527 resultados para Sensibilité rétinienne


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Il cambiamento climatico è un fenomeno in atto a livello globale, oggi scientificamente dimostrato, irreversibile nel breve periodo, i cui effetti hanno già provocato nel Mondo ingenti perdite sociali, economiche ed ecosistemiche. Il fattore di incertezza che permane riguarda il modo in cui evolverà il clima nel futuro, che a sua volta dipende dalle quantità di gas climalteranti che continueranno ad essere immesse in atmosfera, e di conseguenza la tipologia e la dimensione degli impatti che potranno verificarsi. Di fronte all’inevitabilità del problema e dei rischi che ne derivano, l’uomo può adattarsi, come per sua natura ha sempre fatto di fronte a condizioni esterne – anche climatiche – avverse. Le strategie di adattamento al cambiamento climatico, secondo un approccio bottom-up, mirano a ridurre la vulnerabilità dei sistemi esposti alle variazioni del clima, rendendoli più preparati ad affrontare il futuro. Oltre ai fattori climatici vi sono altri elementi che incidono in modo determinante sulla vulnerabilità: sono tutte le variabili interne e specifiche di un sistema che ne definiscono il grado di sensibilità verso un potenziale danno. Lo studio ha focalizzato l’attenzione su tre Comuni dell’Appennino Faentino al fine di capire come il cambiamento climatico influisce sulle criticità naturali già esistenti e sulla vita dell’uomo e le sue attività e, conseguentemente, quali azioni potranno essere messe in atto per limitare il pericolo e i potenziali danni.

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I transistor elettrochimici a base organica (OECT) hanno attratto sempre maggior interesse e sono oggetto di molti studi dagli anni '70 no ai nostri giorni. Questo lavoro di tesi ha come oggetto la realizzazione e la caratterizzazione di OECT a base di poli(3,4-etilen-diossi-tiofene) complessato con l'acido stirensolfonico (PSS). Questi dispositivi sono stati costruiti utilizzando solamente semiconduttori organici come materiali conduttivi ovvero senza l'uso di metalli, quindi risultano essere biocompatibili, economici e di semplice realizzazione. Questo tipo di sensori presenta un elevata sensibilità agli analiti e necessita di un'elettronica di controllo molto più semplice rispetto a metodi elettrochimici tradizionali che utilizzano un potenziostato ed un elettrodo di riferimento. Sono state studiate diverse geometrie e spessori di polimero depositato per ottimizzare le condizioni di lavoro per avere alta sensibilità e guadagno in corrente attraverso l'uso di misure di corrente di drain in funzione del tempo con aggiunte successive di analita. Questi dispositivi sono stati utilizzati come sensori di analiti quali la dopamina, l'acido ascorbico e l'acido urico. Attraverso scansioni in transcaratteristica, si è studiata la risposta dei transistor relativa agli analiti ed attraverso lo studio della transconduttanza si è ottenuta una nuova metodologia di lavoro in grado di separare i contributi relativi ai vari composti. Inoltre, in questa modalità, è stato possibile ottenere una selettività dei sensori ai vari analiti, problema principale dell'utilizzo di transistor elettrochimici, ed attraverso la modulazione della velocità di scansione dello strumento, è stata ottenuta una risposta alla sola dopamina, analita di maggior interesse per applicazioni biosensoristiche. In conclusione si può affermare che questo tipo di dispositivo possiede ottime proprietà e caratteristiche per ulteriori studi e sviluppi in applicazioni reali.

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L'obiettivo di questa tesi è determinare gli spessori ottimali dei campioni arricchiti di isotopi di Gadolinio pari in modo da ottenere incertezze associate alle sezioni d'urto di cattura neutronica inferiori o uguali a circa il 5 %. Viene inoltre descritta la facility n_TOF al CERN, dove saranno effettuate una serie di misure di sezioni d'urto attraverso i rivelatori C6D6, caratterizzati da una bassa sensibilità ai neutroni scatterati.

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Obiettivo di questa tesi è raccogliere e ordinare le informazioni disponibili sul plagio fra codici sorgente, con particolare attenzione alla classificazione dei tipi di plagio fra codici e all’analisi dei principali tool esistenti per l’individuazione automatica. Dall’ampia letteratura disponibile sull’argomento, emerge che la rivoluzione informatica ha suscitato nel mondo giuridico un profondo dibattito in merito alla definizione del software e agli strumenti di tutela ad esso connessi, perciò ho deciso di dedicare un capitolo anche alla riflessione sul contesto giuridico e normativo, in Italia e nel mondo. Poiché non esiste una bacchetta magica per combattere il plagio, è realistico pensare che utilizzare diverse tecniche fra loro complementari possa dare risultati migliori; alcuni approcci innovativi in tal senso, derivanti principalmente da ricerche effettuate nel mondo accademico, sono descritti nel capitolo conclusivo della tesi. Un altro aspetto del problema che mi ha colpito è la questione etica connessa al plagio. Molti studiosi universitari hanno realizzato sondaggi all’interno della comunità accademica per testare il grado di sensibilità al problema del plagio e proposto diverse soluzioni volte non solo a combattere il plagio ma anche a prevenirlo, puntando sullo sviluppo di una maggiore consapevolezza del problema negli accademici (sia studenti che docenti). Anche in ambito commerciale non mancano tentativi di sfuggire alla piaga del plagio, considerato a tutti gli effetti una forma di pirateria informatica. Alcuni di questi studi, i cui risultati offrono interessanti spunti di riflessione per il futuro, sono riportati nel capitolo dedicato alle conclusioni.

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Nella presente tesi è stato sviluppato un sistema di acquisizione automatico finalizzato allo studio del breast microwave imaging. Le misure sono state eseguite in configurazione monostatica, in cui viene acquisito un segnale da diverse posizioni lungo il perimetro dell’area di indagine. A questo scopo, è stato installato un motore ad alta precisione che permette la rotazione del fantoccio e l’esecuzione automatica delle misure da un numero di posizioni fissato. Per automatizzare il processo di acquisizione, è stato inoltre sviluppato appositamente un software in ambiente LabView. Successivamente, è stata eseguita una intensa sessione di misure finalizzate alla caratterizzazione del sistema sviluppato al variare delle condizioni di misura. Abbiamo quindi utilizzato dei fantocci di tumore di diverse dimensioni e permittività elettrica per studiare la sensibilità della strumentazione in condizione di mezzo omogeneo. Dall’analisi delle ricostruzioni multifrequenza effettuate tramite diversi algoritmi di tipo TR-MUSIC sul range di frequenze selezionato, abbiamo notato che il tumore è ricostruito correttamente in tutti gli scenari testati. Inoltre, abbiamo creato un ulteriore fantoccio per simulare la presenza di una disomogeneità nel dominio di imaging. In questo caso, abbiamo studiato le performances del sistema di acquisizione al variare della posizione del tumore, le cui caratteristiche sono state fissate, e della permittività associata al fantoccio. Dall’analisi dei risultati appare che le performances di ricostruzione sono condizionate dalla presenza della disomogeneità, in modo particolare se il tumore è posizionato all’interno di essa. Infine, abbiamo studiato delle performance di due algoritmi di ricostruzione 3D: uno di essi è basato sulla sovrappo- sizione tomografica e sfrutta metodi di interpolazione, l’altro si basa sull’utilizzo di un propagatore 3D per il dipolo Hertziano in approssimazione scalare.

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La diagnosi di neoplasia epiteliale maligna polmonare è legata tradizionalmente alla distinzione tra carcinoma a piccole cellule (small-cell lung cancer, SCLC) e carcinoma non-a piccole cellule del polmone (non-small-cell lung cancer, NSCLC). Nell’ambito del NSCLC attualmente è importante di-stinguere l’esatto istotipo (adenocarcinoma, carcinoma squamocellulare e carcinoma neuroendocrino) perchè l’approccio terapeutico cambia a seconda dell’istotipo del tumore e la chemioterapia si dimostra molto spesso inefficace. Attualmente alcuni nuovi farmaci a bersaglio molecolare per il gene EGFR, come Erlotinib e Gefitinib, sono utilizzati per i pazienti refrattari al trattamento chemioterapico tradizionale, che non hanno risposto a uno o più cicli di chemioterapia o che siano progrediti dopo questa. I test per la rilevazione di specifiche mutazioni nel gene EGFR permettono di utilizzare al meglio questi nuovi farmaci, applicandoli anche nella prima linea di trattamento sui pazienti che hanno una maggiore probabilità di risposta alla terapia. Sfortunatamente, non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo quando trattati con farmaci anti-EGFR. Di conseguenza, l'individuazione di biomarcatori predittivi di risposta alla terapia sarebbe di notevole importanza per aumentare l'efficacia dei questi farmaci a target molecolare e trattare con farmaci diversi i pazienti che con elevata probabilità non risponderebbero ad essi. I miRNAs sono piccole molecole di RNA endogene, a singolo filamento di 20-22 nucleotidi che svolgono diverse funzioni, una delle più importanti è la regolazione dell’espressione genica. I miRNAs possono determinare una repressione dell'espressione genica in due modi: 1-legandosi a sequenze target di mRNA, causando così un silenziamento del gene (mancata traduzione in proteina), 2- causando la degradazione dello specifico mRNA. Lo scopo della ricerca era di individuare biomarcatori capaci di identificare precocemente i soggetti in grado di rispondere alla terapia con Erlotinib, aumentando così l'efficacia del farmaco ed evitan-do/riducendo possibili fenomeni di tossicità e il trattamento di pazienti che probabilmente non ri-sponderebbero alla terapia offrendo loro altre opzioni prima possibile. In particolare, il lavoro si è fo-calizzato sul determinare se esistesse una correlazione tra la risposta all'Erlotinib ed i livelli di espressione di miRNAs coinvolti nella via di segnalazione di EGFR in campioni di NSCLC prima dell’inizio della terapia. Sono stati identificati 7 microRNA coinvolti nel pathway di EGFR: miR-7, -21, 128b, 133a, -133b, 146a, 146b. Sono stati analizzati i livelli di espressione dei miRNA mediante Real-Time q-PCR in campioni di NSCLC in una coorte di pazienti con NSCLC metastatico trattati con Erlotinib dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2014 in 2°-3° linea dopo fallimento di almeno un ciclo di chemioterapia. I pazienti sottoposti a trattamento con erlotinib per almeno 6 mesi senza presentare progressione alla malattia sono stati definiti “responders” (n=8), gli altri “non-responders” (n=25). I risultati hanno mostrato che miR-7, -133b e -146a potrebbero essere coinvolti nella risposta al trat-tamento con Erlotinib. Le indagini funzionali sono state quindi concentrate su miR-133b, che ha mo-strato la maggiore espressione differenziale tra i due gruppi di pazienti. E 'stata quindi studiata la capacità di miR-133b di regolare l'espressione di EGFR in due linee di cellule del cancro del polmone (A549 e H1299). Sono stati determinati gli effetti di miR-133b sulla crescita cellulare. E’ stato anche analizzato il rapporto tra miR-133b e sensibilità a Erlotinib nelle cellule NSCLC. L'aumento di espressione di miR-133b ha portato ad una down-regolazione del recettore di EGF e del pathway di EGFR relativo alla linea cellulare A549. La linea cellulare H1299 era meno sensibili al miR-133b up-regulation, probabilmente a causa dell'esistenza di possibili meccanismi di resistenza e/o di com-pensazione. La combinazione di miR-133b ed Erlotinib ha aumentato l'efficacia del trattamento solo nella linea cellulare A549. Nel complesso, questi risultati indicano che miR-133b potrebbe aumentare / ripristinare la sensibilità di Erlotinib in una frazione di pazienti.

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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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Le conferenze impartite dal professor Ricardo Olmos in qualità di direttore della Escuela española de Historia y Arqueología en Roma si tramutavano immancabilmente in vere e proprie esperienze di crescita culturale, grazie alla ricchezza dell’universo letterario di riferimento dell’autore, alla sua prosa elegante e all’acume con cui rileggeva e interpretava le tracce del passato. Fu in occasione di una di queste conferenze che citò, parafrasandolo, un verso tratto dal poema barocco dell’Epístola moral a Fabio: “el autor detiene un momento la mirada ante las ruinas antiguas y se interroga: De la pasada edad, ¿qué me ha quedado?”. Traspare dalla scelta del verso la sensibilità con cui Ricardo Olmos osserva e indaga il mondo antico, lo sguardo attento e profondo che lo caratterizza e che lo ha accompagnato anche in quella che lui stesso ebbe occasione di definire “la experiencia enriquecedora, nutricia y ‘alma’ de su estancia en Roma”.

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La comparaison des résultats de l’analyse dendrochronologique et dendroclimatologique du Pin d’Alep de la forêt domaniale de Tlemcen a été réalisée en conditions stationnelles particulières. L’analyse de la croissance des cernes annuels et des rapports des écarts relatifs des cernes successifs montrent une nette tendance régressive chez les arbres jeunes. La sensibilité moyenne (SM) et les coefficients d’inter datation (SR) respectifs aux jeunes arbres et aux plus âgés confirment la dépendance assez forte des premiers aux facteurs climatiques particulièrement à la pluviométrie. Les résultats de ce travail ont permis d’établir une relation pluviométrie / accroissement radial en fonction de l’âge de leur formation. Ainsi, il est établi qu’à partir de ces résultats particulièrement ceux des valeurs des sensibilités moyennes (SM) que les conséquences probables des variations climatiques influentes sensiblement sur les jeunes sujets. Aussi pour éviter les changements d’ordre physio biologiques liés au vieillissement des arbres, il est préférable de comparer les cernes sur une période de 40 à 50 ans comme c’est le cas des six échantillons choisis dans la zone d’étude.

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La scoliose idiopathique de l’adolescent (SIA) est une déformation tridimensionnelle (3D) de la colonne vertébrale. Pour la plupart des patients atteints de SIA, aucun traitement chirurgical n’est nécessaire. Lorsque la déformation devient sévère, un traitement chirurgical visant à réduire la déformation est recommandé. Pour déterminer la sévérité de la SIA, l’imagerie la plus utilisée est une radiographie postéroantérieure (PA) ou antéro-postérieure (AP) du rachis. Plusieurs indices sont disponibles à partir de cette modalité d’imagerie afin de quantifier la déformation de la SIA, dont l’angle de Cobb. La conduite thérapeutique est généralement basée sur cet indice. Cependant, les indices disponibles à cette modalité d’imagerie sont de nature bidimensionnelle (2D). Celles-ci ne décrivent donc pas entièrement la déformation dans la SIA dû à sa nature tridimensionnelle (3D). Conséquemment, les classifications basées sur les indices 2D souffrent des mêmes limitations. Dans le but décrire la SIA en 3D, la torsion géométrique a été étudiée et proposée par Poncet et al. Celle-ci mesure la tendance d’une courbe tridimensionnelle à changer de direction. Cependant, la méthode proposée est susceptible aux erreurs de reconstructions 3D et elle est calculée localement au niveau vertébral. L’objectif de cette étude est d’évaluer une nouvelle méthode d’estimation de la torsion géométrique par l’approximation de longueurs d’arcs locaux et par paramétrisation de courbes dans la SIA. Une première étude visera à étudier la sensibilité de la nouvelle méthode présentée face aux erreurs de reconstructions 3D du rachis. Par la suite, deux études cliniques vont présenter la iv torsion géométrique comme indice global et viseront à démontrer l’existence de sous-groupes non-identifiés dans les classifications actuelles et que ceux-ci ont une pertinence clinique. La première étude a évalué la robustesse de la nouvelle méthode d’estimation de la torsion géométrique chez un groupe de patient atteint de la SIA. Elle a démontré que la nouvelle technique est robuste face aux erreurs de reconstructions 3D du rachis. La deuxième étude a évalué la torsion géométrique utilisant cette nouvelle méthode dans une cohorte de patient avec des déformations de type Lenke 1. Elle a démontré qu’il existe deux sous-groupes, une avec des valeurs de torsion élevées et l’autre avec des valeurs basses. Ces deux sous-groupes possèdent des différences statistiquement significatives, notamment au niveau du rachis lombaire avec le groupe de torsion élevée ayant des valeurs d’orientation des plans de déformation maximales (PMC) en thoraco-lombaire (TLL) plus élevées. La dernière étude a évalué les résultats chirurgicaux de patients ayant une déformation Lenke 1 sous-classifiées selon les valeurs de torsion préalablement. Cette étude a pu démontrer des différences au niveau du PMC au niveau thoraco-lombaire avec des valeurs plus élevées en postopératoire chez les patients ayant une haute torsion. Ces études présentent une nouvelle méthode d’estimation de la torsion géométrique et présentent cet indice quantitativement. Elles ont démontré l’existence de sous-groupes 3D basés sur cet indice ayant une pertinence clinique dans la SIA, qui n’étaient pas identifiés auparavant. Ce projet contribue dans la tendance actuelle vers le développement d’indices 3D et de classifications 3D pour la scoliose idiopathique de l’adolescent.

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La Fibrose kystique (FK) est une maladie génétique qui se traduit par une destruction progressive des poumons et éventuellement, à la mort. La principale complication secondaire est le diabète associé à la FK (DAFK). Une dégradation clinique (perte de poids et de la fonction pulmonaire) accélérée est observée avant le diagnostic. L’objectif principal de mon projet de doctorat est de déterminer, par l’intermédiaire du test d’hyperglycémie provoquée par voie orale (HGPO), s’il existe un lien entre l’hyperglycémie et/ou l’hypoinsulinémie et la dégradation clinique observée avant le diagnostic du DAFK. Nous allons ainsi évaluer l’importance des temps intermédiaires de l’HGPO afin de simplifier le diagnostic d’une dysglycémie ainsi que d’établir des nouveaux marqueurs indicateurs de patients à risque d’une détérioration clinique. L’HGPO est la méthode standard utilisée dans la FK pour le diagnostic du DAFK. Nous avons démontré que les valeurs de glycémie obtenues au temps 90-min de l’HGPO seraient suffisantes pour prédire la tolérance au glucose des patients adultes avec la FK, autrement établie à l’aide des valeurs à 2-h de l’HGPO. Nous proposons des glycémies à 90-min de l’HGPO supérieure à 9.3 mmol/L et supérieure à 11.5 mmol/L pour détecter l’intolérance au glucose et le DAFK, respectivement. Une cause importante du DAFK est un défaut de la sécrétion d’insuline. Les femmes atteintes de la FK ont un risque plus élevé de développer le DAFK que les hommes, nous avons donc exploré si leur sécrétion était altérée. Contrairement à notre hypothèse, nous avons observé que les femmes avec la FK avaient une sécrétion d’insuline totale plus élevée que les hommes avec la FK, mais à des niveaux comparables aux femmes en santé. Le groupe de tolérance au glucose récemment proposé et nommé indéterminé (INDET : 60-min HGPO > 11.0 mais 2h-HGPO <7.8mmol/L) est à risque élevé de développer le DAFK. Par contre, les caractéristiques cliniques de ce groupe chez les patients adultes avec la FK n’ont pas été établies. Nous avons observé que le groupe INDET a une fonction pulmonaire réduite et similaire au groupe DAFK de novo et aucun des paramètres glucidiques et insulinémiques expliqueraient cette observation. Dans une population pédiatrique de patients avec la FK, une association a été rapportée entre une glycémie élevée à 60-min de l’HGPO et une fonction pulmonaire diminuée. Dans notre groupe de patients adultes avec la FK, il existe une association négative entre la glycémie à 60-min de l’HGPO et la fonction pulmonaire et une corrélation positive entre l’insulinémie à 60-min de l’HGPO et l’indice de masse corporelle (IMC). De plus, les patients avec une glycémie à 60-min HGPO > 11.0 mmol/L ont une fonction pulmonaire diminuée et une sensibilité à l’insuline basse alors que ceux avec une insulinémie à 60-min HGPO < 43.4 μU/mL ont un IMC ainsi qu’une fonction pulmonaire diminués. En conclusion, nous sommes le premier groupe à démontrer que 1) le test d’HGPO peut être raccourci de 30 min sans compromettre la catégorisation de la tolérance au glucose, 2) les femmes avec la FK démontrent une préservation de leur sécrétion de l’insuline, 3) le groupe INDET présente des anomalies précoces de la fonction pulmonaire comparable au groupe DAFK de novo et 4) la glycémie et l’insuline à la première heure de l’HGPO sont associées aux deux éléments clefs de la dégradation clinique. Il est crucial d’élucider les mécanismes pathophysiologiques importants afin de mieux prévoir la survenue de la dégradation clinique précédant le DAFK.

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L’angiogenèse et l’augmentation de la perméabilité vasculaire sont des éléments clés pour la croissance et la progression tumorale. Par conséquent, de nombreux efforts sont déployés à comprendre les mécanismes moléculaires impliqués dans la formation et le remodelage des vaisseaux sanguins de manière à identifier de nouvelles cibles thérapeutiques potentielles. De cette optique, les travaux de cette thèse se sont concentrés sur la protéine tyrosine phosphatase DEP-1, initialement identifiée comme un régulateur négatif de la prolifération et de la phosphorylation du VEGFR2 lorsque fortement exprimée dans les cellules endothéliales. Toutefois, en utilisant une approche d’ARNi, il a été démontré que via sa capacité à déphosphoryler la tyrosine inhibitrice de Src (Y529), DEP-1 était également un régulateur positif de l’activation de Src dans les cellules endothéliales stimulées au VEGF. Puisque Src joue un rôle central dans la promotion de l’angiogenèse et la perméabilité vasculaire, nous avons en plus démontré que DEP-1 était un promoteur de ces fonctions in vitro et que la tyrosine phosphorylation de sa queue C-terminale, permettant l’interaction et l’activation de Src, était requise. Les travaux de recherche présentés dans cette thèse démontrent dans un premier temps à partir d’une souris Dep1 KO, dont le développement ne présente aucun phénotype apparent, que la perte de l’expression de DEP-1 se traduit en une inhibition de l’activation de Src et de l’un de ses substrats, la VE-Cadherine, en réponse au VEGF chez la souris adulte. Nos résultats démontrent donc, pour la première fois, le rôle primordial de DEP-1 dans l’induction de la perméabilité vasculaire et de la formation de capillaires in vivo. Conséquemment, la croissance tumorale et la formation de métastases aux poumons sont réduites due à une inhibition de leur vascularisation ce qui se traduit par une diminution de la prolifération et une augmentation de l’apoptose des cellules cancéreuses. De façon intéressante, l’expression élevée de DEP-1 dans les vaisseaux sanguins tumoraux de patientes atteintes du cancer du sein corrèle avec une vascularisation accrue de la tumeur. En plus du rôle de DEP-1 dans la réponse angiogénqiue à l’âge adulte, nos travaux ont également démontré le rôle important de DEP-1 lors de la vascularisation de la rétine, un modèle in vivo d’angiogenèse développementale. Dans ce contexte, DEP-1 inhibe la prolifération des cellules endothéliales et limite leur bourgeonnement et la complexification du réseau vasculaire rétinien en permettant l’expression adéquate du Dll4, un régulateur crucial de l’organisation de la vascularisation développementale. Cette expression du Dll4 découlerait de la stabilisation de la β-caténine par l’inactivation de la GSK3β, un régulateur important de la dégradation de la β-caténine, en réponse au VEGF selon la voie de signalisation VEGFR2-Src-PI3K-Akt-GSK3β. Ainsi, ces travaux identifient DEP-1 comme un régulateur important de l’organisation vasculaire rétinienne. Les rôles positifs de DEP-1 dans les cellules endothéliales découlent principalement de sa capacité à lier et activer la kinase Src. En plus de contribuer à la réponse angiogénique, Src est également un oncogène bien caractérisé notamment pour sa contribution au programme invasif des cellules cancéreuses mammaires. Les travaux de cette thèse illustrent que DEP-1 est préférentiellement exprimée dans les cellules cancéreuses mammaires invasives et qu’il régule l’activation de Src, de voies de signalisation invasives et, par le fait même, de l’invasivité de ces cellules in vitro et in vivo. De façon intéressante, ces observations corrèlent avec des données cliniques où l’expression modérée de DEP-1 est associée à un mauvais pronostic de survie et de rechute. Ces résultats démontrent donc, pour la première fois, le rôle positif de DEP-1 dans l’activation de Src au niveau des cellules endothéliales et des cellules cancéreuses mammaires ce qui permet la régulation du bourgeonnement endothélial, de la perméabilité vasculaire, de l’angiogenèse normale et pathologique en plus de l’invasion tumorale.

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La sérotonine (5-HT) joue un rôle crucial dans l'étiologie des troubles mentaux comme la dépression majeure, les troubles de comportement et les troubles anxieux. Des études ont montré que des altérations précoces du système 5-HT peuvent potentiellement influencer le développement du cerveau et le fonctionnement du système fronto-limbique, engendrant des conséquences pour la régulation émotionnelle. Il existe aussi des évidences que le stress précoce peut affecter la méthylation de l'ADN résultant d'une altération de l'expression génique. Toutefois, le lien entre la méthylation de l'ADN et la réactivité comportementale à des facteurs de stress de la vie quotidienne est inconnu. La méthylation du gène transporteur 5-HT (SLC6A4) est d'un intérêt particulier, étant donné le rôle de SLC6A4 dans le développement du cerveau, les troubles mentaux et la régulation du stress. L'objectif de cette thèse est d'étudier l'association entre (1) les niveaux périphériques de méthylation de l'ADN dans le gène SLC6A4 et les réponses neurales aux stimuli émotionnels dans les circuits fronto-limbiques du cerveau, ainsi qu’entre (2) la méthylation périphérique de SLC6A4 et la réactivité comportementale au stress de la vie quotidienne. Nous explorons également l'association entre les réponses neuronales fronto-limbique à des stimuli émotionnels et la réactivité comportementale au stress de la vie quotidienne (3). À cette fin, vingt-deux personnes (11 femmes) d’âge moyen de 34,0 ans (SD : 1,5) avec différents niveaux de méthylation au gène SLC6A4 ont été recrutés à partir de deux études longitudinales. Les participants ont subi une analyse IRMf qui comprenait une tâche de traitement émotionnel. Un questionnaire en ligne sur la réactivité au stress quotidien de la vie a été réalisé pendant 5 jours consécutifs. Des analyses corrélationnelles et de régression ont été effectuées pour examiner les associations entre les variables primaires. Les résultats préliminaires de cette étude ont montré que la méthylation de l'ADN est associée à la désactivation significative du gyrus précentral et gyrus fusiforme respectivement face à des stimuli de peur et de tristesse. Aucune association significative n'a été observée entre les niveaux de méthylation et l'activation de l'amygdale. En outre, les scores obtenus aux variables de stress de la vie quotidienne tels que la détresse chronique ont été associées à la désactivation du précuneus et du cortex cingulaire postérieur face à la tristesse. Ces résultats suggèrent l'implication potentielle des processus épigénétiques dans l'activation cérébrale spécifique et la sensibilité au stress de la vie courante.

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Le cannabis produit de nombreux effets psychologiques et physiologiques sur le corps humain. Les molécules contenues dans cette plante, désignées comme « phytocannabinoïdes », activent un système endogène qu’on appelle le système endocannabinoïde (eCB). Les effets de la consommation de cannabis sur la vision ont déjà été décrits sans cependant de formulation sur les mécanismes sous-jacents. Ces résultats comportementaux suggèrent, malgré tout, la présence de ce système eCB dans le système visuel, et particulièrement dans la rétine. Cette thèse vise donc à caractériser l’expression, la localisation et le rôle du système eCB dans la rétine du singe vervet, une espèce animale ayant un système visuel semblable à celui de l’humain. Nous avons mis au point un protocole expérimental d’immunohistochimie décrit dans l’article apparaissant dans l’Annexe I que nous avons utilisé pour répondre à notre objectif principal. Dans une première série de quatre articles, nous avons ainsi caractérisé l’expression et la localisation de deux récepteurs eCBs reconnus, les récepteurs cannabinoïdes de type 1 (CB1R) et de type 2 (CB2R), et d’un 3e présumé récepteur aux cannabinoïdes, le récepteur GPR55. Dans l’article 1, nous avons démontré que CB1R et une enzyme clé de ce système, la fatty acid amide hydrolase (FAAH), sont exprimés dans les parties centrale et périphérique de la rétine, et abondamment présents dans la fovéa, une région où l’acuité visuelle est maximale. Dans l’article 2, nous avons localisé le CB2R dans des cellules gliales de la rétine : les cellules de Müller et nous avons proposé un modèle sur l’action de cette protéine dans la fonction rétinienne faisant appel à une cascade chimique impliquant les canaux potassiques. Dans l’article 3, nous avons observé le GPR55 exclusivement dans les bâtonnets qui sont responsables de la vision scotopique et nous avons soumis un deuxième modèle de fonctionnement de ce récepteur par le biais d'une modulation des canaux calciques et sodiques des bâtonnets. Vu que ces 3 récepteurs se retrouvent dans des cellules distinctes, nous avons suggéré leur rôle primordial dans l’analyse de l’information visuelle au niveau rétinien. Dans l’article 4, nous avons effectué une analyse comparative de l’expression du système eCB dans la rétine de souris, de toupayes (petits mammifères insectivores qui sont sont considérés comme l’étape intermédiaire entre les rongeurs et les primates) et de deux espèces de singe (le vervet et le rhésus). Ces résultats nous ont menés à présenter une hypothèse évolutionniste quant à l’apparition et à la fonction précise de ces récepteurs. Dans les articles subséquents, nous avons confirmé notre hypothèse sur le rôle spécifique de ces trois récepteurs par l’utilisation de l’électrorétinographie (ERG) après injection intravitréenne d’agonistes et d’antagonistes de ces récepteurs. Nous avons conclu sur leur influence indéniable dans le processus visuel rétinien chez le primate. Dans l’article 5, nous avons établi le protocole d’enregistrement ERG normalisé sur le singe vervet, et nous avons produit un atlas d’ondes ERG spécifique à cette espèce, selon les règles de l’International Society for Clinical Electrophysiology of Vision (ISCEV). Les patrons électrorétinographiques se sont avérés semblables à ceux de l’humain et ont confirmé la similarité entre ces deux espèces. Dans l’article 6, nous avons démontré que le blocage de CB1R ou CB2R entraine une modification de l’électrorétinogramme, tant au niveau photopique que scotopique, ce qui supporte l’implication de ces récepteurs dans la modulation des ondes de l’ERG. Finalement, dans l’article 7, nous avons confirmé le modèle neurochimique proposé dans l’article 3 pour expliquer le rôle fonctionnel de GPR55, en montrant que l’activation ou le blocage de ce récepteur, respectivement par un agoniste (lysophosphatidylglucoside, LPG) ou un antagoniste (CID16020046), entraine soit une augmentation ou une baisse significative de l’ERG scotopique seulement. Ces données, prises ensemble, démontrent que les récepteurs CB1R, CB2R et GPR55 sont exprimés dans des types cellulaires bien distincts de la rétine du singe et ont chacun un rôle spécifique. L’importance de notre travail se manifeste aussi par des applications cliniques en permettant le développement de cibles pharmacologiques potentielles dans le traitement des maladies de la rétine.

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Comprendre ce qui amène un leader à émettre des comportements de leadership transformationnel fascine les chercheurs et praticiens depuis plusieurs années (Bommer, Rubin, & Baldwin, 2004; Bono & Judge, 2004; Shamir & Howell, 1999 ; Stogdill, 1948; Yukl, 1999). Or, jusqu’à présent, ces facteurs sont encore bien peu étudiés et compris comparativement aux conséquences de ce style de leadership. Dans cette lignée, la présente thèse répond à différents enjeux soulevés par les auteurs à ce sujet (Dinh & Lord, 2012; Zaccaro, 2007) en cherchant à préciser le rôle joué par différents antécédents individuels et contextuels du leadership transformationnel. Cet objectif sera poursuivi par l’adoption d’une perspective interactionniste qui intègre des antécédents de personnalité et de contexte ainsi par l’évaluation de la personnalité à l’aide d’une modélisation de la personnalité orientée vers le critère à prédire (variable composite). La présente thèse est composée de trois articles poursuivant les objectifs suivant : 1) Effectuer une synthèse de la littérature empirique portant sur les antécédents individuels et contextuels du leadership transformationnel; 2) Vérifier les liens empiriques entre la personnalité mesurée à l’aide de variables composites, plus précisément le modèle des Great Eight de Bartram (2005), et le leadership transformationnel; 3) Tester empiriquement l’effet d’interaction entre les variables de personnalité et les variables contextuelles pour prédire le leadership transformationnel. Le premier article vise d’abord à circonscrire et organiser les connaissances empiriques actuelles provenant d’une quarantaine d’articles concernant les antécédents du leadership transformationnel. L’article s’organise en trois thèmes principaux : les antécédents individuels de personnalité, les antécédents contextuels et l’étude des interactions entre le volet individuel et contextuel. Plusieurs constats et pistes de recherches sont discutés et mettent la table pour les deux articles subséquents. Ainsi, le second article s’intéresse au potentiel explicatif d’un modèle de personnalité orienté vers le critère pour prédire le leadership. Plus spécifiquement, le modèle des Great Eight proposé par Bartram (2005) est mis en relation avec les comportements de leadership transformationnel et de récompense contingente. Les résultats, obtenus auprès de 113 gestionnaires et de leurs 799 subordonnés, donnent peu d’appui à la valeur ajoutée du modèle utilisé, mais indiquent que certaines tendances de personnalité sont associées au leadership. Des analyses supplémentaires permettent de nuancer la compréhension des effets observés dans la documentation scientifique et offrent quelques pistes de groupements de traits pouvant prédire les différents comportements de leadership. Le troisième article s’inspire de la théorie de l’activation des traits (Tett & Burnett, 2003) pour vérifier l’effet combiné de la personnalité du gestionnaire et du contexte dans lequel il évolue en vue de prédire le leadership transformationnel. Les résultats (ngestionnaires = 89; nsubordonnés = 643) n’offrent qu’un appui modéré au rationnel sous-jacent du modèle de l’activation des traits. Toutefois, il en ressort que l’aspect relationnel du gestionnaire (opérationnalisé par le composite de personnalité « soutien et coopération ») est associé à l’émergence du leadership transformationnel uniquement lorsque les facteurs contextuels (considération organisationnelle, latitude décisionnelle) sont perçus positivement par le gestionnaire. L’étude permet donc d’éclaircir une part de la variabilité observée dans les études antérieures concernant la tendance relationnelle du gestionnaire, en soulignant sa sensibilité à des facteurs contextuels positifs.