Seven newly discovered intron positions in the triose-phosphate isomerase gene: evidence for the introns-late theory.

The gene encoding the glycolytic enzyme triose-phosphate isomerase (TPI; EC 5.3.1.1) has been central to the long-standing controversy on the origin and evolutionary significance of spliceosomal introns by virtue of its pivotal support for the introns-early view, or exon theory of genes. Putative correlations between intron positions and TPI protein structure have led to the conjecture that the gene was assembled by exon shuffling, and five TPI intron positions are old by the criterion of being conserved between animals and plants. We have sequenced TPI genes from three diverse eukaryotes--the basidiomycete Coprinus cinereus, the nematode Caenorhabditis elegans, and the insect Heliothis virescens--and have found introns at seven novel positions that disrupt previously recognized gene/protein structure correlations. The set of 21 TPI introns now known is consistent with a random model of intron insertion. Twelve of the 21 TPI introns appear to be of recent origin since each is present in but a single examined species. These results, together with their implication that as more TPI genes are sequenced more intron positions will be found, render TPI untenable as a paradigm for the introns-early theory and, instead, support the introns-late view that spliceosomal introns have been inserted into preexisting genes during eukaryotic evolution.

A catalytic mechanism for the dual-specific phosphatases.

Dual-specific protein-tyrosine phosphatases have the common active-site sequence motif HCXXGXXRS(T). The role of the conserved hydroxyl was investigated by changing serine-131 to an alanine (S131A) in the dual-specific protein-tyrosine phosphatase VHR. The pH profile of the kcat/Km value for the S131A mutant is indistinguishable from that of the native enzyme. In contrast, the kcat value for S131A mutant is 100-fold lower than that for the native enzyme, and the shape of the pH profile was perturbed from bell-shaped in the native enzyme to a pH-independent curve over the pH range 4.5-9.0. This evidence, along with results from a previous study, suggests that the S131A mutation alters the rate-limiting step in the catalytic mechanism. Formation of a phosphoenzyme intermediate appears to be rate-limiting with the native enzyme, whereas in the S131A mutant breakdown of the intermediate is rate-limiting. This was confirmed by the appearance of a burst of p-nitrophenol formation when p-nitrophenyl phosphate rapidly reacted with the S131A enzyme in a stopped-flow spectrophotometer. Loss of this hydroxyl group at the active site dramatically diminished the ability of the enzyme to hydrolyze the thiol-phosphate intermediate without exerting any significant change in the steps leading to and including the formation of the intermediate. Consistent with rate-limiting intermediate formation in the native enzyme, the rate of burst in the S131A mutant was 1.5 s-1, which agrees well with the kcat value of 5 s-1 observed for native enzyme. The amplitude of the burst was stoichiometric with final enzyme concentration, and the slow linear rate (0.06 s-1) of p-nitrophenol formation after the burst was in agreement with the steady-state determined value of kcat (0.055 s-1).

Function of the oxidative burst in hypersensitive disease resistance.

Microbial elicitors or attempted infection with an avirulent pathogen strain causes the rapid production of reactive oxygen intermediates. Recent findings indicate that H2O2 from this oxidative burst plays a central role in the orchestration of the hypersensitive response: (i) as the substrate driving the cross-linking of cell wall structural proteins to slow microbial ingress prior to the deployment of transcription-dependent defenses and to trap pathogens in cells destined to undergo hypersensitive cell death, (ii) as a local threshold trigger of this programmed death in challenged cells, and (iii) as a diffusible signal for the induction in adjacent cells of genes encoding cellular protectants such as glutathione S-transferase and glutathione peroxidase. These findings provide the basis for an integrated model for the orchestration of the localized hypersensitive resistance response to attack by an avirulent pathogen.

Identification of cDNA clones encoding valosin-containing protein and other plant plasma membrane-associated proteins by a general immunoscreening strategy.

An approach was developed for the isolation and characterization of soybean plasma membrane-associated proteins by immunoscreening of a cDNA expression library. An antiserum was raised against purified plasma membrane vesicles. In a differential screening of approximately 500,000 plaque-forming units with the anti-(plasma membrane) serum and DNA probes derived from highly abundant clones isolated in a preliminary screening, 261 clones were selected from approximately 1,200 antiserum-positive plaques. These clones were classified into 40 groups by hybridization analysis and 5'- and 3'-terminal sequencing. By searching nucleic acid and protein sequence data bases, 11 groups of cDNAs were identified, among which valosin-containing protein (VCP), clathrin heavy chain, phospholipase C, and S-adenosylmethionine:delta 24-sterol-C-methyltransferase have not to date been cloned from plants. The remaining 29 groups did not match any current data base entries and may, therefore, represent additional or yet uncharacterized genes. A full-length cDNA encoding the soybean VCP was sequenced. The high level of amino acid identity with vertebrate VCP and yeast CDC48 protein indicates that the soybean protein is a plant homolog of vertebrate VCP and yeast CDC48 protein.

La riproduzione nei rettili: nuove prospettive e sviluppi futuri

L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

PipX, the coactivator of NtcA, is a global regulator in cyanobacteria

To modulate the expression of genes involved in nitrogen assimilation, the cyanobacterial PII-interacting protein X (PipX) interacts with the global transcriptional regulator NtcA and the signal transduction protein PII, a protein found in all three domains of life as an integrator of signals of the nitrogen and carbon balance. PipX can form alternate complexes with NtcA and PII, and these interactions are stimulated and inhibited, respectively, by 2-oxoglutarate, providing a mechanistic link between PII signaling and NtcA-regulated gene expression. Here, we demonstrate that PipX is involved in a much wider interaction network. The effect of pipX alleles on transcript levels was studied by RNA sequencing of S. elongatus strains grown in the presence of either nitrate or ammonium, followed by multivariate analyses of relevant mutant/control comparisons. As a result of this process, 222 genes were classified into six coherent groups of differentially regulated genes, two of which, containing either NtcA-activated or NtcA-repressed genes, provided further insights into the function of NtcA–PipX complexes. The remaining four groups suggest the involvement of PipX in at least three NtcA-independent regulatory pathways. Our results pave the way to uncover new regulatory interactions and mechanisms in the control of gene expression in cyanobacteria.

The Use of Nudges in Exergames to Moderate Player Exertion

Exergames are digital games with a physical exertion component. Exergames can help motivate fitness in people not inclined toward exercise. However, players of exergames sometimes over-exert, risking adverse health effects. These players must be told to slow down, but doing so may distract them from gameplay and diminish their desire to keep exercising. In this thesis we apply the concept of nudges—indirect suggestions that gently push people toward a desired behaviour—to keeping exergame players from over-exerting. We describe the effective use of nudges through a set of four design principles: natural integration, comprehension, progression, and multiple channels. We describe two exergames modified to use nudges to persuade players to slow down, and describe the studies evaluating the use of nudges in these games. PlaneGame shows that nudges can be as effective as an explicit textual display to control player over-exertion. Gekku Race demonstrates that nudges are not necessarily effective when players have a strong incentive to over-exert. However, Gekku Race also shows that, even in high-energy games, the power of nudges can be maintained by adding negative consequences to the nudges. We use the term "shove" to describe a nudge using negative consequences to increase its pressure. We were concerned that making players slow down would damage their immersion—the feeling of being engaged with a game. However, testing showed no loss of immersion through the use of nudges to reduce exertion. Players reported that the nudges and shoves motivated them to slow down when they were over-exerting, and fit naturally into the games.

Land, Labour and Capital Markets in European Agriculture: Diversity under a Common Policy. CEPS Paperback. October 2013

Well-functioning factor markets are an essential condition for the competitiveness and sustainable development of agriculture and rural areas. At the same time, the functioning of the factor markets themselves is influenced by changes in agriculture and the rural economy. Such changes can be the result of progress in technology, globalisation and European market integration, changing consumer preferences and shifts in policy. Changes in the Common Agricultural Policy (CAP) over the last decade have particularly affected the rural factor markets. This book analyses the functioning of factor markets for agriculture in the EU-27 and several candidate countries. Written by leading academics and policy analysts from various European countries, these chapters compare the different markets, their institutional framework, their impact on agricultural development and structural change, and their interaction with the CAP. As the first comparative study to cover rural factor markets in Europe, highlighting their diversity − despite the Common Agricultural Policy and an integrated single market − Land, Labour & Capital Markets in European Agriculture provides a timely and valuable source of information at a time of further CAP reform and the continuing transformation of the EU's rural areas.

RED vs. REDD: Biofuel Policy vs. Forest Conservation. Factor Markets Working Document No. 41, May 2013

This paper assesses the complex interplay between global Renewable Energy Directives (RED) and the United Nations programme to Reduce Emissions from Deforestation and forest Degradation (REDD). We examine the interaction of the two policies using a scenario approach with a recursive-dynamic global Computable General Equilibrium model. The consequences of a global biofuel directive on worldwide land use, agricultural production, international trade flows, food prices and food security out to 2030 are evaluated with and without a strict global REDD policy. We address a key methodological challenge of how to model the supply of land in the face of restrictions over its availability, as arises under the REDD policy. The paper introduces a flexible land supply function, which allows for large changes in the total potential land availability for agriculture. Our results show that whilst both RED and REDD are designed to reduce emissions, they have opposing impacts on land use. RED policies are found to extend land use whereas the REDD policy leads to an overall reduction in land use and intensification of agriculture. Strict REDD policies to protect forest and woodland lead to higher land prices in all regions. World food prices are slightly higher overall with some significant regional increases, notably in Southern Africa and Indonesia, leading to reductions in food security in these countries. This said, real food prices in 2030 are still lower than the 2010 level, even with the RED and REDD policies in place. Overall this suggests that RED and REDD are feasible from a worldwide perspective, although the results show that there are some regional problems that need to be resolved. The results show that countries directly affected by forest and woodland protection would be the most economically vulnerable when the REDD policy is implemented. The introduction of REDD policies reduces global trade in agricultural products and moves some developing countries to a net importing position for agricultural products. This suggests that the protection of forests and woodlands in these regions reverses their comparative advantage as they move from being land-abundant to land-scarce regions. The full REDD policy setting, however, foresees providing compensation to these countries to cover their economic losses.

Factor Markets in General Computable Equilibrium Models. Factor Markets Working Document No. 47, May 2013

One objective of Computable general equilibrium (CGE) models is the analysis of economy-wide effects of policy measures. The focus of the Factor Markets project is to analyse the functioning of factor markets for agriculture in the EU-27, including the Candidate Countries. While agricultural and food markets are fully integrated in a European single market, subject to an EU-wide common policy, the Common Agricultural Policy (CAP), this is not the case for the agricultural factor markets capital, labour and land. There are partly serious differences with regard to member state regulations and institutions affecting land, labour and capital markets. The presentation of this heterogeneity of factor markets amongst EU Member States have been implemented in the CGE models to improve model-based analyses of the CAP and other policy measures affecting agricultural production. This final report comprises the outcome of a systematic extension and improvement of the Modular Applied GeNeral Equilibrium Tool (MAGNET) model starting from an overview of the current state of the art to represent factor markets in CGE models to a description of work on labour, land and capital in MAGNET.

Do Too Many Chefs Really Spoil the Broth? The European Commission, Bureaucratic Politics and European Integration, CES Germany & Europe Working Papers, No. 09.2, 5 August 1999

There is a puzzling, little-remarked contradiction in scholarly views of the European Commission. On the one hand, the Commission is seen as the maestro of European integration, gently but persistently guiding both governments and firms toward Brussels. On the other hand, the Commission is portrayed as a headless bunch of bickering fiefdoms who can hardly be bothered by anything but their own in­ ternecine turf wars. The reason these very different views of the same institution have so seldom come into conflict is quite apparent: EU studies has a set of relatively autonomous and poorly integrated sub­ fields that work at different levels of analysis. Those scholars holding the "heroic" view of the Com­ mission are generally focused on the contest between national and supranational levels that character­ ized the 1992 program and subsequent major steps toward European integration. By contrast, those scholars with the "bureaucratic politics" view are generally authors of case studies or legislative his­ tories of individual EU directives or decisions. However, the fact that these twO images of the Commis­ sion are often two ships passing in the night hardly implies that there is no dispute. Clearly both views cannot be right; but then, how can we explain the significant support each enjoys from the empirical record? The CommiSSion, perhaps the single most important supranational body in the world, certainly deserves better than the schizophrenic interpretation the EU studies community has given it. In this paper, I aim to make a contribution toward the unraveling of this paradox. In brief, the argument I make is as follows: the European Commission can be effective in pursuit of its broad integration goals in spite of, and even because of, its internal divisions. The folk wisdom that too many chefs spoil the broth may often be true, but it need not always be so. The paper is organized as follows. 1 begin with an elaboration of the theoretical position briefly out­ lined above. 1 then tum to a case study from the major Commission efforts to restructure the computer industry in the context of its 1992 program. The computer sector does not merely provide interesting, random illustrations of the hypothesis 1 have advanced. Rather, as Wayne Sandholtz and John Zysman have stressed, the Commission's efforts on informatics formed one of the most crucial parts of the en­ tire 1992 program, and so the Commission's success in "Europeanizing" these issues had significant ripple effects across the entire European political economy. I conclude with some thoughts on the fol­ lowing question: now that the Commission has succeeded in bringing the world to its doorstep, does its bureaucratic division still serve a useful purpose?

Petrophysical measurement of ODP Leg 122 and 123 samples (Tables 1, 2)

The capillary-pressure characteristics of 22 samples of lithified post-Paleozoic Indian-Ocean carbonates were compared to published data from older carbonate rocks (lower Paleozoic Hunton Group of Texas and Oklahoma). The Indian-Ocean samples are considerably more porous than are the Paleozoic samples, yet all of the Indian-Ocean samples fit readily into a descriptive petrofacies scheme previously established for the Hunton Group. The Indian-Ocean samples may be assigned to four petrophysical facies (petrofacies) based on the shapes of their capillary-pressure curves, their pore-throat-size distributions, their estimated recovery efficiency values (for nonwetting fluids), and the visual characteristics of their pore systems, as observed with a scanning-electron microscope. Petrofacies assignments for the Indian-Ocean samples are as follows. Petrofacies I includes six samples collected from the coarse basal portions of event deposits (primarily turbidites). These samples have large throats, leptokurtic throat-size distributions, low- to moderate recovery efficiency values, concave cumulative-intrusion capillary-pressure curves, and high porosity values. Petrofacies II includes two sedimentologically dissimilar samples that have medium-size throats, platykurtic throat-size distributions, moderate- to-high recovery efficiency values, gently sloping cumulative-intrusion capillary-pressure curves, and high porosity values. Petrofacies III includes two polymictic sandstones and a skeletal packstone that have small throats, polymodal throat-size distributions, moderate recovery efficiency values, gently sloping cumulative-intrusion capillary-pressure curves, and high porosity values. Petrofacies IV includes 11 samples, mostly recrystallized neritic carbonates, that have small throats, leptokurtic throat-size distributions, high recovery efficiency values, convex cumulative-intrusion capillary-pressure curves, and low porosity values. Comparison of petrofacies assignment to core-, thin-section-, and smear-slide data, and to inferred depositional setting, suggests that pore systems in most samples from Holes 765C and 766A result from primary depositional features, whereas pore systems in samples from Hole 761C and one sample from Hole 765C have been strongly influenced by diagenetic processes. For Hole 761C, prediction of petrophysical parameters should be most successful if based on diagenetic facies patterns. By contrast, the distribution of favorable reservoir facies and of permeability barriers in less highly altered rocks collected from Holes 765C and 766A is related to depositional patterns. Recovery efficiency is inversely related to both porosity and median throat size for the present data set. This relationship is similar to that observed for carbonates of the lower Paleozoic Hunton Group and the Ordovician Ellenburger dolomite, but opposite of that observed for some other ancient carbonates. The coarse deposits of the massive basal units of turbidites are petrophysically distinct and form a coherent petrophysical group (Petrofacies I) with substantial reservoir potential. Two samples assigned to Petrofacies I have extremely large throats (median throat size at least 4 ?m, and at least six times that of any other sample) and therefore high permeability values. These two samples come from thin, coarse turbidites that lack or have poorly developed fine divisions and are interpreted to have been deposited on channeled suprafan lobes in a proximal mid-fan setting. The restriction of extremely high permeability values to a single depositional facies suggests that careful facies mapping of deep-sea fans in a deliberate search for such coarse turbidites could dramatically enhance the success of exploration for aquifers or hydrocarbon reservoirs. Such reservoirs should have substantial vertical heterogeneity. They should have high lateral permeability values but low vertical permeability values, and reservoir sections should include numerous thin units having widely differing petrophysical characteristics.

Grain size analysis on core plugs of sediment core CRP-1 (Table 1, 2)

Twenty four core samples from CRP-1, seven from Quaternary strata (20-43.55 meters below sea floor or mbsf) and seventeen from early Miocene strata (43.55 to 147.69 mbsf), have been analysed for their grain-size distribution using standard sieve and Sedigraph techniques. The results are in good agreement with estimates of texture made as part of the visual core description for the 1 :20 core logs for CRP-1 (Cape Roberts Science Team, 1998). Interpretation of the analyses presented here takes into account the likely setting of the site in Quaternary times as it is today, with CRP-1 high on the landward flank of a well-defined submarine ridge rising several hundred metres above basins on either side. In contrast, seismic geometries for strata deposited in early Miocene times indicate a generally planar sea floor dipping gently seaward. Fossils from these strata indicate shallow water depths (< 100 m), indicating the possibility that waves and tidal currents may have influenced sea floor sediments. The sediments analysed here are considered in terms of 3 textural facies: diamict, mud (silt and clay) and sand. Most of the Quaternary section but only 30% of the early Miocene section is diamict, a poorly sorted mixture of sand and mud with scattered clasts, indicating little wave or current influence on its texture. Although not definitive, diamict textures and other features suggest that the sediment originated as basal glacial debris but has been subsequently modified by minor winnowing, consistent with the field interpretation of this facies as ice-proximal and distal glaciomarine sediment. Sediments deposited directly from glacier ice appear to be lacking. Mud facies sediments, which comprise only 10% of the Quaternary section but a third of the early Miocene section, were deposited below wave base and largely from suspension, and show features (described elsewhere in this volume) indicative of the influence of both glacial and sediment gravity flow processes. Sand facies sediments have a considerable proportion of mud, normally more than 20%, but a well-sorted fine-very fine sand fraction. In the context of the early Miocene coastal setting we interpret these sediments as shoreface sands close to wave base.

Radon 222 excess measured on water bottle samples during HEINCKE cruise HE153

In the years 2000 and 2001 we measured methane concentrations exceeding up to two orders of magnitude the equilibrium with the atmosphere in the water column on the SW-Spitsbergen continental shelf. This methane anomaly extended from its centre on the shelf westwards over the upper slope and eastwards well into the inner basins of the two southernmost Spitsbergen fjords, the Hornsundfjord and the van Mijenfjord. Methane concentrations and stable carbon isotopic ratios varied between 2 and 240 nM, and between -53 per mill and -20 per mill VPDB, respectively. Methane in high concentrations was depleted in 13C whereas in low concentrations d13CCH4 values were highly variable. On the continental shelf we found that methane discharged from seeps on top of sandy and gravelly banks is isotopically heavier than methane escaping from troughs filled with silty and clayey sediments. These distinct isotopic signatures suggest that methane is gently released from several inter-granular seepages or micro-seepages widely spread over the shelf. A potential migration path for thermogenic or hydrate methane may be the Hornsund Fracture Zone, a south-north running reactivated fault system created by stretching of the continental crust. After discharge into the water column, local water currents fed by Atlantic water, coastal water, and freshwater outflows from the fjords further determine pathways and fate of the methane. We used d18Owater and 222Rn data to trace origin and advection of the local water masses and water mixing processes. Methane spreads predominantly along pycnoclines and by vertical mixing. During transport methane is influenced simultaneously by oxidation and dilution, as well as loss into the atmosphere. Together these processes cause the spatial variability of the anomaly and heterogeneity in d13CCH4 in this polar shelf environment.