922 resultados para Siglos XV-XVI
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La ricerca di Roberta Frigeni, svolta ad ampio spettro diacronico, è condotta su di una campionatura di specula principum - editi ed inediti - elaborati tra XII e XV secolo, e ne indaga il linguaggio quale referente privilegiato, rilevandone persistenze terminologiche e nuclei sintagmatici ricorrenti, al fine di individuare concetti utili a delineare un lessico politico proprio di questa testualità, in corrispondenza al sorgere dell’entità statale europea nel XIII secolo (con particolare riguardo all’area francese, ai regni di Luigi IX e Filippo il Bello). A partire da un’analisi critica delle tesi di Quentin Skinner circa la ‘ridefinizione paradiastolica’ del sistema delle virtù classiche entro il trattato De principatibus, lo studio innesca un percorso di indagine à rebours che - sondando il linguaggio - rintraccia nella trattatistica delle institutiones regum del XV secolo (Pontano, Patrizi, Carafa, Platina) e degli specula principum medievali (Elinando di Froidmont, Gilberto di Tournai, Vincenzo di Beauvais, Guglielmo Peraldo, Egidio Romano, Guido Vernani) una consonanza di motivi nella sintassi e nell’immaginario preposti ad illustrare le potenzialità semantiche del nome di prudentia, individuata quale unica virtù sopravvissuta alla ‘ridescrizione’ del codice etico operata da Machiavelli. Indagando i progressivi ampliamenti del campo semantico sorto attorno al nome della virtù di prudenza entro la letteratura speculare, la ricerca mostra come il dialettico rapporto con i lessemi di sapientia, astutia, fides ed experientia abbia avuto un ruolo determinante per il sorgere di un’immagine del principe emancipata dalla figura biblica del “rex sapiens”, e per la formazione di un lessico ospitale delle manifestazioni concrete del vivere politico ed economico. I processi di dilatazione e rarefazione del bacino semantico di prudentia sono, infatti, funzionali ad illustrare come il linguaggio della testualità speculare registri l’acquisizione di nuove strumentazioni teoriche grazie al rinnovamento delle fonti a disposizione lungo il secolo XIII, che - sostituendo progressivamente il più recente dossier aristotelico al solo apparato veterotestamentario - permettono di integrare la concezione delle virtù in senso operativo, adattandola alle esigenze politico-economiche dei nuovi contesti istituzionali monarchici.
Huesos: una fuente histórica particular para conocer las relaciones de las personas con los animales
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Programa de doctorado: Territorio y sociedad: evolución histórica de un espacio tricontinental (África, América y Europa) Póster ganador del premio del público.
L'area dei Lungarni di Pisa nel tardo Medioevo (XIV-XV secolo). un tentativo di ricostruzione in 3D.
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Lo scopo di questa ricerca è la ricostruzione dei Lungarni di Pisa nel Tardo Medioevo (XIV-XV secolo); lo studio intende sottolineare le trasformazioni urbanistiche che hanno cambiato il volto di Pisa nel corso del tempo e ricordare che l’area fluviale ebbe un ruolo di primo piano come baricentro commerciale ed economico della città, vocazione che si è in gran parte persa con l’età moderna e contemporanea. La metodologia seguita, affinata e perfezionata durante la partecipazione al progetto Nu.M.E. (Nuovo Museo Elettronico della Città di Bologna), si basa sull’analisi e il confronto di fonti eterogenee ma complementari, che includono precedenti studi di storia dell’urbanistica, un corpus di documentazione di epoca medievale (provvedimenti amministrativi come gli Statuti del Comune di Pisa, ma anche descrizioni di cronisti e viaggiatori), fonti iconografiche, tra cui vedute e mappe cinquecentesche o successive, e fonti materiali, come le persistenze medievali ancora osservabili all’interno degli edifici ed i reperti rinvenuti durante alcune campagne di scavo archeologiche. Il modello 3D non è concepito come statico e “chiuso”, ma è liberamente esplorabile all’interno di un engine tridimensionale; tale prodotto può essere destinato a livelli di utenza diversi, che includono sia studiosi e specialisti interessati a conoscere un maggior numero di informazioni e ad approfondire la ricerca, sia semplici cittadini appassionati di storia o utenti più giovani, come studenti di scuole medie superiori e inferiori.
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La tesi ha per oggetto la cultura ebraica cretese nei secoli XIV-XVI e, in particolare, l’influsso esercitato su di essa dalla cultura e dalle tradizioni degli ebrei sefarditi e ashkenaziti che cominciarono a stabilirsi sull’isola a partire dalla metà del Trecento. La tesi si basa da un lato su fonti amministrative e notarili e, dall’altro, sui manoscritti ebraici prodotti o portati a Candia nel periodo considerato. Il primo capitolo tratta della comunità ebraica nel primo Cinquecento e porta nuove notizie a proposito della geografia della zudeca, delle sue sinagoghe, della sua composizione sociale, dell’entità della sua popolazione e della biografia del principale leader spirituale e culturale attivo a Candia a quell’epoca: Elia Capsali. Il secondo capitolo offre una panoramica sull’immigrazione ebraica a Candia nei secoli XIV-XV. Il terzo capitolo esplora alcune particolarità della liturgia sinagogale elaborata dagli ebrei candioti sotto l’influsso della tradizione ashkenazita. Il quarto capitolo tratta di due liste di libri databili alla seconda metà del Quattrocento (Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 3574 B) e suggerisce di considerarle come indicative del peso che ebbero alcuni immigrati ebrei catalani nella diffusione della cultura medica sefardita a Candia. Il quinto capitolo è dedicato al medico, filosofo e astronomo Mosheh ben Yehudah Galiano, il quale visse a Candia tra la seconda metà degli anni Venti del Cinquecento e il 1543. L’ultimo capitolo tratta degli effetti provocati dall’epidemia di peste del 1592-95 all’interno della zudeca di Candia.
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Desde la creación del Virreinato del Perú, en el siglo XVI, los arcos, bóvedas y cúpulas se acostumbraban a levantar con piedra y fábrica. Sin embargo estas tierras eran sacudidas periodicamente por terremotos, produciendo el colapso de la mayoría de estas edificaciones. Para el siglo XVII los alarifes ya habían experimentado diversas maneras de levantar bóvedas, sin haberse encontrado una respuesta razonable en términos de tiempo, economía y estabilidad frente a los sismos. En medio de este panorama se produjo la introducción de las bóvedas encamonadas a mediados del siglo XVII, consolidandose en el resto de la centuria hasta el punto de terminar convirtiéndose en un recurso tradicional y de estimada elaboración dentro de la arquitectura virreinal peruana. Las bóvedas encamonadas se realizaban con tablas de madera (camones) que se solapaban entre sí para formar arcos (cerchas), los cuales definían la forma que tendrían las bóvedas, y eran estabilizados lateralmente mediante correas. Sobre los arcos y correas se colocaba un cerramiento que podía ser un entablado, unos listones de madera o simplemente un tendido a base de cañas. En la mayoría de casos se finalizaba con un recubrimiento aislante de barro por el extradós y otro decorativo de yeso por el intradós. Precisamente estas bóvedas constituyen el objeto de la presente tesis, específicamente en su devenir histórico entre los siglos XVII y XVIII en el ámbito territorial del Virreinato del Perú, partiendo del examen de los tratados de arquitectura coetáneos y del estudio de las bóvedas de madera en España, para finalizar con el análisis de las características geométricas y constructivas que lograron definir en ellas los alarifes peruanos. Since the creation of the Viceroyalty of Peru, in the sixteenth century, arches, vaults and domes were accustomed to build with stone and masonry. However, these lands were periodically shaken by earthquakes, causing the collapse of most of these buildings. For the seventeenth century the master masons had already experienced several ways to build vaults, without having found a reasonable response in terms of time, economy and stability against earthquakes. Into this context the master carpenters introduced the wooden vaults since seventeenth century, and this constructive system was consolidated around the rest of the century to the end point of becoming a traditional and estimated resource of the Peruvian colonial architecture. The wooden vaults were made with timber planks (camones) that overlapped each other to form arches (cerchas), which defined the shape of the vaults, and were stabilized laterally by purlins. Above the arches and purlins placed planks, wooden strips or just cane. In most cases ended with a mud plaster insulating the extrados and a decorative gypsum plaster on the intrados. Precisely these vaults are the subject of this thesis, specifically in its historical way between the seventeenth and eighteenth centuries in the territory of the Viceroyalty of Peru. Since an examination of the architectural treatises and the Spanish wooden vaults, and concluding with the analysis of the geometric and constructive system that Peruvian builders were able to define on them.
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Fecha de 1825 tomada de tít
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Vajilla de madera y vajilla de barro en los siglos XIII y XIV. En Al-Andalus, XVI. Madrid 1951
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La escalera de caracol es uno de los elementos que mejor define la evolución de la construcción pétrea a lo largo de nuestra historia moderna. El movimiento helicoidal de las piezas de una escalera muestra, con frecuencia, el virtuosismo que alcanzaron los maestros del arte de la cantería y la plasticidad, expresividad y ligereza de sus obras. A pesar de su origen exclusivamente utilitario y de su ubicación secundaria, se convertirán en signo de maestría y en elementos protagonistas del espacio que recorren y de la composición de los edificios, como es el caso de las grande vis de los Châteaux franceses del XVI como Blois, Chateaudun o Chambord o los schlosses alemanes como el de Hartenfels en Torgau. Este protagonismo queda patente en los tratados y manuscritos de cantería, elaborados fundamentalmente en España y Francia, a partir del siglo XVI que recogen un gran número de variantes de escaleras de caracol entre sus folios. Breve historia de la escalera de Caracol Los ejemplos más antiguos conocidos de escaleras de caracol en Occidente provienen de los primeros siglos de nuestra era y están asociados a construcciones de tipo conmemorativo, funerario o civil, romanas. Destaca de entre ellas la columna trajana, construida en el 113 por Apolodoro de Damasco en los Foros de Roma. Esta columna, conservada en la actualidad, fue profusamente representada por los tratados de arquitectura desde el Renacimento como el de Serlio, Caramuel, Piranesi, Rondelet y, más recientemente, Canina. Choisy describe en El arte de construir en Bizancio un grupo de escaleras de caracol cubiertas por bóvedas helicoidales y construidas entre el siglo IV y VIII; a esta misma época pertenecen otras escaleras con bóvedas aparejadas de forma desigual con sillarejos y sillares de pequeño tamaño sin reglas de traba claras, pensadas al igual que las de Choisy para ser revestidas con un mortero. Herederas de estas bóvedas de la antigüedad son las escaleras de caracol de la Edad Media. Así las describe Viollet le Duc: “compuestas por un machón construido en cantería, con caja perimetral circular, bóveda helicoidal construida en piedra sin aparejar, que se apoya en el machón y sobre el paramento circular interior. Estas bóvedas soportan los peldaños en los que las aristas son trazadas siguiendo los radios del círculo”. En esta misma época, siglos XI y XII, se construyen un grupo de escaleras de caracol abovedadas en piedra de cantería vista: las de la torre oeste de Notre Dame des Doms en Avignon, las de la tour de Roi, de Évêque y Bermonde de los Chateaux de Uzés, las gemelas de las torres de la Catedral Saint Théodorit de Uzés y la conocida escalera del transepto de la Abadía de Saint Gilles. Ésta última dará el nombre a uno de los modelos estereotómicos de mayor complejidad del art du trait o arte de la cantería: la vis Saint Gilles, que aparece en la mayoría de los textos dedicados al corte de piedras en España y Francia. La perfección y dificultad de su trazado hizo que, durante siglos, esta escalera de caracol fuera lugar de peregrinación de canteros y se convirtiera en el arquetipo de un modelo representado con profusión en los tratados hasta el siglo XIX. A partir del siglo XIII, será el husillo el tipo de escalera curva que dará respuesta a las intenciones de la arquitectura a la “moderna” o gótica. Estas escaleras con machón central se generalizarán, insertándose en un complejo sistema de circulaciones de servicio, que conectaban por completo, en horizontal y vertical, los edificios. Estos pasadizos horizontales y estas conexiones verticales, hábilmente incorporadas en el espesor de contrafuertes, machones, esquinas, etc, serán una innovación específicamente gótica, como señala Fitchen. La pieza de peldaño, que se fabrica casi “en serie” reflejará fielmente el espíritu racional y funcionalista de la arquitectura gótica. Inicialmente los peldaños serán prismáticos, sin labrar por su cara interior; después, éstos darán paso a escaleras más amables con los helicoides reglados formando su intradós. Insertos en construcciones góticas y en convivencia con husillos, encontramos algunos ejemplos de escaleras abovedadas en el siglo XIII y XIV. Estamos hablando de la escalera de la torre este del Castillo de Maniace en Siracusa, Sicilia y la escalera de la torre norte del transepto de la Catedral de Barcelona. En ambos casos, los caracoles se pueden relacionar con el tipo vis de Saint Gilles, pero incorporan invariantes de la construcción gótica que les hace mantener una relación tipológica y constructiva con los husillos elaborados en la misma época. En la segunda mitad del siglo XV aparecen, vinculadas al ámbito mediterráneo, un conjunto de escaleras en las que el machón central se desplaza transformándose en una moldura perimetral y dejando su lugar a un espacio hueco que permite el paso de la luz. Los tratados manuscritos de cantería que circulan en el XVI y XVII por España recogen el modelo con su denominación: caracol de Mallorca. Varios autores han mantenido la tesis de que el nombre proviene de la escalera situada en la torre noroeste de la Lonja de Palma de Mallorca. Los Manuscritos y tratados de Cantería y las escaleras de caracol Coincidiendo con la apertura intelectual que propicia el Renacimiento se publican algunos tratados de arquitectura que contienen capítulos dedicados al corte de las piedras. El primero de ellos es Le premier tome de l’Architecture de Philibert de L’Orme, publicado en 1567 en Francia. En España tenemos constancia de la existencia de numerosos cuadernos profesionales que circulaban entre los canteros. Varias copias de estos manuscritos han llegado hasta nuestros días. Los más completos son sin duda, las dos copias que se conservan del tratado de arquitectura de Alonso de Vandelvira, una en la Biblioteca Nacional y otra en la Biblioteca de la Escuela de Arquitectura de la Universidad Politécnica de Madrid y el manuscrito titulado Cerramientos y trazas de Montea de Ginés Martínez de Aranda. Todas estas colecciones de aparejos, con excepción de la atribuida a Pedro de Albiz, presentan trazas de escaleras de caracol. En los siglos XVII y XVIII los textos en España más interesantes para nuestras investigaciones son, como en el XVI, manuscritos que no llegaron a ver la imprenta. Entre ellos destacan De l’art del picapedrer de Joseph Gelabert y el Cuaderno de Arquitectura de Juan de Portor y Castro. Estos dos textos, que contienen varios aparejos de caracoles, están claramente vinculados con la práctica constructiva a diferencia de los textos impresos del XVIII, como los del Padre Tosca o el de Juan García Berruguilla, que dedican algunos capítulos a cortes de Cantería entre los que incluyen trazas de escaleras, pero desde un punto de vista más teórico. Podemos agrupar las trazas recogidas en los manuscritos y tratados en cinco grandes grupos: el caracol de husillo, el caracol de Mallorca, los caracoles abovedados, los caracoles exentos y los caracoles dobles. El husillo, de procedencia gótica, permanece en la mayoría de nuestros textos con diferentes denominaciones: caracol de husillo, caracol de nabo redondo o caracol macho. Se seguirá construyendo con frecuencia durante todo el periodo de la Edad Moderna. Los ejemplares más bellos presentan el intradós labrado formando un helicoide cilíndrico recto como es el caso del husillo del Monasterio de la Vid o el de la Catedral de Salamanca o un helicoide axial recto como en el de la Capilla de la Comunión en la Catedral de Santiago de Compostela. La diferencia estriba en la unión del intradós y el machón central: una amable tangencia en el primer caso o un encuentro marcado por una hélice en el segundo. El segundo tipo de caracol presente en casi todos los autores es el caracol de Mallorca. Vandelvira, Martínez de Aranda, y posteriormente Portor y Castro lo estudian con detenimiento. Gelabert, a mediados del siglo XVII, nos recordará su origen mediterráneo al presentar el que denomina Caracol de ojo abierto. El Caracol de Mallorca también estará presente en colecciones de aparejos como las atribuidas a Alonso de Guardia y Juan de Aguirre, ambas depositadas en la Biblioteca Nacional y en las compilaciones técnicas del siglo XVIII, de fuerte influencia francesa, aunque en este caso ya sin conservar su apelación original. El Caracol que dicen de Mallorca se extiende por todo el territorio peninsular de la mano de los principales maestros de la cantería. Los helicoides labrados con exquisita exactitud, acompañados de armoniosas molduras, servirán de acceso a espacios más representativos como bibliotecas, archivos, salas, etc. Es la escalera de la luz, como nos recuerda su apelación francesa, vis a jour. Precisamente en Francia, coincidiendo con el renacimiento de la arquitectura clásica se realizan una serie de escaleras de caracol abovedadas, en vis de Saint Gilles. Los tratados franceses, comenzando por De L’Orme, y siguiendo por, Jousse, Derand, Milliet Dechales, De la Hire, De la Rue, Frezier, Rondelet, Adhémar o Leroy, entre otros, recogen en sus escritos el modelo y coinciden en reconocer la dificultad de su trazado y el prestigio que adquirían los canteros al elaborar este tipo de escaleras. El modelo llega nuestras tierras en un momento histórico de productivo intercambio cultural y profesional entre Francia y España. Vandelvira, Martínez de Aranda y Portor y Castro analizan en sus tratados la “vía de San Gil”. En la provincia de Cádiz, en la Iglesia Mayor de Medina Sidonia, se construirá el más perfecto de los caracoles abovedados de la España renacentista. También en la provincia de Cádiz y vinculadas, posiblemente, a los mismos maestros encontramos un curioso grupo de escaleras abovedadas con generatriz circular horizontal. A pesar del extenso catálogo de escaleras presentes en la tratadística española, no aparece ninguna que muestre una mínima relación con ellas. Desde el punto de vista de la geometría, estamos ante uno de los tipos de escaleras que describe Choisy en El arte de construir en Bizancio. Se trata de escaleras abovedadas construidas por hojas y lechos horizontales. Los caracoles abovedados tendrán también su versión poligonal: la vis Saint Gilles quarré o el caracol de emperadores cuadrado en su versión vandelviresca. Las soluciones que dibujan los tratados son de planta cuadrada, pero la ejecución será poligonal en los raros ejemplos construidos, que se encuentran exclusivamente en Francia. Su geometría es compleja: el intradós es una superficie reglada alabeada denominada cilindroide; su trazado requiere una habilidad extrema y al ser un tanto innecesaria desde el punto de vista funcional, fue muy poco construida. Otro tipo de escalera habitual es la que Vandelvira y Martínez de Aranda denominan en sus tratados “caracol exento”. Se trata de una escalera volada alrededor de un pilar, sin apoyo en una caja perimetral y que, por lo tanto, debe trabajar en ménsula. Su función fue servir de acceso a espacios de reducidas dimensiones como púlpitos, órganos o coros. Encontramos ejemplos de estos caracoles exentos en el púlpito de la catedral de Viena y en España, en la subida al coro de la Iglesia arciprestal de Morella en Valencia. El largo repertorio de escaleras de caracol prosigue en los tratados y en las múltiples soluciones que encontramos en arquitecturas civiles y religiosas en toda Europa. Hasta varios caracoles en una sola caja: dobles e incluso triples. Dobles como el conocido de Chambord, o el doble husillo del Convento de Santo Domingo en Valencia, rematado por un caracol de Mallorca; triples como la triple escalera del Convento de Santo Domingo de Bonaval en Santiago de Compostela. La tratadística española recogerá dos tipos de caracoles dobles, el ya comentado en una sola caja, en versiones con y sin machón central, definidos por Martínez de Aranda, Juan de Aguirre, Alonso de Guardia y Joseph Gelabert y el caracol doble formado por dos cajas diferentes y coaxiales. Vandelvira lo define como Caracol de Emperadores. Será el único tipo de caracol que recoja Cristobal de Rojas en su Teoría y Práctica de Fortificación. No hay duda que las escaleras de caracol han formado parte de un privilegiado grupo de elementos constructivos en constante evolución e investigación a lo largo de la historia de la arquitectura en piedra. Desde el cantero más humilde hasta los grandes maestros catedralicios las construyeron y, en muchos casos, crearon modelos nuevos en los pergaminos de sus propias colecciones o directamente sobre la piedra. Estos modelos casi experimentales sirvieron para encontrar trabajo o demostrar un grado de profesionalidad a sus autores, que les hiciera, al mismo tiempo, ganarse el respeto de sus compañeros. Gracias a esto, se inició un proceso ese proceso de investigación y evolución que produjo una diversidad en los tipos, sin precedentes en otros elementos similares, y la transferencia de procedimientos dentro del arte de la cantería. Los grandes autores del mundo de la piedra propusieron multitud de tipos y variantes, sin embargo, el modelo de estereotomía tradicionalmente considerado más complejo y más admirado es un caracol de reducidas dimensiones construido en el siglo XII: la Vis de Saint Gilles. Posiblemente ahí es donde reside la grandeza de este arte.
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El objetivo de esta exposición es utilizar los fondos de la Biblioteca Histórica Marqués de Valdecilla para mostrar al público la realidad castellana del siglo XVI, cuando tras el gobierno de los Reyes Católicos desembarcó en las tierras de Castilla un nuevo rey que cambiaría el destino del reino vinculándolo a la dinastía imperial, cuyo poder se extendería por todo el orbe. El siglo XVI fue el periodo clave en la formación de la realidad política multiterritorial conocida como Monarquía Hispánica, en cuya conjunción se encontrarían inmersos territorios tan dispares como Perú y Holanda, Nápoles y México, Filipinas y Alemania... que contaban con peculiaridades culturales identitarias particulares de cada reino, señorío o lugar, además de contar con una estructura jurídica diferente, complicando en demasía el proceso de homogeneización deseada por las autoridades imperiales.Entre ese amplio número de reinos incluidos en la Monarquía Hispánica se encontraba Castilla, cuyo camino histórico a lo largo del XV había desembocado en un proceso de expansión económica que permitió a sus monarcas desarrollar un conjunto de políticas dirigidas hacia la consecución de los objetivos prioritarios establecidos desde hacía siglos y también aquellos que en ningún momento fueron planificados y que sin embargo, permitieron que Castilla se convirtiera en la fuente principal de riqueza para la Europa mercantilista, al introducir en el circuito económico grandes cantidades de metales preciosos procedentes de sus reinos asociados americanos. Pero la sucesión de Carlos V como rey castellano no fue ni mucho menos fácil, ni corriente ya que tuvo que vencer en una guerra civil para conseguirlo, a pesar de ser el legítimo heredero al trono.
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During the 16th century an ambitious political programme for building towers and forts bordering the Spanish Empire’s littoral, to protect it, is materialised. This sighting network over the sea horizon had the essential mission of detecting the presence of vessels that supposed a threat. The network was organised through the strategic arrangement of watchtowers taking profit of the geographical features in the topography so that they could communicate among them with a system of visual signs. The virtual union of the stated settlements defined the fortified maritime borderline. At the same time, this network of sentinels was reinforced (in certain settlements) by the construction of fortifications that acted like centres of data reception and supplied the necessary personnel for detection and transmission. So, this mesh was established by observation points (watchtowers) and information and defense centres (fortifications) to make the news arrive to the decision centres. The present communication aims to demonstrate this military strategy providing the inventory of all defensive architectures that marked this limit between the Segura river mouth until the Huertas cape and that these are spotted from the ‘Flat’ island (later Nueva Tabarca). A riverside geography of approxi-mately 30 km long where 3 fortifications and 7 towers of diverse typologies successively took place. Among the most relevant documents of this research, we could mention the plans of the fortifycations in Guardamar and Santa Pola from the 16th century (drawn in the 18th). For this research, drawings of towers made by the Ministry of Public Works at the end of the 19th century are also important; these documents show the new military tactics, neither for attack neither for defense. At most, they replaced for maritime lighthouses for signage and help for navigation while the others towers were abandoned.
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V. 1 is 2d edition rev. and enl.
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Vol. 3 has title: Historia del obispado y arzobispado del Yucatán : siglos XIX y XX; written by Víctor M. Suárez Molina.
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Index acutiorum sententiarum": p. [2]-[5] finales ; "Index in librum subtilitate Iulii Caes. Scaligeri": p. [6]-[93] finales.
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CCBE S. XVI,