996 resultados para supernova SNe parametri vincoli cosmologia modelli cosmologici redshift espansione universo
Resumo:
In questa tesi viene analizzato un problema di ottimizzazione proposto da alcuni esercizi commerciali che hanno la necessita` di selezionare e disporre i propri ar- ticoli in negozio. Il problema nasce dall’esigenza di massimizzare il profitto com- plessivo atteso dei prodotti in esposizione, trovando per ognuno una locazione sugli scaffali. I prodotti sono suddivisi in dipartimenti, dai quali solo un ele- mento deve essere selezionato ed esposto. In oltre si prevede la possibilita` di esprimere vincoli sulla locazione e compatibilita` dei prodotti. Il problema risul- tante `e una generalizzazione dei gia` noti Multiple-Choice Knapsack Problem e Multiple Knapsack Problem. Dopo una ricerca esaustiva in letteratura si `e ev- into che questo problema non `e ancora stato studiato. Si `e quindi provveduto a formalizzare il problema mediante un modello di programmazione lineare intera. Si propone un algoritmo esatto per la risoluzione del problema basato su column generation e branch and price. Sono stati formulati quattro modelli differenti per la risoluzione del pricing problem su cui si basa il column generation, per individuare quale sia il piu` efficiente. Tre dei quattro modelli proposti hanno performance comparabili, mentre l’ultimo si `e rivelato piu` inefficiente. Dai risul- tati ottenuti si evince che il metodo risolutivo proposto `e adatto a istanze di dimensione medio-bassa.
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In questa tesi si è studiato uno dei principali processi nelle stelle responsabili della nucleosintesi degli elementi pesanti dopo il 56Fe, il processo-s. In particolare sono state illustrate le sorgenti di neutroni che alimentano questo processo e si è analizzata la reazione 22Ne (α,n) 25Mg. Per costruire un valido modello matematico di questo processo è necessario conoscere in maniera accurata il reaction rate di questa reazione. Conseguentemente è necessario conoscere la sezione d'urto di tale reazione in maniera molto accurata. Sono stati condotti diversi esperimenti nel tentativo di valutare la sezione d'urto per via diretta, facendo collidere un fascio di particelle α su un campione di 22Ne. Queste rilevazioni hanno dato esiti non soddisfacenti nell'intervallo di energie riguardanti il processo-s, in quanto, a causa di disturbi dovuti al fondo di raggi cosmici e alla barriera Coulombiana, non è stato possibile osservare risonanze per valori di energie delle particelle α minori di (832± 2) keV. Per colmare la mancanza di dati sperimentali si è deciso di studiare gli stati eccitati del nucleo composto 26Mg tramite la reazione inversa 25Mg+n alle facility n_TOF, situata al CERN, e GELINA al IRMM. Le misure effettuate hanno mostrato diverse risonanze al di sotto di (832±2) keV, compatibili con le spin-parità di 22Ne e α. In seguito è stato stimato il loro contributo al reaction rate e i risultati hanno mostrato che per temperature tipiche di stelle massive il contributo di queste risonanze è trascurabile ma risulta di grande rilevanza alle temperature tipiche delle stelle appartenenti al ramo asintotico delle giganti (AGB).
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Supernova remnants are among the most spectacular examples of astrophysical pistons in our cosmic neighborhood. The gas expelled by the supernova explosion is launched with velocities ~1000 kilometers per second into the ambient, tenuous interstellar medium, producing shocks that excite hydrogen lines. We have used an optical integral-field spectrograph to obtain high-resolution spatial-spectral maps that allow us to study in detail the shocks in the northwestern rim of supernova 1006. The two-component Hα line is detected at 133 sky locations. Variations in the broad line widths and the broad-to-narrow line intensity ratios across tens of atomic mean free paths suggest the presence of suprathermal protons, the potential seed particles for generating high-energy cosmic rays.
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Kurt Walter Goldschmidt
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The physical validity of the hypothesis of (redshift-dependent) luminosity evolution in galaxies is tested by statistical analysis of an intensively studied complete high-redshift sample of normal galaxies. The necessity of the evolution hypothesis in the frame of big-bang cosmology is confirmed at a high level of statistical significance; however, this evolution is quantitatively just as predicted by chronometric cosmology, in which there is no such evolution. Since there is no direct observational means to establish the evolution postulated in big-bang studies of higher-redshift galaxies, and the chronometric predictions involve no adjustable parameters (in contrast to the two in big-bang cosmology), the hypothesized evolution appears from the standpoint of conservative scientific methodology as a possible theoretical artifact.
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Recent major advances in x-ray imaging and spectroscopy of clusters have allowed the determination of their mass and mass profile out to ≈1/2 the virial radius. In rich clusters, most of the baryonic mass is in the gas phase, and the ratio of mass in gas/stars varies by a factor of 2–4. The baryonic fractions vary by a factor of ≈3 from cluster to cluster and almost always exceed 0.09 h50−[3/2] and thus are in fundamental conflict with the assumption of Ω = 1 and the results of big bang nucleosynthesis. The derived Fe abundances are 0.2–0.45 solar, and the abundances of O and Si for low redshift systems are 0.6–1.0 solar. This distribution is consistent with an origin in pure type II supernova. The amount of light and energy produced by these supernovae is very large, indicating their importance in influencing the formation of clusters and galaxies. The lack of evolution of Fe to a redshift of z ≈ 0.4 argues for very early enrichment of the cluster gas. Groups show a wide range of abundances, 0.1–0.5 solar. The results of an x-ray survey indicate that the contribution of groups to the mass density of the universe is likely to be larger than 0.1 h50−2. Many of the very poor groups have large x-ray halos and are filled with small galaxies whose velocity dispersion is a good match to the x-ray temperatures.
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In a recent contribution to this journal Ellis and Schramm [Ellis, J. & Schramm, D. N. (1995) Proc. Natl. Acad. Sci. USA 92, 235-238] claim that supernova explosions can cause massive biological extinctions as a result of strongly enhanced stratospheric NOx (NO + NO2) production by accompanying galactic cosmic rays. They suggested that these NOx productions which would last over several centuries and occur once every few hundred million years would result in ozone depletions of about 95%, leading to vastly increased levels of biologically damaging solar ultraviolet radiation. Our detailed model calculations show, however, substantially smaller ozone depletions ranging from at most 60% at high latitudes to below 20% at the equator.
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Nel sesso maschile il carcinoma della prostata (CaP) è la neoplasia più frequente ed è tra le prime cause di morte per tumore. Ad oggi, sono disponibili diverse strategie terapeutiche per il trattamento del CaP, ma, come comprovato dall’ancora alta mortalità, spesso queste sono inefficaci, a causa soprattutto dello sviluppo di fenomeni di resistenza da parte delle cellule tumorali. La ricerca si sta quindi focalizzando sulla caratterizzazione di tali meccanismi di resistenza e, allo stesso tempo, sull’individuazione di combinazioni terapeutiche che siano più efficaci e capaci di superare queste resistenze. Le cellule tumorali sono fortemente dipendenti dai meccanismi connessi con l’omeostasi proteica (proteostasi), in quanto sono sottoposte a numerosi stress ambientali (ipossia, carenza di nutrienti, esposizione a chemioterapici, ecc.) e ad un’aumentata attività trascrizionale, entrambi fattori che causano un accumulo intracellulare di proteine anomale e/o mal ripiegate, le quali possono risultare dannose per la cellula e vanno quindi riparate o eliminate efficientemente. La cellula ha sviluppato diversi sistemi di controllo di qualità delle proteine, tra cui gli chaperon molecolari, il sistema di degradazione associato al reticolo endoplasmatico (ERAD), il sistema di risposta alle proteine non ripiegate (UPR) e i sistemi di degradazione come il proteasoma e l’autofagia. Uno dei possibili bersagli in cellule tumorali secretorie, come quelle del CaP, è rappresentato dal reticolo endoplasmatico (RE), organello intracellulare deputato alla sintesi, al ripiegamento e alle modificazioni post-traduzionali delle proteine di membrana e secrete. Alterazioni della protestasi a livello del RE inducono l’UPR, che svolge una duplice funzione nella cellula: primariamente funge da meccanismo omeostatico e di sopravvivenza, ma, quando l’omeostasi non è più ripristinabile e lo stimolo di attivazione dell’UPR cronicizza, può attivare vie di segnalazione che conducono alla morte cellulare programmata. La bivalenza, tipica dell’UPR, lo rende un bersaglio particolarmente interessante per promuovere la morte delle cellule tumorali: si può, infatti, sfruttare da una parte l’inibizione di componenti dell’UPR per abrogare i meccanismi adattativi e di sopravvivenza e dall’altra si può favorire il sovraccarico dell’UPR con conseguente induzione della via pro-apoptotica. Le catechine del tè verde sono composti polifenolici estratti dalle foglie di Camellia sinesis che possiedono comprovati effetti antitumorali: inibiscono la proliferazione, inducono la morte di cellule neoplastiche e riducono l’angiogenesi, l’invasione e la metastatizzazione di diversi tipi tumorali, tra cui il CaP. Diversi studi hanno osservato come il RE sia uno dei bersagli molecolari delle catechine del tè verde. In particolare, recenti studi del nostro gruppo di ricerca hanno messo in evidenza come il Polyphenon E (estratto standardizzato di catechine del tè verde) sia in grado, in modelli animali di CaP, di causare un’alterazione strutturale del RE e del Golgi, un deficit del processamento delle proteine secretorie e la conseguente induzione di uno stato di stress del RE, il quale causa a sua volta l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR. Nel presente studio su due diverse linee cellulari di CaP (LNCaP e DU145) e in un nostro precedente studio su altre due linee cellulari (PNT1a e PC3) è stato confermato che il Polyphenon E è capace di indurre lo stress del RE e di determinare l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR, le quali possono fungere da meccanismo di sopravvivenza, ma anche contribuire a favorire la morte cellulare indotta dalle catechine del tè verde (come nel caso delle PC3). Considerati questi effetti delle catechine del tè verde in qualità di induttori dell’UPR, abbiamo ipotizzato che la combinazione di questi polifenoli bioattivi e degli inibitori del proteasoma, anch’essi noti attivatori dell’UPR, potesse comportare un aggravamento dell’UPR stesso tale da innescare meccanismi molecolari di morte cellulare programmata. Abbiamo quindi studiato l’effetto di tale combinazione in cellule PC3 trattate con epigallocatechina-3-gallato (EGCG, la principale tra le catechine del tè verde) e due diversi inibitori del proteasoma, il bortezomib (BZM) e l’MG132. I risultati hanno dimostrato, diversamente da quanto ipotizzato, che l’EGCG quando associato agli inibitori del proteasoma non produce effetti sinergici, ma che anzi, quando viene addizionato al BZM, causa una risposta simil-antagonistica: si osserva infatti una riduzione della citotossicità e dell’effetto inibitorio sul proteasoma (accumulo di proteine poliubiquitinate) indotti dal BZM, inoltre anche l’induzione dell’UPR (aumento di GRP78, p-eIF2α, CHOP) risulta ridotta nelle cellule trattate con la combinazione di EGCG e BZM rispetto alle cellule trattate col solo BZM. Gli stessi effetti non si osservano invece nelle cellule PC3 trattate con l’EGCG in associazione con l’MG132, dove non si registra alcuna variazione dei parametri di vitalità cellulare e dei marcatori di inibizione del proteasoma e di UPR (rispetto a quelli osservati nel singolo trattamento con MG132). Essendo l’autofagia un meccanismo compensativo che si attiva in seguito all’inibizione del proteasoma o allo stress del RE, abbiamo valutato che ruolo potesse avere tale meccanismo nella risposta simil-antagonistica osservata in seguito al co-trattamento con EGCG e BZM. I nostri risultati hanno evidenziato, in cellule trattate con BZM, l’attivazione di un flusso autofagico che si intensifica quando viene addizionato l’EGCG. Tramite l’inibizione dell’autofagia mediante co-somministrazione di clorochina, è stato possibile stabilire che l’autofagia indotta dall’EGCG favorisce la sopravvivenza delle cellule sottoposte al trattamento combinato tramite la riduzione dell’UPR. Queste evidenze ci portano a concludere che per il trattamento del CaP è sconsigliabile associare le catechine del tè verde con il BZM e che in futuri studi di combinazione di questi polifenoli con composti antitumorali sarà importante valutare il ruolo dell’autofagia come possibile meccanismo di resistenza.
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Il seguente lavoro si occupa del vincolo di destinazione nei suoi diversi aspetti : la genesi dell'art. 2645-ter del codice civile, la natura giuridica, la struttura, gli elementi essenziali, la casistica ed i soggetti coinvolti
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Nel Capitolo I abbiamo osservato come la legittimazione abbia per oggetto la fonte di produzione del diritto, mentre la legalità l’atto emanato dalla fonte nell’esercizio del potere. La legittimazione è fondamento del potere, attiene alla sua titolarità e giustifica l’obbedienza e l’uso della forza. La legalità si riferisce all’esercizio del potere, regolandolo. Si è visto come «quando si esige la legittimazione del potere, si chiede che colui che lo detiene abbia il diritto di averlo. Quando si invoca la legalità del potere, si domanda che chi lo detiene lo eserciti non secondo il proprio capriccio ma in conformità di regole stabilite ed entro i limiti di queste. Il contrario del potere legittimo è il potere di fatto, il contrario del potere legale è il potere arbitrario» . Si è poi precisato che legittimazione e legalità sono i fondamenti alla base dello Stato democratico: laddove non v’è legittimazione non vi può essere neppure democrazia, distinguendo la legittimazione formale, che riguarda chi è legittimato ad agire, ad esercitare il potere, compiendo atti giuridici prescrittivi; dalla legittimazione sostanziale, che riguarda invece che cosa non può e che cosa non può non essere deciso, ossia i limiti e i vincoli imposti all’esercizio del potere . La legittimazione è però presente in tutte le forme di Stato, tanto in quelli autoritari, quanto in quelli democratici. Ciò che distingue tra autoritarietà e democraticità dello Stato è il tipo di atto attraverso il quale si manifesta la legittimazione del potere. Il potere autoritario riceve la propria legittimazione attraverso atti di fede, quello democratico con atti di fiducia. Gli atti di fede possono solo essere spezzati, rotti. Al contrario, gli atti di fiducia possono essere rinnovati o revocati, e pertanto hanno bisogno di norme legali che ne regolino il funzionamento. In tal senso, modelli autoritari e democratici differiscono ulteriormente: nei primi, legittimato il potere, è legittimo tutto ciò che di esso è manifestazione; si può dire che la legittimazione resta tutta assorbita nella legalità. Diversamente, nei modelli democratici, è necessario vi siano norme che disciplinano quell’atto di fiducia legittimante il potere, ma non solo, ve ne devono anche essere altre che regolino l’esercizio del potere stesso. Non solo, ma la legittimazione per essere democratica deve avvenire periodicamente e ha bisogno di un pubblico attivo, informato, consapevole dei suoi diritti, perché è la democrazia ad aver bisogno di un pubblico, di un consenso sociale, che attraverso la propria legittimazione del potere controlli chi quel potere è chiamato ad esercitarlo. Si comprende, allora, perché il principio di legalità in sé e per sé non può garantire la democrazia. Esso garantisce la conformità alla legge, la non arbitrarietà nell’esercizio del potere, ma nulla dice su chi quella legge ha il potere di emanarla, e infatti l’art. 1 del Codice Rocco, durante il fascismo, non garantiva certo le libertà democratiche. Allo stesso modo, la legittimazione sociale in sé e per sé non garantisce la democrazia, perché anche forme di Stato autoritarie, plebiscitarie, hanno un consenso sociale che le sorregge e legittima tutto ciò che chi esercita il potere decide di fare, almeno fino a quando continuano ad avervi fede. Nel Capitolo II abbiamo mostrato come, attraverso la riserva di legge, la Costituzione garantisca entrambi i fondamenti democratici: quello della legalità nell’esercizio della potestà punitiva e quello della legittimazione del Parlamento che la esercita. Dunque, legalità e legittimazione periodica sono un binomio indissolubile, perché possa aversi uno Stato democratico; inoltre è necessario che l’esercizio del potere avvenga “in pubblico” e che l’opinione pubblica abbia una coscienza critica che le consenta di valutare e orientare le proprie scelte. È stato poi sostenuto nel Capitolo III come lo stesso Parlamento non possa – in democrazia – essere libero di sanzionare con pena tutto ciò che vuole, ma sia vincolato direttamente dalla Costituzione rigida e almeno indirettamente dal consenso sociale, che dovrebbe impedire che sia trasformato in illecito penale tutto ciò per la collettività non dovrebbe essere sanzionato come tale. In questo l’informazione, attraverso i mezzi di comunicazione, rappresenta un postulato necessario per ogni modello democratico in grado di influenzare i cittadini nella percezione della realtà. In quest’ultimo Capitolo IV, infine, abbiamo messo in luce come una distorta percezione della realtà, da parte del consenso sociale, alteri “patologicamente” la legittimazione democratica, facendole perdere ogni sua funzione di garanzia nel delimitare il potere politico.
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Background e scopi dello studio. Il carcinoma renale rappresenta circa il 3% delle neoplasie e la sua incidenza è in aumento nel mondo. Il principale approccio terapeutico alla malattia in stadio precoce è rappresentato dalla chirurgia (nefrectomia parziale o radicale), sebbene circa il 30-40% dei pazienti vada incontro a recidiva di malattia dopo tale trattamento. La probabilità di recidivare può essere stimata per mezzo di alcuni noti modelli prognostici sviluppati integrando sia parametri clinici che anatomo-patologici. Il limite principale all’impiego nella pratica clinica di questi modelli è legata alla loro complessità di calcolo che li rende di difficile fruizione. Inoltre la stratificazione prognostica dei pazienti in questo ambito ha un ruolo rilevante nella pianificazione ed interpretazione dei risultati degli studi di terapia adiuvante dopo il trattamento chirurgico del carcinoma renale in stadio iniziale. Da un' analisi non pre-pianificata condotta nell’ambito di uno studio prospettico e randomizzato multicentrico italiano di recente pubblicazione, è stato sviluppato un nuovo modello predittivo e prognostico (“score”) che utilizza quattro semplici parametri: l’età del paziente, il grading istologico, lo stadio patologico del tumore (pT) e della componente linfonodale (pN). Lo scopo del presente studio era quello di validare esternamente tale score. Pazienti e Metodi. La validazione è stata condotta su due coorti retrospettive italiane (141 e 246 pazienti) e su una prospettica americana (1943 pazienti). Lo score testato prevedeva il confronto tra due gruppi di pazienti, uno a prognosi favorevole (pazienti con almeno due parametri positivi tra i seguenti: età < 60 anni, pT1-T3a, pN0, grading 1-2) e uno a prognosi sfavorevole (pazienti con meno di due fattori positivi). La statistica descrittiva è stata utilizzata per mostrare la distribuzione dei diversi parametri. Le analisi di sopravvivenza [recurrence free survival (RFS) e overall survival (OS)] sono state eseguite il metodo di Kaplan-Meier e le comparazioni tra i vari gruppi di pazienti sono state condotte utilizzando il Mantel-Haenszel log-rank test e il modello di regressione di Cox. Il metodo di Greenwood è stato utilizzato per stimare la varianza e la costruzione degli intervalli di confidenza al 95% (95% CI), la “C-statistic” è stata utilizzata per descrivere l’ accuratezza dello score. Risultati. I risultati della validazione dello score condotta sulle due casistiche retrospettive italiane, seppur non mostrando una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi di pazienti (gruppo favorevole versus sfavorevole), sono stati ritenuti incoraggianti e meritevoli di ulteriore validazione sulla casistica prospettica americana. Lo score ha dimostrato di performare bene sia nel determinare la prognosi in termini di RFS [hazard ratio (HR) 1.85, 95% CI 1.57-2.17, p < 0.001] che di OS [HR 2.58, 95% CI 1.98-3.35, p < 0.001]. Inoltre in questa casistica lo score ha realizzato risultati sovrapponibili a quelli dello University of California Los Angeles Integrated Staging System. Conclusioni. Questo nuovo e semplice score ha dimostrato la sua validità in altre casistiche, sia retrospettive che prospettiche, in termini di impatto prognostico su RFS e OS. Ulteriori validazioni su casistiche internazionali sono in corso per confermare i risultati qui presentati e per testare l’eventuale ruolo predittivo di questo nuovo score.
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Chandra data in the COSMOS, AEGIS-XD and 4 Ms Chandra Deep Field South are combined with multiwavelength photometry available in those fields to determine the rest-frame U − V versus V − J colours of X-ray AGN hosts in the redshift intervals 0.1 < z < 0.6 (mean z¯=0.40) and 0.6 < z < 1.2 (mean z¯=0.85). This combination of colours provides an effective and least model-dependent means of separating quiescent from star-forming, including dust reddened, galaxies. Morphological information emphasizes differences between AGN populations split by their U − V versus V − J colours. AGN in quiescent galaxies consist almost exclusively of bulges, while star-forming hosts are equally split between early- and late-type hosts. The position of AGN hosts on the U − V versusV − J diagram is then used to set limits on the accretion density of the Universe associated with evolved and star-forming systems independent of dust induced biases. It is found that most of the black hole growth at z≈ 0.40 and 0.85 is associated with star-forming hosts. Nevertheless, a non-negligible fraction of the X-ray luminosity density, about 15–20 per cent, at both z¯=0.40 and 0.85, is taking place in galaxies in the quiescent region of the U − V versus V − J diagram. For the low-redshift sub-sample, 0.1 < z < 0.6, we also find tentative evidence, significant at the 2σ level, that AGN split by their U − V and V − J colours have different Eddington ratio distributions. AGN in blue star-forming hosts dominate at relatively high Eddington ratios. In contrast, AGN in red quiescent hosts become increasingly important as a fraction of the total population towards low Eddington ratios. At higher redshift, z > 0.6, such differences are significant at the 2σ level only for sources with Eddington ratios ≳ 10^− 3. These findings are consistent with scenarios in which diverse accretion modes are responsible for the build-up of supermassive black holes at the centres of galaxies. We compare these results with the predictions of theGALFORM semi-analytic model for the cosmological evolution of AGN and galaxies. This model postulates two black hole fuelling modes, the first is linked to star formation events and the second takes place in passive galaxies. GALFORM predicts that a substantial fraction of the black hole growth at z < 1 is associated with quiescent galaxies, in apparent conflict with the observations. Relaxing the strong assumption of the model that passive AGN hosts have zero star formation rate could bring those predictions in better agreement with the data.
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Context. Yellow hypergiants represent a short-lived evolutionary episode experienced by massive stars as they transit to and from a red supergiant phase. As such, their properties provide a critical test of stellar evolutionary theory, while recent observations unexpectedly suggest that a subset may explode as Type II supernovae. Aims. The galactic yellow hypergiant IRC +10420 is a cornerstone system for understanding this phase since it is the strongest post-RSG candidate known, has demonstrated real-time evolution across the Hertzsprung-Russell diagram and been subject to extensive mass loss. In this paper we report on the discovery of a twin of IRC +10420 - IRAS 18357-0604. Methods. Optical and near-IR spectroscopy are used to investigate the physical properties of IRAS 18357-0604 and also provide an estimate of its systemic velocity, while near- to mid-IR photometry probes the nature of its circumstellar environment. Results. These observations reveal pronounced spectral similarities between IRAS 18357-0604 and IRC +10420, suggesting comparable temperatures and wind geometries. IR photometric data reveals a similarly dusty circumstellar environment, although historical mass loss appears to have been heavier in IRC +10420. The systemic velocity implies a distance compatible with the red supergiant-dominated complex at the base of the Scutum Crux arm; the resultant luminosity determination is consistent with a physical association but suggests a lower initial mass than inferred for IRC +10420 (≲20 M⊙ versus ~40 M⊙). Evolutionary predictions for the physical properties of supernova progenitors derived from ~18–20 M⊙ stars – or ~12–15 M⊙ stars that have experienced enhanced mass loss as red supergiants – compare favourably with those of IRAS 18357-0604, which in turn appears to be similar to the the progenitor of SN2011dh; it may therefore provide an important insight into the nature of the apparently H-depleted yellow hypergiant progenitors of some Type IIb SNe.
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Context. The first soft gamma-ray repeater was discovered over three decades ago, and was subsequently identified as a magnetar, a class of highly magnetised neutron star. It has been hypothesised that these stars power some of the brightest supernovae known, and that they may form the central engines of some long duration gamma-ray bursts. However there is currently no consenus on the formation channel(s) of these objects. Aims. The presence of a magnetar in the starburst cluster Westerlund 1 implies a progenitor with a mass ≥40 M⊙, which favours its formation in a binary that was disrupted at supernova. To test this hypothesis we conducted a search for the putative pre-SN companion. Methods. This was accomplished via a radial velocity survey to identify high-velocity runaways, with subsequent non-LTE model atmosphere analysis of the resultant candidate, Wd1-5. Results. Wd1-5 closely resembles the primaries in the short-period binaries, Wd1-13 and 44, suggesting a similar evolutionary history, although it currently appears single. It is overluminous for its spectroscopic mass and we find evidence of He- and N-enrichement, O-depletion, and critically C-enrichment, a combination of properties that is difficult to explain under single star evolutionary paradigms. We infer a pre-SN history for Wd1-5 which supposes an initial close binary comprising two stars of comparable (~ 41 M⊙ + 35 M⊙) masses. Efficient mass transfer from the initially more massive component leads to the mass-gainer evolving more rapidly, initiating luminous blue variable/common envelope evolution. Reverse, wind-driven mass transfer during its subsequent WC Wolf-Rayet phase leads to the carbon pollution of Wd1-5, before a type Ibc supernova disrupts the binary system. Under the assumption of a physical association between Wd1-5 and J1647-45, the secondary is identified as the magnetar progenitor; its common envelope evolutionary phase prevents spin-down of its core prior to SN and the seed magnetic field for the magnetar forms either in this phase or during the earlier episode of mass transfer in which it was spun-up. Conclusions. Our results suggest that binarity is a key ingredient in the formation of at least a subset of magnetars by preventing spin-down via core-coupling and potentially generating a seed magnetic field. The apparent formation of a magnetar in a Type Ibc supernova is consistent with recent suggestions that superluminous Type Ibc supernovae are powered by the rapid spin-down of these objects.