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Solid dispersions (SDs) are an approach to increasing the water solubility and bioavailability of lipophilic drugs such as ursolic acid (UA), a triterpenoid with trypanocidal activity. In this work, Gelucire 50/13, a surfactant compound with permeability-enhancing properties, and silicon dioxide, a drying adjuvant, were employed to produce SDs with UA. SDs and physical mixtures (PMs) in different drug/carrier ratios were characterized and compared using differential scanning calorimetry, hot stage microscopy, Fourier transform infrared spectroscopy (FTIR), X-ray diffraction (XRD), particle size, water solubility values, and dissolution profiles. Moreover, LLC-MK2 fibroblast cytotoxicity and trypanocidal activity evaluation were performed to determine the potential of SD as a strategy to improve UA efficacy against Chagas disease. The results demonstrated the conversion of UA from the crystalline to the amorphous state through XRD. FTIR experiments provided evidence of intermolecular interactions among the drug and carriers through carbonyl peak broadening in the SDs. These findings helped explain the enhancement of water solubility from 75.98 mu g/mL in PMs to 293.43 mu g/mL in SDs and the faster drug release into aqueous media compared with pure UA or PMs, which was maintained after 6 months at room temperature. Importantly, improved SD dissolution was accompanied by higher UA activity against trypomastigote forms of Trypanosoma cruzi, but not against mammalian fibroblasts, enhancing the potential of UA for Chagas disease treatment.

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Objective: To assess safety and efficacy of sitaxsentan 50 and 100 mg in patients with pulmonary arterial hypertension (PAH). Background: Sitaxsentan is a highly selective endothelin-A receptor antagonist that was recently withdrawn by the manufacturer because of a pattern of idiosyncratic liver injury. Methods: Before sitaxsentan withdrawal, this 18-week double-blind, placebo-controlled study randomized patients with PAH to receive placebo or sitaxsentan 50 or 100 mg once daily. The primary efficacy endpoint was change from baseline in 6-min walk distance (6MWD) at week 18. Changes in World Health Organization (WHO) functional class and time to clinical worsening (TTCW) were secondary endpoints. The primary efficacy analysis was powered for sitaxsentan 100 mg versus placebo. Results: Of 98 randomized patients, 61% were WHO functional class II at baseline. Improvement from baseline to week 18 in 6MWD occurred with sitaxsentan 100 but not 50 mg; a strong placebo effect was observed. At week 18, WHO functional class was improved or maintained in more patients receiving sitaxsentan 100 mg than placebo (P = 0.038); 0% versus 12% of patients deteriorated, respectively. TTCW was not significantly different for 100-mg sitaxsentan patients than placebo (P = 0.090). Adverse events (AEs) occurring more frequently with sitaxsentan (50 or 100 mg) included headache, peripheral edema, dizziness, nausea, extremity pain, and fatigue; most AEs were of mild or moderate severity. Conclusion: Sitaxsentan 100 mg improved functional class but not 6MWD in PAH patients who were mostly WHO functional class II at baseline. No patient receiving sitaxsentan 100 mg experienced clinical worsening; sitaxsentan was well tolerated. (C) 2011 Elsevier Ltd. All rights reserved.

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PURPOSE: To evaluate the sulcus anatomy and possible correlations between sulcus diameter and white-to-white (WTW) diameter in pseudophakic eyes, data that may be important in the stability of add-on intraocular lenses (IOLs). SETTING: University Eye Hospital, Tuebingen, Germany. DESIGN: Case series. METHODS: In pseudophakic eyes, the axial length (AL) and horizontal WTW were measured by the IOLMaster device. Cross-sectional images were obtained with a 50 MHz ultrasound biomicroscope on the 4 meridians: vertical, horizontal (180 degrees), temporal oblique, and nasal oblique. Sulcus-to-sulcus (STS), angle-to-angle (ATA), and sclera-to-sclera (ScTSc) diameters were measured. The IOL optic diameter (6.0 mm) served as a control. To test reliability, optic measurements were repeated 5 times in a subset of eyes. RESULTS: The vertical ATA and STS diameters were statistically significantly larger than the horizontal diameter (P=.0328 and P=.0216, respectively). There was no statistically significant difference in ScTSc diameters. A weak correlation was found between WTW and horizontal ATA (r = 0.5766, P<.0001) and between WTW and horizontal STS (r = 0.5040, P=.0002). No correlation was found between WTW and horizontal ScTSc (r = 0.2217, P=.1217). CONCLUSIONS: The sulcus anatomy had a vertical oval shape with the vertical meridian being the largest, but it also had variation in the direction of the largest meridian. The WTW measurements showed a weak correlation with STS. In pseudophakic eyes, Soemmerring ring or a bulky haptic may affect the ciliary sulcus anatomy.

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La tesi analizza il rapporto tra pratiche sociali, modelli di insediamento e morfologia urbana in due casi di costruzione di un tessuto urbano operaio che si prestano ad una stimolante comparazione. Da un lato abbiamo degli immigrati verso un polo industriale dell’area metropolitana milanese (Sesto San Giovanni), dall’altro un bacino minerario vallone (La Louvière). Si tratta di contesti di inserimento in aree industriali profondamente differenti dal punto di vista della morfologia sociale e dell’organizzazione territoriale, che profilano spazi ibridi tra rurale e urbano in profonda e rapida trasformazione, a causa del massiccio afflusso di manodopera immigrata. Le profonde differenze tra le due aree consentono di mettere alla prova dell’analisi comparata concetti e percorsi storici dell’integrazione, del tessuto sociale che la presuppone, della cittadinanza, della costruzione delle identità collettive in modo da superare stereotipe dicotomie tra rurale/urbano, tradizione/moderno, integrazione/conflitto. La tesi sviluppa un’analisi parallela dei due casi lungo un crinale argomentativo unitario che si apre con una ricerca sui flussi migratori e i contesti di approdo delle migrazioni. Nei primi due capitoli viene delineato il contesto economico, sociale e territoriale nel quale si inseriscono i due processi migratori. Per il caso belga, si analizzano il ciclo economico dell’industria carbonifera, il processo di spopolamento della Vallonia, l’avvio dei flussi migratori al termine della seconda guerra mondiale e i meccanismi che li hanno presieduti, vale a dire una migrazione contrattata tra i due governi che spostavano migranti provenienti da poche e selezionate località, rendono conto del primo dei due flussi. Per quanto riguarda il caso interno, viene delineato il contesto della rapida urbanizzazione che porta una serie di comuni contermini al capoluogo lombardo ad entrare nell’orbita metropolitana, qualificandosi come poli periferici di un’area vasta e perdendo la riconoscibilità come nuclei urbani indipendenti. Delineato questo quadro generale, la tesi affronta la questione delle abitazioni e delle forme urbane che assumono queste due mete di migrazione. Per quanto riguarda La Louvière, è ricostruito il duro impatto con il mondo del lavoro nelle miniere e le miserevoli condizioni abitative dei primi immigrati, l’assenza di una iniziativa pubblica nel settore abitativo fino al 1954, solo debolmente compensata dalle iniziative patronali, e la fase invece della seconda metà degli anni ‘50 che porta alla stabilizzazione degli immigrati italiani nell’area. Di Sesto San Giovanni viene ricostruita la complessa transizione a moderna periferia urbana, a partire da insediamenti di tipo rurale, passando attraverso le «Coree» e l’iniziativa pubblica, locale e nazionale, nonché l’intervento edilizio delle grandi imprese industriali che operavano nel suo territorio. L’intervento urbanistico nella cintura metropolitana milanese era al centro di un vivace dibattito sulla pianificazione urbanistica a livello intercomunale che dà luogo a ricerche e studi sulla condizione abitativa. Nell’ultima parte della ricerca, si approfondiscono gli aspetti sociali e culturali del percorso di insediamento e di integrazione nel tessuto urbano. E’ in questa parte che vengono maggiormente utilizzate le fonti orali – sempre opportunamente affiancate e confrontate con altri documenti – al fine di individuare la percezione di sé, della propria identità, le relazioni con altri gruppi sociali, i cambiamenti che la migrazione e l’incontro con la città e l’industria portano nei ruoli di genere, nelle prospettive di vita, nei desideri e nei progetti di questi migranti. Rilevando le peculiarità di due esperienze sociali di migrazione che a partire da contesti di partenza molto simili e portando perlopiù dei contadini ad incontrare città di un mondo lontano, la comparazione profila dinamiche sociali, identitarie e politiche profondamente diverse nei bacini minerari valloni e nella metropoli del miracolo.

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Il primo capitolo di questo lavoro è dedicato all’opera svolta dagli amministratori locali e da un ente governativo come la Camera di commercio per arrivare a decifrare le effettive caratteristiche del quadro locale dal punto di vista economico, sociale, della percezione e del significato che assumono i consumi e gli spazi urbani ad essi dedicati. La caratteristica più originale rilevata dagli amministratori (che contano tra le proprie fila studiosi come Ardigò, Zangheri e Bellettini) è quella di una notevole omogeneità politica e culturale del quadro sociale. E questo, nonostante le massicce immigrazioni che sono, in proporzione, seconde solo quelle di Milano, ma per la stragrande maggioranza provenienti dalla stessa provincia o, al massimo, dalla regione e da analoghi percorsi di socializzazione e di formazione. Fondando essenzialmente su questa omogeneità (capitolo secondo), gli enti bolognesi cercarono di governare la trasformazione della città e anche l’espansione dei consumi che appariva colpita da eccessi e distorsioni. Facendo leva sulle pesanti crisi del 1963-1965 e del 1973-1977, gli amministratori locali puntarono ad ottenere la propria legittimazione fondandola proprio sui consumi, sulla base di una precisa cognizione del nuovo che arrivava, ma schierandosi decisamente a contenerne gli effetti dirompenti sul tessuto locale e indirizzando gli sforzi acquisitivi dei bolognesi sulla base di una temperante razionalizzazione nutrita di pianificazione urbanistica. Ritardi, spinte dal basso, ostacoli burocratici e legislativi resero questi percorsi difficili, o comunque assai poco lineari; fino a che l’ingresso negli anni Ottanta non ne modificò sensibilmente il corso. Ma questo, allo stato attuale delle conoscenze, è già tema per nuova ricerca. Il terzo capitolo è dedicato alla visualizzazione cartografica (GIS) dell’espansione degli spazi commerciali urbani durante le fasi più significative del miracolo.

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This article offers an account of the 50th Ghanaian independence-day celebrations during March 2007. The multi-perspective approach examines how celebrations were experienced in the Ghanaian capital Accra by the political elite and the grass roots at a variety of official and unofficial events that took place on 5 and 6 March 2007. During the festivities the authors accompanied Ghanaian friends from different political factions and thus provide close-hand accounts of political controversies over issues regarding how the nation ought to organise and celebrate its Independence Day, controversies which provide important insights into Ghanaian political culture. From this it is clear that the celebrations not only serve as expressions of national pride but also moments of critical reflection on the nation, national values and socio-political unity. These reflections, manifest as disputes about national and ethnic symbols, centre on the conditions and limits of political, social, ethnic and regional inclusiveness. At the same time, underlying such disputes are commonalities resting not on substantive symbols, cultural traits or other objectifiable characteristics, but on a Ghanaian consensus to agree on the issues at stake and on the rules of debate. Controversy thus functions not to divide but rather to strengthen national consciousness and deepen a sense of commonality that Ghanaians generally express as their commitment to ‘unity in diversity’.