938 resultados para Floral Marker


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Abstract Background Nectar reabsorption is a widely known phenomenon, related to the strategy of resource-recovery and also to maintain the nectar homeostasis at the nectary. The method currently performed to demonstrate nectar being reabsorbed involves the use of radioactive tracers applied to the nectary. Although this method works perfectly, it is complex and requires specific supplies and equipment. Therefore, here we propose an efficient method to obtain a visual demonstration of nectar reabsorption, adapting the use of Lucifer Yellow CH (LYCH), a fluorescent membrane-impermeable dye that can enter the vacuole by endocytosis. Results We applied a LYCH solution to the floral nectary (FN) of Cucurbita pepo L., which is a species known for its ability of nectar reabsorption, and to the extrafloral nectary (EFN) of Passiflora edulis Sims which does not reabsorb the secreted nectar. In all tests performed, we observed that LYCH stained the nectary tissues differentially according to the reabsorption ability of the nectary. The treated FN of C. pepo presented a concentrated fluorescence at the epidermis that decreased at the deeper nectary parenchyma, until reaching the vascular bundles, indicating nectar reabsorption in the flowers of the species. In contrast, treated EFN of P. edulis presented fluorescence only at the cuticle surface, indicating that nectar is not reabsorbed by that particular tissue. Conclusion LYCH is an efficient marker to demonstrate nectar reabsorption.

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Abstract Introduction Sclerostin levels have been reported to be low in ankylosing spondylitis (AS), but there is no data regarding the possible role of this Wnt inhibitor during anti-tumor necrosis factor (TNF) therapy. The present study longitudinally evaluated sclerostin levels, inflammatory markers and bone mineral density (BMD) in AS patients under anti-TNF therapy. Methods Thirty active AS patients were assessed at baseline, 6 and 12 months after anti-TNF therapy regarding clinical parameters, inflammatory markers, BMD and baseline radiographic damage (mSASSS). Thirty age- and sex-matched healthy individuals comprised the control group. Patients' sclerostin levels, sclerostin binding low-density lipoprotein receptor-related protein 6 (LRP6) and BMD were evaluated at the same time points and compared to controls. Results At baseline, AS patients had lower sclerostin levels (60.5 ± 32.7 vs. 96.7 ± 52.9 pmol/L, P = 0.002) and comparable sclerostin binding to LRP6 (P = 0.387) than controls. Improvement of Bath Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index (BASDAI), Bath Ankylosing Spondylitis Functional Index (BASFI), Bath Ankylosing Spondylitis Metrology Index (BASMI), Ankylosing Spondylitis quality of life (ASQoL) was observed at baseline vs. 6 vs. 12 months (P < 0.01). Concomitantly, a gradual increase in spine BMD (P < 0.001) and a positive correlation between baseline mSASSS and spine BMD was found (r = 0.468, P < 0.01). Inflammatory parameters reduction was observed comparing baseline vs. 6 vs. 12 months (P <0.01). Sclerostin levels progressively increased [baseline (60.5 ± 32.7) vs. 6 months (67.1 ± 31.9) vs. 12 months (72.7 ± 32.3) pmol/L, P <0.001]. At 12 months, the sclerostin levels remained significantly lower in patients compared to controls (72.7 ± 32.3 vs. 96.70 ± 52.85 pmol/L, P = 0.038). Moreover, sclerostin serum levels at 12 months were lower in the 10 patients with high C reactive protein (CRP) (≥ 5 mg/l) compared to the other 20 patients with normal CRP (P = 0.004). Of note, these 10 patients with persistent inflammation also had lower sclerostin serum levels at baseline compared to the other patients (P = 0.023). Univariate logistic regression analysis demonstrated that AS patients with lower sclerostin serum levels had an increased risk to have high CRP at 12 months (odds ratio = 7.43, 95% CI 1.23 to 45.01, P = 0.020) than those with higher sclerostin values. Conclusions Persistent low sclerostin levels may underlie continuous inflammation in AS patients under anti-TNF therapy.

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Introduzione: Il cervico-carcinoma è la seconda neoplasia maligna per incidenza e mortalità nelle donne in tutto il mondo dopo il cancro al seno. L’infezione persistente da Papillomavirus Umani (HPV) è causa necessaria dell’insorgenza del cervico-carcinoma e delle sue lesioni pre-cancerose. L’infezione da HPV si associa anche ad altri carcinomi del distretto ano-genitale (a livello anale, vulvare, vaginale e del pene) e a circa il 25% dei carcinomi squamosi dell’orofaringe. I circa 40 genotipi di HPV che infettano la mucosa genitale vengono suddivisi in alto rischio (HR-HPV) e basso rischio (LR-HPV) oncogeno a seconda della alta e bassa associazione con la neoplasia cervicale. I 13 genotipi a più alto rischio oncogeno sono 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59 e 68. Di questi, otto (16, 18, 31, 33, 35, 45, 52 e 58) sono associati alla maggior parte dei carcinomi cervicali (circa 89%) e i genotipi 16 e 18 da soli sono riscontrati nel 70% circa delle neoplasie. L’insorgenza e progressione delle lesioni preneoplastiche cervicali è, però, associata non solo alla presenza di HPV ad alto rischio, ma, soprattutto, alla persistenza virale (> 18 mesi), alla capacità di integrazione degli HPV ad alto rischio e alla conseguente sovraespressione delle oncoproteine E6/E7. Inoltre, l’integrazione è spesso favorita da un’alta carica virale soprattutto per quanto riguarda alcuni genotipi (HPV16 e 18). L’infezione da HPV non interessa solo la cervice uterina ma tutto il distretto ano-genitale e quello testa-collo. L’HPV, in particolare il genotipo 16, è implicato, infatti, nell’insorgenza delle lesioni preneoplastiche della vulva (VIN) classificate come VIN classiche e nei carcinomi ad esse associati. L’incidenza del carcinoma vulvare in Europa è di 1.5/100.000 di cui circa il 45% è dovuto a HR-HPV (80% ad HPV16). Nonostante l’associazione tra HPV16 e carcinoma vulvare sia alta, ancora poco si conosce sul ruolo della carica virale e dell’integrazione in tali lesioni. Le lesioni che possono presentarsi nella regione testa-collo possono essere sia di natura benigna che maligna. I genotipi più frequentemente riscontrati in associazione a lesioni benigne (papillomi) sono HPV 6 e 11, quelli associati a forme tumorali (HNSCC) sono il genotipo 18 ma soprattutto il 16. Molti aspetti del coinvolgimento di HPV in queste patologie non sono ancora perfettamente conosciuti e spesso studi su tale argomento hanno mostrato risultati contraddittori, soprattutto perché vengono utilizzate metodiche con gradi diversi di sensibilità e specificità. Recenti dati di letteratura hanno tuttavia messo in evidenza che i pazienti affetti da HNSCC positivi ad HPV hanno una elevata risposta al trattamento chemioradioterapico rispetto ai pazienti HPV-negativi con un notevole impatto sul controllo locale e sulla sopravvivenza ma soprattutto sulla qualità di vita di tali pazienti, evitando di sottoporli a chirurgia sicuramente demolitiva. Scopo del lavoro: Sulla base di queste premesse, scopo di questo lavoro è stato quello di valutare l’importanza di marker quali la presenza/persistenza di HPV, la carica virale, la valutazione dello stato fisico del genoma virale e l’espressione degli mRNA oncogeni nella gestione di pazienti con lesioni preneoplastiche e neoplastiche di diverso grado, associate a papillomavirus mucosi. Per la valutazione dei markers virologici di progressione neoplastica abbiamo sviluppato dei saggi di real time PCR qualitativi e quantitativi studiati in modo da poter fornire, contemporaneamente e a seconda delle esigenze, risposte specifiche non solo sulla presenza e persistenza dei diversi genotipi di HPV, ma anche sul rischio di insorgenza, progressione e recidiva delle lesioni mediante lo studio di markers virologici quali carica virale, integrazione ed espressione degli mRNA. Abbiamo pertanto indirizzato la nostra attenzione verso tre popolazioni specifiche di pazienti: - donne con lesioni vulvari preneoplastiche (VIN) e neoplastiche, allo scopo di comprendere i complessi meccanismi patogenetici di tali patologie non sempre associate ad infezione da HPV; - pazienti con lesioni maligne a livello della regione testa-collo allo scopo di fornire informazioni utili all’elaborazione di un percorso terapeutico mirato (radiochemioterapico o chirurgico) a seconda o meno della presenza di infezione virale; - donne con lesioni cervicali di alto grado, trattate chirurgicamente per la rimozione delle lesioni e seguite nel follow-up, per stabilire l’importanza di tali marker nella valutazione della persistenza virale al fine di prevenire recidive di malattia.

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Ein bei unterschiedlichen Zellinien mit NMR-Spektroskopie beobachteter vorübergehender Anstieg von ATP während Anthracyclinbehandlungen sollte in vitro an Monolayern bzw. Sphäroiden der humanen Brustkrebszellinien T47D, MCF-7, MCF-7adr und MCF-7mdr während 24stündigen Inkubationen mit 10 oder 0,1 µM Doxorubicin systematisch untersucht werden. Wachstumskurven sowie Clonogenitäts- und Vitalitätstests ergaben, daß T47D Zellen wesentlich empfindlicher auf das Medikament reagierten, als die MCF-7 Linie oder deren resistente Subklone. Eine zusätzliche Behandlung mit dem (-Tocopherol-Analogon CR-6 führte zu einer Verstärkung der Doxorubicinwirkung. Licht- oder elektronenmikroskopische Untersuchungen an Monolayern und Sphäroiden zeigten sowohl Apoptosen als auch Nekrosen, wobei Apoptosen vermehrt bei weniger empfindlichen Zellen oder niedriger Dosierung auftraten. Die Quantifizierung der Purinnukleotide erfolgte mit Hilfe der HPLC, bei T47D Sphäroiden zusätzlich mit abbildender Biolumineszenz. Bei sämtlichen Zellinien wurden während der Behandlung mit 10 µM vorübergehende Anstiege aller Purinnukleotide gemessen, wobei GTP höher stieg (78 % der unbehandelten Kontrolle) als ATP (30 %). Der Anstieg war bei T47D Zellen wesentlich höher als bei MCF-7, die MCF-7 Subklone zeigten untereinander keine deutlichen Unterschiede. Bei Sphäroiden war der Effekt etwas geringer als bei Monolayern. Die Inkubation mit 0,1 µM führte zu einem deutlich geringeren Anstieg. Der Effekt korrelierte mit einem massiven vorwiegend nekrotischen Zellsterben.

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Introduction. Neutrophil Gelatinase-Associated Lipocalin (NGAL) belongs to the family of lipocalins and it is produced by several cell types, including renal tubular epithelium. In the kidney its production increases during acute damage and this is reflected by the increase in serum and urine levels. In animal studies and clinical trials, NGAL was found to be a sensitive and specific indicator of acute kidney injury (AKI). Purpose. The aim of this work was to investigate, in a prospective manner, whether urine NGAL can be used as a marker in preeclampsia, kidney transplantation, VLBI and diabetic nephropathy. Materials and methods. The study involved 44 consecutive patients who received renal transplantation; 18 women affected by preeclampsia (PE); a total of 55 infants weighing ≤1500 g and 80 patients with Type 1 diabetes. Results. A positive correlation was found between urinary NGAL and 24 hours proteinuria within the PE group. The detection of higher uNGAL values in case of severe PE, even in absence of statistical significance, confirms that these women suffer from an initial renal damage. In our population of VLBW infants, we found a positive correlation of uNGAL values at birth with differences in sCreat and eGFR values from birth to day 21, but no correlation was found between uNGAL values at birth and sCreat and eGFR at day 7. systolic an diastolic blood pressure decreased with increasing levels of uNGAL. The patients with uNGAL <25 ng/ml had significantly higher levels of systolic blood pressure compared with the patients with uNGAL >50 ng/ml ( p<0.005). Our results indicate the ability of NGAL to predict the delay in functional recovery of the graft. Conclusions. In acute renal pathology, urinary NGAL confirms to be a valuable predictive marker of the progress and status of acute injury.

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Scopo del nostro studio è quello di valutare i disturbi cognitivi in relazione al tasso di microembolia cerebrale in due gruppi di pazienti trattati per lesione carotidea asintomatica con endoarterectomia (CEA) o stenting (CAS). Comparando le due metodiche mediante l’utilizzo di risonanza magnetica in diffusione (DW-MRI), neuromarkers (NSE e S100β) e test neuropsicometrici. MATERIALE E METODI: 60 pazienti sono stati sottoposti a rivascolarizzazione carotidea (CEA n=32 e CAS n=28). Sono stati tutti valutati con DW-MRI e Mini-Mental State Examination (MMSE) test nel preoperatorio, a 24 ore, a 6 ed a 12 mesi dall’intervento. In tutti sono stati dosati i livelli sierici di NSE e S100β mediante 5 prelievi seriati nel tempo, quello basale nel preoperatorio, l’ultimo a 24 ore. L’ananlisi statistica è stata effettuata con test t di Student per confronti multipli per valori continui e con test χ2 quadro e Fisher per le variabili categoriche. Significatività P <0,05. RISULTATI: Non vi è stato alcun decesso. Un paziente del gruppo CAS ha presentato un ictus ischemico. In 6 pazienti CAS ed in 1 paziente CEA si sono osservate nuove lesioni subcliniche alla RMN-DWI post-operatoria (21,4% vs 3% p=0,03). Nel gruppo CAS le nuove lesioni presenti alla RMN sono risultate significativamente associate ad un declino del punteggio del MMSE (p=0,001). L’analisi dei livelli di NSE e S100β ha mostrato un significativo aumento a 24 ore nei pazienti CAS (P = .02). A 12 mesi i pazienti che avevano presentato nuove lesioni ischemiche nel post-operatorio hanno mostrato minor punteggio al MMSE, non statisticamente significativo. CONCLUSIONI: I neuromarkers in combinazione con MMSE e RMN-DWI possono essere utilizzati nella valutazione del declino cognitivo correlato a lesioni silenti nell’immediato postoperatorio di rivascolarizzazione carotidea. Quest’ultime dovrebbero essere valutate quindi non solo rispetto al tasso di mortalità e ictus, ma anche rispetto al tasso di microembolia.

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La poliradicoloneurite acuta idiopatica (ACIP) è una patologia infiammatoria che interessa le radici di più nervi spinali, descritta soprattutto nel cane, più raramente nel gatto, caratterizzata da insorgenza acuta di paresi/paralisi flaccida. L’ACIP mostra notevoli similitudini con la sindrome di Guillan-Barrè dell’uomo (GBS), in cui la patogenesi è su base autoimmunitaria ed è stata correlata con la presenza di alcuni fattori scatenanti (trigger). Lo scopo di questo lavoro è stato quello di caratterizzare l’ACIP in 26 cani, descrivendone la sintomatologia, l’evoluzione clinica, i risultati degli esami diagnostici. La diagnosi si è basata sui riscontri dell’anamnesi, della visita neurologica e del decorso confermata, quando possibile, dai rilievi elettrodiagnostici. Su tutti i cani è stata valutata l’esposizione a specifici agenti infettivi (Toxoplasma gondii, Neospora canunim, Ehrlichia canis, Leishmania infantum), o altri fattori (come vaccinazioni) che potrebbero aver agito da “trigger” per l’instaurarsi della patologia; sull’intera popolazione e su 19 cani non neurologici (gruppo di controllo), si è proceduto alla ricerca degli anticorpi anti-gangliosidi. La sintomatologia di più frequente riscontro (25/26) ha coinvolto la funzione motoria (paresi/plegia) con prevalente interessamento dei 4 arti (24/25) . Sei cani hanno ricevuto una terapia farmacologica, che non ne ha influenzato il decorso, favorevole in 24/26 casi. In 9 pazienti è stata rilevata una precedente esposizione a potenziali trigger; in 10 casi si è riscontrato un titolo anticorpale positivo ad almeno un agente infettivo testato. In 17/26 cani si è ottenuto un titolo anticorpale anti-GM2 e anti-GA1; nella popolazione di controllo solo un caso è risultato positivo. Questi risultati hanno contribuito a consolidare le conoscenze di questa patologia, validando l’utilità della ricerca anticorpale anti-gangliosidica per la diagnosi di ACIP e facendo intravedere la possibilità che l’ACIP possa essere assimilate alla GBS anche dal punto di vista patogenetico, per la quale potrebbe essere considerata come modello animale spontaneo.

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In this study the population structure and connectivity of the Mediterranean and Atlantic Raja clavata (L., 1758) were investigated by analyzing the genetic variation of six population samples (N = 144) at seven nuclear microsatellite loci. The genetic dataset was generated by selecting population samples available in the tissue databases of the GenoDREAM laboratory (University of Bologna) and of the Department of Life Sciences and Environment (University of Cagliari), all collected during past scientific surveys (MEDITS, GRUND) from different geographical locations in the Mediterranean basin and North-east Atlantic sea, as North Sea, Sardinian coasts, Tuscany coasts and Cyprus Island. This thesis deals with to estimate the genetic diversity and differentiation among 6 geographical samples, in particular, to assess the presence of any barrier (geographic, hydrogeological or biological) to gene flow evaluating both the genetic diversity (nucleotide diversity, observed and expected heterozygosity, Hardy- Weinberg equilibrium analysis) and population differentiation (Fst estimates, population structure analysis). In addition to molecular analysis, quantitative representation and statistical analysis of morphological individuals shape are performed using geometric morphometrics methods and statistical tests. Geometric coordinates call landmarks are fixed in 158 individuals belonging to two population samples of Raja clavata and in population samples of closely related species, Raja straeleni (cryptic sibling) and Raja asterias, to assess significant morphological differences at multiple taxonomic levels. The results obtained from the analysis of the microsatellite dataset suggested a geographic and genetic separation between populations from Central-Western and Eastern Mediterranean basins. Furthermore, the analysis also showed that there was no separation between geographic samples from North Atlantic Ocean and central-Western Mediterranean, grouping them to a panmictic population. The Landmark-based geometric morphometry method results showed significant differences of body shape able to discriminate taxa at tested levels (from species to populations).