838 resultados para Francia, José Gaspar Rodríguez de, 1766-1840.


Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

Questa tesi parte da un evento “minore” della storia del XIX secolo per tendere, poi, ad alcuni obiettivi particolari. L’evento è costituito da uno strano funerale postumo, quello di Piero Maroncelli, carbonaro finito alla Spielberg, graziato, poi emigrato in Francia e in America, il cui corpo viene sepolto a New York nell’estate del 1846. Quarant’anni dopo, nel 1886, i resti di Maroncelli vengono esumati e – attraverso una “trafila” particolare, di cui è protagonista la Massoneria, da una sponda all’altra dell’Atlantico – solennemente trasferiti nella città natale di Forlì, dove vengono collocati nel pantheon del cimitero monumentale, inaugurato per l’occasione. Gli eventi celebrativi che si consumano a New York e a Forlì sono molto diversi fra loro, anche se avvengono quasi in contemporanea e sotto regie politiche ispirate dal medesimo radicalismo anticlericale. E’ chiaro che Maroncelli è un simbolo e un pretesto: simbolo di un’italianità transnazionale, composta di un “corpo” in transito, fuori dello spazio nazionale, ma appartenente alla patria (quella grande e quella piccola); pretesto per acquisire e rafforzare legami politici, mercè mobilitazioni di massa in un caso fondate sul festival, sulla festa en plein air, nell’altro sui rituali del cordoglio per i “martiri” dell’indipendenza. L’opportunità di comparare questi due contesti – l’Italia, colta nella sua periferia radicale e la New York della Tammany Hall -, non sulla base di ipotesi astratte, ma nella concretezza di un “caso di studio” reale e simultaneo, consente di riflettere sulla pervasività dell’ideologia democratica nella sua accezione ottocentesca, standardizzata dalla Massoneria, e, d’altro canto, sui riti del consenso, colti nelle rispettive tipicità locali. Un gioco di similitudini e di dissomiglianze, quindi. Circa gli obiettivi particolari – al di là della ricostruzione del “caso” Maroncelli -, ho cercato di sondare alcuni temi, proponendone una ricostruzione in primo luogo storiografica. Da un lato, il tema dell’esilio e del trapianto delle esperienze di vita e di relazione al di fuori del proprio contesto d’origine. Maroncelli utilizza, come strumento di identitario e di accreditamento, il fourierismo; la generazione appena successiva alla sua, grazie alla Giovine Italia, possiede già un codice interno, autoctono, cui fare riferimento; alla metà degli anni Cinquanta, ad esso si affiancherà, con successo crescente, la lettura “diplomatica” di ascendenza sabauda. Dall’altro, ho riflettuto sull’aspetto legato ai funerali politici, al cordoglio pubblico, al trasferimento postumo dei corpi. La letteratura disponibile, al riguardo, è assai ricca, e tale da consentire una precisa classificazione del “caso” Maroncelli all’interno di una tipologia della morte laica, ben delineata nell’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento. E poi, ancora, ho preso in esame le dinamiche “festive” e di massa, approfondendo quelle legate al mondo dell’emigrazione italiana a Mew York, così distante nel 1886 dall’élite colta di quarant’anni prima, eppure così centrale per il controllo politico della città. Dinamiche alle quali fa da contrappunto, sul versante forlivese, la visione del mondo radicale e massonico locale, dominato dalla figura di Aurelio Saffi e dal suo tentativo di plasmare un’immagine morale e patriottica della città da lasciare ai posteri. Quasi un’ossessione, per il vecchio triumviro della Repubblica romana (morirà nel 1890), che interviene sulla toponomastica, sull’edilizia cemeteriale, sui pantheon civico, sui “ricordi” patriottici. Ho utilizzato fonti secondarie e di prima mano. Anche sulle prime, quantitativamente assai significative, mi sono misurata con un lavoro di composizione e di lettura comparata prima mai tentato. La giustapposizione di chiavi di lettura apparentemente distanti, ma giustificate dalla natura proteiforme e complicata del nostro “caso”, apre, a mio giudizio, interessanti prospettive di ricerca. Circa le fonti di prima mano, ho attinto ai fondi disponibili su Maroncelli presso la Biblioteca comunale di Forlì, alle raccolte del Grande Oriente d’Italia a Roma, a periodici italoamericani assai rari, sparsi in diverse biblioteche italiane, da Milano a Roma. Mi rendo conto che la quantità dei materiali reperiti, sovente molto eterogenei, avrebbero imposto una lettura delle fonti più accurata di quella che, in questa fase della ricerca, sono riuscita a condurre. E’ vero, però, che le suggestioni già recuperabili ad un’analisi mirata al contenuto principale – le feste, la propaganda, il cordoglio – consentono la tessitura di una narrazione non forzata, nella quale il ricordo della Repubblica romana viaggia da una sponda all’altra dell’Atlantica, insieme ai resti di Maroncelli; nella quale il rituale massonico funge da facilitatore e da “mediatore culturale”; nella quale, infine, il linguaggio patriottico e la koinè democratica trans-nazionale riescono incredibilmente a produrre o a incarnare identità. Per quanto tempo? La risposta, nel caso forlivese, è relativamente facile; in quello della “colonia” italiana di New York, presto alterata nella sua connotazione demografica dalla grande emigrazione transoceanica, le cose appaiono più complesse. E, tuttavia, nel 1911, cinquantesimo dell’Unità, qualcuno, nella grande metropoli americana, si sarebbe ricordato di Maroncelli, sia pure in un contesto e con finalità del tutto diverse rispetto al 1886: segno che qualcosa, sotto traccia, era sopravvissuto.

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

Fil: Sager, Valeria. Universidad Nacional de La Plata. Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación; Argentina.

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

La pregunta por la identidad cultural puertorriqueña se ha formulado en el pasado y se sigue formulando en la actual literatura de un país que ha creado una literatura nacional a pesar de no haberse constituido como nación independiente. Si tal interrogante se repite con insistencia a lo largo del pasado siglo XX , sus respuestas en cambio se articulan desde la pluralidad de enfoques, aunque en ellas se pueda percibir también una preocupación común que se fundamenta en la condición colonial vigente hoy en día en la isla, estrechamente vinculada al problema de la identidad nacional. A contramarcha de los acercamientos teóricos que proponen el desmantelamiento de la idea de la nación mediante conceptos tales como globalización, transnacionalización, postnacionalidad, en Puerto Rico la pregunta por la identidad nacional sigue generando todavía discusiones, debates, polémicas y, desde el eje de la producción literaria, articulando diversas "ficciones de la puertorriqueñidad", algunas de las cuales procuro analizar en mi trabajo. A lo largo de este estudio me centro particularmente en la compleja relación entre nacionalismo y representación literaria atendiendo a la construcción discursiva y textual de un imaginario de lo puertorriqueño que, en este caso, implica asimismo considerar el peculiar contexto histórico colonial del país. Para concretar el análisis de esta cuestión me detengo en la narrativa de dos autores centrales cuyas ficciones de la puertorriqueñidad pretendo indagar: Edgardo Rodríguez Juliá y Manuel Ramos Otero. Ambos escritores coinciden en comenzar a publicar a comienzos de la década de los años setenta, en un momento de intensa ruptura cultural en las letras puertorriqueñas, como lo testimonia la novela de Luis Rafael Sánchez, La guaracha del Macho Camacho (1976), obra que proyectó de manera significativa la rica literatura puertorriqueña hacia el ámbito latinoamericano. Asimismo tanto Rodríguez Juliá como Ramos Otero se reconocen marcados por el peso histórico que tuvo en Puerto Rico el desarrollo del Partido Popular Democrático liderado por Luis Muñoz Marín, responsable en gran parte del establecimiento del Estado Libre Asociado. Sus historias vitales y textuales están atravesadas por la utopía populista pero también fuertemente signadas por su fracaso, una de cuyas consecuencias más dramáticas lo constituye la emigración forzada de miles de puertorriqueños a Nueva York desde 1952. En este sentido me interesó particularmente analizar los diferentes lugares de enunciación postulados por cada autor, ya que mientras Rodríguez Juliá escribe desde la Isla, Ramos Otero en cambio lo hace desde Nueva York, cuestión que plantea entonces la ampliación de las fronteras nacionales a la hora de pensar qué textos forman parte de la literatura puertorriqueña actual.

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

El presente trabajo analiza la trayectoria como letrado de Jacinto Ventura de Molina (1766-c.1841), un afrodescendiente libre que escribió cartas, memoriales, oraciones y documentos jurídicos sobre diversas materias durante la primera mitad del siglo XIX en Montevideo. Es tal vez el único caso de un escritor afrodescendiente en ese período en el Río de la Plata. El objetivo de este trabajo es proporcionar una descripción densa de su acción en un período de grandes transformaciones, ubicado entre fines del siglo XVIII y las primeras décadas del XIX, en el que cae la dominación colonial española, se dan las guerras por la independencia y se instituye el Estado- nación. En tal sentido procuraré exhibir las tramas de significación que explican a Molina, el proceso de aculturación y alfabetización del que fue objeto, la red de relaciones que fue tejiendo en Montevideo, las dificultades de tomar la palabra en una sociedad racista, su lugar en la cultura letrada montevideana, las implicancias de escribir su propia historia y de asumir la representación colectiva de otros afrodescendientes. En el primer capítulo "Jacinto Ventura de Molina en la ciudad letrada (1766-1837)" reconstruyo la trayectoria letrada de Molina desde la perspectiva del actor y a través de sus manuscritos contrastándola con otra documentación y con la bibliografía sobre el período. Como un ejercicio de microhistoria, a la manera de Carlo Ginzburg, pretendo estudiar a los letrados montevideanos, los modos de circulación de sus textos, la publicación, la educación formal e informal, las reglas de inclusión/exclusión del grupo a través de la perspectiva de un sujeto marginal que la historia dejó a un lado. En el segundo capítulo, "Cultura letrada y etnicidad en el siglo XIX rioplatense", discuto el concepto de ciudad letrada de Angel Rama como modelo teórico para entender al letrado como sujeto y sus relaciones con el poder en América Latina. Propongo a su vez ciertos ajustes al modelo y su sustitución por el concepto de cultura letrada a partir de las distintas críticas que el texto ha recibido desde su publicación en 1984. En los dos capítulos siguientes abordo dos aspectos específicos de los manuscritos. En el capítulo "Escribir «yo»: mimesis y autobiografía", analizo el resultado de asumir la palabra escrita y construir un "yo" a partir de la experiencia de ser un hombre negro en una sociedad racista, la importancia de la mimesis con la cultura de los blancos como estrategia básica para construir un yo y las implicancias de este dispositivo mimético en el caso de Molina (Ramos, 1996). Este capítulo se complementa con una perspectiva comparada sobre las autobiografías de esclavos tanto en el ámbito hispanoamericano como en el anglosajón. En el capítulo "Intermediar, representar: Jacinto Ventura de Molina entre esclavos", estudio la dimensión colectiva de la resistencia de los africanos y sus descendientes en Uruguay y la posición fronteriza que Molina ocupó entre los colectivos de afrodescendientes y el Estado. El trabajo reconstruye el punto de vista de Jacinto Ventura de Molina en la cultura letrada del siglo XIX a través de una perspeciva étnico-racial poco o nada explorada en la historia, la crítica y la teoría de la literatura uruguaya. Creo que su caso permite describir otras posiciones liminares en América Latina y proporcionar herramientas para comprender las posibilidades emancipatorias que la escritura y el accionar colectivo ofrecen a los sujetos subalternos en contextos hostiles como la primera mitad del siglo XIX

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

Moviéndonos en la dimensión disciplinar de la sociología política, abordamos aquí aspectos de la obra del intelectual socialista argentino José María 'Pancho' Aricó [1931-1991]. Exiliado en México en 1976 y con más de veinte años de trayectoria político-intelectual, Aricó reorientará su tarea investigativa hacia temas latinoamericanos, incorporando a las obras de Karl Marx, José Carlos Mariátegui, Juan B. Justo y Antonio Gramsci en esta nueva orientación. A su vez, las transiciones a la democracia en distintos puntos de América Latina promueven en Aricó estudios específicos sobre vinculaciones entre democracia y socialismo, subrayando además como problemático el divorcio que en el transcurso del siglo XX se fue produciendo entre cultura y política. Trabajando sobre el criterio gramsciano de hegemonía y sobre la obra del intelectual reaccionario alemán Carl Schmitt, Aricó ensayará caminos a recorrer, a manera de grandes líneas de respuesta en un contexto de crisis, donde sobresalen su mirada innovadora sobre Mariátegui y un original ejercicio de recuperación crítica de ciertas experiencias de la tradición política asociada al Partido Socialista argentino

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

Este artículo analiza el desarrollo del debate sobre las editoriales "independientes", caracterizando algunos agentes e instituciones que, a partir de la década de 1990, trabajan individual o colectivamente para instaurar nuevas discursividades sobre el tema. El análisis se centra en los casos de Francia, país que se convierte en punto nodal y articulador global de este debate, y Brasil, donde este debate asume rasgos específicos.

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

Más allá de la imagen construida por una "historiografía" de corte "romántico" y "liberal" sobre los indígenas durante el siglo XIX, en el sentido de que éstos fueron una traba al desarrollo económico y social, este artículo demuestra que los nativos de La Guajira colombo-venezolana en el período 1840-1861, se insertaron en el mundo de la circulación de bienes agropecuarios, llevando al mercado de las poblaciones venezolanas de Sinamaica y Las Guardias de Afuera sus excedentes productivos, accediendo a cambio a distintos géneros de los que carecían. A pesar de que el intercambio también generó disputas entre indios y criollos, también se reconoció por las autoridades el beneficio del comercio para la provincia de Maracaibo, razón por la cual éste fue reglamentado

Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

Entre 1956 y 1961 Severo Sarduy publicó una importante cantidad de textos sobre literatura, plástica y teatro cubano en el Diario Libre, Lunes de Revolución, Nueva Revista Cubana, Mañana libre y Combate 13 de Marzo. Participó de la explosión que caracterizó a la prensa literaria cubana a partir de la Revolución y se inscribió en las filas de los intelectuales que trabajaron en favor de ella. Entregado a sus labores de periodista plástico, un muy joven Sarduy entrevista al famoso pintor Mariano Rodríguez (1912-1990), co-fundador junto al escultor Alfredo Lozano (1913-1997) y a los escritores José Lezama Lima (1910-1976) y José Rodríguez Feo (1920-1993) de la revista Orígenes. Esta entrevista fue publicada en La Habana el 12 de octubre de 1959 y en ella se exponen juicios estéticos y políticos sobre el régimen de visibilidad cultural del arte cubano en el nuevo orden social. Cabe destacar que, a pesar de la ruptura que se produjo entre los editores de Orígenes, Mariano Rodríguez se convirtió en el creador del "Eolo" que sirvió de ícono a la postrera revista Ciclón (1955). Por lo tanto, presentamos un recorrido por dicha entrevista profundizando el breve pero significativo vínculo-desencuentro sucedido entre ambos