891 resultados para Classificazione delle varie tipologie di galassie e panoramica delle caratteristiche generali


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Nel presente elaborato viene riassunta in 4 brevi capitoli la mia attività di tesi, svolta nell’ambito del progetto Formula SAE® dell’Università di Bologna nell’anno 2010. Il progetto ha consistito nella realizzazione di una vettura monoposto, con l’obiettivo di far competere la stessa negli eventi previsti dalla SAE® (Society of Automotive Engineer), insieme alle vetture progettate e costruite da altri atenei di tutto il mondo. In tali eventi, una serie di giudici del settore auto-motive valuta la bontà del progetto, ovvero della vettura, che sarà sottoposta ad una serie di prove statiche e dinamiche. Nella seguente trattazione si narra quindi il percorso progettuale e di realizzazione del telaio della vettura, ovvero della sua struttura portante principale. Il progetto infatti, nell’ambito del team UniBo Motorsport, mi ha visto impegnato come “Responsabile Telaio” oltre che come “Responsabile in Pista” durante le prove su strada della vettura, svolte a valle della realizzazione. L’obbiettivo principale di un telaio di vettura da corsa è quello di realizzare una struttura che colleghi rigidamente tra loro i gruppi sospensivi anteriore e posteriore e che preveda anche la possibilità di ancorare tutti i componenti dei sistemi ausiliari di cui la vettura deve essere equipaggiata. Esistono varie tipologie di telai per autovettura ma quelle più adatte ad equipaggiare una vettura da competizione di tipo Formula, sono sicuramente il traliccio in tubi (“space frame”) e la monoscocca in fibra di carbonio. Il primo è sicuramente quello più diffuso nell’ambito della Formula Student grazie alla sua maggior semplicità progettuale e realizzativa ed ai minor investimenti economici che richiede. I parametri fondamentali che caratterizzano un telaio vettura da competizione sono sicuramente la massa e la rigidezza. La massa dello chassis deve essere ovviamente il più bassa possibile in quanto quest, costituisce generalmente il terzo contributo più importante dopo pilota e motore alla massa complessiva del veicolo. Quest’ultimo deve essere il più leggero possibile per avere un guidabilità ed una performance migliori nelle prove dinamiche in cui dovrà impegnarsi. Per quanto riguarda la rigidezza di un telaio, essa può essere distinta in rigidezza flessionale e rigidezza torsionale: di fatto però, solo la rigidezza torsionale va ad influire sui carichi che si trasferiscono agli pneumatici della vettura, pertanto quando si parla di rigidezza di un telaio, ci si riferisce alla sua capacità di sopportare carichi di tipo torsionale. Stabilire a priori un valore adeguato per la rigidezza torsionale di un telaio è impossibile. Tale valore dipende infatti dal tipo di vettura e dal suo impiego. In una vettura di tipo Formula quale quella oggetto del progetto, la rigidezza torsionale del telaio deve essere tale da garantire un corretto lavoro delle sospensioni: gli unici cedimenti elastici causati dalle sollecitazioni dinamiche della vettura devono essere quelli dovuti agli elementi sospensivi (ammortizzatori). In base a questo, come indicazione di massima, si può dire che un valore di rigidezza adeguato per un telaio deve essere un multiplo della rigidezza totale a rollio delle sospensioni. Essendo questo per l’Università di Bologna il primo progetto nell’ambito della Formula SAE® e non avendo quindi a disposizione nessun feed-back da studi o vetture di anni precedenti, per collocare in modo adeguato il pilota all’interno della vettura, in ottemperanza anche con i requisiti di sicurezza dettati dal regolamento, si è deciso insieme all’esperto di ergonomia del team di realizzare una maquette fisica in scala reale dell’abitacolo. Questo ha portato all’individuazione della corretta posizione del pilota e al corretto collocamento dei comandi, con l’obbiettivo di massimizzare la visibilità ed il confort di guida della vettura. Con questo primo studio quindi è stata intrapresa la fase progettuale vera e propria del telaio, la quale si è svolta in modo parallelo ma trasversale a quella di tutti gli altri sistemi principali ed ausiliari di cui è equipaggiata la vettura. In questa fase fortemente iterativa si vanno a cercare non le soluzioni migliori ma quelle “meno peggio”: la coperta è sempre troppo corta e il compromesso la fa da padrone. Terminata questa fase si è passati a quella realizzativa che ha avuto luogo presso l’azienda modenese Marchesi & C. che fin dal 1965 si è occupata della realizzazione di telai da corsa per importanti aziende del settore automobilistico. Grazie al preziosissimo supporto dell’azienda, a valle della realizzazione, è stato possibile condurre una prova di rigidezza sul telaio completo della vettura. Questa, oltre a fornire il valore di rigidezza dello chassis, ha permesso di identificare le sezioni della struttura più cedevoli, fornendo una valida base di partenza per l’ottimizzazione di telai per vetture future. La vettura del team UniBo Motorsport ha visto il suo esordio nell’evento italiano della Formula SAE® tenutosi nel circuito di Varano de Melegari nella prima settimana di settembre, chiudendo con un ottimo 16esimo posto su un totale di 55 partecipanti. Il team ha partecipato inoltre alla Formula Student Spain tenutasi sul famoso circuito di Montmelò alla fine dello stesso mese, raggiungendo addirittura il podio con il secondo posto tra i 18 partecipanti. La stagione si chiude quindi con due soli eventi all’attivo della vettura, ma con un notevole esordio ed un ottimo secondo posto assoluto. L’ateneo di Bologna si inserisce al sessantasettesimo posto nella classifica mondiale, come seconda università italiana.

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Al giorno d’oggi è sempre maggiore la richiesta di sistemi software affidabili, in grado cioè di adempiere alle proprie funzioni nel modo corretto anche qualora si dovessero verificare dei problemi interni o esterni al sistema. I sistemi informatici complessi sono sempre più chiamati a svolgere compiti altamente critici, che coinvolgono la sicurezza e l’incolumità delle persone. Si pensi per esempio ai sistemi di controllo di aerei, delle centrali nucleari, dei sistemi ferroviari o anche solo ai sistemi di transazioni monetarie. É importante per questi sistemi adottare tecniche in grado di mantenere il sistema in uno stato correttamente funzionante ed evitare che la fornitura del servizio possa essere interrotta dal verificarsi di errori. Tali tecniche possono essere implementate sia a livello hardware che a livello software. È tuttavia interessante notare la differenza che intercorre tra i due livelli: l’hardware può danneggiarsi e quindi la semplice ridondanza dei componenti è in grado di far fronte ad un eventuale malfunzionamento di uno di questi. Il software invece non può rompersi e quindi la semplice ridondanza dei moduli software non farebbe altro che replicare il problema. Il livello software necessita dunque di tecniche di tolleranza ai guasti basate su un qualche tipo di diversità nella realizzazione della ridondanza. Lo scopo di questa tesi è appunto quello di approfondire le varie tipologie di diversità utilizzabili a livello software e il funzionamento delle tecniche appartenenti a queste tipologie.

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La necessità di conservazione e recupero di murature, di qualsiasi interesse storico/architettonico, ha evidenziato la necessità di conoscere il più dettagliatamente possibile le caratteristiche strutturali delle opere interessate: un intervento risulterà tanto più efficace e adatto agli scopi prefissi quanto maggiore sarà la conoscenza dell’opera, della sua evoluzione, dei materiali utilizzati per la realizzazione, della tecnica costruttiva e della struttura portante. Spesso è necessario eseguire interventi di adeguamento sismico di comuni edifici su cui poter intervenire più o meno indiscriminatamente, mentre, per opere di interesse storico è necessario ridurre al minimo l’invasività degli interventi: in tutti e due i casi, una buona riuscita dell’intervento dipende dalla conoscenza dell’organismo strutturale sul quale si deve operare. Come spesso accade, anche per opere di recente costruzione, risulta difficile poter recuperare i dati progettuali (disegni e calcoli) e spesso le tecniche e le tipologie utilizzate per le costruzioni si differenziavano da zona a zona, così come diversi erano i materiali da costruzione; risulta quindi evidente che per progettare una serie di interventi di recupero è necessario poter ottenere il maggior numero di informazioni al riguardo. Diverse sono le esperienze maturate in questo campo in tutta Europa e queste hanno mostrato come non è sufficiente intervenire con tecniche innovative per adeguare agli standard attuali di sicurezza opere del passato: infatti, in molti casi, l’applicazione sbagliata di queste tecniche o gli interventi progettati in modo non adeguato non hanno svolto il loro compito e in alcuni casi hanno peggiorato la situazione esistente. Dalle esperienze maturate è stato possibile osservare che anche le migliore tecniche di recupero non possono risultare efficaci senza un’adeguata conoscenza dello stato di degrado degli edifici, del loro assetto strutturale e delle possibili carenze. La diagnostica strutturale si vuole inserire proprio in questo livello potendo fornire ad un progettista tutte le informazioni necessarie per effettuare al meglio ed in maniera efficace gli interventi di recupero e restauro necessari. Oltre questi aspetti, le analisi diagnostiche possono essere utilizzate anche per verificare l’efficacia degli interventi effettuati. Diversi sono gli aspetti che si possono analizzare in un’indagine di diagnostica ed in base alle esigenze e alle necessità del rilievo da effettuare sono varie le tecniche a disposizione, ognuna con le sue peculiarità e potenzialità. Nella realizzazione di questa tesi sono state affrontate diverse problematiche che hanno previsto sia l’analisi di situazioni reali in cantiere, sia lo studio in laboratorio. La prima parte del presente elaborato prevede lo studio delle attività svolte a Palazzo Malvezzi, attuale sede della Provincia di Bologna. L’edificio, di interesse storico, ha subito diverse trasformazioni durate la sua vita ed in alcuni casi, queste, eseguite con tecnologie e materiali inadatti, hanno provocato variazioni nell’assetto statico della struttura; inoltre, il palazzo, è soggetto a movimenti a livello di fondazione in quanto è presente una faglia di subsidenza che attraversa l’edificio. Tutte queste problematiche hanno creato movimenti differenziali alla struttura in elevazione che si sono evidenziati con crepe distribuite in tutto l’edificio. Il primo aspetto analizzato (capitoli 4 e 5) è lo studio della profondidelle fessure presenti nel solaio della sala Rossa, sede dei comunicati stampa e delle conferenze della Provincia. Senza dubbio antiestetiche, le crepe presenti in una struttura, se sottovalutate, possono compromettere notevolmente le funzioni statiche dell’elemento in cui si sviluppano: la funzione di protezione fornita dal solaio o da qualsiasi altro elemento strutturale alle armature in questo immerse, viene meno, offrendo vie preferenziali a possibili situazioni di degrado, specialmente se in condizioni ambientali aggressive. E' facile intuire, quindi, che un aspetto all’apparenza banale come quello delle fessure non può essere sottovalutato. L’analisi è stata condotta utilizzando prove soniche ed impact-echo, tecniche che sfruttano lo stresso principio, la propagazione delle onde elastiche nel mezzo, ma che si differenziano per procedure di prova e frequenze generate nel test. Nel primo caso, la presenza del martello strumentato consente di valutare anche la velocità di propagazione delle onde elastiche, fenomeno utilizzato per ottenere indicazioni sulla compattezza del mezzo, mentre nel secondo non è possibile ricavare queste informazioni in quanto la tecnica si basa solamente sullo studio in frequenza del segnale. L’utilizzo dell’impact-echo è stato necessario in quanto la ristilatura effettuata sulle fessure scelte per l’analisi, non ha permesso di ottenere risultati utili tramite prove soniche ; infatti, le frequenze generate risultano troppo basse per poter apprezzare queste piccole discontinuità materiali. La fase di studio successiva ha previsto l’analisi della conformazione dei solai. Nel capitolo 6, tale studio, viene condotto sul solaio della sala Rossa con lo scopo di individuarne la conformazione e la presenza di eventuali elementi di rinforzo inseriti nelle ristrutturazioni avvenute nel corso della vita del palazzo: precedenti indagini eseguite con endoscopio, infatti, hanno mostrato una camera d’aria ed elementi metallici posizionati al di sotto della volta a padiglione costituente il solaio stesso. Le indagini svolte in questa tesi, hanno previsto l’utilizzo della strumentazione radar GPR: con questa tecnica, basata sulla propagazione delle onde elettromagnetiche all’interno di un mezzo, è possibile variare rapidamente la profondità d’ispezione ed il dettaglio ottenibile nelle analisi cambiando le antenne che trasmettono e ricevono il segnale, caratteristiche fondamentali in questo tipo di studio. I risultati ottenuti hanno confermato quanto emerso nelle precedenti indagini mostrando anche altri dettagli descritti nel capitolo. Altro solaio oggetto d’indagine è quello della sala dell’Ovale (capitoli 7 e 8): costruito per dividere l’antica sala da ballo in due volumi, tale elemento è provvisto al suo centro di un caratteristico foro ovale, da cui ne deriva il nome. La forma del solaio lascia supporre la presenza di una particolare struttura di sostegno che le precedenti analisi condotte tramite endoscopio, non sono riuscite a cogliere pienamente. Anche in questo caso le indagini sono state eseguite tramite tecnica radar GPR, ma a differenza dei dati raccolti nella sala Rossa, in questo caso è stato possibile creare un modello tridimensionale del mezzo investigato; inoltre, lo studio è stato ripetuto utilizzando un’antenna ad elevata risoluzione che ha consentito di individuare dettagli in precedenza non visibili. Un ulteriore studio condotto a palazzo Malvezzi riguarda l’analisi della risalita capillare all’interno degli elementi strutturali presenti nel piano interrato (capitolo 9): questo fenomeno, presente nella maggior parte delle opere civili, e causa di degrado delle stesse nelle zone colpite, viene indagato utilizzando il radar GPR. In questo caso, oltre che individuare i livelli di risalita osservabili nelle sezioni radar, viene eseguita anche un’analisi sulle velocità di propagazione del segnale e sulle caratteristiche dielettriche del mezzo, variabili in base al contenuto d’acqua. Lo scopo è quello di individuare i livelli massimi di risalita per poterli confrontare con successive analisi. Nella fase successiva di questo elaborato vengono presentate le analisi svolte in laboratorio. Nella prima parte, capitolo 10, viene ancora esaminato il fenomeno della risalita capillare: volendo studiare in dettaglio questo problema, sono stati realizzati dei muretti in laterizio (a 2 o 3 teste) e per ognuno di essi sono state simulate diverse condizioni di risalita capillare con varie tipologie di sale disciolto in acqua (cloruro di sodio e solfato di sodio). Lo scopo è di valutare i livelli di risalita osservabili per diverse tipologie di sale e per diverse concentrazioni dello stesso. Ancora una volta è stata utilizzata la tecnica radar GPR che permette non solo di valutare tali livelli, ma anche la distribuzione dell’umidità all’interno dei provini, riuscendo a distinguere tra zone completamente sature e zone parzialmente umide. Nello studio è stata valutata anche l’influenza delle concentrazioni saline sulla propagazione del segnale elettromagnetico. Un difetto delle tecniche di diagnostica è quello di essere strumenti qualitativi, ma non quantitativi: nel capitolo 11 viene affrontato questo problema cercando di valutare la precisione dei risultati ottenuti da indagini condotte con strumentazione radar GPR. Studiando gli stessi provini analizzati nel capitolo precedente, la tecnica radar è stata utilizzata per individuare e posizionare i difetti (muretti a 3 teste) e le pietre (muretti a 2 teste) inserite in questi elementi: i risultati ottenuti nella prova sono stati confrontati, infine, con la reale geometria. Nell’ultima parte (capitolo 12), viene esaminato il problema dell’individuazione dei vuoti all’interno di laterizi: per questo scopo sono state create artificialmente delle cavità di diversa forma e a diverse profondità all’interno di laterizi pieni che, dopo un trattamento in cella climatica per aumentarne la temperatura, sono stati sottoposti a riprese termografiche nella fase di raffreddamento. Lo scopo di queste prove è quello di valutare quale sia la massima differenza di temperatura superficiale causata dai diversi difetti e per quale intervallo di temperature questa si verifica.

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Questa relazione finale è stata frutto di un lavoro sperimentale svolto in collaborazione con un’azienda del territorio ed ha avuto come obiettivo principale quello di verificare i parametri qualitativi e compositivi di una nuova tipologia di salume in fase di studio. L’azienda sta studiando una nuova tipologia di “prodotto funzionale” addizionando componenti ad attività nutraceutica al salame ottenuto da sole parti magre di suino. L’intenzione dell’azienda è di arricchire il proprio prodotto con acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 (da olio di semi di lino), noti per gli effetti benefici che possono esercitare sulla salute umana. A questo scopo, sul prodotto di nuova formulazione (ed in parallelo sul prodotto a formulazione classica e su un prodotto del tutto simile commercializzato da un’altra azienda) sono state effettuate sia la determinazione della percentuale lipidica, al fine di individuare il quantitativo totale di grasso, che una caratterizzazione gascromatografica del profilo quali-quantitativo in acidi grassi, analsi fondamentale per verificare la conformità con i requisiti indicati dal Reg. 1924/06, e successive modifiche, previsti per le indicazioni da inserire in etichetta (claims). Inoltre, è stato importante controllare che la concentrazione voluta di acido alfa-linolenico si mantenga tale durante tutto il periodo di shelf-life del prodotto (45 gg), perciò per soddisfare quest’ultima finalità, le analisi sono state eseguite sia all’inizio (T0) che alla fine (T1) della vita commerciale del prodotto. E’ apparso poi fondamentale monitorare un possibile decadimento/modifica della qualità organolettica del prodotto di nuova formulazione, a causa del possibile aumento di ossidabilità della frazione lipidica causata da una maggiore presenza di acidi grassi polinsaturi; ed infine, con l’intento di verificare se la nuova formulazione potesse comportare una variazione significativa delle caratteristiche sensoriali del prodotto, sono stati condotti un test descrittivo quantitativo (QDA), in grado di descrivere il profilo sensoriale del prodotto ed un test discriminante qualitativo (metodo triangolare) capace di valutare l’eventuale comparsa di cambiamenti in seguito alle modifiche apportate al prodotto; per ultimo è stato poi eseguito un test affettivo quantitativo (test di preferenza, condotto su scala di laboratorio) in grado fornire informazioni sul gradimento e di evidenziare i principali vettori che guidano le scelte dei consumatori. I risultati delle analisi chimiche e sensoriali, eseguite per soddisfare tali richieste, hanno evidenziato come il salume presenti un quantitativo di tali acidi grassi polinsaturi in linea con il claim “Alimento fonte di acidi grassi omega-3”, (requisiti indicati dal Reg. 1924/06 e successive modifiche), risultato confermato sia all’inizio che al termine della vita commerciale del prodotto (pari a circa 45 giorni). Inoltre, esso risulta essere piuttosto interessante dal punto di vista nutrizionale, poiché caratterizzato da un contenuto di grasso per la categoria dei salumi, relativamente limitato, pari a circa il 15%, con percentuali più favorevoli in acidi grassi insaturi. L’analisi del profilo sensoriale condotta ad inizio shelf-life ha invece evidenziato come questa tipologia di prodotto sia caratterizzata sia al gusto che all’olfatto da note più sapide e speziate , oltre ad una maggiore consistenza della fetta, rispetto agli altri campioni analizzati, mentre i risultati relativi al termine della shelf-life hanno evidenziato come esso tenda ad essere soggetto ad alterazioni sensoriali rilevabili proprio al termine della fase di conservazione dovute nello specifico alla formazione di composti responsabili dell’odore di rancido. I test discriminanti, condotti con giudici non allenati, non hanno invece fatto registrare differenze sensoriali significative tra il prodotto con formulazione classica e quello di nuova formulazione, confrontati ad inizio e a fine shelf-life. Riassumendo, dai risultati ottenuti da questo lavoro sperimentale, il prodotto di nuova formulazione, arricchito in acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, risulta essere in linea con il claim “Alimento fonte di acidi grassi omega-3”, presenta in generale un contenuto di grasso totale inferiore a quello di altre tipologie di salumi ed un rapporto più favorevole tra acidi grassi insaturi e saturi, per questo può essere considerato un prodotto interessante dal punto di vista della salute e della nutrizione. Proprio per la sua formulazione più ricca in acidi grassi polinsaturi, tende però a fine shelf-life a presentare una leggera nota di rancido, riconducibile ad una maggiore ossidabilità della frazione lipidica. Tale variazione sensoriale è risultata comunque percepita solo da un panel allenato, mentre un test di tipo discriminante, condotto con giudici non allenati, non ha messo in luce differenze significative tra il salume di nuova formulazione e quello con formulazione classica né all’inizio, né al termine della vita commerciale del prodotto.

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Per la tradizione amministrativa la concessione è lo strumento che consente ai singoli di utilizzare un bene pubblico a titolo particolare. Proprio l’endiadi espressa dai due aggettivi della definizione tradizionale, pubblico e particolare, nasconde la ragione della fortuna dello strumento concessorio, capace di soddisfare, allo stesso tempo, un’esigenza di carattere pubblico ed un bisogno eminentemente privato, sopravvivendo ai più differenti periodi storici ed all’affermarsi delle più radicali correnti di pensiero. A fare da sfondo a questa insanabile tensione, in perenne oscillazione tra i due poli estremi della definizione, la nozione, a sua volta relativa, discussa e costantemente rivisitata, di bene pubblico. Per questa ragione il titolo del lavoro che si presenta è articolato in tre segmenti, che fanno riferimento allo strumento, soltanto formalmente unitario, della concessione negli ambiti del demanio marittimo, del demanio costiero e del demanio portuale. Nel primo capitolo si esamina la disciplina normativa applicabile alle varie tipologie di concessione ipotizzabili sul demanio marittimo, cercando di cogliere, in una prospettiva di analisi diacronica, le linee di evoluzione dell’uso particolare dei beni variamente connessi alle esigenze della navigazione. Il secondo capitolo è, invece, dedicato all’esame dell’elaborazione giurisprudenziale relativa alle vicende del demanio marittimo. Mentre nel terzo capitolo, infine, si è tentato di ricercare e di rappresentare una teoria unitaria della concessione dovuta, in gran parte, all’incedere, apparentemente irresistibile, di un vocabolario comune dei contratti pubblici di matrice comunitaria. In questo contesto appare evidente la crisi, probabilmente irreversibile, della concezione di bene pubblico e quindi di concessione.

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Il termine biochar definisce il prodotto solido derivante dalla pirolisi di un qualsiasi materiale organico, con lo specifico scopo di essere applicato nei suoli sia per fini agronomici che di gestione ambientale. Un suo utilizzo in maniera "responsabile" richiede però una piena comprensione delle sue proprietà e dei meccanismi che controllano la sua attività nel terreno, che dipendono dalla biomassa di partenza e dalle condizioni di sintesi tramite pirolisi. Infatti le condizioni di pirolisi, in particolare la temperatura di processo e il tempo di residenza, determinano biochar con caratteristiche differenti. In questo lavoro di tesi sono stati prodotti biochar da due diverse tipologie di biomassa residuale ampiamente disponibili (stocchi di mais e pollina). Per ciascuna biomassa sono state scelte tre condizioni di pirolisi (400°C x 20 minuti, 500°C x 10 minuti e 600°C x 5 minuti). Sui biochar ottenuti sono state effettuate le seguenti determinazioni: analisi elementare, Pirolisi‐GC‐MS, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), acidi grassi volatili (VFA), azoto ammoniacale (N‐NH4 +), pH, conduttività elettrica e ritenzione idrica. Infine i biochar sintetizzati sono stati utilizzati per fare due test di germinazione per valutare l'effetto sulla formazione delle prime strutture di crescita delle plantule, tramite test di tossicità brevi con piastre Petri. Il primo test è stato condotto a concentrazione crescente di miscele acqua/biochar (2, 5, 40 e 100 g/L sulla base delle quantità di biochar utilizzate come ammendante nel suolo), sulla germinazione seguendo la metodologia normata dalla ISO 11269:2012. I semi utilizzati nel primo test sono stati quelli del crescione (Lepidium sativum L.) come specie dicotiledone, e del sorgo (Sorghum saccharatum M.) come monocotiledone. Il secondo saggio di tossicità eseguito è stato quello descritto dalla normativa in materia UNI 11357, valutando l'eventuale effetto di tossicità alla massima concentrazione delle varie tipologie di biochar, utilizzando come specie dicotiledoni il cetriolo (Cucumis sativus L.) ed il crescione (Lepidium sativum L.), come monocotiledone il sorgo (Sorghum saccharatum M.). Per i biochar da stocchi di mais, rappresentativi di biomasse erbacee e con diverso grado di carbonizzazione, non si osservano effetti apprezzabili alle condizioni di uso agricolo. Nel caso dei biochar da pollina si osservano invece inibizioni alla germinazione sin dalle concentrazioni più basse. In particolare, quello pirolizzato a 400°C mostra un potenziale effetto tossico più marcato, probabilmente associato ad un contenuto di IPA e VFA superiore a quello degli altri biochar.

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Questa tesi di laurea è stata redatta presso l’azienda Sacmi Imola S.C. ed in particolare all’interno della divisione Closures, che si occupa della progettazione e della realizzazione di linee per la produzione di varie tipologie di capsule. Lo scopo dell’elaborato è descrivere lo sviluppo di un sistema di tracciabilità di prodotto; sistemi di questo tipo, adottati inizialmente nel settore alimentare, stanno acquisendo sempre maggiore importanza anche in altri campi produttivi, poiché rivestono un ruolo strategico al fine della realizzazione di prodotti caratterizzati da livelli elevati di performance e di qualità, capaci di emergere nel mercato moderno caratterizzato da una concorrenza estesa a livello mondiale e molto attento alle esigenze dei clienti. Nel caso specifico di Sacmi il sistema di tracciabilità si rivolge ad una pressa, la CCM (Continuous Compression Moulder), realizzata dall’azienda per la produzione di capsule in materiale termoplastico tramite la tecnologia dello stampaggio a compressione. In particolare il sistema si concentra sugli stampi della macchina CCM, i quali ne rappresentano gli elementi critici dal punto di vista sia tecnico che economico. A livello generale, un sistema di tracciabilità è costituito da due componenti fondamentali: il primo è un sistema di identificazione che permetta di rendere distinguibili ed individuabili le unità da tracciare, mentre il secondo è un sistema di raccolta dati in grado di raccogliere le informazioni desiderate. Queste sono poi archiviate in un apposito database ed attribuite alle entità corrispondenti sfruttando le proprietà del sistema di identificazione. Il primo passo da compiere quando si intende sviluppare un sistema di tracciabilità all’interno di un contesto produttivo già consolidato è la ricostruzione del processo produttivo presente in azienda: si tratta di individuare tutti gli enti aziendali che concorrono al processo e che saranno interessati dall’introduzione del nuovo sistema. Una volta definiti gli attori, è necessario anche capire come questi siano collegati dai flussi di materiale e di informazioni. Il processo produttivo di Sacmi era caratterizzato dalla quasi totale assenza di un flusso strutturato di informazioni a supporto di quello di materiale, ed il sistema di tracciabilità ha provveduto a colmare proprio questa mancanza. Il sistema deve essere in grado di integrarsi perfettamente nel contesto produttivo aziendale: è necessario trovare il giusto compromesso per quanto riguarda la quantità di informazioni da raccogliere, che devono garantire una corretta copertura di tutto il processo senza però appesantirlo eccessivamente. E’ bene che la raccolta dati sia basata su procedure standard che assicurino la ripetibilità delle operazioni di prelievo delle informazioni. Come è logico immaginarsi, l’introduzione di numerose novità nell’ambito di un contesto già strutturato ha fatto emergere un certo numero di problematiche, come ad esempio difficoltà nello stoccaggio e ritardi di produzione; queste devono essere risolte chiedendo uno sforzo aggiuntivo agli enti interessati o, nel medio/lungo periodo, evolvendo ed affinando il sistema con soluzioni più snelle.

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Il mercato, in questi ultimi dieci anni, si è modificato in un qualcosa di più globale e competitivo. Questa trasformazione ha imposto alle imprese l’adozione di strategie orientate all’innovazione di prodotto e di processo, e all’efficienza industriale “Environmentally friendly” di lungo periodo. Le aziende, infatti, per competere sia nel territorio nazionale sia in quello internazionale, sono alla costante ricerca di una continua ottimizzazione, attraverso il processo “deming” del miglioramento continuo, delle proprie prestazioni; spesso però capita che massimizzino esclusivamente la performance produttiva, che è stata migliorata con l’introduzione, oramai da circa 35 anni, della Lean production e oggi quindi presenta limitati margini di miglioramento. È alla luce di questo ragionamento che le aziende, quelle più lungimiranti, stanno cercando di dirigersi verso un’altra direzione, ovvero quella che mira a ridurre gli sprechi e le perdite, di risorse naturali, nei processi produttivi, in accordo coi principi della sostenibilità ambientale. Considerando le quantità di risorse naturali messe in gioco in grandi aziende quali la VM Motori S.p.A. possiamo intuire quanta marginalità di miglioramento potremmo ottenere con l’attuazione di processi di miglioramento focalizzati sui singoli aspetti. I primi due capitoli trattano il tema dello sviluppo sostenibile e del S.G.A. in Italia e all’estero. Nel capitolo 3 introduco l’Azienda, descrivo tutte le fasi di processo per la fabbricazione di varie tipologie di motori rigorosamente diesel, l’impianto elettrico, termico e di aria compressa. Nel capitolo 4 faccio l’analisi di tutti gli aspetti e gli impatti ambientali; inoltre, per ogni fattore d’impatto ambientale, verrà compilata la cosiddetta VIA che sarà riassunta nell’ultimo paragrafo. Nel capitolo 5 affronto il concetto del miglioramento continuo applicando la filosofia del World Class Manufacturing che è stato implementato in Azienda.

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In alcuni paesi in via di sviluppo la forte crescita demografica ha favorito l’insinuarsi di un sistema consumistico, che comporta la generazione di ingenti quantitativi di rifiuti urbani. In tali paesi il problema è aggravato dalla progressiva urbanizzazione, con la conseguente necessità di smaltire i rifiuti solidi urbani nelle immediate vicinanze delle città dove vengono prodotti in gran quantità.Storicamente nei piani di gestione dei rifiuti si è sempre tenuta in considerazione la tutela della salute pubblica e dell’ambiente; negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso l’utilizzo dei rifiuti come fonte di materie prime o di energia. Ai metodi di smaltimento tradizionali, rappresentati dalle discariche e dagli impianti di incenerimento, si sono progressivamente affiancate tecniche per la valorizzazione dei rifiuti: alcune di queste differenziano i rifiuti in base al materiale di cui sono costituiti per ottenere materie prime (raccolta differenziata), altre invece ricavano energia mediante opportuni trattamenti termici(termovalorizzazione). Se l’incenerimento dei rifiuti è nato con l’obiettivo di ridurne il volume e di distruggere le sostanze pericolose in essi presenti, la termovalorizzazione comprende un secondo obiettivo, che è quello di valorizzare il potere calorifico dei rifiuti, recuperando la potenza termica sviluppata durante la combustione e utilizzandola per produrre vapore, successivamente impiegato per produrre energia elettrica o come vettore termico per il teleriscaldamento. Il presente lavoro di tesi fa seguito ad un tirocinio svolto presso il termovalorizzatore costituito dal forno F3 per rifiuti speciali anche pericolosi della società Herambiente, ubicato in via Baiona a Ravenna. L’impianto utilizza un forno a tamburo rotante, scelto proprio per la sua versatilità nell’incenerire varie tipologie di rifiuti: solidi, liquidi organici e inorganici, fluidi fangosi. Negli ultimi anni si è delineato un aumento della richiesta di incenerimento di liquidi inorganici pericolosi, che sono prodotti di scarto di processi industriali derivanti dagli impianti del polo chimico ravennate. La presenza di un’elevata quantità di liquidi inorganici in ingresso al forno fa calare l’energia disponibile per la combustione e, di conseguenza, porta ad un consumo maggiore di combustibile ausiliario (metano). Si pone un problema di ottimo e cioè, a parità di potenza elettrica prodotta, occorre trovare la portata di rifiuti inorganici da inviare al forno che limiti la portata di metano in ingresso in modo da ottenere un utile netto positivo; ovviamente la soluzione ottimale è influenzata dal prezzo del metano e dalla remunerazione che il gestore riceve per lo smaltimento dei reflui inorganici. L’impostazione del problema di ottimo richiede la soluzione dei bilanci di materia e di energia per il termovalorizzatore. L’obiettivo del lavoro di tesi è stato l’impostazione in un foglio di calcolo dei bilanci di materia e di energia per il tamburo rotante e per la camera statica di post-combustione a valle del tamburo.

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Il modello di Bondi rappresenta il modello di accrescimento più semplice, in quanto studia l'accrescimento su un BH isolato immerso in una distribuzione di gas infinita. In questa semplice trattazione puramente idrodinamica vengono trascurati molti aspetti importanti, come ad esempio il momento angolare, il campo magnetico, gli effetti relativistici, ecc. L'obiettivo di questa Tesi consiste nell'affinare tale modello aggiungendo alcune nuove componenti. In particolare, vogliamo studiare come queste nuove componenti possano influire sul tasso di accrescimento della materia. Dopo una Introduzione (Capitolo 1), nel Capitolo 2 viene presentato il modello di Bondi originale, con lo scopo di ricostruire il procedimento matematico che porta alla soluzione e di verificare il funzionamento del codice numerico scritto per la soluzione dell'equazione di Bondi finale. Tuttavia, il modello di accrescimento sferico stazionario tratta il potenziale gravitazionale di un oggetto puntiforme isolato, mentre in questo lavoro di Tesi si vogliono considerare i BH che si trovano al centro delle galassie. Pertanto, nel Capitolo 3 è stata rivisitata la trattazione matematica del problema di Bondi aggiungendo alle equazioni il potenziale gravitazionale prodotto da una galassia con profilo di densità descritto dal modello di Hernquist. D'altronde, ci si aspetta che l'energia potenziale gravitazionale liberata nell'accrescimento, almeno parzialmente, venga convertita in radiazione. In regime otticamente sottile, nell'interazione tra la radiazione e la materia, domina l'electron scattering, il che permette di estendere in maniera rigorosa la trattazione matematica del problema di Bondi prendendo in considerazione gli effetti dovuti alla pressione di radiazione. Infatti, in un sistema a simmetria sferica la forza esercitata dalla pressione di radiazione segue l'andamento "1/r^2", il che comporta una riduzione della forza gravitazionale della stessa quantità per tutti i raggi. Tale argomento rappresenta l'oggetto di studio del Capitolo 4. L'idea originale alla base di questo lavoro di Tesi, che consiste nell'unire i due modelli sopra descritti (ossia il modello di Bondi con la galassia e il modello di Bondi con feedback radiativo) in un unico modello, è stata sviluppata nel Capitolo 5. Utilizzando questo nuovo modello abbiamo cercato di determinare delle "ricette" per la stima del tasso di accrescimento, da utilizzare nell'analisi dei dati osservativi oppure da considerare nell'ambito delle simulazioni numeriche. Infine, nel Capitolo 6 abbiamo valutato alcune applicazioni del modello sviluppato: come una possibile soluzione al problema di sottoluminosità dei SMBH al centro di alcune galassie dell'universo locale; per la stima della massa del SMBH imponendo la condizione di equilibrio idrostatico; un possibile impiego dei risultati nell'ambito dei modelli semi-analitici di coevoluzione di galassie e SMBH al centro di esse.

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In astronomia, le galassie ellittiche sono oggetti privi in molti casi di momento angolare, non presentano bracci come le galassie a spirali, hanno assenza di stelle giovani, poca presenza di nubi e polveri, quindi si potrebbe pensare che sono oggetti poco interessanti. Invece, no! Risultano essere tra i corpi celesti più affascinanti soprattutto per il loro potere emissivo e quindi per le proprietà morfologiche e spettrali che le caratterizzano. La loro luminosità viene osservata in varie bande, dette appunto bande d'emissione; qui vengono trattate soprattutto tre componenti caratterizzanti le galassie ellittiche: le stelle di popolazione stellare II, osservate in banda ottica; il mezzo interstellare, costituito da gas molto caldo che emette in banda X; ed infine, non meno importante, viene messo in risalto il potere emissivo di ellittiche giganti, dette radiogalassie o blazar, caratterizzate dalla prezenza di nuclei galattici attivi (AGN) e quindi getti che emettono soprattutto in banda radio.

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Questa tesi ha riguardato lo studio di potenziali combustibili dalla pirolisi catalitica di varie tipologie di biomasse. Durante l’attività di laboratorio sono state condotte pirolisi intermedie e con zeolite di campioni di Arthrospira platensis (microalghe), residui della pesca, Ulva lactuca (macroalghe) e segatura di pino (Pinus sylvestris). Il cracking termico è stato condotto a 460 °C, con un reattore pirolitico da banco, e i vapori sono condensati in trappole fredde al termine del sistema. Nella pirolisi catalitica, i vapori prodotti nelle stesse condizioni sperimentali attraversano uno strato di catalizzatore (H-ZSM-5) dove subiscono il cracking. L’obiettivo principale di questo studio è la valutazione del processo di upgrading dei vapori di pirolisi per ottenere bio-oli arricchiti in idrocarburi. Dalle prove di pirolisi, catalitica e non, sono state raccolte frazioni solide e liquide, di cui sono state determinate le rese: biochar (solido), frazione liquida organica e acquosa e, nel caso delle pirolisi catalitiche, coke e una frazione volatile solubile in eptano. Delle frazioni organiche ed eptanica è stata caratterizzata la composizione elementare e mediante analisi GC-MS. Per le biomasse di partenza sono state effettuate analisi elementari, prossimali e degli acidi grassi totali. I risultati mostrano differenze sostanziali tra le frazioni organiche delle pirolisi e pirolisi catalitiche. Microalghe, macroalghe e residui della pesca contengono proteine che producono oli ricchi in composti azotati, mentre la segatura di pino produce oli ricchi in composti ossigenati derivati dalla lignina. In seguito al cracking catalitico si ha una diminuzione dei composti azotati e ossigenati e gli oli sono costituiti per la maggior parte da idrocarburi aromatici. L’olio da cracking catalitico ha una composizione simile a quella dei combustibili tradizionali, ma una migliore qualità di composizione del bio-olio comporta rese più basse. Il processo può presentare potenzialità solo per la trasformazione di biomasse di scarto.

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Negli ultimi anni va sempre più affermandosi l’idea che nei test a fatica utilizzati in ambito industriale per testare la resistenza di numerosi prodotti, riprodurre profili vibratori con distribuzioni gaussiane non sia sufficientemente realistico. Nell’indagine sperimentale riportata in questo trattato vengono confrontati gli effetti generati da sollecitazioni leptocurtiche ottenute da misurazioni reali, con profili vibratori gaussiani a parità di RMS e forma della PSD (Power Spectral Density) verificando la validità della “Papoulis rule”. A partire da questi profili vibratori si è effettuata una progettazione ad hoc dalla quale sono stati ricavati dei provini piatti in lega di alluminio a cui è collegata una massa ausiliaria. Quest’ultimi montati a sbalzo su uno shaker elettrodinamico, sono caratterizzati da una variazione di sezione che localizza la sezione critica in prossimità dell’incastro. I provini sono stati inoltre caratterizzati attraverso prove a trazione e test accelerati a fatica, ricavandone la caratteristica a trazione del materiale ed il diagramma di Wohler. In seguito alla descrizione di tali prove viene riportata un’analisi dei provini sollecitati da due profili vibratori, uno gaussiano e uno ad elevato valore di kurtosis, monitorando tramite l’impiego di accelerometri i valori dell’eccitazione e la risposta. Vengono inoltre verificati i valori delle deformazioni dovute alle sollecitazioni imposte collocando due estensimetri in corrispondenza della sezione critica di due provini (uno per ogni tipologia di input).

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Elaborato finale sulle caratteristiche principali dell'emissione di galassie ellittiche, con brevi descrizioni dei principali meccanismi emissivi e delle leggi fondamentali su questo tipo di galassie.

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Nella presente tesi, di argomento astrofisico, sono esaminati gli ammassi di galassie (galaxy clusters), ovvero gli oggetti virializzati più grandi dell’Universo. Attraverso una introduttiva analisi morfologica vengono descritte le proprietà di luminosità in banda X e radio dovute alle galassie che li compongono ed al caldo gas intergalattico (ICM IntraCluster Medium) tra queste interposto. In particolare è presa in esame l’emissione radio diffusa di natura non termica di sottostrutture del gas, note con il nome di Aloni, relitti e mini-aloni. Nei capitoli II e III l’attenzione si concentra sul non facile problema della determinazione della massa di un ammasso, proprietà che costituisce il principale oggetto di studio del presente lavoro, passando in rassegna e descrivendo i metodi più utilizzati: analisi dinamica delle galassie (equazione di Jeans ed equazione del viriale), osservazioni in banda X dell’ICM, weak lensing (WL), strong lensing (SL) ed infine WL e SL accoppiati. Una analisi critica ed un confronto tra questi metodi è sviluppata nel capitolo IV, prendendo in considerazione l’ammasso RCS2327. Il conclusivo capitolo V racchiude e collega gli argomenti delle sezioni precedenti cercando una possibile correlazione tra le proprietà emissive non termiche (in banda radio) e le masse di un campione di 28 ammassi, determinate mediante tecnica di weak lensing e strong lensing accoppiate.