1000 resultados para Neoplasia del peritoneo
Resumo:
CD99, glicoproteina di membrana codificata dal gene MIC2, è coinvolta in numerosi processi cellulari, inclusi adesione, migrazione, apoptosi, differenziamento e regolazione del trafficking intracellulare di proteine, in condizioni fisiologiche e patologiche. Nell’osteosarcoma risulta scarsamente espressa ed ha ruolo oncosoppressivo. L’isoforma completa (CD99wt) e l’isoforma tronca (CD99sh), deleta di una porzione del dominio intracellulare, influenzano in modo opposto la malignità tumorale. In questo studio, comparando cellule di osteosarcoma caratterizzate da differenti capacità metastatiche e diversa espressione di CD99, abbiamo valutato la modulazione dei contatti cellula-cellula, la riorganizzazione del citoscheletro di actina e la modulazione delle vie di segnalazione a valle del CD99, al fine di identificare i meccanismi molecolari regolati da questa molecola e responsabili del comportamento migratorio e invasivo delle cellule di osteosarcoma. L'espressione forzata di CD99wt induce il reclutamento di N-caderina e β-catenina a livello delle giunzioni aderenti ed inibisce l'espressione di molecole cruciali nel processo di rimodellamento del citoscheletro di actina, come ACTR2, ARPC1A, Rho-associated, coiled–coil-containing protein kinase 2 (ROCK2), nonché di ezrina, membro della famiglia ezrin/radixin/moesin e chiaramente associata con la progressione tumorale e la metastatizzazione dell’OS. Gli studi funzionali identificano ROCK2 come mediatore fondamentale nella regolazione della migrazione e della diffusione metastatica dell’osteosarcoma. Mantenendo cSRC in una conformazione inattiva, CD99wt inibisce la segnalazione mediata da ROCK2 inducendo una diminuzione dell’ezrina a livello della membrana accompagnata dalla traslocazione in membrana di N-caderina e β-catenina, principali ponti molecolari per il citoscheletro di actina. La ri-espressione di CD99wt, generalmente presente negli osteoblasti, ma perso nelle cellule di osteosarcoma, attraverso l'inibizione dell'attività di cSrc e ROCK2, aumenta la forza di contatto e riattiva i segnali anti-migratori ostacolando l’azione pro-migratoria, altrimenti dominante, dell’ezrina nell’osteosarcoma. Abbiamo infine valutato la funzione di ROCK2 nel sarcoma di Ewing: nonostante il ruolo oncogenico esercitato da CD99, ROCK2 guida la migrazione cellulare anche in questa neoplasia.
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Oggetto della tesi e' l'approfondimento su tecniche e metodiche di preservazione del polmone isolato per lo studio ecografico. E' discussa l'appropriatezza sull'uso degli ultrasuoni in corso di chirurgia mini invasiva polmonare, obiettivo di una ricerca sperimentale. Il razionale dello studio si fonda sull'indicazione all'exeresi chirurgica di noduli polmonari di diametro inferiore al centometro, ovvero di diametro superiore ma localizzati in aree centrali del polmone. Queste lesioni sono sempre piu' frequentente diagnosticate per mezzo di avanzate tecniche di imaging. L'atto chirurgico ha scopo terapeutico quando sia stata posta la diagnosi di neoplasia maligna, diagnostico-terapeutico quando non sia ancora ottenuta la tipizzazione istologica della lesione. La tecnica toracoscopica offre numerosi vantaggi rispetto alle tecniche chirurgiche tradizionali ma presenta il grave limite di non permettere la palpazione diretta del tessuto polmonare e la localizzazione della formazione tumorale quando essa non sia visibile macroscopicamente. Gli ultrasuoni sono stati utilizzati con successo per indirizzare la localizzazione del nodulo polmonare. Scopo dello studio sperimentale e' quello di confrontare tecniche diverse di preservazione del polmone isolato in un modello animale, comparando catatteristiche e prestazioni di sonde ecografiche differenti per tipologia. Del tutto recentemente, in ambito trapiantologico, sono state proposte tecniche di preservazione organica utili ai fini di uno studio anatomico sperimentale particolareggiato (EVLP) e moderna e' da considerarsi la concezione di mezzi tecnici specifici per la localizzazione di bersagli intrapolmonari. La tecnica clinica applicata allo studio del particolare ecografico, nel modello animale, ha reso comprensibile e meglio definito il ruolo delle sonde ecografiche nell'individuazione di forme tumorali suscettibili di exeresi definitiva.
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L’approccio chirurgico agli adenomi ipofisari ACTH secernenti è la terapia d’elezione nell’uomo. L’ipofisectomia transfenoidale è invece una tecnica poco diffusa in ambito veterinario. La terapia più diffusa nel cane con ipercortisolismo ipofisi dipendente (PDH) è di tipo medico e prevede la somministrazione di farmaci inibitori della sintesi del cortisolo. Gli adenomi ipofisari possono aumentare di volume e determinare una conseguente sintomatologia neurologica; in questi casi le uniche opzioni terapeutiche sono rappresentate dall’asportazione chirurgica della neoplasia e dalla radioterapia. Nella presente tesi vengono descritti 8 interventi di ipofisectomia transfenoidale effettuati su 7 cani con macroadenoma ipofisario presso il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’Università di Bologna. La difficoltà maggiore per il chirurgo è rappresentata dalla localizzazione della fossa ipofisaria rispetto ai punti di repere visibile in tomografia computerizzata o in risonanza magnetica nucleare, oltre ai problemi di sanguinamento durante la rimozione della neoplasia. Nel periodo post-operatorio maggiori complicazioni si riscontrano in soggetti con adenomi ipofisari di maggiori dimensioni. Al contrario, in presenza di adenomi di dimensioni più contenute, la ripresa post-operatoria risulta più rapida e il tasso di successo maggiore. Al fine di poter eseguire nel cane l’exeresi mirata della sola neoplasia ipofisaria, al pari di quanto avviene nell’uomo, è stato condotto uno studio sulla tomografia computerizzata (TC) in 86 cani con PDH. Il protocollo TC non ha tuttavia permesso di individuare con precisione la posizione della neoplasia per guidare il chirurgo nella sua rimozione. In due casi riportati nel presente lavoro si è verificata una recidiva della neoplasia ipofisaria. In un soggetto si è optato per il reintervento, mentre nell’altro caso per la radioterapia. Entrambe le opzioni hanno garantito una buona qualità di vita per più di un anno dall’intervento terapeutico. Questi casi clinici dimostrano come il reintervento e la radioterapia possano essere considerate valide opzioni in caso di recidiva.
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Nel sesso maschile il carcinoma della prostata (CaP) è la neoplasia più frequente ed è tra le prime cause di morte per tumore. Ad oggi, sono disponibili diverse strategie terapeutiche per il trattamento del CaP, ma, come comprovato dall’ancora alta mortalità, spesso queste sono inefficaci, a causa soprattutto dello sviluppo di fenomeni di resistenza da parte delle cellule tumorali. La ricerca si sta quindi focalizzando sulla caratterizzazione di tali meccanismi di resistenza e, allo stesso tempo, sull’individuazione di combinazioni terapeutiche che siano più efficaci e capaci di superare queste resistenze. Le cellule tumorali sono fortemente dipendenti dai meccanismi connessi con l’omeostasi proteica (proteostasi), in quanto sono sottoposte a numerosi stress ambientali (ipossia, carenza di nutrienti, esposizione a chemioterapici, ecc.) e ad un’aumentata attività trascrizionale, entrambi fattori che causano un accumulo intracellulare di proteine anomale e/o mal ripiegate, le quali possono risultare dannose per la cellula e vanno quindi riparate o eliminate efficientemente. La cellula ha sviluppato diversi sistemi di controllo di qualità delle proteine, tra cui gli chaperon molecolari, il sistema di degradazione associato al reticolo endoplasmatico (ERAD), il sistema di risposta alle proteine non ripiegate (UPR) e i sistemi di degradazione come il proteasoma e l’autofagia. Uno dei possibili bersagli in cellule tumorali secretorie, come quelle del CaP, è rappresentato dal reticolo endoplasmatico (RE), organello intracellulare deputato alla sintesi, al ripiegamento e alle modificazioni post-traduzionali delle proteine di membrana e secrete. Alterazioni della protestasi a livello del RE inducono l’UPR, che svolge una duplice funzione nella cellula: primariamente funge da meccanismo omeostatico e di sopravvivenza, ma, quando l’omeostasi non è più ripristinabile e lo stimolo di attivazione dell’UPR cronicizza, può attivare vie di segnalazione che conducono alla morte cellulare programmata. La bivalenza, tipica dell’UPR, lo rende un bersaglio particolarmente interessante per promuovere la morte delle cellule tumorali: si può, infatti, sfruttare da una parte l’inibizione di componenti dell’UPR per abrogare i meccanismi adattativi e di sopravvivenza e dall’altra si può favorire il sovraccarico dell’UPR con conseguente induzione della via pro-apoptotica. Le catechine del tè verde sono composti polifenolici estratti dalle foglie di Camellia sinesis che possiedono comprovati effetti antitumorali: inibiscono la proliferazione, inducono la morte di cellule neoplastiche e riducono l’angiogenesi, l’invasione e la metastatizzazione di diversi tipi tumorali, tra cui il CaP. Diversi studi hanno osservato come il RE sia uno dei bersagli molecolari delle catechine del tè verde. In particolare, recenti studi del nostro gruppo di ricerca hanno messo in evidenza come il Polyphenon E (estratto standardizzato di catechine del tè verde) sia in grado, in modelli animali di CaP, di causare un’alterazione strutturale del RE e del Golgi, un deficit del processamento delle proteine secretorie e la conseguente induzione di uno stato di stress del RE, il quale causa a sua volta l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR. Nel presente studio su due diverse linee cellulari di CaP (LNCaP e DU145) e in un nostro precedente studio su altre due linee cellulari (PNT1a e PC3) è stato confermato che il Polyphenon E è capace di indurre lo stress del RE e di determinare l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR, le quali possono fungere da meccanismo di sopravvivenza, ma anche contribuire a favorire la morte cellulare indotta dalle catechine del tè verde (come nel caso delle PC3). Considerati questi effetti delle catechine del tè verde in qualità di induttori dell’UPR, abbiamo ipotizzato che la combinazione di questi polifenoli bioattivi e degli inibitori del proteasoma, anch’essi noti attivatori dell’UPR, potesse comportare un aggravamento dell’UPR stesso tale da innescare meccanismi molecolari di morte cellulare programmata. Abbiamo quindi studiato l’effetto di tale combinazione in cellule PC3 trattate con epigallocatechina-3-gallato (EGCG, la principale tra le catechine del tè verde) e due diversi inibitori del proteasoma, il bortezomib (BZM) e l’MG132. I risultati hanno dimostrato, diversamente da quanto ipotizzato, che l’EGCG quando associato agli inibitori del proteasoma non produce effetti sinergici, ma che anzi, quando viene addizionato al BZM, causa una risposta simil-antagonistica: si osserva infatti una riduzione della citotossicità e dell’effetto inibitorio sul proteasoma (accumulo di proteine poliubiquitinate) indotti dal BZM, inoltre anche l’induzione dell’UPR (aumento di GRP78, p-eIF2α, CHOP) risulta ridotta nelle cellule trattate con la combinazione di EGCG e BZM rispetto alle cellule trattate col solo BZM. Gli stessi effetti non si osservano invece nelle cellule PC3 trattate con l’EGCG in associazione con l’MG132, dove non si registra alcuna variazione dei parametri di vitalità cellulare e dei marcatori di inibizione del proteasoma e di UPR (rispetto a quelli osservati nel singolo trattamento con MG132). Essendo l’autofagia un meccanismo compensativo che si attiva in seguito all’inibizione del proteasoma o allo stress del RE, abbiamo valutato che ruolo potesse avere tale meccanismo nella risposta simil-antagonistica osservata in seguito al co-trattamento con EGCG e BZM. I nostri risultati hanno evidenziato, in cellule trattate con BZM, l’attivazione di un flusso autofagico che si intensifica quando viene addizionato l’EGCG. Tramite l’inibizione dell’autofagia mediante co-somministrazione di clorochina, è stato possibile stabilire che l’autofagia indotta dall’EGCG favorisce la sopravvivenza delle cellule sottoposte al trattamento combinato tramite la riduzione dell’UPR. Queste evidenze ci portano a concludere che per il trattamento del CaP è sconsigliabile associare le catechine del tè verde con il BZM e che in futuri studi di combinazione di questi polifenoli con composti antitumorali sarà importante valutare il ruolo dell’autofagia come possibile meccanismo di resistenza.
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Riassunto Il linfoma è una delle neoplasie più diffuse nel gatto. Questa neoplasia è stata classificata in base alla localizzazione anatomica nella forma Mediastinica (che interessa il timo e/o i linfonodi mediastinici), Alimentare, Multicentrica (che interessa diversi linfonodi e/o la milza e/o il fegato, Extranodale (che coinvolge i reni, SNC o la cute). Le cellule neoplastiche sono caratterizzate da diverse sottopopolazioni, che sono definite tramite immunofenotipizzazione ottenuta mediante tecniche immunoistochimiche (IHC), così che possano essere classificate come cellule B o T o non B/non T. I gatti infetti dal virus della leucemia felina (FeLV, Gammaretrovirus) presentano elevata incidenza di linfomi rispetto ai gatti non infetti. I meccanismi proposti di sviluppo neoplastico sono mutagenesi inserzionali o stimolazione persistente delle cellule immunitarie dell’ospite da parte di antigeni virali, i quali possono promuovere la trasformazione in senso maligno dei linfociti. Lo scopo di questo lavoro è stato esaminare i rilievi patologici, l’espressione di FeLV e l’immonofenotipo (B, T, nonB/nonT) nei reni felini affetti da linfoma. Abbiamo effettuato colorazione Ematossilina- Eosina ed Immunoistochimica per FeLV gp70, CD3 e CD79. Nello studio sono stati inclusi i tessuti di 49 gatti presentati all’Unità Operativa di Anatomia Patologica e Patologia Generale del Dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università degli studi di Parma. Il 39% dei casi (19/49) sono caratterizzati dalla presenza di lesioni linfomatose a livello renale. Questa popolazione è costituita dal 52,6% 3 (10/19) maschi e dal 47,4% (9/19) femmine. L’età è compresa tra 8 mesi e 17 anni ed in particolare 26,6% (5/19) sono giovani (0-2 anni), 47,4% (9/19) sono adulti (2-10 anni) e 26,3% (5/19) sono anziani (>10 anni). Per quanto riguarda la classificazione anatomica la forma renale appare primitiva in 5 casi (25%), in 8 casi (42%) appare secondaria a linfomi multicentrici, in 3 casi (15,7%) a linfomi mediastinici e in altri 3 casi (15,7%) a linfomi gastrici e intestinali. Per quanto riguarda l’immunofenotipizzazione sono risultati CD3 positivi il 73,7% (14/19) e CD3 negativi il 27,3% (5/19); CD79 alpha positivi il 26,3% (5/19) e CD79 alpha negativi il 73,7% (14/19); l’espressione della proteina gp70 è stata individuata nel 78,9% (15/19) delle neoplasie renali, mentre il 21,1% (4/19) non presentava espressione della proteina. Nei 4 anni presi in considerazione nello studio si evince un’elevata incidenza della localizzazione anatomica renale sul totale di linfomi osservati. Non si è notata correlazione statistica tra linfomi renali, età e sesso dei soggetti presi in esame ma vi è un’elevata percentuale di animali adulti ed anziani affetti dalla patologia. Nella valutazione fenotipica dell’infiltrato neoplastico si è osservata l’elevata espressione di CD3, caratterizzando i linfociti come appartenenti alla sottopopolazione T. Inoltre si è evidenziato come un elevato numero di cellule neoplastiche esprimano gp70; ciò permette di affermare che i linfociti neoplastici sono infettati dal virus FeLV, il quale inoltre è in attiva replicazione. I marker CD3 e gp70 sono risultati fortemente correlati statisticamente; si può affermare perciò che l’espansione clonale dei linfociti T è correlata alla presenza e replicazione del virus.
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El cáncer gástrico es una de las neoplasias malignas más frecuentes a nivel mundial, la segunda causa de muerte por cáncer a nivel mundial, y la octava causa de muerte en los Estados Unidos debido a neoplasias, es por tanto, un problema que afecta tanto a los países desarrollados como a los países en vías de desarrollo. A nivel mundial es más frecuente en la sexta década de la vida, con una incidencia mayor en el sexo femenino, además se han descrito diversos factores de riesgo asociados a la aparición de dicha neoplasia. Dentro de la presentación clínica podemos encontrar la pérdida de peso y el dolor abdominal como las presentaciones clínicas más frecuentes del cáncer gástrico. La mayoría de pacientes son diagnosticados en estadios avanzados de la enfermedad. Con el presente estudio se determinó el comportamiento de los pacientes con diagnóstico de cáncer gástrico del Hospital Oncológico del ISSS en el período enero de 2012 a diciembre de 2013, mediante un estudio observacional, descriptivo, transversal, tomando como población a todos los pacientes con cáncer gástrico del ISSS diagnosticados en dicho periodo. Con los datos obtenidos se concluyó que la edad media de los pacientes con cáncer gástrico es de 63.4 años, los síntomas más frecuentes en pacientes con cáncer gástrico en orden decreciente de frecuencia son dolor abdominal, pérdida de peso, nausea, vómito, melenas y saciedad temprana; al examen físico los hallazgos más frecuentemente reportados son palidez y presencia de masa abdominal palpable; los datos más frecuentemente observados en exámenes de laboratorio son anemia (normo-normo) y alteraciones de AST y ALT. Se diagnostican en un estadio 0= 0%, IA= 1.41%; IB= 5.63%; IIA=14.08%; IIB= 11.27%; IIIA= 18.31%; IIIB= 7.04%; IIIC= 4.23% y IV=38.03%. Además el adenocarcinoma tubular, seguido del carcinoma de células en anillo de sello son los tipos histológicos más frecuentes.
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La leucemia mieloide aguda (LMA) es un desorden caracterizado por células progenitoras mieloides en médula ósea, infiltración de la sangre periférica y otros tejidos por células neoplásicas del sistema hematopoyético. En la etiología de la LMA interviene la herencia, la radiación, las exposiciones químicas o laborales de otros tipos y los fármacos. Dos clasificaciones han sido usadas en la LMA: la primera, el Grupo Franco- Américo-Británico (FAB) y La segunda, publicada por la Organización Mundial de la Salud (OMS). El diagnóstico de LMA es hecho cuando los blastos alcanzan el 20% en el aspirado de médula ósea. Los regímenes para inducción de la remisión completa que se usan con más frecuencia consisten en una quimioterapia combinada de citarabina y una antraciclina. Conocer las características epidemiológicas y respuesta a la terapia de inducción y remisión en los pacientes con leucemia mieloide aguda en el Hospital de Oncología del Instituto Salvadoreño del Seguro Social desde enero 2011 a diciembre 2013 es el objetivo de este estudio. Se realizó un estudio observacional, descriptivo, transversal, basado en la aplicación de un formulario a expedientes clínicos y resultados del laboratorio clínico de pacientes con diagnóstico de Leucemia Mieloide Aguda entre enero 2011 a diciembre 2013 atendidos en el Hospital de Oncología del Instituto Salvadoreño del Seguro Social. Los datos se analizaron usando Microsoft Excel 2010. Resultados: de 58 expedientes clínicos revisadas, 51 cumplieron criterios de inclusión. El 46.55% (27) fueron mujeres y el 53.45% (31) hombres. La media 2 de edad fue 52.15 años. Según la clasificación FAB el subtipo más frecuente fue M2, en un 27.59,5% (16/51). A los 51 pacientes se les realizó estudio inmunofenótipico encontrando los siguientes marcadores más frecuentes CD 117, CD 33, CD 13 y HLA – DR. Durante la terapia de inducción presentaron remisión completa el 43.14% (22/51) y fallecieron 33.3% (17/51), siendo la causa de muerte más frecuente la neumonía en un 35.29% (6/17). Conclusión: En la población atendida en el Hospital de Oncología del ISSS encontramos que la LMA fue la neoplasia hematológica más frecuente con un pico de edad al diagnóstico entres los 60 a 69 años con mayor frecuencia en adultos de sexo masculino, la mayoría de los cuales se presentaron con fiebre al diagnóstico.
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184 p.
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El adenocarcinoma de próstata, es una patología que ha ido ganando espacio en nuestro medio, por esta razón este trabajo de investigación se dedicó al estudio del PSA sérico, importante marcador tumoral y a su método alternativo de interpretación PSAD, para el diagnóstico como son el tacto digital y la ecografía transrectal, de próstata [ETRP]. Se incluyeron en este estudio 63 pacientes hombres mayores de 45 años, con síntomas y signos de protatismo, con PSA igual o mayor a 10 ng/ml, PSAD igual o mayor a 0.15, con alteraciones sospechosas al tacto rectal y a la ecografía transrectal, todos se sometieron a biopsia transrectal de próstata. Se trata de un estudio comparativo cuasi experimental entre los diferentes procedimientos para el diagnóstico precoz del cáncer de próstata. La selección de los pacientes se realizó durante dos años [1999-2000], en la consulta externa de urología del Hospital Vicente Corral Moscoso, valorados por el autor de esta tesis y sus análisis realizados en un solo laboratorio clínico [Hospital de Solca ], y en mismo centro radiológico. De este total de pacientes el 25.39 por ciento presentaron cáncer de próstata, la sensibilidad y especificidad de la PSAD supera en forma significativa a la del PSA sérico, ya que sus valores aumentan en pacientes con lesiones sospechosas al tacto rectal y la ETRP, siendo de utilidad sobre todo en pacientes con PSA entre 4-10 ng/ml reduciendo así el número de biopsias prostáticas negativas. Al relacionar niveles de PSA y PSAD con biopsia prostática se determinó que el PSA tiene una sensibilidad del 87.5 por ciento y una especificidad del 63.82 por ciento, siendo superado por la PSAD que presenta una sensibilidad del 93.75 por ciento y una especificidad del 65.95 por ciento para el diangóstico precoz del cáncer de próstata. Importante decir que toda próstata sospechosa al tacto rectal y a la ETRP, independiente de los resultados del PSA y PSAD debería realizarse biopsia prostática para descartar neoplasia, ya que cerca del 20 por ciento de pacientes con cáncer de próstata localizado presenta un PSA por debajo de 4 ng/ml
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Numerosos estudios mencionan que la sobreexpresión de la proteína p16, un marcador biológico que permite identificar lesiones preneoplásicas del epitelio exocervical, tendría una alta asociación con el Papiloma Virus Humano (HPV) de alto riesgo oncogénico. Es un estudio descriptivo correlacional cuyo objetivo fue establecer asociación de las Neoplasias Intraepiteliales Cervicales grado I (NIC I), HPV positivos, con la expresión del p16. Materiales, métodos y resultados: Es un estudio correlacional que se realizó en el período de noviembre de 2009 a noviembre de 2010; se presentaron 256 casos de NIC I de los cuales, 72 fueron HPV positivos; se practicó técnica de p16. La edad promedio de las mujeres fue de 41 años. Se encontró positividad para el p16 en 40 casos (55.6%) y fueron negativos 32 (44.4%). De los casos positivos para p16, los tipos virales más frecuentes fueron los de alto riesgo: 33 (82.5%). El p16 fue valorado en cuantía, distribución e intensidad, estableciéndose relación entre la intensidad del p16 con los virus de alto riesgo (p=0.038). Cuando se analizó la edad y el tipo viral, pacientes entre 20 y 40 años (36 casos, 90%) presentaron genoma de HPV de alto riesgo. Conclusiones: Existió correlación entre la intensidad del p16 con la presencia de HPV de alto riesgo, ayudando a seleccionar grupos con tendencia a la progresión de la enfermedad.
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La neoplasia tiroidea impulsa la búsqueda de métodos diagnósticos para obtener un dictamen precoz y tratamiento oportuno que permitan mayor supervivencia y mejor calidad de vida. Objetivo: determinar la correlación entre estudio citológico e histopatológico en el diagnóstico de Neoplasia Tiroidea en pacientes atendidos en SOLCA – Cuenca, periodo 2009-2013. Metodología: estudio observacional, retrospectivo, analítico y de correlación diagnóstica, elaborado con historias clínicas de pacientes en quienes se realizó punciones (PAAF) para la citología, según el Sistema Bethesda, y con histopatología, para diagnosticar neoplasia tiroidea. Resultados: investigación desarrollada con 415 pacientes con neoplasia tiroidea. Caracterizada por 89.2% de mujeres; edad promedio de 51.8 ± 15.2 años, de 41-55 años fue la mayor categoría (36,9%); 47.2% procedieron de Cuenca y el 37.8% de las provincias vecinas. Estado civil casado/a fue más frecuente, 269 (64,8%), y de profesión “amas de casa” fueron las más afectadas 231 (55,7%). El 96.4% de diagnósticos citológicos Bethesda categoría 6, fueron confirmados por histología. Hubo correlación (r = 0.49) significativa y concordancia moderada (kappa = 0.337) entre citología e histología. Sensibilidad=63% (IC95%: 58 – 69), Especificidad=94% (IC95%: 89 – 98), RVP=10.9 (IC95%: 5 – 22) y RVN=0.39 (IC95%: 0.3 – 0.4). Conclusiones: la citología por PAAF es una herramienta para el estudio, diagnóstico de pacientes con afecciones tiroideas. Una punción realizada por expertos es una técnica rápida, económica, bien tolerada, y produce resultados confiables. La categorización Bethesda representa un sistema confiable, válido para reportar citología de tiroides
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Estudio descriptivo en el que se incluyeron 3953 papanicolaou, con la nomenclatura del Sistema Bethesda. Justificación: proque se cree necesario conocer la realidad del medio sobre patología cervical. Resultados: dentro de límites normales 7, cambios celulares benignos 76.5, células escamosas atípicas de significancia indeterminada ASCUS 12.2neoplasia intraepitelial de bajo grado LIE BG 1.7, neoplasia intraepitelial de alto grado LIEAG 0, 7, carcinoma de células escamosas 0,6, células glandulares atípicas de significancia indeterminada AGUS
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Aportación de la bioimpedancia espectroscópica en la valoración del estado de nutrición e hidratación del paciente en hemodiálisis. Impacto en la morbimortalidad. Los pacientes con enfermedad renal crónica tienen una mortalidad muy superior a la población general, siendo la principal causa la cardiovascular (Foley et al. 2005; Locatelli et al. 2004). Como consecuencia del gran impacto que tienen el estado nutricional ( Pifer et al. 2002; Gracia Iguacel et al. 2013) y la sobrehidratación (Kalantar Zadeh et al. 2009; Wizemann et al. 2009; Agarwal et al. 2010; Chazot et al. 2012) en la mortalidad, en los ultimos años se han desarrollado distintos métodos de análisis de la composición corporal, entre los cuales se encuentra la Bioimpedancia Espectroscópica (BIS). Esta herramienta permite cuantificar los diversos compartimentos del cuerpo (fundamentalmente masa magra, masa grasa y agua corporal) proporcionando al clínico información útil para la toma de decisiones, fundamentalmente en lo que respecta a la sobrecarga de volumen, aspecto fundamental en el manejo del paciente en hemodiálisis (López Gómez et al. 2011). La justificación de esta investigación se basa en existen pocos estudios longitudinales que analicen la evolución en el tiempo de marcadores nutricionales bioquímicos clásicos así como parámetros de bioimpedancia y su asociación con la morbimortalidad; no existiendo aún consenso sobre si los distintos marcadores pronósticos son mas predictivos con medidas basales o con medidas de seguimiento en el tiempo, por lo que nuestro trabajo puede contribuir a clarificar este aspecto. Además, existe un desconocimiento sobre el estado inflamatorio, la prevalencia de DPE y de sobrehidratación en la población en hemodiálisis de nuestro entorno por lo que consideramos importante analizarla para saber dónde estamos y en qué podemos mejorar. Objetivos: 1.- Impacto de la composición corporal así como de marcadores nutricionales bioquímicos e inflamatorios seguidos en el tiempo, sobre la morbimortalidad (evento compuesto muerte-hospitalización). 2.- Prevalencia del Síndrome de Desgaste Proteico Energético en función de distintas herramientas utilizadas para su valoración (criterios ISRNM, score MIS, y bioimpedancia).3.-Correlación entre los parámetros de bioimpedancia y parámetros bioquímicos nutricionales e inflamatorios. 4.- Análisis de la evolución en el tiempo de los parámetros bioquímicos, antropométricos y de bioimpedancia en el global de la muestra y en distintos grupos atendiendo al sexo, presencia de diabetes y grado de inflamación.. Diseño: Estudio observacional prospectivo de 15 meses de duración (Octubre/2013-Dic/2014) en pacientes prevalentes en hemodiálisis. Se ha realizado un corte transversal con los datos del primer mes de inclusión del paciente en el estudio (basal), a partir del cual se ha iniciado el seguimiento en el tiempo cada 2 meses. La mediana de seguimiento del estudio ha sido de 12 meses (RI 10-13 m). Pacientes y métodos: el nº de pacientes incluidos en el estudio fue de 169. Se incluyeron los pacientes estables, con mas de 3 meses en HD, excluyendose pacientes con ingreso reciente, proceso infeccioso o inflamatorio en 3 meses previos, neoplasia activa, marcapasos unipolar o con umbral de sensibilidad desconocido. Todos los pacientes firmaron el consentimiento informado. La prevalencia de DPE se analizó en el momento inicial y final del estudio. Para el análisis de la morbimortalidad se consideraron todos los ingresos de causa no programada, así como los éxitus por cualquier causa. Las funciones de supervivencia se calcularon mediante el análisis de Kaplan-Meier Para la identificación de las variables predictoras independientes del evento compuesto (muerte y / u hospitalización) se realizó un modelo de Cox univariante con las variables analíticas ( basal, media, mediana, máximo y mínimo) y demográficas y un modelo de Cox ajustado por edad,sexo e IMC con los parámetros de bioimpedancia . Las variables que dieron significativas en estos modelos (P < 0,05) se introdujeron en un modelo de Cox multivariante. Resultados. La prevalencia de DPE según criterios del ISRNM fue del 9.3 % en el momento basal, y del 4,3% en el momento de finalización del estudio. La prevalencia de sobrehidratación medida como AvROH fue del 20,1%. Durante el periodo de seguimiento se produjeron cambios significativos fundamentalmente en el índice de tejido graso (ITG) y en la sobrehidratación en los meses de verano (AvROH y TAFO). El 26% de la población de estudio tuvo al menos un ingreso hospitalario. 21 pacientes fallecieron durante el seguimiento (12,4% de la población). La principal causa de ingreso y éxitus fue la cardiovascular; consituyendo el 35% de los ingresos y el 57% de los éxitus. Los parámetros que presentaron asociación con el evento compuesto fueron: TAFO mínimo (HR 1.319: IC 95% 1.029-1.691; p= 0.029), PCR mediana (HR 1.032; IC 95% 1.014-1.050; p=0.001), albúmina máxima (HR 0.286; IC95% 0.085-0.966), colesterol total (HR 1.011; IC 95% 1.003-1.019; p=0.007) y nivel de 25 OH vit D (HR 0.947; IC 95% 0.915-0.981); p= 0.002). Conclusiones: El principal resultado de nuestro trabajo fue que la sobrehidratación, (medida como TAFO) se asoció de forma independiente con la morbimortalidad, y que las medidas seguidas en el tiempo (TAFO mínimo) tuvieron un mayor poder predictivo que las medidas basales. Adicionalmente; el estado nutricional e inflamatorio, medido mediante parámetros individuales, supuso un mayor impacto en la morbimortalidad que parámetros agrupados, como el score MIS o el síndrome DPE según criterios ISRNM. En nuestro estudio hemos encontrado importantes diferencias en la prevalencia de DPE en función de la herramienta utilizada (criterios ISRNM, MIS y parámetros de bioimpedancia). Finalmente, la periodicidad de la medición de las diferentes variables a lo largo del seguimiento nos ha permitido apreciar los cambios estacionales en los parámetros de bioimpedancia, los cuales se han acompañado de cambios en sentido inverso de algunos de los parámetros bioquímicos nutricionales.
Resumo:
Tesis inédita presentada en la Universidad Europea de Madrid. Facultad de Ciencias Biomédicas. Programa de Doctorado en Biomedicina y Ciencias de la Salud
Resumo:
Antecedentes: El cáncer gástrico se diagnostica tardíamente. Sólo en países como Corea y Japón existen políticas de tamizaje, que se justificarían en cualquier país con alta prevalencia de cáncer gástrico como Colombia o Chile. El análisis del pepsinógeno sérico se ha propuesto para el diagnóstico de lesiones premalignas y malignas gástricas, por lo cual se pretende revisar sistemáticamente en la literatura el valor diagnóstico del cociente pepsinógeno I/II como marcador de lesiones premalignas y malignas gástricas. Metodología: Se revisó la literatura hasta septiembre del 2016 con palabras claves lesiones malignas, premalignas gástricas y pepsinógeno en las bases de datos PubMed, OVID, EMBASE, EBSCO, LILACS, OPENGRAY y Dialnet, artículos de prueba diagnóstica que evaluaran el cociente pepsinógeno I/II en relación con los hallazgos histológicos. Resultados: Se incluyeron 21 artículos conun total de 20601 pacientes, que demuestranuna sensibilidad entre13.7% - 91.2%, una especificidad entre 38.5% - 100%, un Valor Predictivo Positivo entre 6.3% - 100% y un Valor Predictivo Negativo entre 33.3% - 98.8%del cociente pepsinógeno I/II en relación con el diagnósticode lesiones premalignas y malignas gástricas. Conclusiones: Los valores del cociente pepsinógeno I/II disminuidos se relacionan con la presencia delesiones premalignas y malignas gástricas.Dado que tiene mejor especificidad que sensibilidad, en cuanto prueba para tamizaje, sería útil para la selección de pacientes que se beneficiaríande la EVDA. Se requieren más estudios de prueba diagnóstica para validar un punto de corte específico que pueda ser utilizado como valor estándar.