964 resultados para Parapsicologia nel mondo antico


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Il tennis è uno sport molto diffuso che negli ultimi trent’anni ha subito molti cambiamenti. Con l’avvento di nuovi materiali più leggeri e maneggevoli la velocità della palla è aumentata notevolmente, rendendo così necessario una modifica a livello tecnico dei colpi fondamentali. Dalla ricerca bibliografica sono emerse interessanti indicazioni su angoli e posizioni corporee ideali da mantenere durante le varie fasi dei colpi, confrontando i giocatori di altissimo livello. Non vi sono invece indicazioni per i maestri di tennis su quali siano i parametri più importanti da allenare a seconda del livello di gioco del proprio atleta. Lo scopo di questa tesi è quello di individuare quali siano le variabili tecniche che influenzano i colpi del diritto e del servizio confrontando atleti di genere differente, giocatori di livello di gioco diverso (esperti, intermedi, principianti) e dopo un anno di attività programmata. Confrontando giocatori adulti di genere diverso, è emerso che le principali differenze sono legate alle variabili di prestazione (velocità della palla e della racchetta) per entrambi i colpi. Questi dati sono simili a quelli riscontrati nel test del lancio della palla, un gesto non influenzato dalla tecnica del colpo. Le differenze tecniche di genere sono poco rilevanti ed attribuibili alla diversa interpretazione dei soggetti. Nel confronto di atleti di vario livello di gioco le variabili di prestazione presentano evidenti differenze, che possono essere messe in relazione con alcune differenze tecniche rilevate nei gesti specifici. Nel servizio i principianti tendono a direzionare l’arto superiore dominante verso la zona bersaglio, abducendo maggiormente la spalla ed avendo il centro della racchetta più a destra rispetto al polso. Inoltre, effettuano un caricamento minore degli arti inferiori, del tronco e del gomito. Per quanto riguarda il diritto si possono evidenziare queste differenze: l’arto superiore è sempre maggiormente esteso per il gruppo dei principianti; il tronco, nei giocatori più abili viene utilizzato in maniera più marcata, durante la fase di caricamento, in movimenti di torsione e di inclinazione laterale. Gli altri due gruppi hanno maggior difficoltà nell’eseguire queste azioni preparatorie, in particolare gli atleti principianti. Dopo un anno di attività programmata sono stati evidenziati miglioramenti prestativi. Anche dal punto di vista tecnico sono state notate delle differenze che possono spiegare il miglioramento della performance nei colpi. Nel servizio l’arto superiore si estende maggiormente per colpire la palla più in alto possibile. Nel diritto sono da sottolineare soprattutto i miglioramenti dei movimenti del tronco in torsione ed in inclinazione laterale. Quindi l’atleta si avvicina progressivamente ad un’esecuzione tecnica corretta. In conclusione, dal punto di vista tecnico non sono state rilevate grosse differenze tra i due generi che possano spiegare le differenze di performance. Perciò questa è legata più ad un fattore di forza che dovrà essere allenata con un programma specifico. Nel confronto fra i vari livelli di gioco e gli effetti di un anno di pratica si possono individuare variabili tecniche che mostrano differenze significative tra i gruppi sperimentali. Gli evoluti utilizzano tutto il corpo per effettuare dei colpi più potenti, utilizzando in maniera tecnicamente più valida gli arti inferiori, il tronco e l’arto superiore. I principianti utilizzano prevalentemente l’arto superiore con contributi meno evidenti degli altri segmenti. Dopo un anno di attività i soggetti esaminati hanno dimostrato di saper utilizzare meglio il tronco e l’arto superiore e ciò può spiegare il miglioramento della performance. Si può ipotizzare che, per il corretto utilizzo degli arti inferiori, sia necessario un tempo più lungo di apprendimento oppure un allenamento più specifico.

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Nel presente elaborato viene riassunta in 4 brevi capitoli la mia attività di tesi, svolta nell’ambito del progetto Formula SAE® dell’Università di Bologna nell’anno 2010. Il progetto ha consistito nella realizzazione di una vettura monoposto, con l’obiettivo di far competere la stessa negli eventi previsti dalla SAE® (Society of Automotive Engineer), insieme alle vetture progettate e costruite da altri atenei di tutto il mondo. In tali eventi, una serie di giudici del settore auto-motive valuta la bontà del progetto, ovvero della vettura, che sarà sottoposta ad una serie di prove statiche e dinamiche. Nella seguente trattazione si narra quindi il percorso progettuale e di realizzazione del telaio della vettura, ovvero della sua struttura portante principale. Il progetto infatti, nell’ambito del team UniBo Motorsport, mi ha visto impegnato come “Responsabile Telaio” oltre che come “Responsabile in Pista” durante le prove su strada della vettura, svolte a valle della realizzazione. L’obbiettivo principale di un telaio di vettura da corsa è quello di realizzare una struttura che colleghi rigidamente tra loro i gruppi sospensivi anteriore e posteriore e che preveda anche la possibilità di ancorare tutti i componenti dei sistemi ausiliari di cui la vettura deve essere equipaggiata. Esistono varie tipologie di telai per autovettura ma quelle più adatte ad equipaggiare una vettura da competizione di tipo Formula, sono sicuramente il traliccio in tubi (“space frame”) e la monoscocca in fibra di carbonio. Il primo è sicuramente quello più diffuso nell’ambito della Formula Student grazie alla sua maggior semplicità progettuale e realizzativa ed ai minor investimenti economici che richiede. I parametri fondamentali che caratterizzano un telaio vettura da competizione sono sicuramente la massa e la rigidezza. La massa dello chassis deve essere ovviamente il più bassa possibile in quanto quest, costituisce generalmente il terzo contributo più importante dopo pilota e motore alla massa complessiva del veicolo. Quest’ultimo deve essere il più leggero possibile per avere un guidabilità ed una performance migliori nelle prove dinamiche in cui dovrà impegnarsi. Per quanto riguarda la rigidezza di un telaio, essa può essere distinta in rigidezza flessionale e rigidezza torsionale: di fatto però, solo la rigidezza torsionale va ad influire sui carichi che si trasferiscono agli pneumatici della vettura, pertanto quando si parla di rigidezza di un telaio, ci si riferisce alla sua capacità di sopportare carichi di tipo torsionale. Stabilire a priori un valore adeguato per la rigidezza torsionale di un telaio è impossibile. Tale valore dipende infatti dal tipo di vettura e dal suo impiego. In una vettura di tipo Formula quale quella oggetto del progetto, la rigidezza torsionale del telaio deve essere tale da garantire un corretto lavoro delle sospensioni: gli unici cedimenti elastici causati dalle sollecitazioni dinamiche della vettura devono essere quelli dovuti agli elementi sospensivi (ammortizzatori). In base a questo, come indicazione di massima, si può dire che un valore di rigidezza adeguato per un telaio deve essere un multiplo della rigidezza totale a rollio delle sospensioni. Essendo questo per l’Università di Bologna il primo progetto nell’ambito della Formula SAE® e non avendo quindi a disposizione nessun feed-back da studi o vetture di anni precedenti, per collocare in modo adeguato il pilota all’interno della vettura, in ottemperanza anche con i requisiti di sicurezza dettati dal regolamento, si è deciso insieme all’esperto di ergonomia del team di realizzare una maquette fisica in scala reale dell’abitacolo. Questo ha portato all’individuazione della corretta posizione del pilota e al corretto collocamento dei comandi, con l’obbiettivo di massimizzare la visibilità ed il confort di guida della vettura. Con questo primo studio quindi è stata intrapresa la fase progettuale vera e propria del telaio, la quale si è svolta in modo parallelo ma trasversale a quella di tutti gli altri sistemi principali ed ausiliari di cui è equipaggiata la vettura. In questa fase fortemente iterativa si vanno a cercare non le soluzioni migliori ma quelle “meno peggio”: la coperta è sempre troppo corta e il compromesso la fa da padrone. Terminata questa fase si è passati a quella realizzativa che ha avuto luogo presso l’azienda modenese Marchesi & C. che fin dal 1965 si è occupata della realizzazione di telai da corsa per importanti aziende del settore automobilistico. Grazie al preziosissimo supporto dell’azienda, a valle della realizzazione, è stato possibile condurre una prova di rigidezza sul telaio completo della vettura. Questa, oltre a fornire il valore di rigidezza dello chassis, ha permesso di identificare le sezioni della struttura più cedevoli, fornendo una valida base di partenza per l’ottimizzazione di telai per vetture future. La vettura del team UniBo Motorsport ha visto il suo esordio nell’evento italiano della Formula SAE® tenutosi nel circuito di Varano de Melegari nella prima settimana di settembre, chiudendo con un ottimo 16esimo posto su un totale di 55 partecipanti. Il team ha partecipato inoltre alla Formula Student Spain tenutasi sul famoso circuito di Montmelò alla fine dello stesso mese, raggiungendo addirittura il podio con il secondo posto tra i 18 partecipanti. La stagione si chiude quindi con due soli eventi all’attivo della vettura, ma con un notevole esordio ed un ottimo secondo posto assoluto. L’ateneo di Bologna si inserisce al sessantasettesimo posto nella classifica mondiale, come seconda università italiana.

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I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo, perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre, questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana. Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos, Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e, nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario, quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso, dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il 1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli, 1924. 2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979. caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso, collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che, quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte, nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine. Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi. I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già percorse da Wagner. Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.

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Angela da Foligno’s Liber is a fundamental text for the scholar of Women Mystics between the XIIIth and the XIVth century in Italy and all over Europe, and it has been chosen in my research because of its originality, with refer of its feminine and franciscan essence. Angela teaches to the italian hagiographic tradition the internal point of view of the holy woman, who becomes the teller of her both ordinary and extraordinary experiences. After giving references about the religious and social historical universe in evolution during the XIIth century, my research proceeds with a linguistic and rhetorical analysis based upon the Liber. I have been searching in Angela’s text and in contemporary italian feminine hagiography the sensory metaphor of “tasting”. That kind of metaphor has an ancient memory and, thanks to the Origene’s studies - the Christian Father of the IIIrd century - we can easily recognize it already in the Bible; Origene identifies the sensory metaphor as a rhetoric system, able to exemplify the God learning process of soul. Theory of “spiritual senses”, theory of vision and rhetoric, evolving from the IIIrd to the XIIIth century, are the theological and linguistic heritage of our feminine and franciscan literature. Inside of that, the metaphor of “tasting” moves and changes, therefore becoming the favourite way of mystics to represent the contact of their souls with God.

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The aim of this PhD thesis is to study accurately and in depth the figure and the literary production of the intellectual Jacopo Aconcio. This minor author of the 16th century has long been considered a sort of “enigmatic character”, a profile which results from the work of those who, for many centuries, have left his writing to its fate: a story of constant re-readings and equally incessant oversights. This is why it is necessary to re-read Aconcio’s production in its entirety and to devote to it a monographic study. Previous scholars’ interpretations will obviously be considered, but at the same time an effort will be made to go beyond them through the analysis of both published and manuscript sources, in the attempt to attain a deeper understanding of the figure of this man, who was a Christian, a military and hydraulic engineer and a political philosopher,. The title of the thesis was chosen to emphasise how, throughout the three years of the doctorate, my research concentrated in equal measure and with the same degree of importance on all the reflections and activities of Jacopo Aconcio. My object, in fact, was to establish how and to what extent the methodological thinking of the intellectual found application in, and at the same time guided, his theoretical and practical production. I did not mention in the title the author’s religious thinking, which has always been considered by everyone the most original and interesting element of his production, because religion, from the Reformation onwards, was primarily a political question and thus it was treated by almost all the authors involved in the Protestant movement - Aconcio in the first place. Even the remarks concerning the private, intimate sphere of faith have therefore been analysed in this light: only by acknowledging the centrality of the “problem of politics” in Aconcio’s theories, in fact, is it possible to interpret them correctly. This approach proves the truth of the theoretical premise to my research, that is to say the unity and orderliness of the author’s thought: in every field of knowledge, Aconcio applies the rules of the methodus resolutiva, as a means to achieve knowledge and elaborate models of pacific cohabitation in society. Aconcio’s continuous references to method can make his writing pedant and rather complex, but at the same time they allow for a consistent and valid analysis of different disciplines. I have not considered the fact that most of his reflections appear to our eyes as strongly conditioned by the time in which he lived as a limit. To see in him, as some have done, the forerunner of Descartes’ methodological discourse or, conversely, to judge his religious theories as not very modern, is to force the thought of an author who was first and foremost a Christian man of his own time. Aconcio repeats this himself several times in his writings: he wants to provide individuals with the necessary tools to reach a full-fledged scientific knowledge in the various fields, and also to enable them to seek truth incessantly in the religious domain, which is the duty of every human being. The will to find rules, instruments, effective solutions characterizes the whole of the author’s corpus: Aconcio feels he must look for truth in all the arts, aware as he is that anything can become science as long as it is analysed with method. Nevertheless, he remains a man of his own time, a Christian convinced of the existence of God, creator and governor of the world, to whom people must account for their own actions. To neglect this fact in order to construct a “character”, a generic forerunner, but not participant, of whatever philosophical current, is a dangerous and sidetracking operation. In this study, I have highlighted how Aconcio’s arguments only reveal their full meaning when read in the context in which they were born, without depriving them of their originality but also without charging them with meanings they do not possess. Through a historical-doctrinal approach, I have tried to analyse the complex web of theories and events which constitute the substratum of Aconcio’s reflection, in order to trace the correct relations between texts and contexts. The thesis is therefore organised in six chapters, dedicated respectively to Aconcio’s biography, to the methodological question, to the author’s engineering activity, to his historical knowledge and to his religious thinking, followed by a last section concerning his fortune throughout the centuries. The above-mentioned complexity is determined by the special historical moment in which the author lived. On the one hand, thanks to the new union between science and technique, the 16th century produces discoveries and inventions which make available a previously unthinkable number of notions and lead to a “revolution” in the way of studying and teaching the different subjects, which, by producing a new form of intellectual, involved in politics but also aware of scientific-technological issues, will contribute to the subsequent birth of modern science. On the other, the 16th century is ravaged by religious conflicts, which shatter the unity of the Christian world and generate theological-political disputes which will inform the history of European states for many decades. My aim is to show how Aconcio’s multifarious activity is the conscious fruit of this historical and religious situation, as well as the attempt of an answer to the request of a new kind of engagement on the intellectual’s behalf. Plunged in the discussions around methodus, employed in the most important European courts, involved in the abrupt acceleration of technical-scientific activities, and especially concerned by the radical religious reformation brought on by the Protestant movement, Jacopo Aconcio reflects this complex conjunction in his writings, without lacking in order and consistency, differently from what many scholars assume. The object of this work, therefore, is to highlight the unity of the author’s thought, in which science, technique, faith and politics are woven into a combination which, although it may appear illogical and confused, is actually tidy and methodical, and therefore in agreement with Aconcio’s own intentions and with the specific characters of European culture in the Renaissance. This theory is confirmed by the reading of the Ars muniendorum oppidorum, Aconcio’s only work which had been up till now unavailable. I am persuaded that only a methodical reading of Aconcio’s works, without forgetting nor glorifying any single one, respects the author’s will. From De methodo (1558) onwards, all his writings are summae, guides for the reader who wishes to approach the study of the various disciplines. Undoubtedly, Satan’s Stratagems (1565) is something more, not only because of its length, but because it deals with the author’s main interest: the celebration of doubt and debate as bases on which to build religious tolerance, which is the best method for pacific cohabitation in society. This, however, does not justify the total centrality which the Stratagems have enjoyed for centuries, at the expense of a proper understanding of the author’s will to offer examples of methodological rigour in all sciences. Maybe it is precisely because of the reforming power of Aconcio’s thought that, albeit often forgotten throughout the centuries, he has never ceased to reappear and continues to draw attention, both as a man and as an author. His ideas never stop stimulating the reader’s curiosity and this may ultimately be the best demonstration of their worth, independently from the historical moment in which they come back to the surface.

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In the Nineties year in the German Studies’ area appears a new reflection around the theatrical chorus thank to the activity of theatrical personalities as Heiner Müller, Einar Schleef, Elfriede Jelinek or Christoph Marthaler. So Hans Thies Lehmann, in his compendium about the Postdramatic Theater (Hans-Thies Lehmann, Postdramatisches Theater, Verlag der Autoren, Frankfurt am Main 1999) advances the new category of the Chortheater (Chor Theatre) to explain e new form of drama and performative event; again in 1999 appear the important essay of Detlev Baur (Detlev Baur, Der Chor im Theater des 20. Jahrhunderts. Typologie des theatralen Mittels Chor, Niemeyer, Tübingen 1999), that gives an important device about this instrument but without giving the reasons of the its modifications in such different historical times. Then in 2004, Erika Fischer-Lichte, (Theatre, Sacrifice, Ritual. Exploring Forms of Political Theatre, Routledge, London-New York 2005), reflects about the connection between ritual and theatre in the 20th Century. Thank to this studies the search aim was to give a new story of the chorus as theatrical and performative tool, in his liminal essence in creating immersive or alienating theatrical relation with the audience and to give specific features to distinguish it from general categories such as choral theatre o ensemble theatre.

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Cosa e’ stato fatto e il fine della ricerca in questi tre anni si è esaminato il materiale edito sui sarcofagi del periodo in esame, sui culti funerari, i problemi religiosi ed artistici. Per trovare confronti validi si sono resi necessari alcuni viaggi sia in Italia che all’estero. Lo scopo della ricerca è stato quello di “leggere” i messaggi insiti nelle figurazioni delle casse dei sarcofagi, per comprendere meglio la scelta dei committenti verso determinati temi e la ricezione di questi ultimi da parte del pubblico. La tomba, infatti, è l’ultima traccia che l’uomo lascia di sé ed è quindi importante cercare di determinare l’impatto psicologico del monumento funerario sul proprietario, che spesso lo acquistava quando ancora era in vita, e sui familiari in visita alla tomba durante la celebrazione dei riti per i defunti. Nell’ultimo anno, infine, si è provveduto a scrivere la tesi suddivindendo i capitoli e i pezzi in base all’argomento delle figurazioni (mitologici, di virtù, etc.). I capitoli introduttivi Nel primo capitolo di introduzione si è cercato di dare un affresco per sommi capi del periodo storico in esame da Caracalla a Teodosio e della Chiesa di III e IV secolo, mettendo in luce la profonda crisi che gravava sull’Impero e le varie correnti che frammentavano il cristianesimo. In particolare alcune dispute, come quella riguardante i lapsi, sarà alla base di ipotesi interpretative riguardanti la raffigurazione del rifiuto dei tre giovani Ebrei davanti a Nabuchodonosor. Nel capitolo seguente vengono esaminati i riti funerari e il ruolo dei sarcofagi in tali contesti, evidenziando le diverse situazioni emotive degli osservatori dei pezzi e, quindi, l’importanza dei temi trattati nelle casse. I capitolo Questo capitolo tratta dei sarcofagi mitologici. Dopo una breve introduzione, dove viene spiegata l’entrata in uso dei pezzi in questione, si passa alla discussione dei temi, suddivisi in paragrafi. La prima classe di materiali è qualla con la “caduta di Fetonte” la cui interpretazione sembra chiara: una tragedia familiare. Il compianto sul corpo di un ragazzo morto anzi tempo, al quale partecipa tutto il cosmo. L’afflizione dei familiari è immane e sembra priva di una possibile consolazione. L’unico richiamo a riprendere a vivere è solo quello del dovere (Mercurio che richiama Helios ai propri impegni). La seconda classe è data dalle scene di rapimento divino visto come consolazione e speranza in un aldilà felice, come quelle di Proserpina e Ila. Nella trasposizione della storia di Ila è interessante anche notare il fatto che le ninfe rapitrici del giovane – defunto abbiano le sembianze delle parenti già morte e di un fanciullo, probabilmente la madre, la nonna e un fratello deceduto anzi tempo. La terza classe presenta il tema del distacco e dell’esaltazione delle virtù del defunto nelle vesti dei cacciatori mitici Mealeagro, Ippolito e Adone tutti giovani, forti e coraggiosi. In questi sarcofagi ancor più che negli altri il motivo della giovinezza negata a causa della morte è fondamentale per sottolineare ancora di più la disperazione e il dolore dei genitori rimasti in vita. Nella seguente categoria le virtù del defunto sono ancora il tema dominante, ma in chiave diversa: in questo caso l’eroe è Ercole, intento ad affrontare le sue fatiche. L’interpretazione è la virtù del defunto che lo ha portato a vincere tutte le difficoltà incontrate durante la propria vita, come dimostrerebbe anche l’immagine del semidio rappresentato in età diverse da un’impresa all’altra. Vi è poi la categoria del sonno e della morte, con i miti di Endimione, Arianna e Rea Silvia, analizzato anche sotto un punto di vista psicologico di aiuto per il superamento del dolore per la perdita di un figlio, un marito, o, ancora, della sposa. Accanto ai sarcofagi con immagini di carattere narrativo, vi sono numerosi rilievi con personaggi mitici, che non raccontano una storia, ma si limitano a descrivere situazioni e stati d’animo di felicità. Tali figurazioni si possono dividere in due grandi gruppi: quelle con cortei marini e quelle con il tiaso dionisiaco, facendo dell’amore il tema specifico dei rilievi. Il fatto che quello del tiaso marino abbia avuto così tanta fortuna, forse, per la numerosa letteratura che metteva in relazione l’Aldilà con l’acqua: l’Isola dei Beati oltre l’Oceano, viaggi per mare verso il mondo dei morti. Certo in questo tipo di sarcofagi non vi sono esplicitate queste credenze, ma sembrano più che altro esaltare le gioie della vita. Forse il tutto può essere spiegato con la coesistenza, nei familiari del defunto, della memoria retrospettiva e della proiezione fiduciosa nel futuro. Sostanzialmente era un modo per evocare situazioni gioiose e di godimento sensibile, riferendole ai morti in chiave beneaugurale. Per quanto rigurda il tiaso di Bacco, la sua fortuna è stata dettata dal fatto che il suo culto è sempre stato molto attivo. Bacco era dio della festa, dell’estasi, del vino, era il grande liberatore, partecipe della crescita e della fioritura, il grande forestiero , che faceva saltare gli ordinamenti prestabiliti, i confini della città con la campagna e le convenzioni sociali. Era il dio della follia, al quale le menadi si abbandonavano nella danza rituale, che aggrediva le belve, amante della natura, ma che penetra nella città, sconvolgendola. Del suo seguito facevano parte esseri ibridi, a metà tra l’ordine e la bestialità e animali feroci ammansiti dal vino. I suoi nemici hanno avuto destini orribili di indicibile crudeltà, ma chi si è affidato anima e corpo a lui ha avuto gioia, voluttà, allegria e pienezza di vita. Pur essendo un valente combattente, ha caratteri languidi e a tratti femminei, con forme floride e capelli lunghi, ebbro e inebriante. Col passare del tempo la conquista indiana di alessandro si intrecciò al mito bacchico e, a lungo andare, tutti i caratteri oscuri e minacciosi della divinità scomparirono del tutto. Un esame sistematico dei temi iconografici riconducibili al mito di Bacco non è per nulla facile, in quanto l’oggetto principale delle raffigurazioni è per lo più il tiaso o come corteo festoso, o come gruppi di figure danzanti e musicanti, o, ancora, intento nella vendemmia. Ciò che interessava agli scultori era l’atmosfera gioiosa del tiaso, al punto che anche un episodio importante, come abbiamo visto, del ritrovamento di Arianna si pèerde completamente dentro al corteo, affollatissimo di personaggi. Questo perché, come si è detto anche al riguardo dei corte marini, per creare immagini il più possibile fitte e gravide di possibilità associative. Altro contesto iconografico dionisiaco è quello degli amori con Arianna. Sui sarcofagi l’amore della coppia divina è raffigurato come una forma di stupore e rapimento alla vista dell’altro, un amore fatto di sguardi, come quello del marito sulla tomba della consorte. Un altro tema , che esalta l’amore, è senza ombra di dubbio quello di Achille e Pentesilea, allegoria dell’amore coniugale. Altra classe è qualla con il mito di Enomao, che celebra il coraggio virile e l’attitudine alla vittoria del defunto e, se è presente la scena di matrimonio con Ippodamia, l’amore verso la sposa. Infine vi sono i sarcofagi delle Muse: esaltazione della cultura e della saggezza del morto. II capitolo Accanto ad i grandi ambiti mitologici dei due tiasi del capitolo precedente era la natura a lanciare un messaggio di vita prospera e pacifica. Gli aspetti iconografici diq uesto tema sono due: le stagioni e la vita in un ambiente bucolico. Nonostante la varietà iconografica del soggetto, l’idea di fondo rimane invariata: le stagioni portano ai morti i loro doni affinchè possano goderne tutto l’anno per l’eternità. Per quanto riguarda le immagini bucoliche sono ispirate alla vita dei pastori di ovini, ma ovviamente non a quella reale: i committenti di tali sarcofagi non avevano mai vissuto con i pastori, né pensavano di farlo i loro parenti. Le immagini realistiche di contadini, pastori, pescatori, tutte figure di infimo livello sociale, avevano assunto tratti idilliaci sotto l’influsso della poesia ellenistica. Tutte queste visioni di felicità mancano di riferimenti concreti sia temporali che geografici. Qui non vi sono protagonisti e situazioni dialogiche con l’osservatore esterno, attraverso la ritrattistica. I defunti se appaiono sono all’interno di un tondo al centro della cassa. Nei contesti bucolici, che andranno via, via, prendendo sempre più piede nel III secolo, come in quelli filosofici, spariscono del tutto le scene di lutto e di cordoglio. Le immagini dovevano essere un invito a godersi la vita, ma dovevano anche dire qualcosa del defunto. In una visione retrospettiva, forse, si potrebbero intendere come una dichiarazione che il morto, in vita, non si era fatto mancare nulla. Nel caso opposto, poteve invece essere un augurio ad un’esistenza felice nell’aldilà. III capitolo Qui vengono trattati i sarcofagi con l’esaltazione e l’autorappresentazione del defunto e delle sue virtù in contesti demitizzati. Tra i valori ricorrenti, esaltati nei sarcofagi vi è l’amore coniugale espresso dal tema della dextrarum iunctio, simbolo del matrimonio, la cultura, il potere, la saggezza, il coraggio, esplicitato dalle cacce ad animali feroci, il valore guerriero e la giustizia, dati soprattutto dalle scene di battaglia e di giudizio sui vinti. IV capitolo In questo capitolo si è provato a dare una nuova chiave di lettura ai sarcofagi imperiali di S. Elena e di Costantina. Nel primo caso si tratterebbe della vittoria eterna sul male, mentre nel secondo era un augurio di vita felice nell’aldilà in comunione con Dio e la resurrezione nel giorno del giudizio. V capitolo Il capitolo tratta le mediae voces, quei pezzi che non trovano una facile collocazione in ambito religioso poiché presentano temi neutri o ambivalenti, come quelli del buon pastore, di Prometeo, dell’orante. VI capitolo Qui trovano spazio i sarcofagi cristiani, dove sono scolpite varie scene tratte dalle Sacre Scritture. Anche in questo caso si andati al di là della semplice analisi stilistica per cercare di leggere il messaggio contenuto dalle sculture. Si sono scoperte preghiere, speranze e polemiche con le correnti cristiane considerate eretiche o “traditrici” della vera fede, contro la tradizionale interpretazione che voleva le figurazioni essenzialmente didascaliche. VII capitolo Qui vengono esposte le conclusioni da un punto di vista sociologico e psicologico.

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Questa tesi affronta il progetto di riqualificazione energetica, riorganizzazione funzionale ed ampliamento del plesso scolastico a Villa Romiti a Forlì, costituito da tre istituti scolastici (scuola dell'infanzia "Le Api", scuola primaria "P. Squadrani" e scuola secondaria inferiore "G. Mercuriali") inseriti in un comparto su cui insistono anche il palazzetto dello sport "Pala-Romiti" e la torre piezometrica dell'acquedotto, a servizio dell'omonimo quartiere. Al fine di comprendere meglio le dinamiche che intercorrono tra il plesso scolastico, il quartiere in cui è collocato e la città , è stata inizialmente effettuata un'analisi dell'area, del territorio circostante e del sistema scolastico forlivese, che ne ha evidenziato alcuni dei tratti salienti. Il comparto è una superficie pianeggiante di forma rettangolare, con un'estensione di 34000 mq, collocata a ovest del centro storico di Forlì, in prossimità  del fiume Montone e a contatto diretto con il territorio agricolo periurbano, delimitata su due lati dalla rete viaria urbana e sui restanti due dai campi circostanti. Questa particolare collocazione dispone l'area nel punto di incontro tra due diverse trame del territorio: quella urbana definita dall'allineamento dei corpi di fabbrica del quartiere Romiti, ripreso dall'orientamento degli edifici all'interno del plesso scolastico, e la trama agricola derivante dalla centuriazione romana, che segna l'intero territorio circostante in relazione al tracciato dell'antica via Emilia. In seguito, l'attenzione si è focalizzata sulle relazioni tra i vari elementi che occupano l'area e sugli elementi di criticità  che le condizionano. Sulla scorta dei programmi fissati dall'Amministrazione comunale, un ulteriore approfondimento ha permesso di individuare le criticità  a livello del singolo edificio e di delineare le strategie di intervento per la riqualificazione del comparto. Rispetto al sistema scolastico forlivese, che si è sviluppato invece seguendo le direttrici di espansione della città storica verso est, l'area appare come un nucleo isolato, in cui gli indirizzi dell'Amministrazione prevedono di mantenere ed intensificare la presenza di più istituti scolastici, in modo da rafforzarne il carattere di polo di formazione, a servizio di un bacino di utenza molto vasto, che dall'insediamento urbano più prossimo si estende fino alle frazioni presenti sui colli circostanti. La presenza all'interno del comparto del Palazzetto dello sport accentua le difficoltà  di gestione e l'utilizzo promiscuo degli spazi connettivi e di pertinenza, già  complesse a causa della convivenza di diverse scuole. La necessità  di assicurare l'accesso al Palazzetto anche da parte degli utenti esterni alle scuole ha generato una confusa rete di percorsi di accesso all'area; in cui percorrenze carrabili e pedonali si sovrappongono, con conseguenti problemi sia di funzionalità  che di sicurezza, soprattutto per gli alunni degli istituti. Elemento positivo su cui innestare una riqualificazione del plesso è la presenza di estese aree verdi, in parte di pertinenza esclusiva, che ospitano le attività  ludiche degli studenti ma che attualmente soffrono di incuria e di scarsa manutenzione, aggravate dalla mancanza di un efficiente sistema perimetrale di controllo. Il palazzetto dello sport e la torre piezometrica, servizi di quartiere utili alla collettività , rappresentano due emergenze architettoniche che, nell'ottica di una sistemazione planivolumetrica dell'area, necessitano di un'attenzione particolare, al fine di integrarle all'interno di un unico disegno generale di un "campus" scolastico. Approfondendo l'analisi alla scala dei singoli edifici, di ciascuno di essi sono state evidenziate le principali criticità , in termini architettonici, funzionali ed energetici. La scuola primaria "P. Squadrani", costruita alla fine degli anni "40, è un edificio a corte, con un regolare disegno di facciata scandito da aperture ad arco, che gli conferiscono un'identità  architettonica, molto più debole invece negli altri edifici del comparto. Per questo edificio, che presenta problemi legati alla fruizione e all'orientamento delle aule per la didattica, il programma dell'Amministrazione comunale prevede un ampliamento in grado di ospitare un'ulteriore sezione. L'Amministrazione non prevede prossimi interventi, invece, per scuola secondaria inferiore "G. Mercuriali", che però, nonostante la sua costruzione risalga agli anni '80, appare in cattivo stato di conservazione e manca sia di un'adeguata area verde di pertinenza, che di una palestra a uso esclusivo. Infine, la scuola dell'infanzia "Le Api", di recente costruzione, è dotata di un'area verde di grande estensione, ma collocata in posizione sfavorevole, a causa dell'ombra proiettata dall'edificio "Pala-Romiti". Per questo istituto, l'Amministrazione prevede il raddoppio della capienza, per raggiungere il numero di sei unità  pedagogiche complessive. Le analisi effettuate sul comportamento energetico evidenziano che le prestazioni di tutti e tre gli edifici sono inadeguate e devono essere sensibilmente migliorate per allinearsi agli standard della recente normativa regionale (DAL 156/2008 Regione Emilia-Romagna). Sulla base degli elementi emersi dalle analisi preliminari e degli obiettivi fissati dall'Amministrazione comunale, la strategia di progetto adottata si è focalizzata su sette principali obiettivi: riorganizzare il sistema di accessi e percorsi, separando l'uso carrabile da quello pedonale: si è previsto di declassare e riservare ai soli mezzi pubblici il tratto di strada comunale antistante il lato sud del comparto e di innestarvi un asse principale di accesso all'area scolastica, ad uso esclusivo degli utenti delle scuole; attestare sul nuovo asse principale di percorrenza i cinque diversi nuclei funzionali presenti nell'area: le tre scuole, il palazzetto dello sport, il nuovo parco pubblico e infine l'area riservata alla torre piezometrica e ai parcheggi; progettare un'unica nuova scuola per l'infanzia, dimensionata per ospitare tutte le sei sezioni previste, collocata a diretto contatto con il verde agricolo circostante, caratterizzata da una separazione netta -funzionale e volumetrica- tra gli spazi dedicati ai bambini e quelli dedicati al personale e organizzata in due blocchi indipendenti di unità pedagogiche, da tre aule ciascuno, dotate di un ampio spazio esterno di gioco e attività all'aperto; riqualificare energeticamente e funzionalmente la scuola primaria e ampliarla con l'aggiunta di un adiacente corpo di fabbrica di nuova costruzione, in continuità planimetrica e volumetrica con l'edificio esistente, a cui il nuovo volume si collega tramite una corte coperta; sottoporre il "Pala-Romiti" ad un "restyling" delle facciate e riorganizzarne i sistemi di collegamento verticale esterni; riconfigurare l'area di pertinenza esclusiva della scuola secondaria inferiore, raccordandola con il nuovo parco pubblico progettato sull'area liberata dalla demolizione della precedente scuola dell'infanzia, collocato nelle vicinanze dell'attuale parco di quartiere, cosi da rinforzare la presenza di verde urbano nel comparto; dotare la torre piezometrica di una propria via di accesso indipendente, sulla quale vengono concentrati i parcheggi necessari alle esigenze dell'intera area. In sintesi, l'obiettivo da raggiungere attraverso questa tesi è quello di proporre un intervento che analizzi e ponga rimedio alle criticità  e contemporaneamente valorizzi i punti di forza già presenti, cercando di progettare uno spazio a misura di bambino, un'isola pedonale immersa nel verde.

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Il lavoro di tesi si è incentrato sull’analisi dei frammenti di manoscritti ebraici medievali rinvenuti in alcuni archivi e biblioteche dell’area emiliano-romagnola ossia, come è noto, la regione italiana che vanta il maggior numero di frammenti rinvenuti; ben 6.000 frammenti sui circa 10.000 censiti sino ad oggi in tutta l’Italia, vale a dire un numero pari al 60% del totale. Nello specifico è stato esaminato il materiale pergamenaceo ebraico conservato in Archivi e Biblioteche delle città di Cesena, Faenza ed Imola, per un totale di 230 frammenti ebraici. Ho, quindi, proceduto all’identificazione di tutti i frammenti che, se dal punto di vista testuale ci documentano parti delle principali opere ebraiche diffuse nel Medioevo, sotto l’aspetto paleografico ci attestano le tre principali tradizioni scrittorie ebraiche utilizzate in Occidente, ossia: quella italiana, la sefardita e quella ashkenazita, oltre che ad alcuni rari esempi di grafia sefardita di tipo provenzale, una tipologia rara, se si considera che fra i quasi 10.000 frammenti finora scoperti in Italia, il numero di quelli vergati in questa grafia è davvero piccolo. Successivamente ho preso in esame le caratteristiche codicologiche e paleografiche dei frammenti, in particolar modo quelle relative a rigatura, foratura, mise en page e alle varianti grafiche individuali dello scriba, fra cui abbreviazioni, segni grafici di riempimento e resa del tetragramma sacro del nome di Dio, elementi che mi hanno consentito di identificare i frammenti smembrati da uno stesso manoscritto. Ciò ha permesso di individuare ben 80 manoscritti dai quali furono smembrati i 230 frammenti ebraici rinvenuti. Infine, sulla base dei dati raccolti, è stato realizzato un catalogo di tutti i frammenti, all’interno del quale i frammenti sono stati ricomposti per manoscritto. A loro volta, i vari manoscritti, suddivisi per soggetto, sono stati ordinati per secolo, dal più antico al più recente, in base alla grafia in cui sono vergati, ossia: Italiana, Sefardita (Provenzale) o Ashkenazita e per stile: quadrata, semicorsiva e corsiva. A motivo, poi, di nuovi ritrovamenti in diverse località italiane, mi sono dedicata ad un aggiornamento della mia ricerca compiuta per la tesi di Laurea, pubblicata nel 2004, sui frammenti talmudici e midrashici scoperti negli archivi e nelle biblioteche italiani; un genere di letteratura i cui rinvenimenti, per vari motivi, sono estremamente rari. In quell’occasione furono catalogati 475 frammenti talmudici, appartenenti a 151 manoscritti diversi, databili su base paleografica tra i secc. X e XV, e 54 frammenti midrashici appartenenti ad 8 manoscritti databili tra i secc. XII e XV. Ad oggi, dopo 4 anni, sono stati scoperti 21 nuovi frammenti talmudici ed un nuovo frammento midrashico. Nello specifico di questi 21 frammenti: 17 contengono parti tratte dal Talmud babilonese e 4 dal Sefer ha-Halakot di Alfasi (un noto compendio talmudico); mentre il frammento midrashico, rinvenuto presso la Sezione di Archivio di Stato di Foligno, contiene una parte del Midrash haggadah a Deuteronomio, costituendo pertanto già di per se stesso un rinvenimento molto importante. Questo frammento, ad una prima analisi, sembrerebbe completare alcune lacune del Midrash Haggadah ai cinque libri della Torah pubblicato a Vienna nel 1894 da S. Buber sulla base del solo manoscritto esistente che, tuttavia, presentava delle lacune, come riferisce lo stesso autore nella prefazione all’opera.

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ACQUE E NAVIGAZIONE UN NUOVO MUSEO DELLE ACQUE E DELLA NAVIGAZIONE A RAVENNA L’immagine dell’acqua a Ravenna fa riscoprire una storia della città fatta di corsi e specchi d’acqua. Questi, a causa del tempo e dell’opera dell’uomo scomparvero o mutarono profondamente la loro conformazione. L’importanza quindi dello studio di come questa città abbia convissuto negli anni con l’acqua e come l’uomo si sia adattato a queste condizioni è notevole. Ora Ravenna è una citta di “terra”, collegata al mare solo tramite il canale Candiano, le attività e la vita dell’uomo si sono staccate dall’acqua e nel tempo il mare è diventato solo una “vicinanza” perdendo tutto quel fascino e quell’importanza che possedeva nei secoli precedenti. Tra i tanti aspetti del legame passato tra l’uomo e l’acqua, l’imbarcazione risulta il mezzo più tipico e caratterizzante. Grazie a tanti studi fino ad ora compiuti è possibile ricostruire una catalogazione delle imbarcazioni che hanno fatto parte della storia acquatica di Ravenna e che quindi hanno composto la sua storia. L’imbarcazione costituisce una memoria storica e tecnica, essa riflette i cambiamenti storici e tecnico-evolutivi della civiltà delle acque. L’evoluzione delle barche è delle navi è progredita di pari passo con i cambiamenti delle esigenze dell’uomo, fin dall’antichità. Una rappresentazione tra imbarcazione, storia dell'uomo e geomorfologia della acque a Ravenna fa sì che l’argomento ricopra ambiti generali sull’intera civiltà che ha popolato il ravennate. Il museo delle acque a Ravenna vuole essere perciò un percorso nel passato della città, alla scoperta dell’antico legame con l’acqua, legame che forse ormai è stato dimenticato e di cui a volte si ignora l’esistenza. Questo non comporta il forzare un legame ormai abbandonato, ma un rivivere i momenti che hanno caratterizzato la crescita della città fino allo stato attuale. Questo museo mira a integrare il cospicuo patrimonio storico museale di Ravenna andando a colmare una mancanza da me ritenuta importante, appunto una memoria storica delle vita acquatica della città e dei propri abitanti nel tempo. Il tema museale studiato e analizzato verterà su un percorso nella storia della navigazione e del legame che Ravenna ebbe con l’acqua fin dalle sue origini. Questo importante tema prevederà l’esposizione di importanti relitti navali e ritrovamenti storici per i quali sarà obbligatoria l’organizzazione di appositi spazi espositivi per un’ottima conservazione. L’edificio appare come un rigido corpo all’esterno, rivestito in pietra basaltica grigia con tonalità diverse, mentre dal lato del canale risulta notevolmente più aperto, con un lungo porticato in affaccio diretto sull’acqua che segue tutta la forma del l’edificio stesso e che si interrompe solo in prossimità della grande hall d’ingresso in vetro e acciaio. Queste caratteristiche permettono di creare due facce completamente diverse, una molto chiusa e una invece molto aperta, per enfatizzare il senso di scoperta del “mondo acqua” al momento dell’ingresso nell’edificio. Due realtà molto diverse tra loro. Il lato, che affaccia sulla nuova piazza creata all’interno dell’area, rivestito in pietra basaltica grigia, rende una sensazione di chiusura fisica, creata appositamente per stimolare la scoperta dell’acqua sul lato opposto. La facciata è rotta in maniera irregolare da feritoie, quasi come una enorme roccia sull’acqua, sul riferimento del MuMok, il Museo di Arte Moderna Fondazione Ludwig di Ortner & Ortner aVienna.