926 resultados para Urban social movements
Resumo:
Essa pesquisa tem como objetivo a análise do conflito pela terra no Pontal do Paranapanema (Estado de São Paulo, Brasil), considerando a disputa pelos recursos hídricos e a degradação da saúde ambiental na área denominada do agrohidronegócio canavieiro. Os resultados da pesquisa indicam que a expansão do cultivo da cana nessa região está provocando o agravamento da saúde dos trabalhadores. Por outro lado, a pesquisa também procura identificar modelos alternativos ao projeto hegemônico de desenvolvimento regional baseado na matriz agrohidroenergética. Para isto, a pesquisa tem como interlocutores diversos tipos de movimentos sociais, como o Movimento dos Trabalhadores Sem Terra e o Movimento dos Atingidos por Barragem, além de lideranças sindicais.
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[ES] El presente estudio trata de forma abierta de los cambios que se están produciendo en los métodos de gobernar y en las posibilidades que ofrece la nueva gobernanza a la participación de la ciudadanía para influir en las decisiones que conciernen al territorio y su futuro. También introduce elementos relacionados con el dinamismo que han adquirido los movimientos sociales y la participación política no convencional, precisamente cuando más aumenta la desafección a la política y a los partidos políticos e igualmente se incrementan los índices de abstención electoral.
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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.
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La ricerca affronta il rapporto tra il Partito comunista italiano e le organizzazioni della sinistra extraparlamentare nate nel biennio 1968-1969. Sulla base di documentazione d’archivio e fonti a stampa, vengono ricostruite ed analizzate le relazioni tra questi due soggetti nel periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo, quando i principali gruppi politici della sinistra extraparlamentare si dotarono di una struttura organizzativa più stabile che segnava una discontinuità con l’esperienza precedente. Nel corso della prima metà degli anni Settanta, i rapporti tra il PCI e queste organizzazioni furono complessi e talvolta contraddittori. Il conflitto si consumò prevalentemente sulla reciproca pretesa di possedere l’esclusiva rappresentanza politica del fermento sociale che attraversava il paese in quegli anni: il PCI rappresentando se stesso come l’unica forza politica capace di mediare tra movimenti sociali e istituzioni; i gruppi della sinistra parlamentare come «avanguardie» di un irrealizzabile progetto «rivoluzionario».
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Finnish North American labor contributions and involvement in strikes such as the 1913-14 Michigan Copper Strike are being restored to the historical record and even commemorated; yet some Finnish American communities’ labor history still goes untold. We contend that in the case of DeKalb, Illinois, the Finnish American labor and strike history has been, in part, overshadowed in contemporary remembrance by the city’s promotion of traditional history and commemoration focused on the barbed wire barons. Local Finnish American labor involvement and participation in strikes appears to have been marginalized in favor of a subsequent historical narrative surrounding the capitalist entrepreneurship of elites. However, counter memories of labor struggles may be lost for a variety of reasons. External and internal forces make it difficult for marginalized groups to offer alternatives to the construction of collective memories that exclude them. These forces include, but are not limited to gradual assimilation into dominant culture, internal conflict within social movements, and fear of, or experience with, governmental repression. In our archival research, surveys and interviews with 2nd and 3rd generation Finnish American residents reveal the many forces of “forgetting” that can influence the counter memory of Finnish American labor history in certain communities.
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Approaching Switzerland as a “laboratory” for democracy, this Handbook contributes to a refined understanding of the res publica. Over the years, the Handbook of Swiss Politics has established itself as a classic work. This new and extended second edition of the Handbook comprises 32 chapters, all by leading Swiss political scientists. The contributors write about fundamentals, institutions, interest groups, political parties, new social movements, the cantons and municipalities, elections, popular votes, policy processes and public policies. They address several important issues in the current international debates, such as the internationalization of domestic politics, multi-level governance, and the role of metropolitan agglomerations. Nine new chapters enrich this second, completely updated version. The section on public policies has been significantly extended, and covers a dozen of policy domains. Grounded on the latest scientific knowledge, this volume also serves as an indispensable reference for a non-academic audience of decision-makers, diplomats, senior officials and journalists.
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The article reflects on the difficult relation between community work against domestic violence and local crime prevention under the conditions of the neoliberal state that cuts down on social benefits and promotes self-help, active citizenship and self-responsibility instead while at the same time restoring the punishing state with its strict regime of law-and-order. The author describes a project Tarantula - she started herself while being a social worker in Hamburg, Germany. Tarantula was aimed at strengthening social networks and the neighbours' willingness to get involved in favour of affected women. Although conceptualized as an emancipatory approach referring to community organizing in the tradition of social movements it is questionable whether and how this can really work in the current situation. At present, the field of crime control is being reconfigured as a result of political and administrative decisions, which, for their part, are based on a new structure of social relations and cultural attitudes. The demolition of the 'welfare state' means the re-coding of the security policy that facilitates the development of interventionist techniques that govern and control individuals through their own ability to act.
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I am flattered and privileged to have received four such astute critiques of my work from an international cast. I will reflect at length about many of their points in future work but to respond fully would require a very long article and so I will highlight some of the more salient issues. The authors share misgivings about my commitment to a realist version of governmentality theory so I will try to articulate a bit more clearly how it is different from two major alternative perspectives highlighted by the authors: what I term a `discursive` governmentality perspective (Stenson 2005), and the neo-Marxist regulationist school of political economy. However, deeper normative questions are raised, for example by Wendy Larner, about what it means to be progressive or critical within the broad terrain of liberalism (which can include neo-liberals and neo-conservatives) in the wake of the collapse of communism and much of the power of western labour movements, the rise of the new emancipatory and environmental social movements and varieties of religious fundamentalism. As social scientists and university intellectuals we usually argue that our work differs from journalistic reportage or ideological polemics that gather supportive evidence through selective fact gathering. This is because we dig beneath the flux of events and surface appearances and debates to uncover the deeper structures of thought and social relations that shape our experiences and the flow of events. And we also engage with contrary evidence that troubles our truth claims. This is the work of theory. I accept that theory plays a vital role but argue for a more grounded approach rooted in empirical research using a variety of methods and data sources. Hence I adopt a more cautious approach to conceptions of the `deeper structures` we uncover. At best we can only know them through provisional heuristic modelling and it is best not to reify them.
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The dominant emotion in violence-threatening situations is confrontational tension/fear (ct/f), which causes most violence to abort, or to be carried out inaccurately and incompetently. For violence to be successful, there must be a pathway around the barrier of ct/f. These pathways include: attacking the weak; audience-oriented staged and controlled fair fights; confrontation-avoiding remote violence; confrontation-avoiding by deception; confrontation-avoiding by absorption in technique. Successfully violent persons, on both sides of the law, are those who have developed these skilled interactional techniques. Since successful violence involves dominating the emotional attention space, only a small proportion of persons can belong to the elite which does most of each type of violence. Macro-violence, including victory and defeat in war, and in struggles of paramilitaries and social movements, is shaped by both material resources and social/emotional resources for maintaining violent organizations and forcing their opponents into organizational breakdown. Social and emotional destruction generally precedes physical destruction.
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In his contribution, Joppke justifies his selection of foundational scholars by linking each to what he sees as the three key facets of citizenship: status, rights and identity. Maarten Vink explicitly links his research agenda to the first, status, and outlines why it is so important. In identifying three facets of citizenship, Joppke acknowledges that some academics would include political participation, but he ultimately decides against it. But here we can, and should, broaden citizenship studies by bringing in insights from the behavioral politics tradition in domestic politics - when and why people engage in political acts - and from the social movements literature in sociology. I believe that the American debate on immigration reform, admittedly stalled, would not have advanced as far as it has without the social movement activism of DREAMers - unauthorized young people pushing for a path to citizenship - and the belief that Barack Obama won re-election in part because of the Latino vote. Importantly, one type of political activism demands formal citizenship, the other does not. As many contributors note, the “national models” approach has had a significant impact on citizenship studies. Whether one views such models through a cultural, institutional or historical lens, this tends to be a top-down, macro-level framework. What about immigrants’ agency? In Canada, although the ruling Conservative government is shifting citizenship discourse to a more traditional language - as Winter points out - it has not reduced immigration, ended dual citizenship, or eliminated multiculturalism, all goals of the Reform Party that the current prime minister once helped build. “Lock-in” effects (or policy feedback loops) based on high immigrant naturalization and the coming of age of a second-generation with citizenship also d emands study, in North America and elsewhere. Much of the research thus far suggests that political decisions over citizenship status and rights do not seem linked to immigrants’ political activism. State-centered decision-making may have characterized policy in the early post-World War II period in Europe (and East Asia?), but does it continue to hold today? Majority publics and immigrant-origin residents are increasingly politicized around citizenship and immigration. Does immigrant agency extend citizenship status, rights and identity to those born outside the polity? Is electoral power key, or is protest necessary? How is citizenship practiced, and contested, irrespective of formal status? These are important and understudied empirical questions, ones that demand theoretical creativity - across sub-fields and disciplines - in conceptualizing and understanding citizenship in contemporary times.
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Para entender el surgimiento de los llamados nuevos movimientos sociales partiremos del estudio de la posmodernidad. La crisis de los modelos totalizantes de liberación, de los grandes relatos, y de los cambios en la cultura posmoderna, han permitido el advenimiento de identidades locales y grupos fragmentarios de identificación societaria.
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El proceso social urbano del Gran Mendoza no fue ajeno a los cambios políticos, económicos-financieros, culturales y sociales que se sucedieron a lo largo de la última década del siglo XX en el mundo y en el país. En este caso particular, aquello se manifestó en la ausencia de un proceso urbano socialmente compartido, con motivo de la vigencia de políticas impulsoras del crecimiento económico fortaleciendo a algunos de los factores de la producción cuales son el capital y la obtención de recursos, postergando a los sectores del trabajo y los ingresos. En el presente artículo se analizan el deterioro en éstos últimos y sus impactos en las estructuras sociales urbanas del Gran Mendoza.
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El concepto “desarrollo sustentable" se ha consolidado en la academia, organismos internacionales e instituciones públicas que tienen como una preocupación central el bienestar colectivo o la calidad de vida de la población. También está presente en el discurso de partidos políticos, organizaciones no gubernamentales, movimientos sociales y otros actores de la sociedad civil, que buscan nuevas respuestas a distintos problemas que aquejan a la sociedad y que dicen relación con su estrategia de desarrollo. De esta forma, se trata de un concepto universalmente aceptado y legitimado, aunque su significado no siempre sea unívoco y no conlleve en todos los casos al mismo tipo de acciones. Su fortaleza, sin embargo, radica en su concepción ampliamente compartida como uno de los meta - objetivos de la sociedad. No obstante, tal vez una de las mayores debilidades del concepto sea su (todavía) baja aplicabilidad a la realidad. Como dice Reboratti (2000:202), “desarrollo sostenible es...una meta a alcanzar, una posibilidad que aparece en el futuro y que tal vez nunca alcanzaremos...", pero según reconoce el mismo autor, requiere de al menos un esfuerzo de planificación, que –según entendemos nosotros- ha de contar con herramientas específicas, que permitan encauzar en forma efectiva el desarrollo de un territorio hacia su sustentabilidad. En este contexto, resulta fundamental desarrollar una metodología de ordenamiento territorial que pueda conducir efectivamente a un desarrollo sustentable. Por cierto, es necesario que dicha metodología sea de fácil aplicación, de manera que se constituya en un apoyo eficiente y eficaz para las instituciones responsables de la planificación y administración del territorio. En virtud de lo anterior, el presente trabajo tiene como objetivo general exponer una metodología para la elaboración de un Plan de Ordenamiento Territorial, basada en el concepto de “sustentabilidad", que sea efectiva y simple en su aplicación. Los componentes centrales de esta propuesta metodológica son: (a) la integración de distintas herramientas de análisis para el diagnóstico evaluativo de un territorio, (b) la ponderación de todas las dimensiones de la sustentabilidad, (c) la proposición de instrumentos para el diseño de modelos espaciales que permitan encauzar el desarrollo de un territorio hacia su sustentabilidad, considerando el uso racional de los recursos naturales, la reducción de los riesgos de desastres y el mejoramiento de la calidad de vida de las generaciones presentes y futuras. La metodología propuesta ha sido aplicada a un caso de estudio de escala local, la comuna de San José de Maipo en Santiago de Chile, a través de un ejercicio docente desarrollado por los alumnos de la promoción 2007 en el Taller de Gestión Ambiental, del Magíster en Asentamientos Humanos y Medio Ambiente de la Pontificia Universidad Católica de Chile. El proceso metodológico propuesto considera básicamente dos subprocesos: el diagnóstico evaluativo del sistema territorial y el diseño de un modelo territorial, cuyo resultado es la elaboración de un Plan de Ordenamiento Territorial Sustentable para la comuna de San José de Maipo.
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El objetivo de este trabajo es analizar las relaciones de cooperación y conflicto entre una compañía minera y las comunidades, los Nuevos Movimientos Sociales y los tres niveles de gobierno involucrados. La compañía Minera inició operaciones para una mina a cielo abierto de oro y plata con el apoyo de los gobiernos locales, estatales y federal. Los habitantes de estas comunidades apoyados por grupos ambientalistas y Organizaciones No Gubernamentales argumentan que el proyecto contamina las Fuentes de agua fresca además de perturbar el medio ambiente y la ecología de la región. La metodología empleada consistió en un análisis histórico social para determinar, en un estudio exploratorio, las principales variables económicas, políticas, legales, sociales y culturales que inciden en el caso, sobre todo después de la firma del Tratado de Libre Comercio de América del Norte. Los hallazgos de esta investigación contribuyen a explicar las relaciones de cooperación y conflicto entre las empresas multinacionales que operan en las comunidades, a analizar el rol del gobierno en sus tres niveles y de los nuevos movimientos sociales en la conformación de las economías locales bajo procesos de integración económica regional. Los resultados también son de relevancia por sus contribuciones para el entendimiento de procesos de responsabilidad social corporativa de las empresas transnacionales y los procesos de contestación y acción colectiva de los nuevos movimientos sociales en el desarrollo económico y ambiental de las comunidades locales.