993 resultados para Philadelphia, Pennsylvania
Resumo:
The Ph chromosome is the most frequent cytogenetic aberration associated with adult ALL and it represents the single most significant adverse prognostic marker. Despite imatinib has led to significant improvements in the treatment of patients with Ph+ ALL, in the majority of cases resistance developed quickly and disease progressed. Some mechanisms of resistance have been widely described but the full knowledge of contributing factors, driving both the disease and resistance, remains to be defined. The observation of rapid development of lymphoblastic leukemia in mice expressing altered Ikaros (Ik) isoforms represented the background of this study. Ikaros is a zinc finger transcription factor required for normal hemopoietic differentiation and proliferation, particularly in the lymphoid lineages. By means of alternative splicing, Ikaros encodes several proteins that differ in their abilities to bind to a consensus DNA-binding site. Shorter, DNA nonbinding isoforms exert a dominant negative effect, inhibiting the ability of longer heterodimer partners to bind DNA. The differential expression pattern of Ik isoforms in Ph+ ALL patients was analyzed in order to determine if molecular abnormalities involving the Ik gene could associate with resistance to imatinib and dasatinib. Bone marrow and peripheral blood samples from 46 adult patients (median age 55 yrs, 18-76) with Ph+ ALL at diagnosis and during treatment with imatinib (16 pts) or dasatinib (30 pts) were collected. We set up a fast, high-throughput method based on capillary electrophoresis technology to detect and quantify splice variants. 41% Ph+ ALL patients expressed high levels of the non DNA-binding dominant negative Ik6 isoform lacking critical N-terminal zinc-fingers which display abnormal subcellular compartmentalization pattern. Nuclear extracts from patients expressed Ik6 failed to bind DNA in mobility shift assay using a DNA probe containing an Ikaros-specific DNA binding sequence. In 59% Ph+ ALL patients there was the coexistence in the same PCR sample and at the same time of many splice variants corresponded to Ik1, Ik2, Ik4, Ik4A, Ik5A, Ik6, Ik6 and Ik8 isoforms. In these patients aberrant full-length Ikaros isoforms in Ph+ ALL characterized by a 60-bp insertion immediately downstream of exon 3 and a recurring 30-bp in-frame deletion at the end of exon 7 involving most frequently the Ik2, Ik4 isoforms were also identified. Both the insertion and deletion were due to the selection of alternative splice donor and acceptor sites. The molecular monitoring of minimal residual disease showed for the first time in vivo that the Ik6 expression strongly correlated with the BCR-ABL transcript levels suggesting that this alteration could depend on the Bcr-Abl activity. Patient-derived leukaemia cells expressed dominant-negative Ik6 at diagnosis and at the time of relapse, but never during remission. In order to mechanistically demonstrated whether in vitro the overexpression of Ik6 impairs the response to tyrosine kinase inhibitors (TKIs) and contributes to resistance, an imatinib-sensitive Ik6-negative Ph+ ALL cell line (SUP-B15) was transfected with the complete Ik6 DNA coding sequence. The expression of Ik6 strongly increased proliferation and inhibited apoptosis in TKI sensitive cells establishing a previously unknown link between specific molecular defects that involve the Ikaros gene and the resistance to TKIs in Ph+ ALL patients. Amplification and genomic sequence analysis of the exon splice junction regions showed the presence of 2 single nucleotide polymorphisms (SNPs): rs10251980 [A/G] in the exon2/3 splice junction and of rs10262731 [A/G] in the exon 7/8 splice junction in 50% and 36% of patients, respectively. A variant of the rs11329346 [-/C], in 16% of patients was also found. Other two different single nucleotide substitutions not recognized as SNP were observed. Some mutations were predicted by computational analyses (RESCUE approach) to alter cis-splicing elements. In conclusion, these findings demonstrated that the post-transcriptional regulation of alternative splicing of Ikaros gene is defective in the majority of Ph+ ALL patients treated with TKIs. The overexpression of Ik6 blocking B-cell differentiation could contribute to resistance opening a time frame, during which leukaemia cells acquire secondary transforming events that confer definitive resistance to imatinib and dasatinib.
Resumo:
Call me Ismail. Così inizia notoriamente il celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick. In un altro racconto, ambientato nel 1797, anno del grande ammutinamento della flotta del governo inglese, Melville dedica un breve accenno a Thomas Paine. Il racconto è significativo di quanto – ancora nella seconda metà dell’Ottocento – l’autore di Common Sense e Rights of Man sia sinonimo delle possibilità radicalmente democratiche che l’ultima parte del Settecento aveva offerto. Melville trova in Paine la chiave per dischiudere nel presente una diversa interpretazione della rivoluzione: non come una vicenda terminata e confinata nel passato, ma come una possibilità che persiste nel presente, “una crisi mai superata” che viene raffigurata nel dramma interiore del gabbiere di parrocchetto, Billy Budd. Il giovane marinaio della nave mercantile chiamata Rights of Man mostra un’attitudine docile e disponibile all’obbedienza, che lo rende pronto ad accettare il volere dei superiori. Billy non contesta l’arruolamento forzato nella nave militare. Nonostante il suo carattere affabile, non certo irascibile, l’esperienza in mare sulla Rights of Man rappresenta però un peccato difficile da espiare: il sospetto è più forte della ragionevolezza, specie quando uno spettro di insurrezione continua ad aggirarsi nella flotta di sua maestà. Così, quando, imbarcato in una nave militare della flotta inglese, con un violento pugno Billy uccide l’uomo che lo accusa di tramare un nuovo ammutinamento, il destino inevitabile è quello di un’esemplare condanna a morte. Una condanna che, si potrebbe dire, mostra come lo spettro della rivoluzione continui ad agitare le acque dell’oceano Atlantico. Nella Prefazione Melville fornisce una chiave di lettura per accedere al testo e decifrare il dramma interiore del marinaio: nella degenerazione nel Terrore, la vicenda francese indica una tendenza al tradimento della rivoluzione, che è così destinata a ripetere continuamente se stessa. Se “la rivoluzione si trasformò essa stessa in tirannia”, allora la crisi segna ancora la società atlantica. Non è però alla classica concezione del tempo storico – quella della ciclica degenerazione e rigenerazione del governo – che Melville sembra alludere. Piuttosto, la vicenda rivoluzionaria che ha investito il mondo atlantico ha segnato un radicale punto di cesura con il passato: la questione non è quella della continua replica della storia, ma quella del continuo circolare dello “spirito rivoluzionario”, come dimostra nell’estate del 1797 l’esperienza di migliaia di marinai che tra grida di giubilo issano sugli alberi delle navi i colori britannici da cui cancellano lo stemma reale e la croce, abolendo così d’un solo colpo la bandiera della monarchia e trasformando il mondo in miniatura della flotta di sua maestà “nella rossa meteora di una violenta e sfrenata rivoluzione”. Raccontare la vicenda di Billy riporta alla memoria Paine. L’ammutinamento è solo un frammento di un generale spirito rivoluzionario che “l’orgoglio nazionale e l’opinione politica hanno voluto relegare nello sfondo della storia”. Quando Billy viene arruolato, non può fare a meno di portare con sé l’esperienza della Rights of Man. Su quel mercantile ha imparato a gustare il dolce sapore del commercio insieme all’asprezza della competizione sfrenata per il mercato, ha testato la libertà non senza subire la coercizione di un arruolamento forzato. La vicenda di Billy ricorda allora quella del Paine inglese prima del grande successo di Common Sense, quando muove da un’esperienza di lavoro all’altra in modo irrequieto alla ricerca di felicità – dal mestiere di artigiano all’avventura a bordo di un privateer inglese durante la guerra dei sette anni, dalla professione di esattore fiscale alle dipendenze del governo, fino alla scelta di cercare fortuna in America. Così come Paine rivendica l’originalità del proprio pensiero, il suo essere un autodidatta e le umili origini che gli hanno impedito di frequentare le biblioteche e le accademie inglesi, anche Billy ha “quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna alla rettitudine non convenzionale di ogni integra creatura umana alla quale non sia ancora stato offerto il dubbio pomo della sapienza”. Così come il pamphlet Rights of man porta alla virtuale condanna a morte di Paine – dalla quale sfugge trovando rifugio a Parigi – allo stesso modo il passato da marinaio sulla Rights of Man porta al processo per direttissima che sentenzia la morte per impiccagione del giovane marinaio. Il dramma interiore di Billy replica dunque l’esito negativo della rivoluzione in Europa: la rivoluzione è in questo senso come un “violento accesso di febbre contagiosa”, destinato a scomparire “in un organismo costituzionalmente sano, che non tarderà a vincerla”. Non viene però meno la speranza: quella della rivoluzione sembra una storia senza fine perché Edward Coke e William Blackstone – i due grandi giuristi del common law inglese che sono oggetto della violenta critica painita contro la costituzione inglese – “non riescono a far luce nei recessi oscuri dell’animo umano”. Rimane dunque uno spiraglio, un angolo nascosto dal quale continua a emergere uno spirito rivoluzionario. Per questo non esistono cure senza effetti collaterali, non esiste ordine senza l’ipoteca del ricorso alla forza contro l’insurrezione: c’è chi come l’ufficiale che condanna Billy diviene baronetto di sua maestà, c’è chi come Billy viene impiccato, c’è chi come Paine viene raffigurato come un alcolizzato e impotente, disonesto e depravato, da relegare sul fondo della storia atlantica. Eppure niente più del materiale denigratorio pubblicato contro Paine ne evidenzia il grande successo. Il problema che viene sollevato dalle calunniose biografie edite tra fine Settecento e inizio Ottocento è esattamente quello del trionfo dell’autore di Common Sense e Rights of Man nell’aver promosso, spiegato e tramandato la rivoluzione come sfida democratica che è ancora possibile vincere in America come in Europa. Sono proprio le voci dei suoi detrattori – americani, inglesi e francesi – a mostrare che la dimensione nella quale è necessario leggere Paine è quella del mondo atlantico. Assumendo una prospettiva atlantica, ovvero ricostruendo la vicenda politica e intellettuale di Paine da una sponda all’altra dell’oceano, è possibile collegare ciò che Paine dice in spazi e tempi diversi in modo da segnalare la presenza costante sulla scena politica di quei soggetti che – come i marinai protagonisti dell’ammutinamento – segnalano il mancato compimento delle speranze aperte dall’esperienza rivoluzionaria. Limitando la ricerca al processo di costruzione della nazione politica, scegliendo di riassumerne il pensiero politico nell’ideologia americana, nella vicenda costituzionale francese o nel contesto politico inglese, le ricerche su Paine non sono riuscite fino in fondo a mostrare la grandezza di un autore che risulta ancora oggi importante: la sua produzione intellettuale è talmente segnata dalle vicende rivoluzionarie che intessono la sua biografia da fornire la possibilità di studiare quel lungo periodo di trasformazione sociale e politica che investe non una singola nazione, ma l’intero mondo atlantico nel corso della rivoluzione. Attraverso Paine è allora possibile superare quella barriera che ha diviso il dibattito storiografico tra chi ha trovato nella Rivoluzione del 1776 la conferma del carattere eccezionale della nazione americana – fin dalla sua origine rappresentata come esente dalla violenta conflittualità che invece investe il vecchio continente – e chi ha relegato il 1776 a data di secondo piano rispetto al 1789, individuando nell’illuminismo la presunta superiorità culturale europea. Da una sponda all’altra dell’Atlantico, la storiografia ha così implicitamente alzato un confine politico e intellettuale tra Europa e America, un confine che attraverso Paine è possibile valicare mostrandone la debolezza. Parlando di prospettiva atlantica, è però necessario sgombrare il campo da possibili equivoci: attraverso Paine, non intendiamo stabilire l’influenza della Rivoluzione americana su quella francese, né vogliamo mostrare l’influenza del pensiero politico europeo sulla Rivoluzione americana. Non si tratta cioè di stabilire un punto prospettico – americano o europeo – dal quale leggere Paine. L’obiettivo non è quello di sottrarre Paine agli americani per restituirlo agli inglesi che l’hanno tradito, condannandolo virtualmente a morte. Né è quello di confermare l’americanismo come suo unico lascito culturale e politico. Si tratta piuttosto di considerare il mondo atlantico come l’unico scenario nel quale è possibile leggere Paine. Per questo, facendo riferimento al complesso filone storiografico dell’ultimo decennio, sviluppato in modo diverso da Bernard Bailyn a Markus Rediker e Peter Linebaugh, parliamo di rivoluzione atlantica. Certo, Paine vede fallire nell’esperienza del Terrore quella rivoluzione che in America ha trionfato. Ciò non costituisce però un elemento sufficiente per riproporre l’interpretazione arendtiana della rivoluzione che, sulla scorta della storiografia del consenso degli anni cinquanta, ma con motivi di fascino e interesse che non sempre ritroviamo in quella storiografia, ha contribuito ad affermare un ‘eccezionalismo’ americano anche in Europa, rappresentando gli americani alle prese con il problema esclusivamente politico della forma di governo, e i francesi impegnati nel rompicapo della questione sociale della povertà. Rompicapo che non poteva non degenerare nella violenza francese del Terrore, mentre l’America riusciva a istituire pacificamente un nuovo governo rappresentativo facendo leva su una società non conflittuale. Attraverso Paine, è infatti possibile mostrare come – sebbene con intensità e modalità diverse – la rivoluzione incida sul processo di trasformazione commerciale della società che investe l’intero mondo atlantico. Nel suo andirivieni da una sponda all’altra dell’oceano, Paine non ragiona soltanto sulla politica – sulla modalità di organizzare una convivenza democratica attraverso la rappresentanza, convivenza che doveva trovare una propria legittimazione nel primato della costituzione come norma superiore alla legge stabilita dal popolo. Egli riflette anche sulla società commerciale, sui meccanismi che la muovono e le gerarchie che la attraversano, mostrando così precise linee di continuità che tengono insieme le due sponde dell’oceano non solo nella circolazione del linguaggio politico, ma anche nella comune trasformazione sociale che investe i termini del commercio, del possesso della proprietà e del lavoro, dell’arricchimento e dell’impoverimento. Con Paine, America e Europa non possono essere pensate separatamente, né – come invece suggerisce il grande lavoro di Robert Palmer, The Age of Democratic Revolution – possono essere inquadrate dentro un singolo e generale movimento rivoluzionario essenzialmente democratico. Emergono piuttosto tensioni e contraddizioni che investono il mondo atlantico allontanando e avvicinando continuamente le due sponde dell’oceano come due estremità di un elastico. Per questo, parliamo di società atlantica. Quanto detto trova conferma nella difficoltà con la quale la storiografia ricostruisce la figura politica di Paine dentro la vicenda rivoluzionaria americana. John Pocock riconosce la difficoltà di comprendere e spiegare Paine, quando sostiene che Common Sense non evoca coerentemente nessun prestabilito vocabolario atlantico e la figura di Paine non è sistemabile in alcuna categoria di pensiero politico. Partendo dal paradigma classico della virtù, legata antropologicamente al possesso della proprietà terriera, Pocock ricostruisce la permanenza del linguaggio repubblicano nel mondo atlantico senza riuscire a inserire Common Sense e Rights of Man nello svolgimento della rivoluzione. Sebbene non esplicitamente dichiarata, l’incapacità di comprendere il portato innovativo di Common Sense, in quella che è stata definita sintesi repubblicana, è evidente anche nel lavoro di Bernard Bailyn che spiega come l’origine ideologica della rivoluzione, radicata nella paura della cospirazione inglese contro la libertà e nel timore della degenerazione del potere, si traduca ben presto in un sentimento fortemente contrario alla democrazia. Segue questa prospettiva anche Gordon Wood, secondo il quale la chiamata repubblicana per l’indipendenza avanzata da Paine non parla al senso comune americano, critico della concezione radicale del governo rappresentativo come governo della maggioranza, che Paine presenta quando partecipa al dibattito costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria. Paine è quindi considerato soltanto nelle risposte repubblicane dei leader della guerra d’indipendenza che temono una possibile deriva democratica della rivoluzione. Paine viene in questo senso dimenticato. La sua figura è invece centrale della nuova lettura liberale della rivoluzione: Joyce Appleby e Isaac Kramnick contestano alla letteratura repubblicana di non aver compreso che la separazione tra società e governo – la prima intesa come benedizione, il secondo come male necessario – con cui si apre Common Sense rappresenta il tentativo riuscito di cogliere, spiegare e tradurre in linguaggio politico l’affermazione del capitalismo. In particolare, Appleby critica efficacemente il concetto d’ideologia proposto dalla storiografia repubblicana, perché presuppone una visione statica della società. L’affermazione del commercio fornirebbe invece quella possibilità di emancipazione attraverso il lavoro libero, che Paine coglie perfettamente promuovendo una visione della società per la quale il commercio avrebbe permesso di raggiungere la libertà senza il timore della degenerazione della rivoluzione nel disordine. Questa interpretazione di Paine individua in modo efficace un aspetto importante del suo pensiero politico, la sua profonda fiducia nel commercio come strumento di emancipazione e progresso. Tuttavia, non risulta essere fino in fondo coerente e pertinente, se vengono prese in considerazione le diverse agende politiche avanzate in seguito alla pubblicazione di Common Sense e di Rights of Man, né sembra reggere quando prendiamo in mano The Agrarian Justice (1797), il pamphlet nel quale Paine mette in discussione la sua profonda fiducia nel progresso della società commerciale. Diverso è il Paine che emerge dalla storiografia bottom-up, secondo la quale la rivoluzione non può più essere ridotta al momento repubblicano o all’affermazione senza tensione del liberalismo: lo studio della rivoluzione deve essere ampliato fino a comprendere quell’insieme di pratiche e discorsi che mirano all’incisiva trasformazione dell’esistente slegando il diritto di voto dalla qualifica proprietaria, perseguendo lo scopo di frenare l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi con l’intento di ordinare la società secondo una logica di maggiore uguaglianza. Come dimostrano Eric Foner e Gregory Claeys, attraverso Paine è allora possibile rintracciare, sulla sponda americana come su quella inglese dell’Atlantico, forti pretese democratiche che non sembrano riducibili al linguaggio liberale, né a quello repubblicano. Paine viene così sottratto a rigide categorie storiografiche che per troppo tempo l’hanno consegnato tout court all’elogio del campo liberale o al silenzio di quello repubblicano. Facendo nostra la metodologia di ricerca elaborata dalla storiografia bottom-up per tenere insieme storia sociale e storia intellettuale, possiamo allora leggere Paine non solo per parlare di rivoluzione atlantica, ma anche di società atlantica: società e politica costituiscono un unico orizzonte d’indagine dal quale esce ridimensionata l’interpretazione della rivoluzione come rivoluzione esclusivamente politica, che – sebbene in modo diverso – tanto la storiografia repubblicana quanto quella liberale hanno rafforzato, alimentando indirettamente l’eccezionale successo americano contro la clamorosa disfatta europea. Entrambe le sponde dell’Atlantico mostrano una società in transizione: la costruzione della finanza nazionale con l’istituzione del debito pubblico e la creazione delle banche, la definizione delle forme giuridiche che stabiliscono modalità di possesso e impiego di proprietà e lavoro, costituiscono un complesso strumentario politico necessario allo sviluppo del commercio e al processo di accumulazione di ricchezza. Per questo, la trasformazione commerciale della società è legata a doppio filo con la rivoluzione politica. Ricostruire il modo nel quale Paine descrive e critica la società da una sponda all’altra dell’Atlantico mostra come la separazione della società dal governo non possa essere immediatamente interpretata come essenza del liberalismo economico e politico. La lettura liberale rappresenta senza ombra di dubbio un salto di qualità nell’interpretazione storiografica perché spiega in modo convincente come Paine traduca in discorso politico il passaggio da una società fortemente gerarchica come quella inglese, segnata dalla condizione di povertà e miseria comune alle diverse figure del lavoro, a una realtà sociale come quella americana decisamente più dinamica, dove il commercio e le terre libere a ovest offrono ampie possibilità di emancipazione e arricchimento attraverso il lavoro libero. Tuttavia, leggendo The Case of Officers of Excise (1772) e ricostruendo la sua attività editoriale alla guida del Pennsylvania Magazine (1775) è possibile giungere a una conclusione decisamente più complessa rispetto a quella suggerita dalla storiografia liberale: il commercio non sembra affatto definire una qualità non conflittuale del contesto atlantico. Piuttosto, nonostante l’assenza dell’antico ordine ‘cetuale’ europeo, esso investe la società di una tendenza alla trasformazione, la cui direzione, intensità e velocità dipendono anche dall’esito dello scontro politico in atto dentro la rivoluzione. Spostando l’attenzione su figure sociali che in quella letteratura sono di norma relegate in secondo piano, Paine mira infatti a democratizzare la concezione del commercio indicando nell’indipendenza personale la condizione comune alla quale poveri e lavoratori aspirano: per chi è coinvolto in prima persona nella lotta per l’indipendenza, la visione della società non indica allora un ordine naturale, dato e immutabile, quanto una scommessa sul futuro, un ideale che dovrebbe avviare un cambiamento sociale coerente con le diverse aspettative di emancipazione. Senza riconoscere questa valenza democratica del commercio non è possibile superare il consenso come presupposto incontestabile della Rivoluzione americana, nel quale tanto la storiografia repubblicana quanto quella librale tendono a cadere: non è possibile superare l’immagine statica della società americana, implicitamente descritta dalla prima, né andare oltre la visione di una società dinamica, ma priva di gerarchie e oppressione, come quella delineata dalla seconda. Le entusiastiche risposte e le violente critiche in favore e contro Common Sense, la dura polemica condotta in difesa o contro la costituzione radicale della Pennsylvania, la diatriba politica sul ruolo dei ricchi mercanti mostrano infatti una società in transizione lungo linee che sono contemporaneamente politiche e sociali. Dentro questo contesto conflittuale, repubblicanesimo e liberalismo non sembrano affatto competere l’uno contro l’altro per esercitare un’influenza egemone nella costruzione del governo rappresentativo. Vengono piuttosto mescolati e ridefiniti per rispondere alla pretese democratiche che provengono dalla parte bassa della società. Common Sense propone infatti un piano politico per l’indipendenza del tutto innovativo rispetto al modo nel quale le colonie hanno fino a quel momento condotto la controversia con la madre patria: la chiamata della convenzione rappresentativa di tutti gli individui per scrivere una nuova costituzione assume le sembianze di un vero e proprio potere costituente. Con la mobilitazione di ampie fasce della popolazione per vincere la guerra contro gli inglesi, le élite mercantili e proprietarie perdono il monopolio della parola e il processo decisionale è aperto anche a coloro che non hanno avuto voce nel governo coloniale. La dottrina dell’indipendenza assume così un carattere democratico. Paine non impiega direttamente il termine, tuttavia le risposte che seguono la pubblicazione di Common Sense lanciano esplicitamente la sfida della democrazia. Ciò mostra come la rivoluzione non possa essere letta semplicemente come affermazione ideologica del repubblicanesimo in continuità con la letteratura d’opposizione del Settecento britannico, o in alternativa come transizione non conflittuale al liberalismo economico e politico. Essa risulta piuttosto comprensibile nella tensione tra repubblicanesimo e democrazia: se dentro la rivoluzione (1776-1779) Paine contribuisce a democratizzare la società politica americana, allora – ed è questo un punto importante, non sufficientemente chiarito dalla storiografia – il recupero della letteratura repubblicana assume il carattere liberale di una strategia tesa a frenare le aspettative di chi considera la rivoluzione politica come un mezzo per superare la condizione di povertà e le disuguaglianze che pure segnano la società americana. La dialettica politica tra democrazia e repubblicanesimo consente di porre una questione fondamentale per comprendere la lunga vicenda intellettuale di Paine nella rivoluzione atlantica e anche il rapporto tra trasformazione sociale e rivoluzione politica: è possibile sostenere che in America la congiunzione storica di processo di accumulazione di ricchezza e costruzione del governo rappresentativo pone la società commerciale in transizione lungo linee capitalistiche? Questa non è certo una domanda che Paine pone esplicitamente, né in Paine troviamo una risposta esaustiva. Tuttavia, la sua collaborazione con i ricchi mercanti di Philadelphia suggerisce una valida direzione di indagine dalla quale emerge che il processo di costruzione del governo federale è connesso alla definizione di una cornice giuridica entro la quale possa essere realizzata l’accumulazione del capitale disperso nelle periferie dell’America indipendente. Paine viene così coinvolto in un frammentato e dilatato scontro politico dove – nonostante la conclusione della guerra contro gli inglesi nel 1783 – la rivoluzione non sembra affatto conclusa perché continua a muovere passioni che ostacolano la costruzione dell’ordine: leggere Paine fuori dalla rivoluzione (1780-1786) consente paradossalmente di descrivere la lunga durata della rivoluzione e di considerare la questione della transizione dalla forma confederale a quella federale dell’unione come un problema di limiti della democrazia. Ricostruire la vicenda politica e intellettuale di Paine in America permette infine di evidenziare un ambiguità costitutiva della società commerciale dentro la quale il progetto politico dei ricchi mercanti entra in tensione con un’attitudine popolare critica del primo processo di accumulazione che rappresenta un presupposto indispensabile all’affermazione del capitalismo. La rivoluzione politica apre in questo senso la società commerciale a una lunga e conflittuale transizione verso il capitalismo Ciò risulta ancora più evidente leggendo Paine in Europa (1791-1797). Da una sponda all’altra dell’Atlantico, con Rights of Man egli esplicita ciò che in America ha preferito mantenere implicito, pur raccogliendo la sfida democratica lanciata dai friend of Common Sense: il salto in avanti che la rivoluzione atlantica deve determinare nel progresso dell’umanità è quello di realizzare la repubblica come vera e propria democrazia rappresentativa. Tuttavia, il fallimento del progetto politico di convocare una convenzione nazionale in Inghilterra e la degenerazione dell’esperienza repubblicana francese nel Terrore costringono Paine a mettere in discussione quella fiducia nel commercio che la storiografia liberale ha con grande profitto mostrato: il mancato compimento della rivoluzione in Europa trova infatti spiegazione nella temporanea impossibilità di tenere insieme democrazia rappresentativa e società commerciale. Nel contesto europeo, fortemente disgregato e segnato da durature gerarchie e forti disuguaglianze, con The Agrarian Justice, Paine individua nel lavoro salariato la causa del contraddittorio andamento – di arricchimento e impoverimento – dello sviluppo economico della società commerciale. La tendenza all’accumulazione non è quindi l’unica qualità della società commerciale in transizione. Attraverso Paine, possiamo individuare un altro carattere decisivo per comprendere la trasformazione sociale, quello dell’affermazione del lavoro salariato. Non solo in Europa. Al ritorno in America, Paine non porta con sé la critica della società commerciale. Ciò non trova spiegazione esclusivamente nel minor grado di disuguaglianza della società americana. Leggendo Paine in assenza di Paine (1787-1802) – ovvero ricostruendo il modo nel quale dall’Europa egli discute, critica e influenza la politica americana – mostreremo come la costituzione federale acquisisca gradualmente la supremazia sulla conflittualità sociale. Ciò non significa che l’America indipendente sia caratterizzata da un unanime consenso costituzionale. Piuttosto, è segnata da un lungo e tortuoso processo di stabilizzazione che esclude la democrazia dall’immediato orizzonte della repubblica americana. Senza successo, Paine torna infatti a promuovere una nuova sfida democratica come nella Pennsylvania rivoluzionaria degli anni settanta. E’ allora possibile vedere come la rivoluzione atlantica venga stroncata su entrambe le sponde dell’oceano: i grandi protagonisti della politica atlantica che prendono direttamente parola contro l’agenda democratica painita – Edmund Burke, Boissy d’Anglas e John Quincy Adams – spostano l’attenzione dal governo alla società per rafforzare le gerarchie determinate dal possesso di proprietà e dall’affermazione del lavoro salariato. Dentro la rivoluzione atlantica, viene così svolto un preciso compito politico, quello di contribuire alla formazione di un ambiente sociale e culturale favorevole all’affermazione del capitalismo – dalla trasformazione commerciale della società alla futura innovazione industriale. Ciò emerge in tutta evidenza quando sulla superficie increspata dell’oceano Atlantico compare nuovamente Paine: a Londra come a New York. Abbandonando quella positiva visione del commercio come vettore di emancipazione personale e collettiva, nel primo trentennio del diciannovesimo secolo, i lavoratori delle prime manifatture compongono l’agenda radicale che Paine lascia in eredità in un linguaggio democratico che assume così la valenza di linguaggio di classe. La diversa prospettiva politica sulla società elaborata da Paine in Europa torna allora d’attualità, anche in America. Ciò consente in conclusione di discutere quella storiografia secondo la quale nella repubblica dal 1787 al 1830 il trionfo della democrazia ha luogo – senza tensione e conflittualità – insieme con la lineare e incontestata affermazione del capitalismo: leggere Paine nella rivoluzione atlantica consente di superare quell’approccio storiografico che tende a ricostruire la circolazione di un unico paradigma linguistico o di un’ideologia dominante, finendo per chiudere la grande esperienza rivoluzionaria atlantica in un tempo limitato – quello del 1776 o in alternativa del 1789 – e in uno spazio chiuso delimitato dai confini delle singole nazioni. Quello che emerge attraverso Paine è invece una società atlantica in transizione lungo linee politiche e sociali che tracciano una direzione di marcia verso il capitalismo, una direzione affatto esente dal conflitto. Neanche sulla sponda americana dell’oceano, dove attraverso Paine è possibile sottolineare una precisa congiunzione storica tra rivoluzione politica, costruzione del governo federale e transizione al capitalismo. Una congiunzione per la quale la sfida democratica non risulta affatto sconfitta: sebbene venga allontanata dall’orizzonte immediato della rivoluzione, nell’arco di neanche un ventennio dalla morte di Paine nel 1809, essa torna a muovere le acque dell’oceano – con le parole di Melville – come un violento accesso di febbre contagiosa destinato a turbare l’organismo costituzionalmente sano del mondo atlantico. Per questo, come scrive John Adams nel 1805 quella che il 1776 apre potrebbe essere chiamata “the Age of Folly, Vice, Frenzy, Brutality, Daemons, Buonaparte -…- or the Age of the burning Brand from the Bottomless Pit”. Non può però essere chiamata “the Age of Reason”, perché è l’epoca di Paine: “whether any man in the world has had more influence on its inhabitants or affairs for the last thirty years than Tom Paine” -…- there can be no severer satyr on the age. For such a mongrel between pig and puppy, begotten by a wild boar on a bitch wolf, never before in any age of the world was suffered by the poltroonery of mankind, to run through such a career of mischief. Call it then the Age of Paine”.
Resumo:
The human p53 tumor suppressor, known as the “guardian of the genome”, is one of the most important molecules in human cancers. One mechanism for suppressing p53 uses its negative regulator, MDM2, which modulates p53 by binding directly to and decreasing p53 stability. In testing novel therapeutic approaches activating p53, we investigated the preclinical activity of the MDM2 antagonist, Nutlin-3a, in Philadelphia positive (Ph+) and negative (Ph-) leukemic cell line models, and primary B-Acute lymphoblastic leukemia (ALL) patient samples. In this study we demonstrated that treatment with Nutlin-3a induced grow arrest and apoptosis mediated by p53 pathway in ALL cells with wild-type p53, in time and dose-dependent manner. Consequently, MDM2 inhibitor caused an increase of pro-apoptotic proteins and key regulators of cell cycle arrest. The dose-dependent reduction in cell viability was confirmed in primary blast cells from Ph+ ALL patients with the T315I Bcr-Abl kinase domain mutation. In order to better elucidate the implications of p53 activation and to identify biomarkers of clinical activity, gene expression profiling analysis in sensitive cell lines was performed. A total of 621 genes were differentially expressed (p < 0.05). We found a strong down-regulation of GAS41 (growth-arrest specific 1 gene) and BMI1 (a polycomb ring-finger oncogene) (fold-change -1.35 and -1.11, respectively; p-value 0.02 and 0.03, respectively) after in vitro treatment as compared to control cells. Both genes are repressors of INK4/ARF and p21. Given the importance of BMI in the control of apoptosis, we investigated its pattern in treated and untreated cells, confirming a marked decrease after exposure to MDM2 inhibitor in ALL cells. Noteworthy, the BMI-1 levels remained constant in resistant cells. Therefore, BMI-1 may be used as a biomarker of response. Our findings provide a strong rational for further clinical investigation of Nutlin-3a in Ph+ and Ph-ALL.
Resumo:
In chronic myeloid leukemia and Philadelphia-positive acute lymphoblastic leukemia patients resistant to tyrosine kinase inhibitors (TKIs), BCR-ABL kinase domain mutation status is an essential component of the therapeutic decision algorithm. The recent development of Ultra-Deep Sequencing approach (UDS) has opened the way to a more accurate characterization of the mutant clones surviving TKIs conjugating assay sensitivity and throughput. We decided to set-up and validated an UDS-based for BCR-ABL KD mutation screening in order to i) resolve qualitatively and quantitatively the complexity and the clonal structure of mutated populations surviving TKIs, ii) study the dynamic of expansion of mutated clones in relation to TKIs therapy, iii) assess whether UDS may allow more sensitive detection of emerging clones, harboring critical 2GTKIs-resistant mutations predicting for an impending relapse, earlier than SS. UDS was performed on a Roche GS Junior instrument, according to an amplicon sequencing design and protocol set up and validated in the framework of the IRON-II (Interlaboratory Robustness of Next-Generation Sequencing) International consortium.Samples from CML and Ph+ ALL patients who had developed resistance to one or multiple TKIs and collected at regular time-points during treatment were selected for this study. Our results indicate the technical feasibility, accuracy and robustness of our UDS-based BCR-ABL KD mutation screening approach. UDS was found to provide a more accurate picture of BCR-ABL KD mutation status, both in terms of presence/absence of mutations and in terms of clonal complexity and showed that BCR-ABL KD mutations detected by SS are only the “tip of iceberg”. In addition UDS may reliably pick 2GTKIs-resistant mutations earlier than SS in a significantly greater proportion of patients.The enhanced sensitivity as well as the possibility to identify low level mutations point the UDS-based approach as an ideal alternative to conventional sequencing for BCR-ABL KD mutation screening in TKIs-resistant Ph+ leukemia patients
Resumo:
In an effort to understand some of the ways that accountability-based reform efforts have influenced teacher education, this article details the politics of accountability in Pennsylvania that motivated sweeping changes in the policies governing teacher preparation in 2006. This case study provides a poignant example of the kind of complex accountability systems now being constructed across the United States in an effort to change teacher preparation. By analyzing primary documents including the legal statutes governing teacher preparation in Pennsylvania, correspondence from the Pennsylvania Department of Education, related newsletters, memos, reports, transcripts of meetings, and testimony before the Pennsylvania House of Representatives, the complex nature of the conflicts underlying the development and implementation of teacher education reform is brought into focus. The study's findings suggest that a deep and uncritical acceptance of accountability-based teacher education reform on the part of educational policy makers is likely to do more harm than good. The article concludes by outlining a framework for developing more intelligent measures of accountability that might preserve professional autonomy and judgment.
Resumo:
Examined the amount of money bet during a week of Pennsylvania's Daily Number game. In this game, players receive a predetermined payoff for picking the 3-digit number (000 to 999) drawn on that day. The betting distribution was distinctly nonuniform. Several betting patterns were identified, such as picking triples and avoiding double 9s. In addition, 121 adults and 215 students were asked to rate selected numbers for randomness, luckiness, and perceived history of winning; to categorize numbers; and to free associate to numbers. It is proposed that people seem to choose highly patterned, available, and/or "lucky" numbers. People apparently do not bet numbers that reflect the random process of the game (do not utilize a representativeness heuristic).
Resumo:
This thesis assesses relationships between vegetation and topography and the impact of human tree-cutting on the vegetation of Union County during the early historical era (1755-1855). I use early warrant maps and forestry maps from the Pennsylvania historical archives and a warrantee map from the Union County courthouse depicting the distribution of witness trees and non-tree surveyed markers (posts and stones) in early European settlement land surveys to reconstruct the vegetation and compare vegetation by broad scale (mountains and valleys) and local scale (topographic classes with mountains and valleys) topography. I calculated marker density based on 2 km x 2 km grid cells to assess tree-cutting impacts. Valleys were mostly forests dominated by white oak (Quercus alba) with abundant hickory (Carya spp.), pine (Pinus spp.), and black oak (Quercus velutina), while pine dominated what were mostly pine-oak forests in the mountains. Within the valleys, pine was strongly associated with hilltops, eastern hemlock (Tsuga canadensis) was abundant on north slopes, hickory was associated with south slopes, and riparian zones had high frequencies of ash (Fraxinus spp.) and hickory. In the mountains, white oak was infrequent on south slopes, chestnut (Castanea dentata) was more abundant on south slopes and ridgetops than north slopes and mountain coves, and white oak and maple (Acer spp.) were common in riparian zones. Marker density analysis suggests that trees were still common over most of the landscape by 1855. The findings suggest there were large differences in vegetation between valleys and mountains due in part to differences in elevation, and vegetation differed more by topographic classes in the valleys than in the mountains. Possible areas of tree-cutting were evenly distributed by topographic classes, suggesting Europeans settlers were clearing land and harvesting timber in most areas of Union County.
Resumo:
Cyanobacteria are photosynthetic organisms that require the absorption of light for the completion of photosynthesis. Cyanobacteria can use a variety of wavelengths of light within thevisible light spectrum in order to harvest energy for this process. Many species of cyanobacteria have light-harvesting proteins that specialize in the absorption of a small range of wavelengths oflight along the visual light spectrum; others can undergo complementary chromatic adaptation and alter these light-harvesting proteins in order to absorb the wavelengths of light that are mostavailable in a given environment. This variation in light-harvesting phenotype across cyanobacteria leads to the utilization of environmental niches based on light wavelength availability. Furthermore, light attenuation along the water column in an aquatic system also leads to the formation of environmental niches throughout the vertical water column. In order to better understand these niches based on light wavelength availability, we studied the compositionof cyanobacterial genera at the surface and depth of Lake Chillisquaque at three time points throughout the year: September 2009, May 2010, and July 2010. We found that cyanobacterialgenera composition changes throughout the year as well as with physical location in the water column. Additionally, given the light attenuation noted throughout the Lake Chillisquaque, we are able to conclude that light is a major selective factor in the community composition of Lake Chillisquaque.
Resumo:
The hydraulic fracturing of the Marcellus Formation creates a byproduct known as frac water. Five frac water samples were collected in Bradford County, PA. Inorganic chemical analysis, field parameters analysis, alkalinity titrations, total dissolved solids(TDS), total suspended solids (TSS), biological oxygen demand (BOD), and chemical oxygen demand (COD) were conducted on each sample to characterize frac water. A database of frac water chemistry results from across the state of Pennsylvania from multiple sources was compiled in order to provide the public and research communitywith an accurate characterization of frac water. Four geochemical models were created to model the reactions between frac water and the Marcellus Formation, Purcell Limestone, and the oil field brines presumed present in the formations. The average concentrations of chloride and TDS in the five frac water samples were 1.1 �± 0.5 x 105 mg/L (5.5X average seawater) and 140,000 mg/L (4X average seawater). BOD values for frac water immediately upon flow back were over 10X greater than the BOD of typical wastewater, but decreased into the range of typical wastewater after a short period of time. The COD of frac water decreases dramatically with an increase in elapsed time from flow back, but remain considerably higher than typicalwastewater. Different alkalinity calculation methods produced a range of alkalinity values for frac water: this result is most likely due to high concentrations of aliphatic acid anions present in the samples. Laboratory analyses indicate that the frac watercomposition is quite variable depending on the companies from which the water was collected, the geology of the local area, and number of fracturing jobs in which the frac water was used, but will require more treatment than typical wastewater regardless of theprecise composition of each sample. The geochemical models created suggest that the presence of organic complexes in an oil field brine and Marcellus Formation aid in the dissolution of ions such as bariumand strontium into the solution. Although equilibration reactions between the Marcellus Formation and the slickwater account for some of the final frac water composition, the predominant control of frac water composition appears to be the ratio of the mixture between the oil field brine and slickwater. The high concentration of barium in the frac water is likely due to the abundance of barite nodules in the Purcell Limestone, and the lack of sulfate in the frac water samples is due to the reducing, anoxic conditions in the earth's subsurface that allow for the degassing of H2S(g).
Resumo:
Tropical Storm Lee produced 25-36 cm of rainfall in north-central Pennsylvania on September 4th through 8th of 2011. Loyalsock Creek, Muncy Creek, and Fishing Creek experienced catastrophic flooding resulting in new channel formation, bank erosion, scour of chutes, deposition/reworking of point bars and chute bars, and reactivation of the floodplain. This study was created to investigate aspects of both geomorphology and sedimentology by studying the well-exposed gravel deposits left by the flood, before these features are removed by humans or covered by vegetation. By recording the composition of gravel bars in the study area and creating lithofacies models, it is possible to understand the 2011 flooding. Surficial clasts on gravel bars are imbricated, but the lack of imbrication and high matrix content of sediments at depth suggests that surface imbrication of the largest clasts took place during hyperconcentrated flow (40-70% sediment concentration). The imbricated clasts on the surface are the largest observed within the bars. The lithofacies recorded are atypical for mixed-load stream lithofacies and more similar to glacial outburst flood lithofacies. This paper suggests that the accepted lithofacies model for mixed-load streams with gravel bedload may not always be useful for interpreting depositional systems. A flume study, which attempted to duplicate the stratigraphy recorded in the field, was run in order to better understand hyperconcentrated flows in the study area. Results from the study in the Bucknell Geology Flume Laboratory indicate that surficial imbrication is possible in hyperconcentrated conditions. After flooding the flume to entrain large amounts of sand and gravel, deposition of surficially imbricated gravel with massive or upward coarsening sedimentology occurred. Imbrication was not observed at depth. These experimental flume deposits support our interpretation of the lithofacies discovered in the field. The sizes of surficial gravel bar clasts show clear differences between chute and point bars. On point bars, gravels fine with increasing distance from the channel. Fining also occurs at the downstream end of point bars. In chute deposits, dramatic fining occurs down the axis of the chute, and lateral grain sizes are nearly uniform. Measuring the largest grain size of sandstone clasts at 8-11 kilometer intervals on each river reveals anomalies in the downstream fining trends. Gravel inputs from bedrock outcrops, tributaries, and erosion of Pleistocene outwash terraces may explain observed variations in grain size along streams either incised into the Appalachian Plateau or located near the Wisconsinan glacial boundary. Atomic Mass Spectrometry (AMS) radiocarbon dating of sediment from recently scoured features on Muncy Creek and Loyalsock Creek returned respective ages of 500 BP and 2490 BP. These dates suggest that the recurrence interval of the 2011 flooding may be several hundred to several thousand years. This geomorphic interval of recurrence is much longer then the 120 year interval calculated by the USGS using historical stream gauge records.
Resumo:
Using survey and interview data gathered from educators and educational administrators, we investigate school and community impacts of unconventional gas extraction within Pennsylvania's Marcellus Shale region. Respondents in areas with high levels of drilling are significantly more likely to perceive the effects of local economic gains, but also report increased inequality, heightened vulnerability of disadvantaged community members, and pronounced strains on local infrastructure. As community stakeholders in positions of local leadership, school leaders in areas experiencing Marcellus Shale natural gas extraction often face multiple decision-making dilemmas. These dilemmas occur in the context of incomplete information and rapid, unpredictable community change involving the emergence of both new opportunities and new insecurities.
Resumo:
Laurentide glaciation during the early Pleistocene (~970 ka) dammed the southeast-flowing West Branch of the Susquehanna River (WBSR), scouring bedrock and creating 100-km-long glacial Lake Lesley near the Great Bend at Muncy, Pennsylvania (Ramage et al., 1998). Local drill logs and well data indicate that subsequent paleo-outwash floods and modern fluvial processes have deposited as much as 30 meters of alluvium in this area, but little is known about the valley fill architecture and the bedrock-alluvium interface. By gaining a greater understanding of the bedrock-alluvium interface the project will not only supplement existing depth to bedrock information, but also provide information pertinent to the evolution of the Muncy Valley landscape. This project determined if variations in the thickness of the valley fill were detectable using micro-gravity techniques to map the bedrock-alluvium interface. The gravity method was deemed appropriate due to scale of the study area (~30 km2), ease of operation by a single person, and the available geophysical equipment. A LaCoste and Romberg Gravitron unit was used to collect gravitational field readings at 49 locations over 5 transects across the Muncy Creek and Susquehanna River valleys (approximately 30 km2), with at least two gravity base stations per transect. Precise latitude, longitude and ground surface elevation at each location were measured using an OPUS corrected Trimble RTK-GPS unit. Base stations were chosen based on ease of access due to the necessity of repeat measurements. Gravity measurement locations were selected and marked to provide easy access and repeat measurements. The gravimeter was returned to a base station within every two hours and a looping procedure was used to determine drift and maximize confidence in the gravity measurements. A two-minute calibration reading at each station was used to minimize any tares in the data. The Gravitron digitally recorded finite impulse response filtered gravity measurements every 20 seconds at each station. A measurement period of 15 minutes was used for each base station occupation and a minimum of 5 minutes at all other locations. Longer or multiple measurements were utilized at some sites if drift or other externalities (i.e. train or truck traffic) were effecting readings. Average, median, standard deviation and 95% confidence interval were calculated for each station. Tidal, drift, latitude, free-air, Bouguer and terrain corrections were then applied. The results show that the gravitational field decreases as alluvium thickness increases across the axes of the Susquehanna River and Muncy Creek valleys. However, the location of the gravity low does not correspond with the present-day location of the West Branch of the Susquehanna River (WBSR), suggesting that the WBSR may have been constrained along Bald Eagle Mountain by a glacial lobe originating from the Muncy Creek Valley to the northeast. Using a 3-D inversion model, the topography of the bedrock-alluvium interface was determined over the extent of the study area using a density contrast of -0.8 g/cm3. Our results are consistent with the bedrock geometry of the area, and provide a low-cost, non-invasive and efficient method for exploring the subsurface and for supplementing existing well data.
Resumo:
Two competing models exist for the formation of the Pennsylvania salient, a widely studied area of pronounced curvature in the Appalachian mountain belt. The viability of these models can be tested by compiling and analyzing the patterns of structures within the general hinge zone of the Pennsylvania salient. One end-member model suggests a NW-directed maximum shortening direction and no rotation through time in the culmination. An alternative model requires a two-phase development of the culmination involving NNW-directed maximum shortening overprinted by WNW-directed maximum shortening. Structural analysis at 22 locations throughout the Valley and Ridge and southern Appalachian Plateau Provinces of Pennsylvania are used to constrain orientations of the maximum shortening direction and establish whether these orientations have rotated during progressive deformation in the Pennsylvania salient's hinge. Outcrops of Paleozoic sedimentary rocks contain several orders of folds, conjugate faults, steeply dipping strike-slip faults, joints, conjugate en echelon gash vein arrays, spaced cleavage, and grain-scale finite strain indicators. This suite of structures records a complex deformation history similar to the Bear Valley sequence of progressive deformation. The available structural data from the Juniata culmination do not show a consistent temporal rotation of shortening directions and generally indicate uniform,