l’ortologo del gene OPA1: nonostante i due geni abbiano domini funzionali identici le sequenze amminoacidiche sono scarsamente conservate. Questo costituisce una limitazione all’uso del lievito per lo studio e la validazione di mutazioni patologiche nel gene OPA1, infatti solo poche sostituzioni possono essere introdotte e studiate nelle corrispettive posizioni del gene di lievito. Per superare questo ostacolo è stato pertanto costruito un nuovo modello di S. cerevisiae, contenente il gene chimerico MGM1/OPA1, in grado di complementare i difetti OXPHOS del mutante mgm1Δ. Questo gene di fusione contiene una larga parte di sequenza corrispondente al gene OPA1, nella quale è stato inserito un set di nuove mutazioni trovate in pazienti affetti da ADOA e ADOA-plus. La patogenicità di queste mutazioni è stata validata sia caratterizzando i difetti fenotipici associati agli alleli mutati, sia la loro dominanza/recessività nel modello di lievito. A tutt’oggi non è stato identificato alcun trattamento farmacologico per la cura di ADOA e ADOA-plus. Per questa ragione abbiamo utilizzato il nostro modello di lievito per la ricerca di molecole che agiscono come soppressori chimici, ossia composti in grado di ripristinare i difetti fenotipici indotti da mutazioni nel gene OPA1. Attraverso uno screening fenotipico high throughput sono state testate due differenti librerie di composti chimici. Questo approccio, noto con il nome di drug discovery, ha permesso l’identificazione di 23 potenziali molecole attive.

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As defined by the European Union, “ ’Nanomaterial’ (NM) means a natural, incidental or manufactured material containing particles, in an unbound state or as an aggregate or agglomerate, where, for 50 % or more of the particles in the number size distribution, one or more external dimensions is in the size range 1 nm-100 nm ” (2011/696/UE). Given their peculiar physico-chemical features, nanostructured materials are largely used in many industrial fields (e.g. cosmetics, electronics, agriculture, biomedical) and their applications have astonishingly increased in the last fifteen years. Nanostructured materials are endowed with very large specific surface area that, besides making them very useful in many industrial processes, renders them very reactive towards the biological systems and, hence, potentially endowed with significant hazard for human health. For these reasons, in recent years, many studies have been focused on the identification of toxic properties of nanostructured materials, investigating, in particular, the mechanisms behind their toxic effects as well as their determinants of toxicity. This thesis investigates two types of nanostructured TiO2 materials, TiO2 nanoparticles (NP), which are yearly produced in tonnage quantities, and TiO2 nanofibres (NF), a relatively novel nanomaterial. Moreover, several preparations of MultiWalled Carbon Nanotubes (MWCNT), another nanomaterial widely present in many products, are also investigated.- Although many in vitro and in vivo studies have characterized the toxic properties of these materials, the identification of their determinants of toxicity is still incomplete. The aim of this thesis is to identify the structural determinants of toxicity, using several in vitro models. Specific fields of investigation have been a) the role of shape and the aspect ratio in the determination of biological effects of TiO2 nanofibres of different length; b) the synergistic effect of LPS and TiO2 NP on the expression of inflammatory markers and the role played therein by TLR-4; c) the role of functionalization and agglomeration in the biological effects of MWCNT. As far as biological effects elicited by TiO2 NF are concerned, the first part of the thesis demonstrates that long TiO2 nanofibres caused frustrated phagocytosis, cytotoxicity, hemolysis, oxidative stress and epithelial barrier perturbation. All these effects were mitigated by fibre shortening through ball-milling. However, short TiO2 NF exhibited enhanced ability to activate acute pro-inflammatory effects in macrophages, an effect dependent on phagocytosis. Therefore, aspect ratio reduction mitigated toxic effects, while enhanced macrophage activation, likely rendering the NF more prone to phagocytosis. These results suggest that, under in vivo conditions, short NF will be associated with acute inflammatory reaction, but will undergo a relatively rapid clearance, while long NF, although associated with a relatively smaller acute activation of innate immunity cells, are not expected to be removed efficiently and, therefore, may be associated to chronic inflammatory responses. As far as the relationship between the effects of TiO2 NP and LPS, investigated in the second part of the thesis, are concerned, TiO2 NP markedly enhanced macrophage activation by LPS through a TLR-4-dependent intracellular pathway. The adsorption of LPS onto the surface of TiO2 NP led to the formation of a specific bio-corona, suggesting that, when bound to TiO2 NP, LPS exerts a much more powerful pro-inflammatory effect. These data suggest that the inflammatory changes observed upon exposure to TiO2 NP may be due, at least in part, to their capability to bind LPS and, possibly, other TLR agonists, thus enhancing their biological activities. Finally, the last part of the thesis demonstrates that surface functionalization of MWCNT with amino or carboxylic groups mitigates the toxic effects of MWCNT in terms of macrophage activation and capability to perturb epithelial barriers. Interestingly, surface chemistry (in particular surface charge) influenced the protein adsorption onto the MWCNT surface, allowing to the formation of different protein coronae and the tendency to form agglomerates of different size. In particular functionalization a) changed the amount and the type of proteins adsorbed to MWCNT and b) enhanced the tendency of MWCNT to form large agglomerates. These data suggest that the different biological behavior of functionalized and pristine MWCNT may be due, at least in part, to the different tendency to form large agglomerates, which is significantly influenced by their different capability to interact with proteins contained in biological fluids. All together, these data demonstrate that the interaction between physico-chemical properties of nanostructured materials and the environment (cells + biological fluids) in which these materials are present is of pivotal importance for the understanding of the biological effects of NM. In particular, bio-persistence and the capability to elicit an effective inflammatory response are attributable to the interaction between NM and macrophages. However, the interaction NM-cells is heavily influenced by the formation at the nano-bio interface of specific bio-coronae that confer a novel biological identity to the nanostructured materials, setting the basis for their specific biological activities.

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Le nanotecnologie sono un settore emergente in rapida crescita, come dimostra l'esplosione del mercato dei prodotti ad esso collegati. I quantum dot di cadmio solfuro (CdS QD) sono ampiamente utilizzati per la produzione di materiali semiconduttori e dispositivi optoelettronici; tuttavia, non sono ancora completamente chiari gli effetti di questi nanomateriali sulla salute umana. Questo lavoro di dottorato si pone l'obbiettivo di definire il potenziale citotossico e genotossico dei CdS QD in linee cellulari umane e definirne il meccanismo implicato. A questo scopo, essendo il fegato uno dei principali organi di accumulo del cadmio e dei nanomateriali a base di cadmio, è stata utilizzata la linea cellulare HepG2 derivante da un epatocarcinoma umano. È stato evidenziato, in seguito all'assorbimento, da parte delle cellule, dei CdS QD, un effetto citotossico, con conseguente modulazione dell'espressione genica di una serie di geni coinvolti sia nei processi di rescue (autofagia, risposta allo stress) sia in quelli di morte cellulare programmata. È stato, inoltre, dimostrata l'assenza di un rilevante effetto genotossico dipendente da questi nanomateriali. Infine, è stato osservato che cellule esposte ai CdS QD presentano mitocondri con un potenziale di membrana alterato, con conseguente alterazione della funzionalità di tale organello, pur conservando l'integrità del DNA mitocondriale.