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Resumo:
La presente Tesi di Laurea Specialistica considera, partendo da un'analisi della normativa vigente e delle procedure aziendali interne, il Sistema di Gestione Integrato Qualità Sicurezza Ambiente (SGI QSA) di HERA SpA con particolare attenzione alle tematiche relative alla Prevenzione e Protezione sul luogo di lavoro in riferimento al Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs 81/2008) . Nello specifico, l'elaborato si basa sull'esperienza maturata durante cinque mesi di stage effettuati presso l'ufficio "Servizio Prevenzione e Protezione" della Struttura Operativa Territoriale (SOT) Bologna. Durante la mia permanenza in HERA SpA, ho avuto modo di osservare e prendere parte alle attività quotidianamente svolte sia in ufficio che presso gli impianti dislocati nel territorio della provincia di Bologna con particolare riguardo alla raccolta, gestione e fruibilità dei dai inerenti la sicurezza dei luoghi di lavoro. Nell'ambito dello stage, ho avuto anche la possibilità , estremamente formativa, di prendere visione dei processi, delle tecnologie e delle modalità operative sottostanti l'erogazione di servizi da parte di una Multiutility; acquisire consapevolezza e know how in merito alle energie messe in campo per effettuare attività quali la raccolta e lo smaltimento di rifiuti piuttosto che rendere disponibile alle utenze la fornitura di acqua e gas. Ritengo che questo possa darmi un valore aggiunto sia da un punto di vista professionale che da un punto di vista umano. Scopo primario di questa trattazione è effettuare l'istantanea di un'azienda complessa e in rapida evoluzione come HERA a partire della Salute e Sicurezza dei Lavoratori con l'obiettivo di indicare le attività eseguite durante lo stage e il contributo fornito allo sviluppo e al mantenimento del SGS (Sistema di Gestione per la Salute e la sicurezza). Per meglio evidenziare la diversa natura delle informazioni riportate, l'elaborato risulta diviso in due parti fondamentali: La I PARTE riguarda lo studio della normativa che regola il settore con particolare riferimento al TUSL Testo Unico per la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro (norma vigente in Italia) e allo standard britannico OHSAS 18001 a cui possono fare riferimento le organizzazioni che intendono certificare il proprio sistema di gestione in materia di sicurezza. In seguito si andranno ad analizzare le norme ISO 9001e ISO14001 che riguardano rispettivamente la possibilità di certificare il proprio sistema di gestione in merito a Qualità del servizio e tutela dell'Ambiente. Infine saranno proposte alcune riflessioni riguardanti la necessità di sviluppare un sistema di gestione integrato e certificato che permetta di avere una visione unitaria di Qualità Sicurezza e Ambiente. Nella II PARTE si entrerà nel merito delle attività svolte dall'ufficio Prevenzione e Protezione: a partire dalle procedure aziendali che fungono da punto di contatto fra gli obblighi normativi e la necessità di regolare l'operatività dei lavoratori, saranno descritte le mansioni che mi sono state affidate e le attività svolte durante lo stage.
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Il mio elaborato finale si chiama “Restauro tra storia e progetto”, in cui rimetto a sistema, quanto appreso nelle materie di restauro, partendo dal laboratorio di restauro, dove la Prof. Antonella Ranaldi ci ha fatto trattare il complesso monumentale dell’ex convento di Sant’ Agostino a Cesena. Partendo da una lunga ricerca bibliografica, abbiamo individuato gli interventi da effettuare sul prospetto lungo via delle Mura di Sant’ Agostino ed effettuato il rilievo che ci ha permesso l’elaborazione del progetto. Gli interventi realizzati nel corso dei secoli costituiscono un esempio inquietante perchè se pure con esiti diversi ed in parte anche positivi, hanno però complessivamente portato alla situazione attuale, ormai compromessa per la definitiva perdita di molte interessanti tracce storiche. Data l'impossibilità di restituire al prospetto la sua immagine originaria abbiamo deciso di effettuare la sagramatura, che ha cancellato le stratificazioni che si sono succedute nei vari periodi storici. Abbiamo dato al prospetto una nuova immagine, riportando il prospetto ad un periodo storico non esattamente datato. L'illuminazione di questa preziosa facciata ha voluto essere un elemento discreto, capace di porre in risalto gli elementi architettonici e consentire, anche al calare del sole, un'intensa esperienza emotiva. In ogni caso si vuole evitare una scenografia serale eccessiva o artificiosa , e illuminare la facciata in maniera uniforme. Per fare questo si sono scelti apparecchi di illuminazione dotati di ottica asimmetrica, in modo da indirizzare il fascio di luce solo sulle superfici da illuminare e di ridurre così al minimo l'inquinamento luminoso. L'illuminazione omogenea della facciata in mattoni avviene attraverso riflettori con ottica larga, vetro allungante in verticale e schermo antiabbagliamento, posizionati su appositi pali (due pezzi per palo, paralleli alla facciata) situati dall'altra parte della strada di via delle mura. Mentre le lesene e il basamento sono illuminati da riflettori con condensatore ottico incassati nel terreno o nascosti nella parte superiore della cornice, con distribuzione della luce per un'altezza di circa 7 metri. Si è scelto di utilizzare sorgenti a luce bianca per mettere in risalto i materiali della facciata, senza alterarne i colori già di per se saturi. Abbiamo previsto nonostante lo stato di degrado, di recuperare il portone e le porte. Le parti mancanti vengono integrate con parti in legno della stessa essenza. Tutte le forature verranno poi tamponate con adeguati stucchi. Si ritiene fondamentale, in termini di restauro conservativo, mantenere ogni elemento che ancora sia in grado di svolgere la sua funzione. E' evidente in facciata il filo dell'impianto elettrico. E' stato pensato di farlo scorrere all'interno di una canalina, di dimensioni 4,5 x 7 cm, posizionata sopra il cornicione, nascosta alla vista del prospetto. Le gronde e i pluviali sono stati sostituiti durante l'ultimo intervento di rifacimento delle coperture, tuttavia non è stato studiato un posizionamento adeguato dei pluviali. Infatti, alcuni di questi, sopratutto quelli del prospetto principale sono posizionati senza alcun ordine. In alcuni casi i pluviali risultano essere scarsi con conseguente allagamento delle gronde e colate di acqua piovana sul muro. Nel nostro progetto si prevede di posizionare gli scarichi delle gronde sui lati, in maniera tale da non ostruire la facciata, inoltre vengono aumentati i pluviali per la gronda più alta. La seconda parte riguarda il restauro del borgo di Castelleale, che abbiamo trattato con il Prof. Andrea Ugolini nel laboratorio di sintesi finale. Il tema del corso ha previsto una prima fase di studio comprendente la ricerca storica e bibliografica, l’inquadramento dell’oggetto nel contesto urbano, la redazione delle piante di fase e ricostruzioni planivolumetriche nelle varie fasi storiche. Nella seconda fase abbiamo effettuato il rilievo, fatto foto esterne e interne di dettaglio per l’inquadramento del tema e delle sue caratteristiche architettoniche, studiato le principali cause di degrado e alterazione dei materiali da costruzione redigendo le tavole del degrado e dello stato di conservazione. Nella fase progettuale abbiamo deciso di effettuare un minimo intervento sul rudere, ripristinando la copertura crollata attraverso una copertura moderna sostenuta da pilastri, che vanno a costituire una struttura staccata rispetto al rudere. La terza parte riguarda l’efficienza energetica, il tema che ho affrontato sotto la guida del Prof. Kristian Fabbri in occasione dell’elaborato finale.
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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.
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Lo scopo di questa dissertazione è quello di costruire un modello di promozione della salute nel contesto di lavoro in relazione al consumo di sostanze psicoattive fra lavoratori, attraverso il confronto tra la situazione italiana e inglese. L’ipotesi di fondo rimanda all’idea che i luoghi di lavoro possano rappresentare setting d’elezione per i progetti di prevenzione non solo perché alcuni studi dimostrano l’esistenza di fattori di rischio connessi alla mansione rispetto alle condotte relative allo stile di vita, ma anche perché il consumo di alcol e droghe è altamente diffuso tra i lavoratori e questo comporta rischi per la sicurezza e la salute personale nonché quella dei colleghi di lavoro. Si tratta quindi di indagare il rapporto tra contesto lavorativo e utilizzo di sostanze al fine di suggerire alla luce degli studi internazionali in materia e delle riflessioni condotte dai soggetti coinvolti nella ricerca che si andrà a presentare linee guida e indicazioni operative per la realizzazione di interventi di promozione alla salute nei contesti professionali. A tal fine, saranno analizzati gli esiti di 13 focus group che hanno coinvolto esperti italiani e 6 interviste somministrate a esperti inglesi volti a definire la situazione attuale in Italia e Gran Bretagna in materia di prevenzione del consumo di alcol e droghe nei luoghi di lavoro. In particolare, l’analisi verterà sulle seguenti aree: - Percezione circa la diffusione dei consumi nei luoghi di lavoro - Presentazione delle politiche adottate, in logica comparativa, tra i due paesi. - Analisi critica degli interventi e problematiche aperte. L’analisi del materiale empirico permette di delineare due modelli costruiti sulla base dei focus group e delle interviste: - in Italia si può affermare che prevalga il cd. modello della sicurezza: di recente trasformazione, questo sistema enfatizza la dimensione del controllo, tanto che si parla di sorveglianza sanitaria. É orientato alla sicurezza concepita quale rimozione dei fattori di rischio. Il consumo di sostanze (anche sporadico) è inteso quale espressione di una patologia che richiede l’intervento sanitario secondo modalità previste dal quadro normativo: una procedura che annulla la discrezionalità sia del datore di lavoro sia del medico competente. Si connota inoltre per contraddizioni interne e trasversali rispetto alle categorie lavorative (i controlli non si applicano alle professioni associate a maggiore prestigio sociale sebbene palesemente associate a rischio, come per esempio i medici) e alle sostanze (atteggiamento repressivo soprattutto verso le droghe illegali); - in Gran Bretagna, invece, il modello si configura come responsabilità bilaterale: secondo questo modello, se è vero che il datore di lavoro può decidere in merito all’attuazione di misure preventive in materia di alcol e droghe nei luoghi di lavoro, egli è ritenuto responsabile della mancata vigilanza. D’altro canto, il lavoratore che non rispetta quanto previsto nella politica scritta può essere soggetto a licenziamento per motivi disciplinari. Questo modello, particolarmente attento al consumo di tutte le sostanze psicoattive (legali e illegali), considera il consumo quale esito di una libera scelta individuale attraverso la quale il lavoratore decide di consumare alcol e droghe così come decide di dedicarsi ad altre condotte a rischio. Si propone di ri-orientare le strategie analizzate nei due paesi europei presi in esame attraverso la realizzazione di un modello della promozione della salute fondato su alcuni punti chiave: – coinvolgimento di tutti i lavoratori (e non solo coloro che svolgono mansioni a rischio per la sicurezza) al fine di promuovere benessere secondo un approccio olistico di salute, orientato ad intervenire non soltanto in materia di consumo di sostanze psicoattive (legali e illegali), ma più in generale sulle condotte a rischio; – compartecipazione nelle diverse fasi (programmazione, realizzazione e valutazione del progetto) del lavoratore, datore di lavoro e medico competente secondo una logica di flessibilità, responsabilizzazione condivisa fra i diversi attori, personalizzazione e co-gestione dell’intervento; – azione volta a promuovere i fattori di protezione agendo simultaneamente sul contrasto dei fattori di rischio (stress, alienazione, scarso riconoscimento del ruolo svolto), attraverso interventi che integrano diverse strategie operative alla luce delle evidenze scientifiche (Evidence-Based Prevention); – ricorso a strumenti di controllo (drug testing) subordinato all’esigenza di tutelare l’incolumità fisica del lavoratore e dei colleghi, da attuarsi sempre e comunque attraverso prassi che non violino la privacy e attraverso strumenti in grado di verificare l’effettivo stato di alterazione psico-fisica sul luogo di lavoro; – demedicalizzazione delle situazioni di consumo che non richiedono un intervento prettamente sanitario, ma che al contrario potrebbero essere affrontate attraverso azioni incentrate sul care anziché la cure; – messa a disposizione di servizi ad hoc con funzione di supporto, counselling, orientamento per i lavoratori, non stigmatizzanti e con operatori di formazione non solamente sanitaria, sull’esempio degli EAPs (Employee Assistence Programs) statunitensi. Si ritiene che questo modello possa trasformare i contesti di lavoro da agenzie di controllo orientate alla sicurezza a luoghi di intervento orientati al benessere attraverso un’azione sinergica e congiunta volta a promuovere i fattori di protezione a discapito di quelli di rischio in modo tale da intervenire non soltanto sul consumo di sostanze psicotrope, ma più in generale sullo stile di vita che influenza la salute complessiva.
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Die Nichtlineare Dynamik verallgemeinert Aussagen über dynamische Systeme durch Abstraktion von konkreten Systemen. In der Technik sind Maschinen dagegen sehr konkret und die Behandlung auftretender Probleme mit Methoden der theoretischen Physik ist nicht trivial. Diese Arbeit versucht einige der Schwierigkeiten einer technischen Anwendung der nichtlinearen Theorie zu lokalisieren. Am Beispiel von vier Klassen von Modellansätzen, werden Anwendungsschnittstellen beleuchtet und systematisiert. Die Anwendung von Modellen, die explizit auf bekannten physikalischen Gesetzmäßigkeiten aufbauen, findet Grenzen in der Anzahl der Freiheitsgrade und den Nebenbedingungen konkreter Systeme. Solche Modelle liefern jedoch wichtige Hinweise auf die Vielfalt der nichtlinearen Phänomene und tragen zu ihrem Verständnis bei. Daher sind sie für die Konstruktionspraxis wichtig. Es werden typisch nichtlineare Phänomene und ihre zugrundeliegenden Mechanismen vorgestellt und klassifiziert, sowie grundsätzliche Probleme der Berechenbarkeit analytisch formulierter Modelle betrachtet. Eine zweite Schnittstelle bieten die Darstellungen des Systemverhaltens als überlagerung spezieller Funktionen, diez.B. Symmetrieeigenschaften des betrachteten Systems besonders deutlich widerspiegeln. Gegenüber der klassischen Fourierzerlegung nach Frequenz und Phase bringt die Analyse nach Detaillierungsgrad und Position von Waveletfunktionen wichtige Vorteile für die nichtlineare zustandsraumbasierte Datenanalyse. Viele Verfahren der Nichtlinearen Datenanalyse beruhen auf metrischen Eigenschaften der dynamischen Systeme. Als dritte Gruppe werden demgegenüber topologische Methoden beleuchtet. Die Konstruktion von Simplexen aus Zeitreihen mittels der Zeitversatzmethode ist die Grundlage für eine Triangulation der Zustandsräume. Die Methoden, z.B. Templateverfahren, die auf der Einbettung von eindimensionalen Trajektorien in den R^3 basieren, lassen sich hingegen nicht einfach auf hochdimensionale Zustandsmannigfaltigkeiten anwenden. Schließlich werden stochastische Aspekte behandelt. Schwankungen des Systemverhaltens können auf Schwankungen der Anfangswerte und/oder auf Schwankungen der eigentlichen Systemdynamik beruhen. Die Einordnung des konkreten Anwendungsfalles setzt jedoch ein sicheres Verständnis stochastischer Prozesse voraus. Am Beispiel der Rekonstruktion der stochastischen Dynamik über eine eindimensionale Fokker-Planck-Gleichung zeigen sich deutlich die praktischen Grenzen solcher Ansätze.
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Deutsch:Mit Hilfe eines parallelen Molekulardynamik-Programmswurden einfach Modelle von Homopolymerschmelzen simuliert.Langkettige Schmelzen zeigten eine sehr gute Übereinstimmungmit den Vorhersagendes Reptationsmodells. Die intermediären Reptationsbereichemit den vorhergesagtenExponenten konnten wesentlich klarer als bisher verifiziertwerden. Es stellteVerschiedene, gebräuchliche Analyse-Methoden führten jedochzuunterschiedlichen Aussagen für die Verhakungslänge. Fürkurze Kettenbzw. kurze Unterketten wurden in dichten Schmelzendie Abweichungen vom Rouse-Modell aufgezeigt. DieseAbweichungenkönnen als Korrelationslocheffekt interpretiert werden undsteht in teilweiser Übereinstimmung zu den Vorhersagenrenormierter Rouse-Modelle. Aus den Schmelzen wurden Netzwerke in einem speziellenZufallsvernetzungsprozeßhergestellt, der die Bildung von Defektstrukturenunterbindet. Diesewurden bzgl. ihres Quell- und Deformationsverhaltenuntersucht. Der maximaleQuellgrad eines Netzwerkes war bereits bei verhaltnismäßigkurzen Kettenlängenverhakungslimitiert. Die Struktur der Ketten in einem biszum osmotischenGleichgewicht gequollenen Netzwerk unterhalb derMaschengröße ist die überstreckter,selbstvermeidender Ketten mit einer Fraktaldimension von D =1.4,jenseits der Maschengröße (bzw. Verhakungslänge) nehmen siedie Struktur einesIrrfluges an (D = 2). Gequollene Netzwerke zeigten, wie auch in Experimenten, einestarkeZunahme von Dichtefluktuationen, welche unter Verstreckunganisotropwurde und in der Streufunktion zu sogenanntenButterfly-Mustern führt.Diese Fluktuationen sind statischer Natur als Folge desEinfrierenseines ungeordneten Zustandes während der Vernetzung.
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Diese Arbeit versteht sich als Beitrag zur Modellierung von Parallelrechnern. Ein solcher Parallelrechner kann als makroskopisches physikalisches dynamisches System mit einer sehr großen Anzahl von Freiheitsgraden, diskretem Zustandsraum und diskreter Zeit aufgefasst werden. Derartige Systeme werden von der Nichtlinearen Dynamik behandelt. Jede modellmäßige Behandlung eines Systems mit derart differenzierten Wechselwirkungen muss sich auf bestimmte, dem Ziel und Zweck der Untersuchung angepasste Aspekte beschränken. Dabei müssen sowohl allgemeine Vorstellungen als auch konkretes Wissen in ein mathematisch behandelbares Modell umgesetzt werden. Die in dieser Arbeit vorgestellten Beiträge zur Modellierung von Parallelrechnern dienen mehreren Zielen. Zum einen wird ein Modell kritisch untersucht und weiterentwickelt, das dazu dienen soll, die Ausführungszeit eines konkreten parallelen Programmes auf einem konkreten Parallelrechner brauchbar vorherzusagen. Zum anderen soll die Untersuchung eines konkreten Problems aus dem Bereich von Computerwissenschaft und -technik dazu genutzt werden, ein tieferes Verständnis für das zu modellierende System zu entwickeln und daraus neue Aspekte für die Modellierung dynamischer Systeme im Allgemeinen zu gewinnen. In dieser Arbeit wird gezeigt, dass es bei der Modellierung von Parallelrechnern notwendig ist, viele technische Konstruktionseigenschaften in das Modell zu integrieren. Diese aber folgen der sehr raschen Entwicklung der Technik auf diesem Gebiet. Damit Formulierung, Test und Validierung des Modells mit der Entwicklung des Objektbereiches Schritt halten können, müssen in Zukunft neue Modellierungsverfahren entwickelt und angewendet werden, die bei Änderungen im Objektbereich eine rasche Anpassung ermöglichen. Diese Untersuchung entspricht einem interdisziplinären Ansatz, in dem einerseits Inhalte der Computerwissenschaften und andererseits Grundmethoden der experimentellen Physik verwendet werden. Dazu wurden die Vorhersagen der abstrakten Modelle mit den experimentell gewonnen Messergebnissen von realen Systemen verglichen. Auf dieser Basis wird gezeigt, dass der hierarchische Aufbau des Speichers Einflüsse von mehreren Größenordnungen auf die Ausführungsgeschwindigkeit einer Anwendung ausüben kann. Das im Rahmen der vorliegenden Arbeit entwickelte Modell der einzelnen Rechenknoten eines Parallelrechners gibt diese Effekte innerhalb eines relativen Vorhersagefehlers von nur wenigen Prozent korrekt wieder.
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L'evoluzione delle tipologie architettoniche sviluppate all'interno del panorama bolognese ha portato allo sviluppo nel XVI secolo di Palazzi immersi nella campagna rispondenti ai canoni dei principi rinascimentali di armonia fra l'uomo e la Natura. E' in questo contesto che si sviluppa il Palazzo Angelelli-Zambeccari, il cui nucleo risale alla fine del XVI secolo e che si è costituito successivamente come importante tenuta agricola. La proprietà del Palazzo va attribuita in un primo momento alla Famiglia Senatoria Angelelli, che apporta le principali modifiche costruttive, quali le due ali simmetriche e una parte fondamentale del corpo centrale, successivamente alla Famiglia Zambeccari, che si occupa di sistemazioni interne e della struttura della tenuta. Attualmente la proprietà risulta essere del Comune, che cerca di svilupparla come centro propulsore del Paese. Il progetto di restauro vuole restituire all'edificio il suo carattere originale, inserendo all'interno di esso funzioni utili al Paese, come la biblioteca e i laboratori didattici, e attività legate al sostentamento stesso della proprietà, come un piccolo agriturismo e il centro di rappresentanza della Cantina Sociale del Paese. Proprio per la Cantina il progetto ha cercato di sviluppare un adeguato impianto di climatizzazione e di parametri legati alle condizioni ottimali per l'utilizzo, al fine di costruire uno spazio funzionale che possa essere testimonianza dell'attività agro-vinicola propria della tradizione della villa di campagna.
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In einer Vielzahl von Ionenkristallen mit Wasserstoffbrücken kann der Übergang aus einer paraelektrischen in eine elektrisch geordnete Phase mittels Substitution der Deuteronen durch Protonen um typischerweise 100 K abgesenkt werden. Die Ursache dieses Isotopieeffekts wird in Tunnelmoden der Protonen, in der Kopplung der Protonen untereinander oder in der Geometrie bzw. Symmetrie der Wasserstoffbrücke gesucht. Als Modellsubstanzen zur Untersuchung bieten sich die Trialkalihydrogendisulfate an. Hier sind die Wasserstoffbrücken, welche die Sulfattetraeder lokal zu Dimeren vernetzen, weit voneinander getrennt. Daher wird kein langreichweitiges Wasserstoffbrückennetzwerk ausgebildet.Bei den in dieser Arbeit untersuchten Rb3H1-xDx(SO4)2-Kristallen tritt der Phasenübergang im deuterierten Kristall bei 82 K auf und ist in protonierten Proben vollständig unterdrückt. Es wurde die 87Rb-NMR eingesetzt, weil damit Untersuchungen von Struktur und Dynamik im gesamten Konzentrationsbereich möglich sind. Die Meßgröße ist der elektrische Feldgradient (EFG), welcher durch die umgebenden Ionenladungen erzeugt wird.Durch orientierungsabhängige Messungen wurde gezeigt, daß die drei in der paraelektrischen Phase von Rb3D(SO4)2 vorkommenden EFG sich nicht durch Symmetrieoperationen ineinander überführen lassen. Es liegen somit kleine Abweichungen von einer monoklinen Symmetrie vor. Am Übergang in die antiferroelektrische Phase vervierfacht sich die Anzahl der kristallografisch inäquivalenten Einbaulagen. Aus dem Vergleich von NMR und Röntgenbeugung kann geschlossen werden, daß die Abweichungen von der monoklinen Raumgruppe und die elektrische Ordnung primär durch die Wasserstoffkerne verursacht werden. Aus der Aufspaltung der Resonanzlinien wurde ein statischer kritischer Exponent von ï¢ = 0,21 ï± 0,03 ermittelt, der mit trikritischem Verhalten verträglich ist. Die longitudinale Relaxation der Kernspinmagnetisierung wird durch Fluktuationen des EFG verursacht. Am Phasenübergang sind diese Fluktuationen an der Einbaulage der Rubidiumatome vergleichsweise groß und stark anisotrop. Beides läßt sich gut beschreiben, wenn angenommen wird, daß nur die Dynamik der Wasserstoffkerne die Kernspins relaxieren läßt. Für die longitudinale Relaxation wurde ebenfalls ein kritisches Verhalten am Phasenübergang gefunden. Der Exponent beträgt in deuterierten Proben ï¬ = -0,67 +- 0,07 und ist für die teildeuterierte Proben mit x = 0,5 größer: ï¬ = -1,15 +- 0,15. In der vorliegenden Arbeit konnte gezeigt werden, daß zur Beschreibung der NMR an verschiedenen Kernsorten weder, wie zuvor in der Literatur diskutiert, asymmetrische Wasserstoffbrücken noch Tunnelmoden erforderlich sind. Die hier erstmalig in den Trialkalihydrogendisulfaten gefundenen konzentrationsabhängigen kritischen Exponenten bilden einen neuen Prüfstein für die Modelle des Isotopieeffekts, die sich bisher primär auf die Erklärung der Phasenübergangstemperatur beschränkt haben.
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Als erste komplette Sequenz eines Gastropoden-Hämocyanins wurde das Hämocyanin von Haliotis tuberculata über cDNA vollständig kloniert und sequenziert. Die Primärstruktur besteht aus 3404 Aminosäuren mit einer errechneten Molekülmasse von 392 kDa. Neben der vollständigen Primärstruktur des sezernierten Proteins ist in der cDNA eine Signalsequenz kodiert. Mit Hilfe spezifischer Primer wurde die Genstruktur des HtH1-Gens zwischen der Signalsequenz und dem 3´-UTR über PCR aus genomischer DNA ermittelt. Dies ist die erste bekannte Genstruktur eines Schnecken-Hämocyanins. Das Gen umfaßt etwa 28,6 kb und besteht aus 17 Exons und 16 Introns. Die kodierende Sequenz des Signalpeptids und der acht FUs sind in den Linker-Regionen durch Introns (Linker-Introns) getrennt. Die Signalsequenz von bislang 48 Nukleotiden sowie die Sequenz der funktionellen Domänen HtH1-a, HtH1-f und HtH1-g sind durch 'interne' Introns in zwei bis vier Exons unterteilt. Von der Untereinheit HtH2 wurde über cDNA und genomische PCR die vollständige kodierende Sequenz der funktionellen Domänen HtH2-b bis HtH2-h und ein großer Teil von HtH2-a sequenziert. Die partielle Primärstruktur umfaßt 3307 Aminosäuren. Es fehlen noch etwa 100 Aminosäuren aus dem N-terminalen Bereich von HtH2-a. Das Fragment des HtH2-Gens von 18,3 kb besteht aus 15 Exons und 14 Introns. Die Exon-Größen und die Positionen sowie Phasen der Introns entsprechen exakt den Verhältnissen im HtH1-Gen. Multiple Sequenzalignments und daraus erstellte phylogenetische Stammbäume mit den abgeleiteten Aminosäuresequenzen von HtH1, HtH2 und anderen Mollusken-Hämocyaninen zeigen die Verwandtschaftsverhältnisse der Mollusken-Hämocyanine. Auf der Annahme basierend, daß eine 'molekulare Uhr' existiert, läßt sich mit Hilfe einer Distanzmatrix die Phylogenie der Mollusken-Hämocyanine rekapitulieren und die einzelnen Aufspaltungsereignisse im Verlauf der Evolution der Mollusken datieren.
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Die Analyse der CML-Zellinie K562 mittels Fluoreszenz in situ Hybridisierung (FISH), Multiplex-FISH (M-FISH) und comparativer genomischer Hybridisierung (CGH) ergab einen hypotriploiden Karyotyp mit 67 Chromosomen und 21 verschiedenen Marker-Chromosomen. Das bei über 90% der CML-Patienten nachgewiesene Ph-Chromosom entsteht durch die reziproke Translokation t(9;22)(q34;q11). Bei 5 - 10% der Patienten resultiert das Ph-Chromosom aus varianten Translokation. Anhand der Untersuchung dreier varianter Translokation mittels Bruchpunkt-übergreifender FISH-Proben für die BCR- und ABL-Gene werden drei verschiedene Mechanismen der Entstehung komplexer Translokationen dargestellt. Das Auftreten sekundärer Aberrationen wurde in 15 CML-Blastenkrisen untersucht. Zudem wurde anhand der CGH-Analyse von CD34-positiven Zellen, Monozyten, Granulozyten und T-Zellen die Zellinienspezifität sekundärer Aberrationen untersucht. In einem Fall wurde eine sekundäre Aberration in allen vier Fraktionen gefunden. In zwei Fällen traten sekundäre Aberrationen in allen untersuchten Fraktionen mit Ausnahme der T-Zellen auf. Aufgrund dieser Ergebnisse lassen sich zwei alternative Modelle der Tumor-Progression der CML ableiten: 1. Sekundäre Mutatonen treten vor der Differenzierung der hämatopoetischen Stammzelle auf. 2. Sekundäre Mutationen treten in einer hämatopoetischen Vorläuferzelle nach der T-Zell-Differenzierung auf.
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Einfluß der internen Architektur von Polymermikronetzwerken auf Struktur und Dynamik konzentrierter Kolloid-Dispersionen Kugelförmige Polymermikronetzwerk-Kolloide gehören zur Klasse der sogenannten Mikrogele. Dabei handelt es sich um kolloidale Modellsysteme, die durch ihre interne Vernetzungsdichte charakterisiert werden.In dieser Arbeit sollte untersucht werden, ob sich die Wechselwirkungen zwischen den Mikrogel-Kolloiden über ein repulsives Potential der Form U(r) = 1/rn beschreiben lassen und ob der Poten-tialexponent n von der Vernetzungsdichte abhängt. Dazu wurden vor allem die innere Architektur, das Phasenverhalten und der statische Strukturfaktor 1:10, 1:50, 1:72 und 1:100 vernetzter Polymer-Mikronetzwerk-Kolloide bis in den Bereich hochkonzentrierter Dispersionen mit den Mitteln der Kleinwinkelneutronenstreuung, der Digitalphotographie und der statischen Lichtstreuung untersucht. Polymeranalytische Untersuchungen ergaben einen bei der Synthese anfallenden Anteil von unver-netztem, freiem Polymer innerhalb der Mikronetzwerke, welcher sich beim Lösen aus den Netzwerken herausbewegte. Das freie Polymer spielte vor allem beim Phasenverhalten der untersuchten Teilchen eine große Rolle und verursachte bei den Untersuchungen der statischen Strukturfaktoren Abweichun-gen vom 'harte Kugel'-Verhalten. Als Ergebnis der Kleinwinkel-Neutronenstreuung konnte eine ab-nehmende Verteilungsdichte der Vernetzer innerhalb der Polymermikronetzwerke in Richtung der -Teilchenoberfläche nachgewiesen werden. Die damit verbundene Konformationsfreiheit der Polymer-segmente auf der Teilchenoberfläche (bis hin zu 'mushroom'-Strukturen) wurde als Grund dafür an-gesehen, daß sich die Resultate der untersuchten Mikrogele aller Vernetzungsdichten im wesentlichen auf 'harte Kugeln' skalieren lassen.
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Die vorliegende Arbeit beschäftigt sich mit dem Einfluß von Kettenverzweigungen unterschiedlicher Topologien auf die statischen Eigenschaften von Polymeren. Diese Untersuchungen werden mit Hilfe von Monte-Carlo- und Molekular-Dynamik-Simulationen durchgeführt.Zunächst werden einige theoretische Konzepte und Modelle eingeführt, welche die Beschreibung von Polymerketten auf mesoskopischen Längenskalen gestatten. Es werden wichtige Bestimmungsgrößen eingeführt und erläutert, welche zur quantitativen Charakterisierung von Verzweigungsstrukturen bei Polymeren geeignet sind. Es wird ebenso auf die verwendeten Optimierungstechniken eingegangen, die bei der Implementierung des Computerprogrammes Verwendung fanden. Untersucht werden neben linearen Polymerketten unterschiedliche Topolgien -Sternpolymere mit variabler Armzahl, Übergang von Sternpolymeren zu linearen Polymeren, Ketten mit variabler Zahl von Seitenketten, reguläre Dendrimere und hyperverzweigte Strukturen - in Abhängigkeit von der Lösungsmittelqualität. Es wird zunächst eine gründliche Analyse des verwendeten Simulationsmodells an sehr langen linearen Einzelketten vorgenommen. Die Skalierungseigenschaften der linearen Ketten werden untersucht in dem gesamten Lösungsmittelbereich vom guten Lösungsmittel bis hin zu weitgehend kollabierten Ketten im schlechten Lösungsmittel. Ein wichtiges Ergebnis dieser Arbeit ist die Bestätigung der Korrekturen zum Skalenverhalten des hydrodynamischen Radius Rh. Dieses Ergebnis war möglich aufgrund der großen gewählten Kettenlängen und der hohen Qualität der erhaltenen Daten in dieser Arbeit, insbesondere bei den linearen ketten, und es steht im Widerspruch zu vielen bisherigen Simulations-Studien und experimentellen Arbeiten. Diese Korrekturen zum Skalenverhalten wurden nicht nur für die linearen Ketten, sondern auch für Sternpolymere mit unterchiedlicher Armzahl gezeigt. Für lineare Ketten wird der Einfluß von Polydispersität untersucht.Es wird gezeigt, daß eine eindeutige Abbildung von Längenskalen zwischen Simulationsmodell und Experiment nicht möglich ist, da die zu diesem Zweck verwendete dimensionslose Größe eine zu schwache Abhängigkeit von der Polymerisation der Ketten besitzt. Ein Vergleich von Simulationsdaten mit industriellem Low-Density-Polyäthylen(LDPE) zeigt, daß LDPE in Form von stark verzweigten Ketten vorliegt.Für reguläre Dendrimere konnte ein hochgradiges Zurückfalten der Arme in die innere Kernregion nachgewiesen werden.
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Das Vorkommen von Häutungshormonen in adulten Insekten, insbesondere solcher, die eine lange Imaginalphase durchlaufen, wirft die Frage nach der Regulation der Ecdysteroidsynthese außerhalb der Prothorakaldrüse auf. Unter diesem Gesichtspunkt kann Gryllus bimaculatus mit einem ausgesprochen langen Adultstadium und rapiden zeitlichen Veränderungen des Ecdysontiters als ein geeignetes Versuchsobjekt angesehen werden.Der vorliegenden Dissertation liegt die Arbeitshypothese zugrunde, daß die Ecdysteroid-Synthese bzw. Sekretion von Adultgeweben in männlichen Imagines der Mittelmeerfeldgrille durch Neuropeptide hormonell reguliert wird. Als Quelle für die Ecdysteroidsynthese wurde auf Grund immunohistochemischer Befunde sowie der Ergebnisse von Sekretionsprofil-Analysen unter anderem die Oenocyten in Betracht gezogen.Zur Überprüfung dieser Hypothese wurde ein in vitro Bioassay entwickelt, der es ermöglichte, die Wirkung von extrahierten Substanzen auf die Hormonsynthese mittels RIA/HPLC zu bestimmen. Aus Köpfen adulter G. bimaculatus ließen sich durch HP-SEC Faktoren isolieren, die die Ecdysteroidsekretion in Oenocyten und Tergiten stimulierten, die aber keinen Einfluß auf die Hormonsekretion von Fettgewebe sowie der Prothorakaldrüsen hatten. Die Wirkung des aufgereinigten Extraktes in Oenocyten war zeit- und dosis-abhängig. Die ecdysiotropen Faktoren besaßen ein Molekulargewicht zwischen 26,5 und 30 kDa. Die Größe der Molmasse der ecdysiotropen Faktoren entsprach somit bei adulten männlichen Grillen etwa dem des Neurohormons PTTH bei Lepidopteren. Dennoch zeigten Antikörper, die gegen PTTH von Bombyx mori gerichtet waren im Western-Blot keine Bindung an Gryllus bimaculatus Kopfextrakte. Die Sekretionsprodukte von Oenocyten, die mit Ecdysiotropinen behandelt waren, wurden durch RP- und NP-HPLC identifiziert. Es konnten zwei zusätzliche Peaks neben einem deutlichen Anstieg von 20-Hydroxyecdyson nachgewiesen werden. Auf Grund identischer Retentionszeiten mit Referenzsubstanzen handelt es sich bei einem Peak vermutlich um Makisteron A.Obwohl die Applikation von Azadirachtin in G. bimaculatus zu einer Senkung des Hämolymph-Ecdysteroidgehalts führte, konnte keine Anreicherung von Ecdysiotropinen erzielt werden.Die die Ecdysteroidsekretion-beeinflussenden Faktoren waren resistent gegen Kochen und Alkylierung aber nicht stabil gegen Reduzierung durch DTT und Behandlung mit Neuramidase. Damit konnte gezeigt werden, daß das Vorhandensein von Disulfidbrücken und Oligosaccharidketten für die biologische Aktivität notwendig ist.Die Aminosäuresequenz-Analyse und der enzymatische Verdau der stimulierenden Faktoren durch Exopeptidasen wiesen auf geschützte N- und C-Termini hin. Ferner wurden einige interne Peptidfragmente von fünf Proteinbanden sequenziert, die keine Homologie zu bereits bekannten regulatorischen Neuropeptiden zeigten. Als einziges bekanntes Protein aus diesem Bereich konnte das â14-3-3-like Proteinâ mit Hilfe MALDI-MS identifiziert werden.Die Stimulierung der Ecdysteroidsekretion in Oenocyten von G. bimaculatus durch Oenocyten-stimulierende Faktoren (OSF) aus Kopfextrakten konnte mittels Signalstoff-Effektoren in vitro nachgeahmt werden. Außerdem wurde mit Hilfe eines RRA nachgewiesen, daß der intrazelluläre cAMP-Spiegel von Oenocyten durch OSF erhöht wird. Daraus kann geschlossen werden, daß cAMP als âSecond Messengerâ an der Wirkung der OSF beteiligt ist. Calcium-Ionen schienen für die Ecdysteroidsekretion notwendig zu sein. Allerdings führte eine artifizielle Erhöhung der intrazellulären Calcium-Konzentration durch das Ionophor Ionomycin zu einer Hemmung der Sekretion. Schließlich wird ein Modell zur Erklärung des Wirkmechanismus von OSF in Gryllus bimaculatus postuliert und diskutiert.
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Im ersten Teil 'Analyse der Grundlagen' der Dissertation 'Aspekte der Modellbildung: Konzepte und Anwendung in der Atmungsphysiologie' werden die Grundlagen zur Verfügung gestellt. Ausgehend von der Definition der modularer dynamischer Systeme im Kapitel 1 werden Grundbegriffe zu Modellen, Simulation und Modellentwicklung (Kapitel 2) dargelegt und schließlich folgt ein Kapitel über Netzmodelle. Im zweiten Teil wird 'der Prozess der Operationalisierung' untersucht. Im Kapitel 4 wird mit 'dem Koordinatensystem der Modellbildung' ein allgemeiner Lebenszyklus zur Modellbildung vorgestellt. Das Kapitel 5 zur 'Modellentwicklung' steht im Zentrum der Arbeit, wo eine generische Struktur für modulare Level-Raten-Modelle entwickelt wird. Das Kapitel endet mit einem Konzept zur Kalibrierung von Modellen, das auf Data Mining von Modelldaten basiert. Der Prozess der Operationalisierung endet mit der Validierung im sechsten Kapitel. 'Die Validierung am Beispiel der Atmungsphysiologie' im dritten Teil stellt die Anwendung der in beiden Teilen zuvor entwickelten Theorie dar. Zunächst wird das Projekt 'Evita-Weaning-System' vorgestellt, in dem die Arbeit entstanden ist. Ferner werden die notwendigen medizinischen Grundlagen der Atmungsphysiologie analysiert (Kapitel 7). Eine detaillierte Beschreibung des Modells der Atmungsphysiologie und der dabei entwickelten Algorithmen folgt im achten Kapitel. Die Arbeit schließt mit einem Kapitel zur Validierung des physiologischen Modells.