983 resultados para Ravenna, Museo, Nazionale, Allestimento


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Il MUV, ovvero il Museo della Vela di Ravenna vuole ripercorrere la storia della navigazione a vela dai primordi ai giorni nostri. La quantità di materiale ed il tema di enormi dimensioni richiedono la semplificazione dell’apparato museologico. La vela, come la ruota, è stata probabilmente una delle più grandi invenzioni nella storia dell’umanità considerando che la maggior parte del globo è composta da acqua, permetteva di muoversi, emigrare, esplorare, scappare, procacciare cibo, comunicare, conquistare e commerciare. In questo museo si vuole ripercorrere la storia della vela attraverso i cambiamenti significativi delle tre parti fondamentali di una imbarcazione a vela: scafo, timone e vela. Infatti, ognuno di questi componenti è stato, durante la storia dell’uomo, ottimizzato e trasformato per poter sfruttare al massimo l’energia del vento. Le sezioni espositive saranno divise per grandi periodi significativi della storia, cercando di creare un filo conduttore. Dapprima la vela era utilizzata per muoversi più velocemente e per cercare cibo, poi per il trasporto e la vendita di materie prime e successivamente per andare alla scoperta del mondo e per combattere mentre ora è anche strumento di diletto o competizione sportiva. Tutti questi casi sono accumunati dalla volontà dell’uomo di arrivare sempre per primo, a prescindere dall’epoca o dallo scopo. In fondo all’inizio si competeva per raggiungere per primi un nuovo territorio, poi arrivare primi voleva dire decidere il prezzo delle spezie sul mercato e successivamente avere una barca veloce permetteva poter sfuggire al nemico o catturarlo. Adesso si compete per sport, per diletto o , secondo le ultime necessità ecosostenibili, per riuscire a muoversi più velocemente possibile ma anche nel modo più economico e sostenibile. Il MUV cerca di raccontare la continua ed infinita “ regata ” che l’uomo nel corso dei secoli compie con se stesso e di mostrare al visitatore come sono cambiati scafi, vele e metodi di navigazione durante la storia. Il progetto nasce dall’idea di valorizzare l’area urbana in sponda sinistra del Canale Candiano nella città di Ravenna compresa tra le vie Eustachio Manfredi, Montecatini, delle Industrie e Salona oggi area a destinazione industriale in forte trasformazione con utilizzo futuro a prevalenza civica, ossia per l’istruzione , la ricerca, lo svago e cultura. I principali obiettivi sono stati il miglioramento dell’accessibilità del Canale Candiano dagli spazi circostanti, rendendo fruibile al visitatore soprattutto le rive del canale riavvicinando così la città all’acqua e la progettazione di idonei edifici museali e di ricerca per accogliere, mostrare e conservare il patrimonio e di creare un anello di congiunzione funzionale e culturale all’interno del tessuto urbano creando interconnessioni tra i vari livelli di conoscenza e di accessibilità nel mondo velico. La volontà è stata quella di non creare un’isola nella città ma di creare un anello di congiunzione funzionale e culturale all’interno del tessuto urbano creando interconnessioni tra i vari livelli di conoscenza e di accessibilità. Nell’ area potrà accedere chi si avvicina alla vela, chi la conosce e vorrebbe saperne di più, un esperto velista o chi lavora nel settore dei materiali costruttivi o nel campo universitario e di sperimentazione. Il complesso museale è stato pensato per mantenere fruibile a tutti l’attacco a terra dandogli un carattere prettamente pubblico. Il museo vero e proprio è composto da una serie di volumi che si adagiano attorno alla grande permanenza in laterizio e calcestruzzo e insieme a questa creano una corte pubblica di 35 m x 35 m. L’intero patio con i vari camminamenti perimetrali è fruibili a chiunque, anche senza biglietto così come il corpo a ovest, orientato secondo l’asse che collega l’area al Mausoleo di Teodorico, che contiene una caffetteria, il bookshop più vari servizi. Sul lato nord e sul alto est del patio un’altra caffetteria, un ristorante e una parte di esposizione temporanea concludono l’attacco a terra dandogli definitivamente un carattere pubblico. Così facendo ho cercato di aprire lo spazio del patio verso tutta l’area mentre sul lato ovest c’è stata la volontà di chiudersi rispetto all’intorno essendo vicini a una zona residenziale e si è deciso di destinare questa parte a deposito, carico-scarico e servizi del personale. La disposizione dei volumi dell’edificio museale è stata subordinata nel rispetto dell’edificio di valore documentale in laterizio che si voleva mantenere. Partendo da una griglia modulata sugli edifici con vincoli comunali presenti nell’area il museo si è sviluppato come blocchi longitudinali di pochi piani. La volontà di abbracciare il volume in laterizio è stata fin da subito una delle scelte chiave e ha dato cosi forma a una grande corte che richiama i chiostri delle basiliche del centro di Ravenna, trattando quindi quasi come un monumento la vecchia fabbrica di zolfo.

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Spesso il termine virtuale viene associato ad un mondo immateriale, lontano dalla realtà e distante dagli elementi più concreti che la caratterizzano. La virtualità, tuttavia, non è solo questo. Se considerata, come lo stesso Levy sostiene, un mondo che non si contrappone al reale (ma all’attuale), anzi lo potenzia e lo rafforza, il suo valore e l’idea di essa cambiano notevolmente. Già la fotografia, il cinema, la televisione possono essere considerate, ancora prima della più moderna realtà virtuale e delle innovative tecnologie forme di virtualità. Il loro utilizzo largamente diffuso ha ampliato le potenzialità del concreto ed è oggi apprezzato e utilizzato da tutti. Il nostro progetto nasce dalla volontà di sperimentare le nuove forme del virtuale associandole al campo dell’architettura per potenziarne la conoscenza didattica, la diffusione e trasmettere gli importanti contenuti che le sottendono in maniera chiara ed efficace. Il progetto sviluppato affronta un tema concreto di concept di museo virtuale su web e una proposta di installazione interattiva all’interno del salone di Palazzo Barbaran a Vicenza. A cardine di questi due lavori vi è il lascito Palladiano, a cominciare dallo sprawl di ville, palazzi e chiese diffusi nel paesaggio Veneto, passando per i progetti ideali rimasti solo su carta e concludendo con la sua opera bibliografica più famosa: I quattro libri dell’architettura. Palladio e il digitale è dunque un progetto che vuole dimostrare l’importanza e la versatilità delle installazioni virtuali, quali strumenti utili all’apprendimento e alla trasmissione della conoscenza, e dall’altro rispondere concretamente ai cambiamenti della società, cercando, attraverso queste sperimentazioni, di definire anche i nuovi caratteri dell’ evoluzione museale.

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Ogni luogo, ogni città, reca i segni dell’evoluzione e della trasformazione dettata dal tempo. In alcuni casi il passato viene visto con un’accezione negativa, in altri positiva a tal punto da monumentalizzarla. Nel caso della città di Verucchio non è possibile mettere in ombra il valore, e la forza della Rocca del Sasso, che per la sua storia e la sua posizione, che la rende visibile sia dall’interno che dall’esterno del centro storico, la attesta come simbolo della città. Allo stesso tempo questa città di piccole dimensioni possiede un ricco passato che non è rintracciabile all’interno della città storica ma che emerge dal verde, nonchè dagli spazi nascosti sotto il parco che cinge perimetralmente la città. Questi momenti della storia, importanti e riconoscibili, possono essere connessi nonostante sia notevole il salto temporale che li divide. Lo strumento deve essere una forma che li unisca, uno spazio pubblico, limitato ma aperto, distinguibile ma integrato nel paesaggio, un nuovo “layer” che si sovrapponga a quelli precedenti esaltandone il valore. Il tema della direzione, del percorso, è alla base dei ragionamenti e delle soluzioni proposte per la realizzazione di un museo archeologico. A differenza dei luoghi pubblici come la piazza o il teatro, in questo caso l’esposizione prevede che l’utente si muova negli ambienti, che segua in maniera dinamica una serie di spazi, di figure, di affacci, che devono essere in grado si susseguirsi in maniera fluida, attraverso un “respiro” che mantenga alta l’attenzione del visitatore. Adottato questo tema si ha la possibilità di declinarlo più volte, attraverso non solo la disposizione degli spazi ma anche con la posizione dei volumi e degli assi che li generano. Il progetto del nuovo museo si pone in una zona che può essere definita come “di cerniera” tra il centro storico e il parco archeologico. A livello territoriale questa può essere giudicata una zona critica, poiché sono più di trenta i metri di dislivello tra queste due zone della città. La sfida è quindi quella di trasformare la lontananza da problema a opportunità e relazionarsi con la conformazione del territorio senza risultare eccessivamente impattanti ed invasivi su quest’ultimo. Poiché la città di Verucchio possiede già un museo archeologico, inserito all’interno dell’ex convento e della chiesa di Sant’Agostino, il percorso archeologico, che vede il museo progettato come fulcro del tutto, prevede che il turista abbia la possibilità di conoscere la civiltà villanoviana visitando sia il museo di progetto che quello esistente, avendo questi differenti allestimenti che non creano delle “sovrapposizioni storiche”, poiché sono uno tematico e l’altro cronologico. Il museo esistente si inserisce all’interno di un edificio esistente, adattando inevitabilmente i propri spazi espositivi alla sua conformazione. La realizzazione di un una nuova struttura porterebbe a una migliore organizzazione degli spazi oltre che ad essere in grado di accogliere anche i reperti presenti all’interno dei magazzini dell’ex convento e dei beni culturali di Bologna. La necropoli Lippi è solo una delle necropoli individuate perimetralmente alla città e i reperti, rilevati, catalogati e restaurati, sono in numero tale da poter essere collocati in una struttura museale adeguata. Il progetto si sviluppa su più fronti: l’architettura, l’archeologia ed il paesaggio. Il verde è una componente fondamentale del sistema della città di Verucchio, risulta essere un elemento di unione, che funge talvolta da perimetro del centro, talvolta da copertura della nuda roccia dove l’inclinazione del terreno non ha permesso nel tempo la realizzazione di edifici e strutture urbane, si mette in contrapposizione con la forma e i colori della città.

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"Omaggio del Municipio"--Cover.

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Contiene: Vol. I ([4], 437 p., 50 h. de lám.) - Vol. II (465 p., 44 h. de lám.) - Vol. V (658 p., 45 h. de lám.) - Vol. VI (557, 45 h. de lám.)

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Mode of access: Internet.

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La tesi si propone di approfondire il tema dell’Alternanza scuola-lavoro (ASL) al museo, un ambito di interesse che ha ricevuto un’importante attenzione a seguito della promulgazione della L.107/2015. La legge ha, infatti, stabilito l’obbligatorietà per tutti gli studenti del triennio delle scuole secondarie di secondo grado di svolgere dei percorsi di ASL in contesti di lavoro differenti, con un esplicito riferimento a quello museale. Il contesto di riferimento scelto per la ricerca è l’Emilia-Romagna, una scelta fatta tenendo conto dell’impegno che la regione ha portato avanti, già dalla fine degli anni Novanta, in direzione di valorizzazione di percorsi integrati scuola-formazione professionale. La ricerca è partita dall’analisi della letteratura di riferimento sul rapporto istruzione-mondo del lavoro in ambito nazionale e internazionale e ha previsto due successive fasi: la prima con una esplorazione qualitativa del fenomeno su un campione ristretto di testimoni privilegiati, appartenenti all’ambito istituzionale, scolastico e museale mediante interviste; la seconda con un’esplorazione quantitativa del fenomeno tramite survey su un campione più ampio mediante la sommistrazione di questionari rivolti agli studenti e ai referenti e tutor ASL delle scuole e dei musei. Nello specifico l’analisi ha coinvolto 430 studenti di 28 scuole della regione che hanno partecipato a 495 percorsi di alternanza scuola-lavoro realizzati nel corso del triennio e a partire dall’anno scolastico 2015-2016. Inoltre hanno preso parte alla ricerca 56 referenti e tutor ASL di 45 scuole e 86 referenti e tutor ASL provenienti da 83 musei.

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Il tasso di crescita di tre popolazioni di Pinna nobilis all’interno del Parco Nazionale di Cabrera (Isole Baleari) è stato analizzato per stimare l’età degli individui al fine di una migliore comprensione della biologia e dell’ecologia di questa specie sempre più minacciata. In questa tesi il tasso di crescita di una popolazione profonda, quella delle Baleari (20-30m), è stato confrontato con quello di due popolazioni superficiali: Freus e Gandulf (5-10m). L’obiettivo è valutare l’effetto della profondità e del sito sulle modalità di accrescimento degli individui. Sono state prelevate alcune valve di individui morti di P. nobilis a varie profondità. Lo studio della sclerocronologia ci ha permesso di studiare l’origine dei registri interni di crescita e le modalità di accrescimento. I risultati hanno mostrato una chiara differenziazione della taglia fra le tre popolazioni. Gli individui della popolazione profonda raggiungono dimensioni maggiori elevate e vivono più a lungo. Ma la popolazione di Gandulf ha un tasso di crescita simile a quello della popolazione delle Baleari essendo entrambe caratterizzate da individui di grandi dimensioni (Lmax Baleari= 65,1cm; Lmax Gandulf=62,4cm) e più longevi (età max=27anni). La popolazione di Freus è caratterizzata invece da individui di dimensioni minori e giovani di età (età max=14anni). Anche la velocità di crescita che porta a raggiungere la dimensione asintotica massima risulta simile nella popolazione di Gandulf (K=0,19) e nella popolazione delle Baleari (K=0,14), ed in entrambe è inferiore ai valori rilevati a Freus (K=0,21). Tali risultati evidenziano l’esistenza di una forte variabilità del tasso di accrescimento fra popolazioni collocate sia a profondità che in siti diversi. La differenza riscontrata tra la popolazione di Freus e quella di Gandulf è che la prima si trova in un sito esposto, mentre l’altra è collocata in una cala protetta subendo, quindi, un minor stress idrodinamico.

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Il Museo Monumento al Deportato politico e razziale nel Castello dei Pio a Carpi (MO), a pochi passi dal Campo nazionale della deportazione razziale e politica di Fossoli, è il risultato di un concorso pubblico nazionale bandito nel 1963, frutto dell’impegno civile tra istituzioni, associazioni e intellettuali. Tra questi il gruppo BBPR il quale, in collaborazione con l’artista Renato Guttuso, si aggiudicheranno la vittoria del concorso. Il progetto vincitore, pur apportando alcune modifiche in fase di realizzazione, manterrà la sua impostazione antiretorica, utilizzando un linguaggio rigoroso e astratto. Partendo dalle caratteristiche che rendono quest’opera una struttura unica nel suo genere, obiettivo principale di questa ricerca di Dottorato è quello di restituire una genealogia del Museo Monumento al Deportato politico e razziale dei BBPR, ricostruendo il quadro culturale e politico italiano nel lasso di tempo che intercorre dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (1945) e l’anno della sua inaugurazione (1973). Tale approccio metodologico scelto costituisce l’aspetto di novità della ricerca: un punto di vista ancora inedito con cui guardare il Museo-Monumento, differenziandosi, così, dalle più recenti pubblicazioni sullo stesso, le quali si concentrano soprattutto sulle logiche progettuali del Museo. In conclusione, lo scopo di questa tesi è quella di dare una nuova chiave interpretativa al Museo, che sia non solo un arricchimento alla sua conoscenza ma che, altresì, attesti l’esistenza di un’identità, altrettanto unica e irripetibile, della memoria della deportazione nella cultura architettonica italiana presa in esame, frutto di una “cultura condivisa” tra architetti, artisti, scrittori, politici e intellettuali, accumunati dalle tragiche vicende che in quest’opera si vogliono narrare.

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La tesi si pone l’obiettivo di indagare quelli che sono gli avvenimenti successivi all’unità d’Italia in uno dei simboli più importanti per la città di bologna, la Basilica di San Petronio. Lo studio si colloca come proseguimento e completamento di due tesi precedentemente compilate, andando ad approfondire sia il cambiamento dal punto di vista legislativo ma anche le azioni restaurative compiute nel periodo di riferimento preso in analisi. La prima fase di lavoro è stata caratterizzata dalla ricerca dei cambiamenti legislativi e normativi avvenuti dal 1860 che accompagnano la creazione della legge di tutela dei monumenti, varata agli inizi del ’900. La seconda fase è iniziata con una significativa ricerca archivistica e con una successiva analisi dei documenti che ha portato ad evidenziare i lavori di restauro sia all’esterno della basilica e che all’interno. Successivamente è stato svolto un approfondimento sui dibattiti relativi al completamento della facciata caratteristici di fine ‘800 e inizi ‘900, andando ad analizzare nei rispettivi concorsi, i principi e modalità di analisi e scelta della soluzione più adeguata. La terza fase ha riguardato il progetto per l’allestimento di una sala museale, che va a creare un proseguimento con quelle che sono le due sale museali già esistenti, ma non adeguate a creare un percorso tale da raccontare gli avvenimenti più recenti della fabbrica. Quindi con il progetto in esame si propone di aumentare lo spazio di allestimento, dedicando l’area interessata alla storia della basilica, ai restauri ottocenteschi, ai progetti per il completamento della facciata e ai recenti restauri eseguiti, lasciando il museo attuale alla conservazione degli oggetti sacri ed ecclesiastici. Inoltre, si è posto l’obiettivo di illuminare efficacemente l’intero ambiente, di conseguenza è stato progettato un impianto d’illuminazione tale da aumentare il confort visivo e permettere una semplice lettura e visualizzazione dei materiali esposti.

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La fascia superiore dell’arco trionfale di S. Apollinare in Classe è stata accuratamente ispezionata durante l’ultimo intervento di restauro. Questa area musiva, col Cristo benedicente affiancato dai simboli degli Evangelisti, ritenuta omogenea e ascritta da tutti gli studiosi a un momento posteriore al VI secolo, è stata in buona parte ricondotta al periodo giustinianeo. I simboli degli Evangelisti e le nuvole limitrofe sono stati ricondotti ai mosaicisti bizantini attivi nella chiesa di San Vitale; mentre a una lavorazione successiva, determinata dalla necessità di reintegrare parti crollate, si deve attribuire il clipeo del Cristo e le nuvole circostanti. Il confronto fra le differenti morfologie delle nubi, le diverse tecniche esecutive e l’utilizzo di nuovi materiali, costituisce l’aspetto più visibile. Il restauro ha permesso di discriminare con certezza l’eterogeneità delle partiture e la convivenza di due interventi stilisticamente e cronologicamente differenti. Molteplici elementi mostrano come da un’esecuzione accurata si passi a una realizzazione sommaria; come dal rigore formale e materico iniziale, che comporta la selezione dei materiali più pregiati e delle tonalità cromatiche più funzionali, si passi ad una povertà materica e a una limitata gamma cromatica organizzate con semplificazione formale.

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Existe en el Museo Municipal de Bellas Artes "Dr. Genaro Pérez" una galería de retratos que le confiere uno de sus rasgos distintivos. La galería ocupa dos salas ubicadas en la planta baja, abiertas al hall central, conectadas entre sí. La sala mayor cobija un total de diez pinturas al óleo, de las cuales ocho son retratos y dos paisajes. La sala menor contiene seis pinturas al óleo, todos retratos y dos esculturas de Luis Falcini. Todos los retratados son miembros de familias tradicionales de Córdoba y corresponden al período 1860-1880. (...) La galería supone un particular trabajo en el espacio, para que éste sea recorrido por un sujeto que se supone vertical, y cuyo sentido preponderante es la visión. La visión, que en la tradición de la moderna pintura al óleo se relaciona con el tacto, ofrece desde la modernidad un privilegiado lugar en la percepción de un mundo claro, palpable y por lo tanto apropiable. La galería es, desde su construcción en el Renacimiento Italiano, un espacio de exhibición del poder. Coleccionar y exhibir este poderío para ciertos y específicos espectadores, es un ritual que maneja el príncipe y sabrán heredar los burgueses. Como nos recuerda Clifford, el término inglés "collection" remite a nociones de "recopilación" y "recuerdo". (...) la noción de que esta recolección involucra es la acumulación de riquezas, que seguramente no es universal. La recolección en la modernidad puede verse como una estrategia para el despliegue de un sujeto, una cultura y una autenticidad posesivos, un ritual, una dramatización sobre apropiaciones del mundo recorridas por un gusto unificante, el del grupo recolector. Cuando la galería es pública, este gusto está en manos de ciertas instituciones artísticas, que no están aisladas(...). Por eso la historia de la galería y la del museo aparecen en diálogo con la historia de la ciudad, de la educación artística, de los salones y otros modos de sancionar dicho gusto(...). Objetivos: 1. Generales. * Aplicar marcos interpretativos interdisciplinarios a la producción artística local. * Colaborar en la historia de los movimientos culturales de Córdoba, indagando en el momento de la construcción de su escuela pictórica. 2. Específicos. * Relacionar los retratos expuestos, en especial los de Genaro Pérez, con fotografías contemporáneas. * Detectar y relacionar diferentes textos artísticos, periodísticos, literarios, históricos, jurídicos sobre Genaro Pérez y su obra.