970 resultados para microbiota intestinale,salami sperimentali,nitriti,acido ascorbico,antiossidanti,SPME-GC-MS
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The well-known antiproliferative properties of the 9-hydroxystearic acid (9-HSA) on human colon cancer cells (HT-29 cell line) have inspired this thesis work in order to obtain new derivatives maintaining the C1-C8 chain of the HSA linked to an heterocyclic moiety at the C-9 carbon atom and to investigate their biological activity. First, thiazoles, thiadiazoles and benzothiazoles, that are compounds of interest in many fields for their biological activities, have been introduced through an amide bond starting from their 2-amino precursors. The products have been obtained by treatment with methyl 9-chloro-9-oxononanoate according to a Schotten-Baumann type reaction. The acylation reaction occurred at the endocyclic nitrogen atom of the heterocycle, as ascertained through NOESY-1D experiment. After, methyl 9-chloro-9-oxononanoate was reacted with indole, N-methylindole, and triptamine giving a serie of new indole derivatives. Finally, the biological activity of some compounds has been tested through assays on HT-29 cancer cells and bacterial and fungal microorganisms; docking calculations have also been performed to evaluate the possible interactions with the active site of histone deacetylase, which are molecular targets of the 9-HSA.
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L’idrotermocarbonizzazione è un processo che permette di convertire un’elevata quantità di materie prime solide in carbone. Ciò viene realizzato inserendo come sostanza in input, oltre alla materia prima iniziale, acqua liquida e, successivamente, riscaldando fino a 180°C, temperatura alla quale inizia la reazione esotermica ed il processo diventa di tipo stand-alone. Tale reazione presenta un tempo di reazione variabile nel range di 4÷12 h. I prodotti in uscita sono costituiti da una sostanza solida che ha le caratteristiche del carbone marrone naturale e un’acqua di processo, la quale è altamente inquinata da composti organici. In questo elaborato viene illustrata una caratterizzazione dei prodotti in uscita da un impianto di idrotermo carbonizzazione da laboratorio, il quale utilizza in input pezzi di legno tagliati grossolanamente. Inizialmente tale impianto da laboratorio viene descritto nel dettaglio, dopodiché la caratterizzazione viene effettuata attraverso DTA-TGA dei materiali in ingresso ed uscita; inoltre altre sostanze vengono così analizzate, al fine di confrontarle col char ed i pezzi di legno. Quindi si riporta anche un’analisi calorimetrica, avente l’obiettivo di determinare il calore di combustione del char ottenuto; attraverso questo valore e il calore di combustione dei pezzi di legno è stato possibile calcolare l’efficienza di ritenzione energetica del processo considerato, così come la densificazione energetica riscontrata nel materiale in uscita. In aggiunta, è stata eseguita un’analisi delle specie chimiche elementari sul char ed il legno in modo da determinare i seguenti parametri: fattori di ritenzione e fattori di ritenzione pesati sulla massa in termini di concentrazione di C, H, N e S. I risultati ottenuti da tale analisi hanno permesso di effettuare una caratterizzazione del char. Un tentativo di attivazione del char viene riportato, descrivendo la procedura di attivazione seguita e la metodologia utilizzata per valutare il buon esito o meno di tale tentativo di attivazione. La metodologia consiste di uno studio isotermo dell’adsorbimento di acido acetico sul char “attivato” attraverso una titolazione. I risultati sperimentali sono stati fittati usando le isoterme di Langmuir e Freundlich e confrontati con le capacità di adsorbimento del semplice char e di un campione di carbone attivo preso da un’azienda esterna. Infine si è considerata l’acqua di processo, infatti un’analisi fotometrica ne ha evidenziato le concentrazioni di TOC, COD, ioni nitrato e ioni fosfato. Questi valori sono stati conseguentemente confrontati con i limiti italiani e tedeschi massimi ammissibili per acque potabili, dando quindi un’idea quantitativa della contaminazione di tale acqua di processo.
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I salumi fermentati sono prodotti caratterizzati da grandi differenze che riguardano la materia prima, gli ingredienti, le dimensioni e le condizioni di maturazione. Questa differenziazione è dovuta a pratiche storiche, culturali e tradizionali che variano da zona a zona. Il processo produttivo nel nostro Paese è però cambiato radicalmente grazie alle innovazioni tecnologiche. Tra queste l’introduzione delle colture starter ha rappresentato una garanzia di maggiore sicurezza igienica e sanitaria ma ha determinato una standardizzazione delle caratteristiche qualitative dei prodotti. Infatti, tutte le trasformazioni biochimiche che avvengono durante la maturazione possono essere influenzate dall’uso degli starter, così come dal diametro dei salami, che influenza la cinetica di perdita dell’acqua e la disponibilità di ossigeno all’interno del prodotto. Lo scopo del lavoro descritto nel mio elaborato è stato quello di valutare l’effetto di queste due variabili su alcune caratteristiche fisico-chimiche, microbiologiche e sul contenuto in amine biogene di salami prodotti industrialmente a partire dalla stessa miscela di ingredienti. Questo impasto carneo è stato addizionato di due starter diversi: oltre all’impiego di Staphylococcus carnosus, un primo lotto è stato inoculato con Lactobacillus sakei mentre un secondo con Pediococcus pentosaceus. Successivamente i due lotti sono stati insaccati in budelli sintetici aventi dimensioni diverse (grande con peso del prodotto all’insacco di 5.3kg e piccolo, con peso all’insacco di 385g). I risultati ottenuti da questa sperimentazione confermano il fatto che la dimensione è uno degli aspetti che maggiormente influenza la caratteristiche del prodotto. Inoltre, anche le colture starter hanno dato risultati diversi indipendentemente dal diametro, dimostrando la necessità di una più approfondita conoscenza tecnologica dei prodotti studiati in relazione alle attività microbiche che si svolgono durante la fermentazione e la maturazione.
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L’utilizzo delle biomasse rappresenta oggi una delle vie più interessanti da percorrere nell’ambito di una chimica industriale maggiormente sostenibile, alternativa alla chimica tradizionale basata sulle risorse fossili. I carboidrati sono i costituenti maggioritari della biomassa e potrebbero rappresentare un’alternativa ideale al petrolio per la produzione dei building-blocks, molecole di partenza per lo sviluppo della filiera produttiva della chimica. Fra i building-blocks ottenibili dagli zuccheri vi è l’acido glucarico. I suoi usi sono molteplici ma suscita grande interesse soprattutto per la possibilità di essere utilizzato nella sintesi di diverse tipologie di polimeri. Attualmente la maggior parte dei metodi di sintesi di questa molecola prevedono l’utilizzo di ossidanti tossici o dannosi per l’ambiente come l’acido nitrico. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato lo studio di catalizzatori eterogenei per la sintesi di acido glucarico da D-glucosio utilizzando ossigeno puro come ossidante. Sono stati sintetizzati sistemi monometallici a base di oro e sistemi multimetallici contenenti oro ed altri metalli in lega. Tutti i catalizzatori sono stati preparati depositando i metalli sotto forma di nanoparticelle su carbone attivo. Lo studio dei catalizzatori è stato focalizzato sull’individuazione dei metalli e delle condizioni di reazione ottimali che permettano di aumentare la selettività in acido glucarico. Gli studi condotti hanno portato alla conclusione che è possibile ottenere acido glucarico a partire da D-glucosio con rese fino al 35% utilizzando catalizzatori a base di oro in presenza di ossigeno. Attualmente l’acido glucarico viene prodotto solo su piccola scala ma ulteriori sviluppi in questa direzione potrebbero aprire la strada allo sviluppo di un nuovo processo industriale per la sintesi di acido glucarico sostenibile sia da un punto di vista economico che ambientale.
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In questo studio verranno descritte formulazioni di materiali innovativi, completamente biodegradabili e compostabili, a base di acido polilattico e biochar. Queste formulazioni sono state ideate per applicazioni nel settore degli imballaggi alimentari, in particolare da utilizzare nella produzione di vaschette ortofrutticole nere termoformate come alternativa alle tradizionali vaschette a base di PP e PET. È stato scelto di testare il biochar poiché rappresenta un composto ecocompatibile esattamente come la matrice polimerica utilizzata, alternativo al carbon black di origine fossile utilizzato in queste applicazioni come colorante. Varie formulazioni di PLA contenenti biochar e plasticizzanti sono state preparate con un miscelatore Brabender e trasformate in fogli tramite una pressa a doppio piatto riscaldante. Da questi film sono stati poi realizzati provini per prove di trazione e strappo. Sono state sviluppate inoltre reazioni di funzionalizzazione sul biochar allo scopo di migliorare la sua la compatibilità con la matrice polimerica rendendo la miscela più omogenea.
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Il presente lavoro ha riguardato lo studio della trasformazione one-pot in fase gas di 1,2-propandiolo ad acido propionico, impiegando il pirofosfato di vanadile (VPP), (VO)2P2O7, e due differenti sistemi a base di bronzi di tungsteno con struttura esagonale (HTB), gli ossidi misti W1V0,3 e W1Mo0,5V0,1. Il processo richiede un catalizzatore con due differenti funzionalità: una acida, principalmente di tipo Brønsted, fornita nel VPP dai gruppi P-OH presenti sulla sua superficie, e negli HTB dai gruppi W-OH sulla loro superficie e dagli ioni H+ nei canali esagonali dell’ossido; e una ossidante, fornita nel VPP dal V, e negli HTB da V e Mo incorporati nella struttura esagonale. I risultati delle prove di reattività hanno consentito di dedurre gli aspetti principali dello schema della reazione one-pot di disidratazione-ossidazione dell’1,2-propandiolo ad acido propionico. I catalizzatori provati non possiedono la combinazione ottimale di proprietà acide e redox necessarie per ottenere elevate rese in acido propionico. Le scarse proprietà ossidanti portano a un accumulo di propionaldeide, che reagisce con l’1,2-propandiolo a dare diossolani, e inoltre dà luogo alla formazione di altri sottoprodotti. È perciò necessario incrementare le proprietà ossidanti del catalizzatore, in modo da accelerare la trasformazione della propionaldeide ad acido propionico, ed evitare quindi che le proprietà acide del catalizzatore, necessarie per compiere il primo stadio di disidratazione di 1,2-propandiolo, siano causa di reazioni parassite di trasformazione dell’aldeide stessa.
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Il lavoro di tesi è focalizzato sull'utilizzo dei controlli non distruttivi (NDT) nell'ambito della manutenzione industriale, in particolare al controllo di un mega-coaster. Dopo una breve panoramica sulle tecniche di indagine più utilizzate, si prosegue nell'ambito specifico dei controlli eseguiti all'interno del parco divertimenti di Mirabilandia, sull'attrazione di punta, ovvero l'inverted-coaster "KATUN". In particolare viene descritto il controllo del tracciato dell'attrazione, ovvero del binario, mediante tecnica ad ultrasuoni. L'elaborato si conclude con un riassunto dei risultati sperimentali ottenuti ed alcune azioni correttive intraprese per il miglioramento dell'efficacia dei controlli stessi.
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In questa tesi si è studiato uno dei principali processi nelle stelle responsabili della nucleosintesi degli elementi pesanti dopo il 56Fe, il processo-s. In particolare sono state illustrate le sorgenti di neutroni che alimentano questo processo e si è analizzata la reazione 22Ne (α,n) 25Mg. Per costruire un valido modello matematico di questo processo è necessario conoscere in maniera accurata il reaction rate di questa reazione. Conseguentemente è necessario conoscere la sezione d'urto di tale reazione in maniera molto accurata. Sono stati condotti diversi esperimenti nel tentativo di valutare la sezione d'urto per via diretta, facendo collidere un fascio di particelle α su un campione di 22Ne. Queste rilevazioni hanno dato esiti non soddisfacenti nell'intervallo di energie riguardanti il processo-s, in quanto, a causa di disturbi dovuti al fondo di raggi cosmici e alla barriera Coulombiana, non è stato possibile osservare risonanze per valori di energie delle particelle α minori di (832± 2) keV. Per colmare la mancanza di dati sperimentali si è deciso di studiare gli stati eccitati del nucleo composto 26Mg tramite la reazione inversa 25Mg+n alle facility n_TOF, situata al CERN, e GELINA al IRMM. Le misure effettuate hanno mostrato diverse risonanze al di sotto di (832±2) keV, compatibili con le spin-parità di 22Ne e α. In seguito è stato stimato il loro contributo al reaction rate e i risultati hanno mostrato che per temperature tipiche di stelle massive il contributo di queste risonanze è trascurabile ma risulta di grande rilevanza alle temperature tipiche delle stelle appartenenti al ramo asintotico delle giganti (AGB).
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Humans harbour nearly 100 trillion intestinal bacteria that are essential for health. Millions of years of co-evolution have moulded this human-microorganism interaction into a symbiotic relationship in which gut bacteria make essential contributions to human nutrient metabolism and in return occupy a nutrient-rich environment. Although intestinal microorganisms carry out essential functions for their hosts, they pose a constant threat of invasion owing to their sheer numbers and the large intestinal surface area. In this Review, we discuss the unique adaptations of the intestinal immune system that maintain homeostatic interactions with a diverse resident microbiota.
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Using a systems biology approach, we discovered and dissected a three-way interaction between the immune system, the intestinal epithelium and the microbiota. We found that, in the absence of B cells, or of IgA, and in the presence of the microbiota, the intestinal epithelium launches its own protective mechanisms, upregulating interferon-inducible immune response pathways and simultaneously repressing Gata4-related metabolic functions. This shift in intestinal function leads to lipid malabsorption and decreased deposition of body fat. Network analysis revealed the presence of two interconnected epithelial-cell gene networks, one governing lipid metabolism and another regulating immunity, that were inversely expressed. Gene expression patterns in gut biopsies from individuals with common variable immunodeficiency or with HIV infection and intestinal malabsorption were very similar to those of the B cell-deficient mice, providing a possible explanation for a longstanding enigmatic association between immunodeficiency and defective lipid absorption in humans.
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Background Inappropriate cross talk between mammals and their gut microbiota may trigger intestinal inflammation and drive extra-intestinal immune-mediated diseases. Epithelial cells constitute the interface between gut microbiota and host tissue, and may regulate host responses to commensal enteric bacteria. Gnotobiotic animals represent a powerful approach to study bacterial-host interaction but are not readily accessible to the wide scientific community. We aimed at refining a protocol that in a robust manner would deplete the cultivable intestinal microbiota of conventionally raised mice and that would prove to have significant biologic validity. Methodology/Principal Findings Previously published protocols for depleting mice of their intestinal microbiota by administering broad-spectrum antibiotics in drinking water were difficult to reproduce. We show that twice daily delivery of antibiotics by gavage depleted mice of their cultivable fecal microbiota and reduced the fecal bacterial DNA load by 400 fold while ensuring the animals' health. Mice subjected to the protocol for 17 days displayed enlarged ceca, reduced Peyer's patches and small spleens. Antibiotic treatment significantly reduced the expression of antimicrobial factors to a level similar to that of germ-free mice and altered the expression of 517 genes in total in the colonic epithelium. Genes involved in cell cycle were significantly altered concomitant with reduced epithelial proliferative activity in situ assessed by Ki-67 expression, suggesting that commensal microbiota drives cellular proliferation in colonic epithelium. Conclusion We present a robust protocol for depleting conventionally raised mice of their cultivatable intestinal microbiota with antibiotics by gavage and show that the biological effect of this depletion phenocopies physiological characteristics of germ-free mice.
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Interspecies interactions of the nasopharyngeal microbiota are likely to be involved in the pathogenesis of acute otitis media (AOM). Capturing the breadth of microbial interactions requires a detailed description of the microbiota during health and AOM.
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OBJECTIVES: The purpose of the study was to determine the prevalence of different oral microbes in gingival plaque samples and in samples from the dorsum of the tongue in a Swiss adolescent population. MATERIALS AND METHODS: Ninety-nine adolescents between 15 and 18 years were enrolled. Plaque index, bleeding on probing (BOP), the periodontal screening index, and decayed missed filled tooth (DMFT) index were recorded. Samples from subgingival plaque and swabs from the tongue were analyzed by the Checkerboard DNA-DNA hybridization method. Additionally, counts of Streptococus mutans and Aggregatibacter actinomycetemcomitans, Porphyromonas gingivalis, Tannerella forsythia, and Treponema denticola were determined by real-time PCR. RESULTS: Periodontitis was not diagnosed in any of the subjects but all of them presented signs of gingival inflammation displaying a mean BOP of 28%. Ten (10.1%) subjects were tested positive for P. gingivalis, each 22 (22.2%) for A. actinomycetemcomitans and T. forsythia, (47.5%) for T. denticola. T. denticola and S. mutans showed a high affinity to the gingival plaque, whereas T. forsythia was often detected from the dorsum of the tongue. DMFT was associated with S. mutans counts, and BOP correlated with counts of P. gingivalis and T. denticola. CONCLUSIONS: The present data indicate that: (a) gingivitis but not periodontitis is a common finding among Swiss adolescents, and (b) bacteria associated with periodontitis were frequently detected in the subgingival dental plaque and on the dorsum of the tongue in Swiss adolescents with gingivitis. CLINICAL RELEVANCE: Although gingivitis was a frequent finding in Swiss adolescents, periodontitis was not detected in this population. The dorsum of the tongue appears to represent an important reservoir for periodontopathic bacteria.
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To test the hypothesis whether microbiota in oral biofilm is linked with obesity in adolescents we designed this cross-sectional study. Obese adolescents (n = 29) with a mean age of 14.7 years and normal weight subjects (n = 58) matched by age and gender were examined with respect to visible plaque index (VPI%) and gingival inflammation (bleeding on probing (BOP%)). Stimulated saliva was collected. They answered a questionnaire concerning medical history, medication, oral hygiene habits, smoking habits, and sociodemographic background. Microbiological samples taken from the gingival crevice was analyzed by checkerboard DNA-DNA hybridization technique. The sum of bacterial cells in subgingival biofilm was significantly associated with obesity (P < 0.001). The link between sum of bacterial cells and obesity was not confounded by any of the studied variables (chronic disease, medication, VPI%, BOP%, flow rate of whole saliva, or meal frequency). Totally 23 bacterial species were present in approximately threefold higher amounts, on average, in obese subjects compared with normal weight controls. Of the Proteobacteria phylum, Campylobacter rectus and Neisseria mucosa were present in sixfold higher amounts among obese subjects. The association between obesity and sum of bacterial cells in oral subgingival biofilm indicates a possible link between oral microbiota and obesity in adolescents.
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A novel non-culture based 16S rRNA Terminal Restriction Fragment Length Polymorphism (T-RFLP) method using the restriction enzymes Tsp509I and Hpy166II was developed for the characterization of the nasopharyngeal microbiota and validated using recently published 454 pyrosequencing data. 16S rRNA gene T-RFLP for 153 clinical nasopharyngeal samples from infants with acute otitis media (AOM) revealed 5 Tsp509I and 6 Hpy166II terminal fragments (TFs) with a prevalence of >10%. Cloning and sequencing identified all TFs with a prevalence >6% allowing a sufficient description of bacterial community changes for the most important bacterial taxa. The conjugated 7-valent pneumococcal polysaccharide vaccine (PCV-7) and prior antibiotic exposure had significant effects on the bacterial composition in an additive main effects and multiplicative interaction model (AMMI) in concordance with the 16S rRNA 454 pyrosequencing data. In addition, the presented T-RFLP method is able to discriminate S. pneumoniae from other members of the Mitis group of streptococci, which therefore allows the identification of one of the most important human respiratory tract pathogens. This is usually not achieved by current high throughput sequencing protocols. In conclusion, the presented 16S rRNA gene T-RFLP method is a highly robust, easy to handle and a cheap alternative to the computationally demanding next-generation sequencing analysis. In case a lot of nasopharyngeal samples have to be characterized, it is suggested to first perform 16S rRNA T-RFLP and only use next generation sequencing if the T-RFLP nasopharyngeal patterns differ or show unknown TFs.