573 resultados para Ravenna
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L’obiettivo che questo elaborato di Tesi si pone è quello di dimostrare l’esistenza di una correlazione tra la produttività agricola e le principali variabili climatiche rilevate per la Provincia di Ravenna. La prima parte del lavoro ha riguardato la raccolta dei dati da archivi digitali e cartacei inerenti l’andamento climatico dell’ultimo trentennio e la produzione agronomica di alcune colture selezionate. I dati meteo sono stati organizzati secondo variabili a livello annuale, stagionale e mensile; questi parametri climatici, assieme ai dati di produttività, sono stati ordinati in un database che copre il periodo 1976 – 2014, dal quale si è partito per procedere alla loro elaborazione statistica. Il lavoro è stato organizzato in tre fasi: ricerca di quali variabili climatiche a scala locale hanno determinato maggiormente l’andamento della produzione agricola di specifiche colture; ricerca di una possibile relazione tra l’indice climatico a scala continentale NAO (North Atlantic Oscillation) e le variabili climatiche locali; infine è stato eseguito un tentativo per cercare di relazionare direttamente la produttività agricola con l’andamento del NAO. La divisione dell’analisi dei dati in queste tre parti ha permesso uno studio più dettagliato di quelle che potrebbero essere le relazioni fra gli elementi considerati, allo scopo di valutare una possibile relazione complessiva tra di essi. Tra i risultati ottenuti, le relazioni che hanno dimostrato maggiormente gli andamenti previsti si sono verificate nel caso della produzione dei cereali autunno – vernini, sia rispetto alle variabili climatiche locali che rispetto all’andamento del NAO. Inoltre, con la relazione tra NAO invernale e variabili climatiche locali, è stata verificata l’effettiva influenza di questo indice sui parametri climatici del territorio in oggetto.
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Polychaetes are one of the larger groups of macroinvertebrates with more than 9000 species recognised, distributed worldwide. Thanks to the broad ecological adaptability and high abundaces, this taxon plays a leading role and is considered an important component of all benthic assemblages. Our knowledge about the West Iberian Coast polychaete fauna are scarce, and the only studies are recent. In this sense, the aim of this work was to investigate the composition and the spatial distribution of the polychaete fauna along the NW Portuguese Coastal Shelf, focusing on their relationship to environmental factors (depth, grain size, longitude and latitude) and to add new data to the existing biological dataset. A total of 39 sites were analysed, collected in an area of about 5665 km², between 20 and 150 m depth, distributed in a way to cover the overall grain size gradient. A total of 9352 specimens belonging to 41 families were found, and the analysis based on the abundance of polychaete species revealed five affinity groups: (a) nearshore medium sand characterised by Pisione parapari and Hesionura elongata; (b) very coarse sand that showed the highest abundance of Syllidae and was characterised by Protodorvillea kefersteini and Syllis garciai; (c) fine sand dominated by Spiophanes bombyx and Glycera tridactyla; (d) very fine sand with Nepthys assimilis and Amage sp. and the highest abundance of Paraonidae; (d) mud characterised by Labioleanira yhleni and Ampharete finmarchica. The combination of the environmental variables and the biological data, done with BIOENV routine, demonstrated that depth, grain size and fine contents were the best related with the biological data (rho=0.598). In general, the results agree with the composition and the spatial distribution of the polychaete fauna in other parts of the world; further polychaete assemblages related to mud sediments were firstly recorded in the Northwestern Portuguese Coastal Shelf.
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L’aumento delle concentrazioni del diossido di carbonio in atmosfera dovuto alla combustione dei combustibili fossili è una fonte di grande preoccupazione a causa del suo impatto sul clima globale. La biomassa è l’unica fonte rinnovabile a poter essere convertita in combustibili e, tra i metodi di conversione, la pirolisi produce un liquido (bio-olio) che presenta potenzialità come combustibile. Le alghe sono una biomassa di interesse, ma il bio-olio che si ottiene è caratterizzato da composti contenenti ossigeno, zolfo e azoto che ne riducono la qualità. Tali elementi possono essere eliminati attraverso la scissione (cracking) con zeoliti con la produzione di idrocarburi. L’obiettivo dello studio è stato quello di valutare le caratteristiche del cracking catalitico di tre microalghe: Arthrospira platensis, Botryococcus braunii e Desmodesmus communis per la produzione di idrocarburi. Le biomasse sono state pirolizzate a 500 °C e i vapori prodotti termicamente sono stati fatti passare nella zeolite dove subiscono il cracking. Sono state utilizzate due zeolite a diversa acidità: un pellet H-ZSM5 (SiO2/Al2O3=38) e un monolite a base di HZSM5 (SiO2/Al2O3=80) e sepiolite. Dal cracking si ottengono sei frazioni pirolitiche: char, coke, fase acquosa, bio-olio, frazione volatile e gas non condensabili. Le frazioni sono state caratterizzate tramite analisi elementari e molecolari e dai dati ottenuti sono stati calcolati i bilanci di N, C e del potere calorifico. Per tutte le alghe si ottiene un bio-olio con un elevato contenuto di carbonio e fortemente deossigenato, ma le rese sono relativamente basse. I prodotti che contengono una maggior frazione del carbonio della biomassa iniziale sono il char ed il coke, seguiti dalla fase organica e dai gas. La distribuzione dell’azoto è simile ma con una maggiore frazione nella fase acquosa. Entrambi i catalizzatori agiscono migliorando la qualità del bio-olio tramite la riduzione dei composti azotati ed ossigenati e formando idrocarburi monoaromatici, tipici delle benzine, e poliaromatici. Il monolite, con zeolite meno acida, produce una maggior frazione di bio-olio caratterizzato, però, da una minor percentuale di composti aromatici. Si ritiene che l’aumento delle rese del bio-olio e la valorizzazione dei sottoprodotti (biochar, fase acquosa) siano indispensabili per la sostenibilità del processo.
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Nelle matrici ambientali sono spesso presenti xenoestrogeni, molecole sintetiche o di origine naturale ad attività estrogenica in grado di alterare il normale equilibrio ormonale di organismi esposti, incidendo negativamente su alcune funzioni vitali come la riproduzione ed il metabolismo. Diverse sostanze chimiche presenti in ambiente, tra cui alcune molecole ad attività estrogenica, sono anche potenziali composti genotossici, in grado, cioè, di interagire con il DNA ed esercitare effetti anche a lungo termine come l’insorgenza di tumori nei vertebrati, uomo compreso. L’obiettivo del presente lavoro di tesi è stato quello di mettere a punto ed utilizzare due saggi biologici, il saggio E-screen ed il test dei micronuclei, per valutare la presenza di xenoestrogeni e composti genotossici in campioni di acque prelevate prima e dopo i trattamenti di potabilizzazione, utilizzando cellule MCF-7 di adenocarcinoma mammario come modello sperimentale in vitro. Le indagini biologiche sono state condotte sulla base di una convenzione di ricerca con la Società acquedottistica Romagna Acque- Società delle fonti e hanno previsto tre campagne di monitoraggio. I campioni di acqua sperimentale, raccolti prima e dopo i trattamenti presso diversi impianti di potabilizzazione, sono stati preventivamente filtrati, estratti in fase solida, fatti evaporare sotto leggero flusso di azoto, ed infine, saggiati sulle cellule. Il test E-screen, di cui abbiamo dimostrato un elevato livello di sensibilità, ha permesso di escludere la presenza di composti ad attività estrogenica nei campioni esaminati. Allo stesso modo, i risultati del test dei micronuclei hanno dimostrato l’assenza di effetti genotossici, confermando la buona qualità delle acque analizzate. Nell’ambito delle attività di monitoraggio, le indagini biologiche risultano essenziali per la valutazione di una potenziale contaminazione ambientale, in quanto forniscono informazioni anche quando non sono state condotte analisi chimiche. Inoltre, anche quando le analisi chimiche siano state condotte, i test biologici informano della potenzialità tossica di una matrice causata eventualmente da sostanze non oggetto del saggio chimico. Infine, i test biologici permettono di identificare eventuali sinergie tra più contaminanti presenti nelle acque, affermandosi come test da condurre in maniera complementare ai saggi chimici. I test biologici come quelli impiegati nel lavoro di tesi sono molto sensibili ed informativi, ma necessitano della definizione di protocolli standardizzati per garantirne un’uniforme applicazione alle acque ad uso potabile, almeno a livello nazionale.
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La Bioacustica marina studia gli aspetti “acustici” riguardanti gli animali marini tra cui le capacità uditive, la produzione del suono e la comunicazione attraverso i suoni. Ad oggi, un crescente livello di suoni introdotti negli oceani dalle attività umane sta causando una serie di effetti sull’ecosistema marino ed in particolare su specie che svolgono molteplici funzioni attraverso l’impiego attivo e passivo dei suoni, primi fra tutti i mammiferi marini. Il monitoraggio acustico passivo è uno dei metodi principali e popolari usati per aiutare gli scienziati a indagare e capire i modelli comportamentali degli animali marini. L'area di studio d’interesse si trova nel Canale di Sicilia, nel tratto di mare antistante Capo Granitola (Sicilia sud-occidentale), dove troviamo tra le specie più abbondanti di mammiferi marini: il tursiope, la stenella e il delfino comune. Questo tratto di mare è monitorato acusticamente dal 2012 dal laboratorio di bioacustica dell’IAMC-CNR attraverso un sistema di registrazione subacqueo autonomo. Il lavoro di tesi ha avuto l’obiettivo di analizzare 9 mesi di registrazioni al fine di studiare la presenza di delfinidi. Gli obiettivi specifici di questa tesi sono stati: •La verifica di interazioni tra delfini e attività antropiche attraverso l’analisi della presenza contemporanea di rumori prodotti da imbarcazioni e disegnali sonori prodotti da delfinidi; •Studiare gli andamenti circadiani e stagionali dei vocalizzi dei delfinidi e eventuali variazioni nei principali parametri acustici che caratterizzano i segnali di ecolocalizzazione. Grazie all’analisi dei dati acustici si sono ottenute informazioni sugli andamenti temporali della presenza/vocalizzazioni di delfinidi e sulla possibile interazione con le barche da pesca.
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The Great Barrier Reef hosts the only known reliable aggregation of dwarf minke whale (Balaenoptera acutorostrata subspecies) in Australian waters. While this short seasonal aggregation is quite predictable, the distribution and movements of the whales during the rest of their annual cycle are poorly understood. In particular, feeding and resting areas on their southward migration which are likely to be important have not been described. Using satellite telemetry data, I modelled the habitat use of seven whales during their southward migration through waters surrounding Tasmania. The whales were tagged with LIMPET satellite tags in the GBR in July 2013 (2 individuals) and 2014 (5 individuals). The study area around Tasmania was divided into 10km² cells and the time spent by each individual in each cell was calculated and averaged based on the number of animals using the cell. Two areas of high residency time were highlighted: south-western Bass Strait and Storm Bay (SE Tasmania). Remotely sensed ocean data were extracted for each cell and averaged temporally during the entire period of residency. Using Generalised Additive Models I explored the influence of key environmental characteristics. Nine predictors (bathymetry, distance from coast, distance from shore, gradient of sea surface temperature, sea surface height (absolute and variance), gradient of current speed, wind speed and chlorophyll-a concentration) were retained in the final model which explained 68% of the total variance. Regions of higher time-spent values were characterised by shallow waters, proximity to the coast (but not to the shelf break), high winds and sea surface height but low gradient of sea surface temperature. Given that the two high residency areas corresponded with regions where other marine predators also forage in Bass Strait and Storm Bay, I suggest the whales were probably feeding, rather than resting in these areas.
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I rifiuti rappresentano un’opportunità di crescita sostenibile in termini di riduzione del consumo di risorse naturali e di sviluppo di tecnologie per il riciclo di materia ed il recupero energetico. Questo progetto di ricerca si occupa di valutare, attraverso l’approccio dello studio del ciclo di vita, la valorizzazione energetica di una particolare categoria di rifiuti: i fanghi derivanti dalla depurazione delle acque. Si è studiata la valorizzazione dei fanghi attraverso l’applicazione del Thermo Catalytic Re-forming (TCR)®, tecnologia che consente di trasformare i fanghi in un carburante per la produzione di energia elettrica (bioliquido). Le valutazioni sono effettuate per una linea di processo generale e due configurazioni progettuali declinate in due scenari. Il caso di studio è stato riferito al depuratore di S. Giustina (Rimini). Per la linea di processo, per ognuna delle configurazioni e i relativi scenari, è stato compilato il bilancio energetico e di massa e, conseguentemente, valutata l’efficienza energetica del processo. Le regole della Renewable Energy Directive (RED), applicate attraverso lo strumento ‘BioGrace I’, permettono di definire il risparmio di gas serra imputabile al bioliquido prodotto. I risultati mostrano che adottare la tecnologia TRC® risulta essere energeticamente conveniente. Infatti, è possibile ricavare dal 77 al 111% del fabbisogno energetico di una linea di processo generale (linea fanghi convenzionale e recupero energetico TCR®). Questo permette, quindi, di ricavare energia utile al processo di depurazione. La massima performance si realizza quando la tecnologia si trova a valle di una linea di trattamento fanghi priva di digestione anaerobica e se il biochar prodotto viene utilizzato come combustibile solido sostitutivo del carbone. La riduzione delle emissioni imputabile al bioliquido prodotto va dal 53 al 75%, valori che soddisfano il limite definito dalla RED del 50% di riduzione delle emissioni (2017) per ogni configurazione progettuale valutata.
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Gli odori rappresentano uno degli elementi di disturbo che la popolazione avverte maggiormente e, anche nel caso in cui non siano associati a sostanze tossiche, sono causa di conflitti e di intolleranza, sia nei confronti delle aziende che li diffondono nel territorio, sia nella scelta del sito di localizzazione di nuovi impianti. La valutazione del disturbo olfattivo e la sua regolamentazione (esistono linee guida, ma non una legislazione di riferimento) rappresentano aspetti caratterizzati da elevata complessità, dal momento che l’inquinamento olfattivo è strettamente associato alla percezione umana. Nella tesi vengono valutate le emissioni odorigene e le relative immissioni, dovute ad un comparto per la gestione integrata dei rifiuti. Per caratterizzare le emissioni sono stati prelevati dei campioni di aria presso le principali sorgenti individuate e quantificate utilizzando la tecnica dell’olfattometria dinamica. Una volta caratterizzate le sorgenti, i dati di emissione ottenuti dalla campagna di misura e dall’analisi olfattometrica sono stati utilizzati come dati di input del modello LAPMOD (LAgrangian Particle MODel). LAPMOD è stato implementato con un modulo specifico per la determinazione delle concentrazioni massime orarie che utilizza un peak-to-mean variabile nel tempo, a differenza di altri modelli che usano un valore costante per la determinazione. Dall'elaborazione dei dati è emerso che, utilizzando il modulo specifico per gli odori, le concentrazioni come 98° percentile riferite al giorno tipico hanno un andamento opposto rispetto all’uso di un peak-to-mean costante. Dal confronto della simulazione in cui le emissioni sono indipendenti dalla variazione della portata di odore in funzione della velocità del vento, con quella che invece simula tale dipendenza (nelle sorgenti che presentano paratie laterali e tettoia) è emerso che la simulazione che mitiga completamente l’effetto del vento è più coerente con la realtà.
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La diatomea presa in esame in questo studio è Phaeodactylum tricornutum, diatomea marina con simmetria pennata. L’interesse commerciale verso Phaeodactylum tricornutum nasce dal suo alto contenuto di acidi grassi polinsaturi (PUFA), tra cui troviamo alcuni omega 3, come l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA) e dalla quantità del polisaccaride di riserva prodotto, il β-1,3 glucano crisolaminarina. E’stata studiata la capacità dei β-1,3 glucani, in particolare della laminarina, di inibire l’attacco cellulare da parte di alcuni batteri dannosi per la salute umana. Anche i pigmenti accessori di questa diatomea in particolare il β-carotene (appartenente ai caroteni) e la fucoxantina (appartenente alle xantofille) possono essere impiegati nella nutraceutica. Negli studi svolti precedentemente sull’effetto di fattori ambientali sulla composizione di questa specie, è stata presa in considerazione solo la produzione di lipidi e non è mai stato seguito contemporaneamente l’andamento di lipidi e polisaccaridi: questo progetto di tesi prevede la valutazione della possibilità di ottenere colture di P. tricornutum ad alto contenuto sia polisaccaridico sia lipidico per applicazioni industriali. Tutto il lavoro di tesi si è svolto presso l’azienda Micoperi Blue Growth (MBG), nello stabilimento di Ortona (CH) in due fasi: nella prima fase l’esperimento è stato condotto in batch su piccola scala e la crescita e la composizione di P. tricornutum sono state seguite in due diversi terreni di coltura: uno ricco in azoto, denominato N, per mezzo del quale si è voluta incrementare la crescita e la biomassa ed uno a ridotto contenuto di azoto, denominato N/3, per indurre la produzione di lipidi e polisaccaridi. Ne è stata seguita la crescita per mezzo di misure di assorbanza, peso secco, pH, conta cellulare, determinazione dei macronutrienti ed è stata analizzata la composizione biochimica con determinazione dei composti polisaccaridici totali, determinazione qualitativa dei polisaccaridi, determinazione della clorofilla a, valutazione quantitativa e qualitativa dei lipidi. E' stato notato che la condizione con un contenuto polisaccaridico e lipidico maggiore è quella con un ridotto contenuto di azoto. Con la seconda fase si è voluto verificare la riproducibilità su larga scala di quanto notato nel primo esperimento in sistemi chiusi industriali. E’stata avviata una monocoltura di Phaeodactylum tricornutum in fotobioreattore (PBR) da 70L in semicontinuo e ne è stata monitorata la crescita misurando assorbanza, peso secco, pH, quantità di macronutrienti nel terreno; la composizione biochimica è stata valutata determinando i polisaccaridi totali e la loro composizione qualitativa, le proteine totali, i lipidi totali e la composizione qualitativa. In conclusione con questo lavoro si è visto il terreno migliore per la produzione di polisaccaridi e lipidi e le tempistiche di produzione in Phaeodactylum tricornutum, e in aggiunta, abbiamo dimostrato che sia contenuti che tempistiche sono riproducubili in un sistema industriale chiuso per produrre biomassa ad alto valore commerciale.
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Nel presente lavoro sono state analizzate le distribuzioni quantitative dei Foraminiferi planctonici e bentonici presenti in una carota e in un box core prelevati nel Mare di Ross in Antartide durante la campagna KOPRI ANTA03 nel Febbraio 2013 nell’ambito del progetto di ricerca congiunto Corea- Italia finanziato dal Progetto Nazionale di Ricerca in Antartide (PNRA). Scopo del lavoro è stato quello di comprendere l’evoluzione ambientale dell’area in base alla distribuzione quantitativa e qualitativa delle associazioni a Foraminiferi nel tardo Quaternario. In base alla distribuzione quantitativa dei Foraminiferi identificati, la sequenza sedimentaria della carota C2 è stata suddivisa in tre intervalli corrispondenti a tre principali fasi paleoceanografiche/paleoclimatiche. La prima fase, più antica di 18 ka, caratterizzata dall’assenza o rarità di forme documenta un ambiente con presenza di copertura glaciale. La seconda, depositatasi tra 18 ka e ~8 ka è caratterizzata da una maggiore variabilità intraspecifica e riflette un miglioramento delle condizioni climatiche. La terza, corrisponde ad un periodo compreso tra ~8 ka e ~2 ka. La presenza di forme agglutinanti e l’assenza di Foraminiferi a guscio calcareo suggeriscono la presenza di condizioni di dissoluzione carbonatica sul fondale in un ambiente marino libero da copertura glaciale. La documentazione di numerosi individui allo stadio giovanile di Neogloboquadrina pachyderma durante l’intervallo B ha reso possibile avanzare ipotesi riguardo la strategia di sopravvivenza di questa specie in ambiente estremo quale il ghiaccio antartico. La somiglianza morfologica tra individui giovanili di Neogloboquadrina pachyderma riscontrata durante il nostro studio nei sedimenti a livello fossile nella carota con individui giovanili della stessa specie provenienti da campioni di ghiaccio marino antartico documentati in bibliografia, ha permesso di supportare la tesi dello sviluppo di tali forme nei pori del “microghiaccio”.
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This study focused on the role of oceanographic discontinuities and the presence of transitional areas in shaping the population structure and the phylogeography of the Raja miraletus species complex, coupled with the test of the effective occurrence of past speciation events. The comparisons between the Atlantic African and the North-Eastern Atlantic-Mediterranean geographic populations were unravelled using both Cytochrome Oxidase I and eight microsatellite loci. This approach guaranteed a robust dataset for the identification of a speciation event between the Atlantic African clade, corresponding to the ex Raja ocellifera nominal species, and the NE Atlantic-Mediterranean R. miraletus clade. As a matter of fact, the origin of the Atlantic Africa and the NE Atlantic-Mediterranean deep split dated about 11.74MYA and was likely due to the synergic influence currents and two upwelling areas crossing the Western African Waters. Within the Mediterranean Sea, particular attention was also paid to the transitional area represented by Adventura and Maltese Bank, that might have contributed in sustaining the connectivity of the Western and the Eastern Mediterranean geographical populations. Furthermore, the geology of the easternmost part of Sicily and the geo-morphological depression of the Calabrian Arc could have driven the differentiation of the Eastern Mediterranean Sea. Although bathymetric and oceanographic discontinuity could represent barriers to dispersal and migration between Eastern and Western Mediterranean samples, a clear and complete genetic separation among them was not detected. Results produced by this work identified a speciation event defining Raja ocellifera and R. miraletus as two different species, and describing the R. miraletus species complex as the most ancient cryptic speciation event in the family Rajidae, representing another example of how strictly connected the environment, the behavioural habits and the evolutionary and ecologic drivers are.
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The blue shark, Prionace glauca, is one of the most vagile shark species worldwide distributed. The particular body shape allows blue sharks make transoceanic movements, leading to a circumglobal distribution. Due to its reproductive cycle, an extraordinarily high number of specimens is globally registered but, even if it is still a major bycatch of longline fishery rather than a commercial target, it is characterized by a high vulnerability. In this perspective it is important to increase the amount of informations regarding its population extent in the different worldwide areas, evaluating the possible phylogeographic patterns between different locations. This study, included in the "MedBlueSGen" European project, aims exactly at filling a gap in knowledges regarding the genetic population structure of the Mediterranean blue sharks, which has never been investigated before, with a comparison with the North-Eastern Atlantic blue shark population. To reach this objective, we used a dataset of samples from different Mediterranean areas implementing it with some samples from North-Eastern Atlantic. Analyzing the variability of the two mitochondrial markers control region and cytochrome b, with the design of new species-specific primer pairs, we assessed the mitochondrial genetic structure of Mediterranean and North-Eastern Atlantic samples, focusing on the analysis of their possible connectivity, and we tried to reconstruct their demographic history and population size. Data analyses highlighted the absence of a genetic structuring within the Mediterranean and among it and North-Eastern Atlantic, suggesting that the Strait of Gibraltar doesn't represent a phylogeographic barrier. These results are coherent to what has been found in similar investigations on other worldwide blue shark populations. Analysis of the historical demographic trend revealed a general stable pattern for the cytochrome-b and a slightly population expansion for the control region marker.
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La tesi tratta l’analisi preliminare dell’Organization Environmental Footprint (OEF) dell’ente gestore dell’aeroporto Falcone - Borsellino di Palermo (GES.A.P.). Viene inoltre sviluppato un nuovo metodo per la classificazione degli aspetti ambientali utilizzabile all’interno del Sistema di Gestione Ambientale (SGA) attualmente utilizzato dall’ente GES.A.P. Dopo un'introduzione sulle ragioni che hanno portato allo sviluppo di questi strumenti, vengono approfondite le fasi necessarie per la loro applicazione, specificate nella guida metodologica sull’OEF e nella norma ISO 14001. I dati raccolti per il calcolo dell’OEF sono stati inseriti in un modello dell’organizzazione creato con il software GaBi7 al fine di stimare gli impatti ambientali dell’organizzazione negli anni analizzati. In questo lavoro viene effettuata un’analisi del metodo EMRG (Environmental Management Research Group) utilizzato per l’individuazione e la classificazione degli aspetti ambientali nell’ambito del SGA (certificato ISO 14001:2004) di GESAP e delle innovazioni introdotte nella versione 2015 della norma ISO 14001. Viene suggerito un metodo alternativo basato sull’integrazione dei risultati di un'analisi Life Cicle Assessment (LCA), svolta tramite l’OEF, con la metodologia EMRG, attualmente impiegata, al fine di avviare il processo di transizione del SGA verso l’aggiornamento-consegna richiesto dalla ISO14001:2015. Dall’applicazione del metodo viene ricavata una nuova gerarchia degli aspetti ambientali di GESAP utilizzabile per l’implementazione del suo SGA.
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Indo-Pacific region encompasses about 75% of world's coral reefs, but hard coral cover in this region experienced a 32% region-wide decline since 1970s. This great change is primarily ascribable to natural and anthropogenic pressures, including climate change and human activities effects. Coral reef conservation requires management strategies oriented to maintain their diversity and the capacity to provide ecosystem goods and services. Coral reef resilience, i.e. the capacity to recover after disturbances, is critical to their long-term persistence. The aims of the present study were to design and to test field experiments intended to measure changes in recruitment processes, as a fundamental aspect of the coral reef resilience. Recruitment experiments, using artificial panels suspended in the water column, were carried out in two Indo-Pacific locations affected by different disturbances: a new mine in Bangka Island (Indonesia), and the increased sedimentation due to coastal dynamics in Vavvaru Island (Maldives). One (or more) putatively disturbed site(s) was selected to be tested against 3 randomly selected control sites. Panels’ arrangement simulates 2 proximities to living corals, i.e. the sources of propagules: few centimetres and 2 meters over. Panels were deployed simultaneously at each site and left submerged for about five months. Recruits were identified to the lowest possible taxonomic level and recruited assemblages were analysed in terms of percent cover. In general it was not possible to detect significant differences between the benthic assemblages recruited in disturbed and control sites. The high variability observed in recruits assemblages structure among control sites may be so large to mask the possible disturbance effects. Only few taxa showed possible effects of the disturb they undergo. The field tests have highlighted strengths and weaknesses of the proposed approach and, based on these results, some possible improvements were suggested.
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Microalgae have been studied because of their great potential as a source of new compounds with important value for biotechnology and to understand their strategies of survival in extreme environments. The microalgae Coccomyxa sp., studied in this thesis, is a poly-extremophile witch was isolated from the acid mine drainage of S. Domingos mine. This environment is characterized by low pH (<3) and high concentration of metals, such as copper and iron. The main purpose of the present work was to evaluate the potential bioactivity in an ex-vivo animal model (Fundulus heteroclitus), and expression on selected genes, of cellular extracts obtained from cultures of Coccomyxa sp. at pH 7 without or with exposure to copper (0.6mM Cu²+). The extracts of Coccomyxa sp. cultured at pH 7 exposed to copper show a great potential to be used as epithelial NKCC inhibitors, revealing their potential use as diuretics, but did not show significant effects on gene expression. Coccomyxa sp. could be a good source of cellular extracts with a great potential to be used in pharmaceutical and biotechnology industries.