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Resumo:
Dopo aver brevemente ricostruito l’evoluzione dell’istituto dell’incompatibilità nel pubblico impiego, tra la sua introduzione nell’Ordinamento italiano nel 1908 e la sua attuale formulazione (attraverso le riforme del 1923 e del 1957), l’autore –contestando un’opinione diffusa nella letteratura giuslavoristica- esclude che l’art. 98 Cost. obblighi il legislatore ordinario ad imporre un dovere di esclusività al lavoratore dipendente dalle pubbliche amministrazioni. Successivamente si osserva come nel corso di più di un secolo la Dottrina, comunque poco interessata al tema, non abbia saputo giustificare in maniera unitaria e coerente la disciplina delle incompatibilità (se non ricorrendo ad argomentazioni di natura etica o sociale); diversamente la Giurisprudenza, soprattutto in epoca repubblicana, ha cercato di ricondurre la ratio dell’istituto alla specificità del rapporto lavorativo, riuscendo a giustificare le previsioni (e a individuarne i confini di applicazione) solo in relazione alla specialità del rapporto di lavoro pubblico. Nel secondo capitolo si evidenzia come, in occasione della riforma di fine XX secolo, la scelta di riservare alla legge la disciplina delle incompatibilità nel pubblico impiego non sia necessariamente in contrasto con la privatizzazione del lavoro pubblico. Si descrivono inoltre le linee generali dell’istituto, evidenziandone gli aspetti problematici (in particolare rapporto tra art. 53 del D.Lgvo 165/01 e l’art. 1 commi 57 e ss. della L. 662/96) e la collocazione nell’ambito complessivo della riforma di privatizzazione (con particolare attenzione al tema della natura degli atti). Nell’ultimo capitolo, si evidenziano le criticità della disciplina vigente, anche alla luce della discutibile interpretazione datane dalla Corte di Cassazione. In particolare si sottolinea come il sistema sanzionatorio non sia coerente con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro e mantenga una forte connotazione pubblicistica. Si rileva quindi come le critiche all’istituto si possano sostanzialmente ricondurre al fatto che il legislatore, mantenendo in vita un istituto risalente e riconducibile a esigenze di varia natura, non ha individuato univocamente nè il fine ultimo delle norme nè quale sia il bene che si intende proteggere; in tal modo si è disegnato un sistema che vieta irragionevolmente le sole attività remunerative, implica una profonda differenziazione pubblico/privato, comporta un sacrificio significativo per il lavoratore pubblico. Dopo aver negato la possibilità di ricondurre l’istituto alle previsioni di cui all’art. 2105 c.c., l’autore, riflettendo sulle ragioni fondanti l’esistenza di tale ultima previsione e in considerazione del dato incontrovertibile che oggi l’ordinamento fonda sul contratto sia i rapporti di impiego pubblico sia quelli di impiego privato, giunge ad individuare un unitario principio secondo il quale è illecito lo svolgimento, da parte del lavoratore, di attività inconciliabili con gli interessi che costituiscono la giustificazione profonda dell’attività del datore di lavoro. Si tratterebbe, insomma, di “un generale principio di tutela dell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività del datore, che si concretizza in entrambi i casi nel sorgere di obbligazioni negative (di non fare/di astenersi) in capo al lavoratore, riferite alle attività concorrenziali e a quelle incompatibili”(Cap III, 3.3) rispettivamente nel privato e nel pubblico Alla luce della esposta conclusione, l’autore auspica che tutto il sistema delle incompatibilità venga ridisegnato in una prospettiva che tenga conto dell’esigenza di uniformare al massimo le regole che governano il lavoro, indipendentemente dalla soggettività (pubblica o privata) dei datori. Un simile obiettivo, in termini di coerenza ed efficacia, appare perseguibile a partire dal modello disegnato dall’art. 53 del D.Lgvo 165/01 in materia di incarichi autorizzabili.
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Oggetto della ricerca è la tematica dell’opposizione parlamentare ed in particolare, il manifestarsi della stessa attraverso l’ostruzionismo praticato nelle assemblee legislative. La comprensione della funzione oppositoria è stata raggiunta assumendo come primigenio modello di riferimento l’esperienza presente nel sistema parlamentare inglese nel quale la dialettica democratica si svolge tra schieramenti nettamente contrapposti. L’approfondimento della figura oppositoria, poi, si è snodata nello studio delle diverse tipologie di opposizione conosciute nelle moderne democrazie, nonchè nella valutazione dei diversi livelli di riconoscimento che questa assume nei moderni contesti giuridici. Passando specificamente all’analisi dell’ostruzionismo parlamentare, la ricerca ha preliminarmente privilegiato lo studio dei soggetti che lo pongono in essere e del movente e delle finalità perseguite attraverso questa estrema forma di contestazione politica. Lo studio delle attività ostruzionistiche ha altresì valutato le modalità di esercizio ed i mezzi impiegati nella sua realizzazione, nonché le questioni di legittimità connesse a tale pratica. Ma è stata l’analisi dei regolamenti parlamentari, che com’è noto hanno subito le più incisive modificazioni quasi sempre in rapporto ad importanti episodi di ostruzionismo, a rappresentare il momento centrale del lavoro. Dopo la stagione di ostruzionismo esasperato degli anni settanta, all’interno del Parlamento sono cambiate le “regole del gioco” (considerate eccessivamente garantiste per le minoranze), in funzione dell’uso e non più dell’abuso del tempo da parte di tutti i soggetti istituzionali. L’effetto di tali riforme è stato quello di riqualificare la dialettica tra maggioranza ed opposizione, in particolare garantendo alla prima strumenti efficaci per conseguire il programma di Governo ed alla seconda strumenti che consentano di rendere visibili le proposte legislative alternative più qualificate. L’analisi dell’atteggiamento politico dell’opposizione parlamentare è stata altresì valutata alla luce degli effetti prodotti dalle ultime riforme elettorali e dalla loro incidenza sulle manifestazioni ostruzionistiche. La transizione (sia pure incompiuta) della forma di governo, attuata attraverso la trasformazione del sistema elettorale, ha segnato il passaggio da un sistema multipolare ad uno bipolare, con i conseguenti riflessi che si sono prodotti sui rapporti di forza tra maggioranza e opposizione. Nell’attuale logica bipolare, rimasta comunque immutata nonostante il ritorno ad un sistema elettorale nuovamente proporzionale caratterizzato dal premio di maggioranza, la riforma elettorale non ha lasciato indifferente l’atteggiarsi dell’ostruzionismo: il maggior potere, non solo numerico, che la maggioranza parlamentare è venuta ad assumere, ha spostato gli equilibri all’interno degli organi elettivi consentendo un’identificazione tra minoranza ed opposizione. Nel capitolo dedicato all’analisi dei regolamenti parlamentari è stata offerta una ricostruzione descrittiva dell’evoluzione subita dai regolamenti ed una di comparazione diacronica dei rimedi progressivamente adottati negli stessi per fronteggiare le possibili manifestazioni ostruzionistiche. Nella prospettiva di evidenziare le attuali dinamiche parlamentari, è stata affrontata una ricostruzione in chiave evolutiva subita dai regolamenti a partire dalla fase pre-repubblicana, fino ai regolamenti attualmente vigenti, ricomprendendo altresì le proposte di modifica allo stato in discussione in Parlamento. Dall’analisi complessiva è emerso che la debole razionalizzazione della forma di governo, il bicameralismo paritario ed indifferenziato, l’assenza di una riserva normativa a favore del governo e di strumenti giuridici per incidere sull’attività del Parlamento, hanno fatto sì che fossero i regolamenti parlamentari a dover supplire alla scarna disciplina costituzionale. A fronte della lenta ed incompiuta transizione della forma di governo parlamentare e dell’evolversi delle tecniche ostruzionistiche, si sono di conseguenza adeguate le misure di contenimento disciplinate nei regolamenti parlamentari. In questi ultimi dunque, è possibile rintracciare l’excursus storico delle misure adottate per regolare i possibili strumenti ostruzionistici previsti e disciplinati nelle procedure ed impiegati dalle minoranze per tentare di impedire la decisione finale. La comparazione, invece, ha evidenziato una progressiva opera di contenimento dei fenomeni ostruzionistici ottenuta essenzialmente con la razionalizzazione delle procedure parlamentari, l’introduzione del metodo della programmazione, del contingentamento dei tempi, nonché l’ampliamento dei poteri discrezionali dei Presidenti di assemblea nella loro opera di garanti della corretta dialettica parlamentare. A completamento del lavoro svolto è stato infine determinante la considerazione della concreta prassi parlamentare riscontrata nel corso delle legislature maggioritarie: la valutazione complessiva dei dati provenienti dal Servizio Studi della Camera, infatti, ha permesso di verificare come si sono manifestate in pratica le tecniche ostruzionistiche impiegate dall’opposizione per contrastare le politiche della maggioranza nel corso della XIII e della XIV Legislatura.
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La terra, nel corso della sua storia, ha subito molteplici cambiamenti con la comparsa e scomparsa di numerose specie animali e vegetali. Attualmente, l’estinzioni delle specie, la riduzione degli areali e il depauperamento degli ecosistemi è da ricollegare alle attività dell’uomo. Per tali motivi, in questi ultimi decenni si è iniziato a dare importanza alla conservazione della biodiversità, alla creazione di zone protette e a sviluppare interventi di reintroduzione e rafforzamento di specie rare e a rischio di estinzione. Questo lavoro di tesi si propone di analizzare la variabilità genetica delle popolazioni di Rhododendron ferrugineum L. lungo il suo areale, con particolare attenzione alle aree marginali dell’Appennino, dove la specie rappresenta un caso di pseudo rarità, al fine di valutare lo stato di salute della specie al limite del suo areale e valutare appropriati interventi di conservazione o reintroduzione. Per effettuare le analisi sono stati messi a punto dei marcatori molecolari discontinui, i microsatelliti, che, essendo dei marcatori co-dominati, permettono di valutare differenti parametri legati alla diversità genetica delle popolazioni inclusi i livelli di eterozigotà ed il flusso genico tra popolazioni limitrofe. I campionamenti sono stati effettuati nelle uniche 3 stazioni presenti sugli Appennini. Al fine di confrontare la struttura genetica di queste popolazioni sono state considerate anche popolazioni delle Alpi Marittime, delle Alpi centro-orientali e dei Pirenei. L’analisi della diversità genetica effettuata su questo pool di popolazioni analizzate con 7 marcatori microsatelliti, ha messo in evidenza che le popolazioni relitte dell’Appennino Tosco-Emiliano presentano un ridotto livello di eterozigosità che suggerisce quindi un elevato livello di inbreeding. Si ritiene che ciò sia dovuto alla loro dislocazione sul territorio, che le rende isolate sia tra di loro che dalle popolazioni delle vicine Alpi Marittime. La stima delle relazioni genetiche tra le popolazioni appenniniche e le vicine piante alpine evidenzia come non vi sia scambio genetico tra le popolazioni. Le analisi dei cluster suggeriscono che due delle popolazioni Appenniniche siano più simili alle popolazioni della Alpi Marittime, mentre la terza ha più affinità con le popolazioni delle Alpi centro-orientali. Le popolazioni dei Pirenei risultano essere geneticamente più simili alle popolazioni delle Alpi Marittime, in particolare alle tre popolazioni del versante francese. In questo lavoro abbiamo affrontato anche il problema delle specie ibride. Rhododendron x intermedium Tausch è un ibrido frutto dell’incrocio tra Rhododendron ferrugineum L. e Rhododendron hirsutum L., in grado di incrociarsi sia con altri ibridi, sia con i parentali (fenomeno dell’introgressione). L’origine di questo ibrido risiede nella simpatria delle due specie parentali, che tuttavia, presentano esigenze ecologiche differenti. Ad oggi la presenza di Rhododendron x intermedium è stata accertata in almeno tre stazioni sulle Alpi Italiane, ma la letteratura documenta la sua presenza anche in altre zone dell’Arco Alpino. L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di verificare la reale natura ibrida di Rhododendron x intermedium in queste stazioni utilizzando un approccio integrato ossia sia attraverso un’analisi di tipo morfologico sia attraverso un analisi di tipo molecolare. In particolare l’approccio molecolare ha previsto prima un’analisi filogenetica attraverso l’utilizzo di marcatori molecolari filogenetici nucleari e plastidiali (ITS, At103, psbA-trnH e matK) e quindi un’analisi della struttura delle popolazioni della specie ibrida attraverso l’utilizzo di marcatori molecolari microsatelliti. Da un’analisi morfologica, risulta che gli esemplari ibridi possono essere molto differenti tra loro e ciò supporta la formazione di sciami ibridi. Al fine di verificare la natura di questa specie e la struttura delle popolazioni ibride e dei rispettivi parentali, sono state campionate differenti popolazioni in tutta l’area di interesse. I campioni ottenuti sono stati quindi analizzati geneticamente mediante marcatori molecolari del DNA. I risultati ottenuti hanno permesso innanzitutto di confermare l’origine ibrida degli individui di prima generazione della specie Rhododendron x intermedium e quindi di distinguere i parentali dagli ibridi ed evidenziare la struttura genetica delle popolazioni ibride.
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Sebbene Anarsia lineatella sia un fitofago ormai da anni introdotto e diffuso in Italia, ancora poco si conosce circa le sue abitudini riproduttive. In considerazione della elevata dannosità di A. lineatella nei pescheti del nord Italia e delle scarse conoscenze sulla sua biologia, si è evidenziata la necessità di approfondire la conoscenza di questo fitofago. Pertanto gli scopi di questa ricerca hanno riguardato l’approfondimento delle conoscenze sui sistemi di comunicazione intraspecifici utilizzati da A. lineatella; la valutazione dell’efficacia di diverse miscele di feromone sintetico, in laboratorio utilizzando anche densità diverse di popolazioni di anarsia e in campo utilizzando gabbie di accoppiamento appositamente costruite, posizionate in frutteti a conduzione biologica nel nord Italia e messe a confronto con gabbie che utilizzavano come fonte attrattiva femmine vergini di tre giorni di età. Sono state condotte prove sul comportamento di maschi di A. lineatella di differenti età in risposta al feromone emesso da femmine vergini di tre giorni di età e al feromone emesso da erogatori di materiale plastico contenenti differenti miscele di feromone sintetico. Sono stati condotti studi per verificare l’influenza del contenuto di alcol ((E)5-10:OH) nella miscela feromonica sulla capacità di inibizione degli accoppiamenti, sottoponendo gli insetti a differenti concentrazioni di feromone in modo da verificare eventuali differenze di attività delle diverse miscele, differenze che emergerebbero con evidenza maggiore alle minori concentrazioni. Alcune prove sono state effettuate anche con differenti densità di popolazione, poiché una maggiore densità di popolazione determina una maggiore probabilità di accoppiamento, evidenziando più chiaramente i limiti di efficacia della miscela utilizzata. Inoltre sono state effettuate prove di campo per confrontare due modelli di erogatore per la confusione sessuale di anarsia contenenti miscele con differenti percentuali di alcol Inoltre, poiché nei pescheti la presenza di A. lineatella è pressoché sempre associata a quella di Cydia molesta e l’applicazione del metodo della confusione deve spesso essere applicato per controllare entrambi gli insetti, può risultare vantaggioso disporre di un unico erogatore contenente entrambi i feromoni; è stato quindi valutato un erogatore contenente una miscela dei due feromoni per verificare eventuali interazioni che possano ridurre l’efficacia.
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Gli smartphone, sono dispositivi per la telefonia mobile che oramai includono una serie di funzionalità a supporto della multimedialità e non solo. Divenuti quasi dei notebook in miniatura, ne esistono di vari tipi e dimensioni e anche se la loro potenza di calcolo rimane di gran lunga inferiore a quella di un PC, riescono comunque a effettuare operazioni abbastanza evolute e con prestazioni accettabili. Quello che si vuole realizzare con questo lavoro non è uno studio su questi dispositivi (anche se in parte sarà affrontato), ma un approfondimento sulla possibilità di utilizzare una buona fetta di essi, a supporto dello sviluppo turistico nel nostro paese. In particolare si vuole realizzare una piattaforma mobile che metta in comunicazione individui che vogliono fornire informazione di tipo turistico (beni culturali, eventi, attività commerciali, ecc.) con individui che vogliono fruire di tali contenuti (un qualsiasi turista che sia in grado di utilizzare uno smartphone). Tale applicazione dovrà raccogliere informazioni su una determinata città e riuscire in maniera chiara e intuitiva a dare risposte alle principali domande che un turista si pone: • dove sono? • Cosa c’è d’interessante da visitare nei dintorni? • Interessante questa statua! Di cosa si tratta? • Quali sono gli eventi più interessanti ai quali potrei partecipare? • Ho un leggero appetito dove posso andare a mangiare? • Dove posso fare un po’ di shopping?
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Il progetto prevede l’applicazione dell’analisi del ciclo di vita al sistema integrato di raccolta, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati. La struttura di una LCA (Life Cycle Assessment) è determinata dalla serie di norme UNI EN ISO 14040 e si può considerare come “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”. Questa definizione si riassume nella frase “ from cradle to grave” (dalla culla alla tomba). Lo scopo dello studio è l’applicazione di una LCA alla gestione complessiva dei rifiuti valutata in tre territori diversi individuati presso tre gestori italiani. Due di questi si contraddistinguono per modelli di raccolta con elevati livelli di raccolta differenziata e con preminenza del sistema di raccolta domiciliarizzato, mentre sul territorio del terzo gestore prevale il sistema di raccolta con contenitori stradali e con livelli di raccolta differenziata buoni, ma significativamente inferiori rispetto ai Gestori prima descritti. Nella fase iniziale sono stati individuati sul territorio dei tre Gestori uno o più Comuni con caratteristiche abbastanza simili come urbanizzazione, contesto sociale, numero di utenze domestiche e non domestiche. Nella scelta dei Comuni sono state privilegiate le realtà che hanno maturato il passaggio dal modello di raccolta a contenitori stradali a quello a raccolta porta a porta. Attuata l’identificazione delle aree da sottoporre a studio, è stato realizzato, per ognuna di queste aree, uno studio LCA dell’intero sistema di gestione dei rifiuti, dalla raccolta allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti urbani e assimilati. Lo studio ha posto anche minuziosa attenzione al passaggio dal sistema di raccolta a contenitori al sistema di raccolta porta a porta, evidenziando il confronto fra le due realtà, nelle fasi pre e post passaggio, in particolare sono stati realizzati tre LCA di confronto attraverso i quali è stato possibile individuare il sistema di gestione con minori impatti ambientali.
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Molteplici studi, portati a termine di recente in Europa ed oltreoceano, hanno focalizzato l’attenzione sulle problematiche indotte dal trasporto merci in ambito urbano e contribuito ad identificarne possibili soluzioni (city logistics). Le aree urbane, dovrebbero idealmente essere luoghi ove abitare, svolgere attività economiche, sociali e ricreative. Esse possono vedere compromessa la loro predisposizione a tali scopi anche a causa del crescente traffico delle merci, il cui trasporto è effettuato principalmente su gomma, per via delle brevi distanze da coprire e delle carenze infrastrutturali. I veicoli commerciali, ad eccezione di quelli di ultima generazione, incidono negativamente sulla qualità dell’ambiente urbano, generando inquinamento atmosferico e acustico. La politica del “just in time”, che prevede l’assenza di magazzini di stoccaggio delle merci, incrementa i movimenti commerciali. Nella presente tesi vengono trattati alcuni aspetti logistici di regolamentazione della sosta e degli accessi per i mezzi di trasporto merci, in grado di rendere più efficiente la distribuzione dei beni, mitigando le problematiche indotte dal traffico e, quindi, salvaguardando la qualità di vita nei centri cittadini.
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Negli ultimi decenni il concetto di variabile latente ha riscosso un enorme successo nelle discipline statistiche come attestano i numerosi lavori scientifici presenti in letteratura. In particolare, nelle scienze sociali e in psicometria, l’uso del concetto di variabile latente è stato largamente adottato per far fronte al problema di misurare quantità che, in natura, non possono essere direttamente osservate. La vasta letteratura riguardante questa metodologia si espande, in maniera più limitata, anche al campo della ricerca economica ed econometrica. Nonostante esistano studi di modelli a struttura latente applicati a variabili di tipo economico, molto pochi sono i lavori che considerano variabili finanziarie e, finora, praticamente nessun ricercatore ha messo in connessione la teoria standard di portafoglio con la metodologia dei modelli statistici a variabili latenti. L’obiettivo del lavoro è quello di ricorrere alle potenzialità esplicative ed investigative dei metodi statistici a variabili latenti per l’analisi dei fenomeni finanziari. Si fa riferimento, in particolare, ai modelli a classe latente che consentono di sviluppare soluzioni metodologicamente corrette per importanti problemi ancora aperti in campo finanziario. In primo luogo, la natura stessa delle variabili finanziarie è riconducibile al paradigma delle variabili latenti. Infatti, variabili come il rischio ed il rendimento atteso non possono essere misurate direttamente e necessitano di approssimazioni per valutarne l’entità. Tuttavia, trascurare la natura non osservabile delle variabili finanziarie può portare a decisioni di investimento inopportune o, talvolta, addirittura disastrose. Secondariamente, vengono prese in considerazione le capacità dei modelli a classi latenti nel contesto della classificazione. Per i prodotti finanziari, infatti, una corretta classificazione sulla base del profilo (latente) di rischio e rendimento rappresenta il presupposto indispensabile per poter sviluppare efficaci strategie di investimento. Ci si propone, inoltre, di sviluppare un collegamento, finora mancante, tra uno dei principali riferimenti della finanza moderna, la teoria classica del portafoglio di Markowitz, e la metodologia statistica dei modelli a variabili latenti. In questo contesto, si vogliono investigare, in particolare, i benefici che i modelli a variabili latenti possono dare allo studio di ottimizzazione del profilo rischio - rendimento atteso di un portafoglio di attività finanziarie. Lo sviluppo di numeri indici dei prezzi delle attività finanziarie caratterizzati da una solida base metodologica rappresenta un ulteriore aspetto nel quale i modelli a classe latente possono svolgere un ruolo di fondamentale importanza. In particolare, si propone di analizzare il contesto dei numeri indici dei prezzi settoriali, che costituiscono uno dei riferimenti più importanti nelle strategie di diversificazione del rischio. Infine, il passaggio da una specificazione statica ad una analisi dinamica coglie aspetti metodologici di frontiera che possono essere investigati nell’ambito dei modelli markoviani a classi latenti. Il profilo latente di rischio – rendimento può essere, così, investigato in riferimento alle diverse fasi dei mercati finanziari, per le quali le probabilità di transizione consentono valutazioni di tipo previsivo di forte interesse.
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L'evoluzione delle tipologie architettoniche sviluppate all'interno del panorama bolognese ha portato allo sviluppo nel XVI secolo di Palazzi immersi nella campagna rispondenti ai canoni dei principi rinascimentali di armonia fra l'uomo e la Natura. E' in questo contesto che si sviluppa il Palazzo Angelelli-Zambeccari, il cui nucleo risale alla fine del XVI secolo e che si è costituito successivamente come importante tenuta agricola. La proprietà del Palazzo va attribuita in un primo momento alla Famiglia Senatoria Angelelli, che apporta le principali modifiche costruttive, quali le due ali simmetriche e una parte fondamentale del corpo centrale, successivamente alla Famiglia Zambeccari, che si occupa di sistemazioni interne e della struttura della tenuta. Attualmente la proprietà risulta essere del Comune, che cerca di svilupparla come centro propulsore del Paese. Il progetto di restauro vuole restituire all'edificio il suo carattere originale, inserendo all'interno di esso funzioni utili al Paese, come la biblioteca e i laboratori didattici, e attività legate al sostentamento stesso della proprietà, come un piccolo agriturismo e il centro di rappresentanza della Cantina Sociale del Paese. Proprio per la Cantina il progetto ha cercato di sviluppare un adeguato impianto di climatizzazione e di parametri legati alle condizioni ottimali per l'utilizzo, al fine di costruire uno spazio funzionale che possa essere testimonianza dell'attività agro-vinicola propria della tradizione della villa di campagna.
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Punto di partenza per il lavoro presentato, sono le tematiche legate alle pratiche di consumo di cibo in un’ottica che superi una semplice visione utilitaristica delle stesse, mentre viene evidenziato invece il più profondo rapporto uomo-cibo e i fenomeni di socializzazione che ne scaturiscono. Si trovano pertanto a coniugarsi la sociologia dei consumi e la sociologia della cultura. La base per questa visione del cibo e delle pratiche di produzione e consumo ad esso collegate è l’ipotesi che nel rapporto uomo-cibo sia individuabile un livello di significato superiore al mero utilitarismo/nutrizionismo, che si compone di una dimensione strutturale, una dimensione simbolica ed una dimensione metaforica. Il cibo, e di conseguenza tutte le pratiche ad esso collegate (produzione, elaborazione, consumo), rientrano pertanto in maniera naturale nella categoria “cultura”, e quindi, accostandoci al paradigma del passaggio da natura a società, attraverso il cibo si crea e si alimenta la socialità del consorzio umano, e quindi l’umanità stessa. Accostando a queste concettualizzazioni l’idea che il consumo in generale possa diventare una prassi tramite cui esperire una più diffusa ricerca di sostenibilità nello sviluppo del territorio, (facendosi carico delle conseguenze socio-ambientali derivanti dalla fruizione di determinati oggetti piuttosto che altri), si è sviluppata l’ipotesi che al consumo alimentare possa competere un ruolo precipuamente attivo nella definizione di pratiche sociali orientate alla sostenibilità, capaci cioè di integrare attraverso il consumo – e in relazione all’indebolimento delle tradizionali agenzie di socializzazione – quella perdita di senso civico e solidarietà organizzata che sperimentiamo nelle prassi di vita quotidiana. Sul piano operativo, la tesi è articolata in sei capitoli: • Il percorso presentato prende le mosse dalla considerazione che il cibo, inteso in un’ottica sociologica, costituisce un fattore culturale non irrilevante, anzi fondamentale per il consorzio umano. Si fornisce quindi una breve descrizione del ruolo del cibo nei suoi accostamenti con la definizione di un territorio (e quindi con la sua storia, economia e società), con le arti visive, con il cinema, con la musica, ma anche con la sfera sensoriale (tatto, gusto, olfatto) ed emotivo-cognitiva (psiche) dell’uomo. • Successivamente, si analizza nello specifico la funzione socializzante delle pratiche alimentari, ripercorrendo le tappe principali degli studi classici di sociologia e antropologia dell’alimentazione e introducendo anche l’idea di cibo come simbolo e metafora, che si riflettono sul piano sociale e sulle relazioni tra gli individui. La constatazione che le pratiche legate al cibo sono le uniche attività umane da sempre e per sempre irrinunciabili è un chiaro indicatore di come esse giochino un ruolo fondamentale nella socializzazione umana. • Nel terzo capitolo, la prospettiva simbolico-metaforica è la base di un’analisi di tipo storico delle pratiche alimentari, nello specifico delle pratiche di consumo di cibo, dalle origini dell’umanità ai giorni nostri. Viene presentato un excursus essenziale in cui l’attenzione è focalizzata sulla tavola, sui cibi ivi serviti e sugli eventi di socializzazione che si sviluppano attorno ad essa, considerando situazioni storico-sociali oggettive di cui si è in grado, oggi, di ricostruire le dinamiche e le fasi più significative. • Il quarto capitolo costituisce un momento di riflessione teorica intorno al tema della globalizzazione nella contemporaneità. Sia per una logica progressione cronologica all’interno del lavoro presentato, sia per la rilevanza in quanto inerente alla società attuale in cui viviamo, non si è potuto infatti non soffermarsi un po’ più a fondo sull’analisi delle pratiche alimentari nella contemporaneità, e quindi nella società generalmente definita come “globalizzata” (o “mcdonaldizzata”, per dirla alla Ritzer) ma che in realtà è caratterizzata da un più sottile gioco di equilibri tra dimensione locale e dimensione globale, che si compenetrano come anche nel termine che indica tale equilibrio: il “glocale”. In questo capitolo vengono presentati i principali riferimenti teorici relativi a queste tematiche. • Nel quinto capitolo è stata analizzata, quindi, la declinazione in senso “alimentare” della relazione tra globale e locale, e quindi non solo i mutamenti intercorsi nella contemporaneità nelle pratiche di produzione, scambio e consumo di cibo con particolare riferimento ai sistemi culturali e al territorio, ma anche alcune proposte (sia teoriche che pratiche) a garanzia di uno sviluppo sostenibile del territorio, che trovi i suoi fondamenti sulla perpetuazione di modalità tradizionali di produzione, commercio e consumo di cibo. • Nel sesto capitolo viene analizzato un caso di studio significativo, (il movimento Slow Food, con il suo progetto Terra Madre) senza la pretesa di confermare o smentire né le ipotesi di partenza, né i concetti emersi in itinere, ma semplicemente con l’intenzione di approfondire il percorso svolto attraverso l’esemplificazione operativa e la ricerca entro un piccolo campione composto da testimoni significativi e intervistati, sottoposti a colloqui e interviste incentrate su item inerenti i temi generali di questo lavoro e sul caso di studio considerato. La scelta del caso è motivata dalla considerazione che, alla luce delle filosofia che lo anima e delle attività che svolge, il movimento Slow Food con il progetto Terra Madre costituisce una vera e propria eccellenza nella pianificazione di uno sviluppo sostenibile del territorio e delle sue risorse, tanto economiche quanto sociali e culturali. L’intera analisi è stata condotta tenendo presente l’importanza della comparazione e della collocazione del singolo caso non solo nel contesto sociale di riferimento, ma anche in sintonia con l’ipotesi della ricerca, e quindi con l’assunto che le pratiche alimentari possano guidare uno sviluppo sostenibile del territorio. Per analizzare la realtà individuata, si è in primo luogo proceduto alla raccolta e all’analisi di dati e informazioni volte alla ricostruzione della sua storia e del suo sviluppo attuale. Le informazioni sono state raccolte attraverso l’analisi di materiali, documenti cartacei e documenti multimediali. Si è poi proceduto con colloqui in profondità a testimoni significativi individuati nell’ambito delle attività promosse da Slow Food, con particolare riferimento alle attività di Terra Madre; le informazioni sono state elaborate con l’ausilio dell’analisi del contenuto. Alla luce di quanto analizzato, tanto a livello teorico quanto a livello empirico, la tesi si conclude con alcune considerazioni che, in linea con la finalità dichiarata di approfondire (più che di confermare o smentire) le ipotesi di partenza circa un ruolo fondamentale delle pratiche alimentari nello sviluppo sostenibile del territorio, non possono comunque non tendere ad una convalida dei concetti introduttivi. Si individuano pertanto spunti importanti per affermare che nelle pratiche alimentari, nei tre momenti in cui trovano specificazione (la produzione, lo scambio, il consumo), siano individuabili quei semi valoriali che possono dare solidità alle ipotesi di partenza, e che quindi - nell’intento di operare per uno sviluppo sostenibile del territorio - sia possibile farne un valido strumento al fine di costruire dei veri e propri percorsi di sostenibilità ancorati ai concetti di tutela della tradizione locale, recupero e salvaguardia dei metodi tradizionali di produzione e conservazione, certificazione di tipicità, controllo della distribuzione, riscatto e promozione delle modalità tradizionali di consumo con particolare riferimento alle culture locali.
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Fin dalle prime riflessioni effettuate sulle zone industriali oggetto di indagine è apparso evidente come l’area di Sassa non abbia trovato, nella vocazione industriale conferitagli dagli strumenti urbanistici, la sua miglior definizione. Le successive analisi non hanno fatto altro che confermare questa primitiva intuizione, soprattutto se si considera l’esiguo numero di attività operanti e la presenza, ad oggi decisamente importante , dell’attiguo Progetto C.A.S.E. di Sassa NSI. L’intuizione seguita per rispondere alle reali esigenze del luogo e del tempo è stata quella di coniugare il tema dello sviluppo industriale a piccola scala con il tema dell’abitare gli spazi, non solo quelli pieni, ma anche e soprattutto quelli vuoti. Il Rio Forcella, che scorre da Ovest ad Est lungo l’area, diventa l’elemento utile a raccordare tutti i temi: un parco fluviale che si sviluppa trasversalmente e che, come una spina dorsale, regge l’intero sistema. Il parco, quindi, accoglie un’area legata alle produzioni locali, una legata ai servizi al turismo, ed una dedicata ai servizi alla residenza.
Resumo:
Obiettivo del presente lavoro è approntare un’analisi interpretativa dell’operatività dalle Finanziarie regionali, valutarne gli investimenti in capitale di rischio e, in particolare, l’attività di private equity, evidenziando le tendenze in atto, i possibili percorsi evolutivi e le eventuali criticità. La metodologia adottata ha previsto un’articolazione del lavoro lungo due principali direttive: un’analisi di tipo quantitativo sui bilanci di sette esercizi (dal 2002 al 2008), con la finalità di indagare nel dettaglio gli aspetti economici, finanziari e patrimoniali delle Finanziarie regionali attive sul territorio italiano; un’analisi qualitativa basata su un’approfondita rassegna della letteratura internazionale e su interviste mirate ad un campione ampiamente rappresentativo della popolazione osservata. I risultati raggiunti fanno ragionevolmente supporre che sia in atto una profonda ristrutturazione dell’intero sistema delle Finanziarie, che ha visto innanzitutto aumentare il controllo pubblico nella compagine sociale. L’indagine contabile ha permesso di identificare la presenza di due modelli di business ben differenziati: alcune Finanziarie sono orientate ad attività con forte contenuto di intermediazione finanziaria; altre invece sono focalizzate sull’attività di erogazione di servizi sia finanziari di consulenza che reali. L’investimento in capitale di rischio costituisce un attività centrale per le Finanziarie regionali; l’analisi dedicata a tali impieghi ha permesso di individuare, tra esse, alcune realtà tipiche del merchant banking, e più di frequente, del modello di holding. Complessivamente le Finanziarie campionate detengono oltre 400 partecipazioni per un valore che supera 1,7 miliardi di euro; prevalentemente concentrati su una ristretta cerchia di realtà spesso con impatto strategico sul territorio, ovvero strumentali. Segnatamente all’attività di private equity, è stato possibile rilevare come la politica d’investimento delle Finanziarie regionali sia complementare rispetto a quella mediamente espressa dal mercato domestico, anche se restano critici, anche per le Finanziarie, gli investimenti su imprese target con fatturato compreso tra 2 e 10 milioni di euro. Le evidenze circa la struttura dei contratti segnalano una parziale conformità alla best practice individuata dalla letteratura internazionale. In particolare l’uso limitato dello stage financing, la bassa partecipazione alla gestione sono le principali criticità individuate. Infine, della fase di riorganizzazione che pare interessare il sistema delle Finanziarie, si trova conferma nella percezione dei suoi operatori. Interpellati sul futuro dell’attività di investimento in capitale di rischio, hanno fornito indicazioni che consentono di concludere l’esistenza di una polarizzazione delle Finanziarie su due gruppi: da un lato quelle che implementeranno, più o meno, l’attività di private equity, dall’altro quelle che, viceversa, abbandoneranno tale strumento. La normativa sulle società a partecipazione pubblica regionale e la scarsa autonomia nella gestione delle misure affidate sono ritenute, dalle Finanziarie “interessate”, il principale fattore di freno alla loro crescita nel mercato del private equity.
Resumo:
Questo elaborato si pone l'obiettivo di analizzare e valutare la sostenibilità dell'intera filiera dell'olio di palma, che viene importato da paesi del Sud Est asiatico per essere utilizzato in Europa per scopi sia energetici che alimentari. Nell'introduzione è inquadrata la problematica dei biocombustibili e degli strumenti volontari che possono essere utilizzati per garantire ed incentivare la sostenibilità in generale e dei biocombustibili; è presente inoltre un approfondimento sull'olio di palma, sulle sue caratteristiche e sulla crescita che ha subito negli ultimi anni in termini di produzione e compra/vendita. Per questa valutazione sono stati impiegati tre importanti strumenti di analisi e certificazione della sostenibilità, che sono stati applicati ad uno specifico caso di studio: l'azienda Unigrà SpA. La certificazione RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) è uno strumento volontario per la garanzia della sostenibilità della filiera dell'olio di palma in termini economici (vitalità nel mercato), ambientali (risparmio delle emissioni di gas ad effetto serra o GHG, conservazione delle risorse naturali e della biodiversità) e sociali (preservazione delle comunità locali e miglioramento nella gestione delle aree di interesse). La Global Reporting Initiative è un'organizzazione che prevede la redazione volontaria di un documento chiamato bilancio di sostenibilità secondo delle linee guida standardizzate che permettono alle organizzazioni di misurare e confrontare le loro performance economiche, sociali e ambientali nel tempo. La Direttiva Comunitaria 2009/28/CE (Renewable Energy Directive o RED) è invece uno strumento cogente nel caso in cui le organizzazioni intendano utilizzare risorse rinnovabili per ottenere incentivi finanziari. A seguito di un calcolo delle emissioni di GHG, le organizzazioni devono dimostrare determinate prestazioni ambientali attraverso il confronto con delle soglie presenti nel testo della Direttiva. Parallelamente alla valutazione delle emissioni è richiesto che le organizzazioni aderiscano a dei criteri obbligatori di sostenibilità economica, ambientale e sociale, verificabili grazie a degli schemi di certificazione che rientrano all'interno di politiche di sostenibilità globale. Questi strumenti sono stati applicati ad Unigrà, un'azienda che opera nel settore della trasformazione e della vendita di oli e grassi alimentari, margarine e semilavorati destinati alla produzione alimentare e che ha recentemente costruito una centrale da 58 MWe per la produzione di energia elettrica, alimentata in parte da olio di palma proveniente dal sud-est asiatico ed in parte dallo scarto della lavorazione nello stabilimento. L'adesione alla RSPO garantisce all'azienda la conformità alle richieste dell'organizzazione per la commercializzazione e la vendita di materie prime certificate RSPO, migliorando l'immagine di Unigrà all'interno del suo mercato di riferimento. Questo tipo di certificazione risulta importante per le organizzazioni perché può essere considerato un mezzo per ridurre l'impatto negativo nei confronti dell'ambiente, limitando deforestazione e cambiamenti di uso del suolo, oltre che consentire una valutazione globale, anche in termini di sostenibilità sociale. Unigrà ha visto nella redazione del bilancio di sostenibilità uno strumento fondamentale per la valutazione della sostenibilità a tutto tondo della propria organizzazione, perché viene data uguale rilevanza alle tre sfere della sostenibilità; la validazione esterna di questo documento ha solo lo scopo di controllare che le informazioni inserite siano veritiere e corrette secondo le linee guida del GRI, tuttavia non da giudizi sulle prestazioni assolute di una organizzazione. Il giudizio che viene dato sulle prestazioni delle organizzazioni e di tipo qualitativo ma non quantitativo. Ogni organizzazione può decidere di inserire o meno parte degli indicatori per una descrizione più accurata e puntuale. Unigrà acquisterà olio di palma certificato sostenibile secondo i principi previsti dalla Direttiva RED per l'alimentazione della centrale energetica, inoltre il 10 gennaio 2012 ha ottenuto la certificazione della sostenibilità della filiera secondo lo schema Bureau Veritas approvato dalla Comunità Europea. Il calcolo delle emissioni di tutte le fasi della filiera dell'olio di palma specifico per Unigrà è stato svolto tramite Biograce, uno strumento di calcolo finanziato dalla Comunità Europea che permette alle organizzazioni di misurare le emissioni della propria filiera in maniera semplificata ed adattabile alle specifiche situazioni. Dei fattori critici possono però influenzare il calcolo delle emissioni della filiera dell'olio di palma, tra questi i più rilevanti sono: cambiamento di uso del suolo diretto ed indiretto, perché possono provocare perdita di biodiversità, aumento delle emissioni di gas serra derivanti dai cambiamenti di riserve di carbonio nel suolo e nella biomassa vegetale, combustione delle foreste, malattie respiratorie, cambiamenti nelle caratteristiche dei terreni e conflitti sociali; presenza di un sistema di cattura di metano all'oleificio, perché gli effluenti della lavorazione non trattati potrebbero provocare problemi ambientali; cambiamento del rendimento del terreno, che può influenzare negativamente la resa delle piantagioni di palma da olio; sicurezza del cibo ed aspetti socio-economici, perché, sebbene non inseriti nel calcolo delle emissioni, potrebbero provocare conseguenze indesiderate per le popolazioni locali. Per una valutazione complessiva della filiera presa in esame, è necessario ottenere delle informazioni puntuali provenienti da paesi terzi dove però non sono di sempre facile reperibilità. Alla fine della valutazione delle emissioni, quello che emerge dal foglio di Biograce e un numero che, sebbene possa essere confrontato con delle soglie specifiche che descrivono dei criteri obbligatori di sostenibilità, non fornisce informazioni aggiuntive sulle caratteristiche della filiera considerata. È per questo motivo che accanto a valutazioni di questo tipo è necessario aderire a specifici criteri di sostenibilità aggiuntivi. Il calcolo delle emissioni dell'azienda Unigrà risulta vantaggioso in quasi tutti i casi, anche considerando i fattori critici; la certificazione della sostenibilità della filiera garantisce l'elevato livello di performance anche nei casi provvisti di maggiore incertezza. L'analisi del caso Unigrà ha reso evidente come l'azienda abbia intrapreso la strada della sostenibilità globale, che si traduce in azioni concrete. Gli strumenti di certificazione risultano quindi dei mezzi che consentono di garantire la sostenibilità della filiera dell'olio di palma e diventano parte integrante di programmi per la strategia europea di promozione della sostenibilità globale. L'utilizzo e l'implementazione di sistemi di certificazione della sostenibilità risulta per questo da favorire.
Resumo:
Attraverso svariate prove tecnologiche, pratiche ed ottiche, si è posta la base per lo sviluppo di un sistema di misurazione delle deformazioni su un albero navale in materiale composito attraverso sensori ottici. L'attività ha messo in luce diverse problematiche relative all'inglobamento delle fibre ottiche nel materiale composito e molte altre attinenti la tecnologia basata su Reticoli di Bragg fotoincisi sulla fibra ottica.