983 resultados para Traffic jam, transizioni di fase, optimal velocity


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Il presente lavoro è stato svolto presso la struttura di Fisica Medica dell'Azienda Ospedaliera IRCCS "Arcispedale S. Maria Nuova" di Reggio Emilia e consiste nello sviluppo di un sistema per l'ottimizzazione della dose in Radioterapia tramite dose-painting basato sui voxel. Il dose painting è una tecnica di pianificazione del trattamento di radioterapia che si basa sull'assegnazione o ridistribuzione della dose secondo le informazioni biologiche e metaboliche che i moderni sistemi di imaging sono in grado di fornire. La realizzazione del modulo di calcolo BioOPT è stata possibile grazie all'utilizzo dei due software open-source Plastimatch e CERR, specifici per l'elaborazione e la registrazione di immagini mediche di diversi tipi e formati e per la gestione, la modifica e il salvataggio di piani di trattamento di radioterapia creati con la maggior parte dei software commerciali ed accademici. Il sistema sviluppato è in grado di registrare le immagini relative ad un paziente, in generale ottenute da diverse tipologie di imaging e acquisite in tempi diversi ed estrarre le informazioni biologiche relative ad una certa struttura. Tali informazioni verranno poi utilizzate per calcolare le distribuzioni di dose "ottimale" che massimizzano il valore delle funzioni radiobiologiche utilizzate per guidare il processo di redistribuzione della dose a livello dei voxel (dose-painting). In questo lavoro il modulo è stato utilizzato principalmente per l'ottimizzazione della dose in pazienti affetti da Glioblastoma, un tumore cerebrale maligno tra i più diffusi e mortali. L'ottimizzatore voxel-based, infatti, è stato sviluppato per essere utilizzabile all'interno di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero della Salute per la valutazione di un programma di terapia che include l'uso di un innovativo acceleratore lineare ad alto rateo di dose per la cura di tumori cerebrali in fase avanzata. Al fine di migliorare il trattamento radiante, inoltre, lo studio include la somministrazione della dose tramite dose-painting con lo scopo di verificarne l'efficacia. I risultati ottenuti mostrano che tramite il modulo sviluppato è possibile ottenere distribuzioni di dose eterogenee che tengono conto delle caratteristiche biologiche intratumore stimate a partire dalle immagini multimodali. Inoltre il sistema sviluppato, grazie alla sua natura 'open', è altamente personalizzabile a scopi di ricerca e consente di simulare distribuzioni di dose basate sui voxel e di confrontarle con quelle ottenute con i sistemi commerciali ad uso clinico, che non consentono questo tipo di ottimizzazioni.

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La valutazione dei rischi associati all’operatività dei sistemi di stoccaggio, quali la sismicità indotta e la subsidenza, è requisito basilare per una loro corretta gestione e progettazione, e passa attraverso la definizione dell’influenza sullo stato tensionale delle variazioni di pressione di poro nel sottosuolo. Principale scopo di questo progetto è lo sviluppo di una metodologia in grado di quantificare le deformazioni dei reservoir in funzione della pressione di poro, di tarare i modelli utilizzati con casi studio che presentino dati di monitoraggio reali, tali da consentire un confronto con le previsioni di modello. In questa tesi, la teoria delle inomogeneità è stata utilizzata, tramite un approccio semianalitico, per definire le variazioni dei campi elastici derivanti dalle operazioni di prelievo e immissione di fluidi in serbatoi geologici. Estensione, forma e magnitudo delle variazioni di stress indotte sono state valutate tramite il concetto di variazione dello sforzo critico secondo il criterio di rottura di Coulomb, tramite un’analisi numerica agli elementi finiti. La metodologia sviluppata è stata applicata e tarata su due reservoir sfruttati e riconvertiti a sistemi di stoccaggio che presentano dataset, geologia, petrofisica, e condizioni operative differenti. Sono state calcolate le variazioni dei campi elastici e la subsidenza; è stata mappata la variazione di sforzo critico di Coulomb per entrambi i casi. I risultati ottenuti mostrano buon accordo con le osservazioni dei monitoraggi, suggerendo la bontà della metodologia e indicando la scarsa probabilità di sismicità indotta. Questo progetto ha consentito la creazione di una piattaforma metodologica di rapido ed efficace utilizzo, per stimare l’influenza dei sistemi di stoccaggio di gas sullo stato tensionale della crosta terrestre; in fase di stoccaggio, permette di monitorare le deformazioni e gli sforzi indotti; in fase di progettazione, consente di valutare le strategie operative per monitorare e mitigare i rischi geologici associati a questi sistemi.

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Il presente lavoro di tesi di laurea è suddiviso in quattro parti principali: nel primo capitolo sono presentati i CubeSat progettati e in fase di realizzazione; successivamente viene presentata la descrizione dei materiali scelti per la realizzazione dei pannelli solari; nel terzo capitolo è illustrato il sistema di potenza necessario a soddisfare le esigenze dei satelliti prendendo in esame l'ambiente spaziale dove dovranno orbitare ed infine sono analizzati gli effetti osservati e le valutazioni fatte a seguito dei test a cui è stato sottoposto il sistema fotovoltaico.

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In questo lavoro di tesi è stato elaborato un modello analitico al fine di ottenere una stima dell’ampiezza di delaminazione a seguito di impatti a bassa velocità in laminati in composito, in particolare carbon/epoxy. Nel capitolo 2 è descritto il comportamento meccanico di tali laminati (equazioni costitutive della singola lamina, dell’intero laminato e costanti ingegneristiche dell’intero laminato per qualsiasi sistema di riferimento). Nel capitolo 3 viene descritta la filosofia di progettazione damage tolerance per tali materiali sottoposti a low-velocity impact (LVI) e richiamato il concetto di structural health monitoring. In particolare vengono descritti i tipi di difetti per un laminato in composito, vengono classificati gli impatti trasversali e si rivolge particolare attenzione agli impatti a bassa velocità. Nel paragrafo 3.4 sono invece elencate diverse tecniche di ispezione, distruttive e non, con particolare attenzione alla loro applicazione ai laminati in composito. Nel capitolo 4 è riportato lo stato dell’arte per la stima e la predizione dei danni dovuti a LVI nei laminati: vengono mostrate alcune tecniche che permettono di stimare accuratamente l’inizio del danno, la profondità dell’indentazione, la rottura delle fibre di rinforzo e la forza massima di impatto. L’estensione della delaminazione invece, è difficile da stimare a causa dei numerosi fattori che influenzano la risposta agli impatti: spesso vengono utilizzati, per tale stima, modelli numerici piuttosto dispendiosi in termini di tempo e di calcolo computazionale. Nel capitolo 5 viene quindi mostrata una prima formula analitica per il calcolo della delaminazione, risultata però inaffidabile perché tiene conto di un numero decisamente ristretto di fattori che influenzano il comportamento agli LVI. Nel capitolo 6 è mostrato un secondo metodo analitico in grado di calcolare l’ampiezza di delaminazione mediante un continuo aggiornamento della deflessione del laminato. Dal confronto con numerose prove sperimentali, sembra che il modello fornisca risultati vicini al comportamento reale. Il modello è inoltre fortemente sensibile al valore della G_IIc relativa alla resina, alle dimensioni del laminato e alle condizioni di vincolo. É invece poco sensibile alle variazioni delle costanti ingegneristiche e alla sequenza delle lamine che costituiscono il laminato. La differenza tra i risultati sperimentali e i risultati del modello analitico è influenzata da molteplici fattori, tra cui il più significativo sembra essere il valore della rigidezza flessionale, assunto costante dal modello.

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La tesi descrive le fasi di progettazione e di sviluppo di un applicativo ERP, per la verifica degli adempimenti IVA nei vari periodi. Viene illustrato lo scopo del progetto realizzato, quindi, si parte con un'analisi preliminare dello stato del sistema su cui l'applicativo va ad integrarsi, dopodiché si analizza la fase di progettazione con le tecniche in uso, le motivazioni di talune scelte progettuali ed i pattern utilizzati e successivamente si focalizza l'attenzione sulle tecniche implementative e le librerie di riferimento. Infine si ilustrano i risultati ottenuto, le funzionalità introdotte ed i casi d'uso.

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La sintesi industriale di anidride maleica (AM) è realizzata mediante ossidazione selettiva di n-butano con un catalizzatore a base di ossidi misti di vanadio e fosforo, il pirofosfato di vanadile, (VO)2P2O7. Allo stesso tempo però, la necessità di sviluppare nuovi processi per la sintesi di molecole piattaforma a partire da fonti rinnovabili, ha portato a sviluppare un processo di produzione di AM a partire da 1-butanolo. Lo studio condotto nel seguente lavoro di tesi, prenderà in considerazione aspetti relativi ad entrambi i processi di produzione di AM: sintesi a partire da n-butano e sintesi a partire da 1-butanolo. Per quanto riguarda l’utilizzo di 1-butanolo, ci si concentrerà sullo studio della prima fase della reazione di sintesi di AM, ossia la disidratazione di 1-butanolo a dare buteni, primi intermedi nella reazione di sintesi della AM, mediante l’utilizzo di catalizzatori a base di composti poliossometallati di tipo Keggin supportati a diversa composizione. Per quello che è invece il processo industriale attuale, ossia la sintesi a partire da n-butano, si studieranno e confronteranno le prestazioni di due sistemi catalitici che vengono comunemente utilizzati in impianto industriale, con lo scopo di ottenere, in laboratorio, informazioni utili al miglioramento del processo industriale stesso.

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La mia sperimentazione si inserisce in un progetto di respiro nazionale- “AGER-STAY FRESH”- volto a trovare soluzioni di lavaggio alternative al cloro per il prolungamento della shelf-life delle produzioni di IV gamma. Questi prodotti rappresentano, attualmente, uno dei più promettenti ed innovativi comparti del settore ortofrutticolo e sono definiti, secondo le norme della Comunità Europea, prodotti minimamente trasformati, cioè soggetti a interventi tecnologici ridotti, ed utilizzabili per il consumo diretto senza ulteriori manipolazioni, o con manipolazioni minime. La loro espansione sul mercato deriva dal fatto che sono in grado di offrire alta convenienza, alto valore nutrizionale ed organolettico e sono concepiti dai consumatori come prodotti “genuini” in quanto a base vegetale e, generalmente, non contengono sostanze antimicrobiche. Tuttavia, le materie prime vegetali utilizzate per le produzioni di IV gamma sono spesso caratterizzate da elevate contaminazioni microbiche (4-6 log UFC/g) poiché, durante la crescita o il post-raccolta, frutti o vegetali vengono a contatto con il suolo, insetti o contaminazioni di origine umana.Al momento la shelf-life e la sicurezza d’uso di questa categoria di prodotti sono basate principalmente sul mantenimento della catena del freddo unitamente alla fase di lavaggio delle materie prime con sostanze clorate. Recentemente, però, alcuni autori hanno evidenziato alcuni svantaggi derivanti da questa fase di processo come la formazione di composti clorati cancerogeni. In questa prospettiva, il principale obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare gli effetti di olio essenziale di cedro e alcuni composti bioattivi degli oli essenziali (citrale, esanale, trans-2-esenale e carvacrolo), utilizzati singolarmente o in combinazione, sulla shelf-life di mele affettate di IV gamma. Su tutti i prodotti sono state eseguite analisi microbiologiche, di texture e colore. Un ulteriore obiettivo di questo lavoro sperimentale è stato quello di ottimizzare alcuni parametri di processo come la riduzione del rapporto acqua di lavaggio/prodotto ed incrementare la temperatura dell’acqua utilizzata al fine di meglio solubilizzare gli antimicrobici in fase di dipping.

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Lo studio effettuato pone le sue basi sulla ricerca di materiali stradali che combinino ad elevati standard prestazionali, la riduzione dell’impatto ambientale in fase realizzativa e manutentiva. In particolare il seguente lavoro si occupa dello studio di 7 leganti modificati con polimeri ed additivati con cere. I primi infatti conferiscono alla miscela maggiore elastoplasticità, incrementandone la durabilità e la resistenza a fatica. Nei secondi la presenza del materiale paraffinico contribuisce a ridurre la viscosità del bitume, consentendo un notevole abbassamento della temperatura di produzione e stesa della miscela. Numerosi studi hanno dimostrato che le caratteristiche meccaniche della pavimentazione sono fortemente influenzate dal grado di ossidazione delle componenti organiche del bitume, ovvero dal fenomeno dell’invecchiamento o aging. Pertanto allo studio reologico del bitume, si sono affiancate prove di simulazione dell’ invecchiamento nel breve e lungo termine. In fase di ricerca sperimentale si sono analizzati i leganti modificati ed additivati secondo la teoria della viscoelasticità, simulando le reali condizioni di carico ed invecchiamento alle quali il bitume è sottoposto. Tutte le prove di caratterizzazione reologica avanzata sono state effettuate mediante l’utilizzo del DSR (Dynamic Shear Rheometer - UNI EN 14770 ) in varie configurazioni di prova e l’invecchiamento a breve termine è stato simulato mediante RTFOT (Rolling thin film oven test -UNI EN 12607-1). Si è proposto inoltre una nuova procedura di aging invecchiando il bitume alla temperatura di Twork, ovvero a quel valore della temperatura tale per cui, in fase di messa in opera, si avrà una distribuzione molecolare omogenea del modificante all’interno del bitume.

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La tesi è rivolta allo studio delle dinamiche di riscaldamento del film plastico in macchine blisteratrici e alla possibilità di utilizzo di irradiatori infrarossi nella fase di preriscaldo. Sono stati effettuati i calcoli analitici dei tempi necessari al riscaldamento e dopo avere progettato e realizzato i supporti sono state fatte delle prove empiriche in macchina per identificare la migliore configurazione delle lampade e trovare conferma dei risultati teorici.

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I crescenti volumi di traffico che interessano le pavimentazioni stradali causano sollecitazioni tensionali di notevole entità che provocano danni permanenti alla sovrastruttura. Tali danni ne riducono la vita utile e comportano elevati costi di manutenzione. Il conglomerato bituminoso è un materiale multifase composto da inerti, bitume e vuoti d'aria. Le proprietà fisiche e le prestazioni della miscela dipendono dalle caratteristiche dell'aggregato, del legante e dalla loro interazione. L’approccio tradizionalmente utilizzato per la modellazione numerica del conglomerato bituminoso si basa su uno studio macroscopico della sua risposta meccanica attraverso modelli costitutivi al continuo che, per loro natura, non considerano la mutua interazione tra le fasi eterogenee che lo compongono ed utilizzano schematizzazioni omogenee equivalenti. Nell’ottica di un’evoluzione di tali metodologie è necessario superare questa semplificazione, considerando il carattere discreto del sistema ed adottando un approccio di tipo microscopico, che consenta di rappresentare i reali processi fisico-meccanici dai quali dipende la risposta macroscopica d’insieme. Nel presente lavoro, dopo una rassegna generale dei principali metodi numerici tradizionalmente impiegati per lo studio del conglomerato bituminoso, viene approfondita la teoria degli Elementi Discreti Particellari (DEM-P), che schematizza il materiale granulare come un insieme di particelle indipendenti che interagiscono tra loro nei punti di reciproco contatto secondo appropriate leggi costitutive. Viene valutata l’influenza della forma e delle dimensioni dell’aggregato sulle caratteristiche macroscopiche (tensione deviatorica massima) e microscopiche (forze di contatto normali e tangenziali, numero di contatti, indice dei vuoti, porosità, addensamento, angolo di attrito interno) della miscela. Ciò è reso possibile dal confronto tra risultati numerici e sperimentali di test triassiali condotti su provini costituiti da tre diverse miscele formate da sfere ed elementi di forma generica.

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Il presente studio rappresenta la prima applicazione della tecnica CEUS in alcune delle più diffuse specie non convenzionali, nonché la prima nei rettili. In particolare è stata investigata la perfusione di fegato e milza in 10 conigli, 10 furetti e il fegato in 8 iguane. Per quanto riguarda i mammiferi, la tecnica è risultata di facile attuazione e i risultati ottenuti erano equiparabili a quelli documentati per i piccoli animali. Maggiore variabilità si è messa in evidenza a livello splenico in entrambe le specie e nel coniglio rispetto al furetto. Nelle iguane è stata necessaria una modifica del protocollo a seguito dei tempi più lunghi delle fasi di wash in e di wash out. Le curve ottenute erano caratterizzate da picchi più bassi e TTP più lunghi, con wash out incompleto anche dopo 10 minuti di indagine. Nelle iguane l’indagine del fegato è stata approfondita grazie all’esecuzione di TC dinamiche con MDC, studio pioneristico per quanto riguarda la medicina dei rettili. L’esecuzione è avvenuta senza problemi in anestesia generale. Diffusione del MDC e conseguenti variazione di HU a livello aortico e epatico sono state considerate contemporaneamente, con costruzione di curve HU-tempo piuttosto ripetibili, entrambe caratterizzate da un wash in rapido, un picco, particolarmente alto a livello aortico, e da una fase di wash out più lento, anche qui incompleto dopo i 600 secondi di indagine. Una certa variabilità è stata notata in tre individui, risultato attendibile conseguentemente alla forte dipendenza da fattori intriseci ed estrinseci del metabolismo e della funzionalità epatica dei rettili. L’intero protocollo è stato applicato in un furetto e due iguane patologiche, al fine di evidenziare le potenzialità cliniche delle tecniche. Sebbene il numero esiguo di casi non permetta di trarre conclusioni a questo riguardo, l’ultimo capitolo della tesi vuole essere uno spunto per studi futuri.

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Il lavoro riguarda la caratterizzazione fluidodinamica di un reattore agitato meccanicamente utilizzato per la produzione di biogas. Lo studio è stato possibile attraverso l’impiego della PIV (Particle Image Velocimetry), tecnica di diagnostica ottica non invasiva adatta a fornire misure quantitative dei campi di velocità delle fasi all’interno del reattore. La caratterizzazione è stata preceduta da una fase di messa a punto della tecnica, in modo da definire principalmente l’influenza dello spessore del fascio laser e dell’intervallo di tempo tra gli impulsi laser sui campi di moto ottenuti. In seguito, il reattore è stato esaminato in due configurazioni: con albero in posizione centrata e con albero in posizione eccentrica. Entrambe le geometrie sono state inoltre analizzate in condizione monofase e solido-liquido. Le prove in monofase con albero centrato hanno permesso di identificare un particolare regime transitorio del fluido nei primi minuti dopo la messa in funzione del sistema di agitazione, caratterizzato da una buona efficienza di miscelazione in tutta la sezione di analisi. In condizioni di regime stazionario, dopo circa 1 ora di agitazione, è stato invece osservato che il fluido nella zona vicino alla parete è essenzialmente stagnante. Sempre con albero centrato, le acquisizioni in condizione bifase hanno permesso di osservare la forte influenza che la presenza di particelle di solido ha sui campi di moto della fase liquida. Per l’assetto con albero in posizione eccentrica, in condizione monofase e regime di moto stazionario, è stata evidenziata una significativa influenza del livello di liquido all’interno del reattore sui campi di moto ottenuti: aumentando il livello scalato rispetto a quello usato nella pratica industriale è stato osservato un miglioramento dell’efficienza di miscelazione grazie al maggior lavoro svolto dal sistema di agitazione. In questa configurazione, inoltre, è stato effettuato un confronto tra i campi di moto indotti da due tipologie di giranti aventi stesso diametro, ma diversa geometria. Passando alla condizione bifase con albero eccentrico, i risultati hanno evidenziato la forte asimmetria del reattore: è stato evidenziato, infatti, come il sistema raggiunga regimi stazionari differenti a seconda delle velocità di rotazione e delle condizioni adottate per il raggiungimento della stabilità. Grazie alle prove su piani orizzontali del reattore in configurazione eccentrica e condizioni bifase, è stato concluso che i sistemi in uso inducano un campo di moto prettamente tangenziale, non ottimizzato però per la sospensione della fase solida necessaria in questa tipologia di processi.

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Il recupero dei materiali di scarto è un aspetto di grande attualità in campo stradale, così come negli altri ambiti dell’ingegneria civile. L’attenzione della ricerca e degli esperti del settore è rivolta all’affinamento di tecniche di riciclaggio che riducano l’impatto ambientale senza compromettere le prestazioni meccaniche finali. Tali indagini cercano di far corrispondere le necessità di smaltimento dei rifiuti con quelle dell’industria infrastrutturale, legate al reperimento di materiali da costruzione tecnicamente idonei ed economicamente vantaggiosi. Attualmente sono già diversi i tipi di prodotti rigenerati e riutilizzati nella realizzazione delle pavimentazioni stradali e numerosi sono anche quelli di nuova introduzione in fase di sperimentazione. In particolare, accanto ai materiali derivanti dalle operazioni di recupero della rete viaria, è opportuno considerare anche quelli provenienti dall’esercizio delle attività di trasporto, il quale comporta ogni anno il raggiungimento della fine della vita utile per centinaia di migliaia di tonnellate di pneumatici di gomma. L’obiettivo della presente analisi sperimentale è quello di fornire indicazioni e informazioni in merito alla tecnica di riciclaggio a freddo con emulsione bituminosa e cemento, valutando la possibilità di applicazione di tale metodologia in combinazione con il polverino di gomma, ottenuto dal recupero degli pneumatici fuori uso (PFU). La ricerca si distingue per una duplice valenza: la prima è quella di promuovere ulteriormente la tecnica di riciclaggio a freddo, che si sta imponendo per i suoi numerosi vantaggi economici ed ambientali, legati soprattutto alla temperatura d’esercizio; la seconda è quella di sperimentare l’utilizzo del polverino di gomma, nelle due forme di granulazione tradizionale e criogenica, additivato a miscele costituite interamente da materiale proveniente da scarifica di pavimentazioni esistenti e stabilizzate con diverse percentuali di emulsione di bitume e di legante cementizio.

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Il presente lavoro di tesi inizia da un’indagine svolta durante il Laboratorio di Sintesi Finale sulla città di Bogotá. Nello specifico ci si è occupati dello studio di una parte ristretta della città: la CUB, la città universitaria di Bogotá. Sì è in primo luogo analizzato gli aspetti salienti di quella parte di città, mettendone in evidenza sia gli elementi caratteristici che le criticità. Questo studio ha condotto alla definizione di alcune problematiche che, per importanza, sono state il centro del progetto successivamente proposto. La sintesi preliminare ha così prodotto una prima ipotesi progettuale che è stata il punto di partenza dello studio successivo. Nella fase successiva invece si è operato per un ulteriore approfondimento, passando sul piano reale e affrontando i temi scelti per l’area della Ciudad Universitaria de Bogotá. La CUB rappresenta il fulcro dell’offerta universitaria statale di Bogotá e i piani di sviluppo per il futuro la vedranno assoggettata ad un processo di forte saturazione delle aree ancora libere. Visto la dimensione di questo luogo, si è optato per la definizione di una possibile metodologia di intervento, più soddisfare il desiderio (a volte irrinunciabile) di ridefinizione della sua struttura interna, oggi particolarmente degradata. L’idea trova il suo senso anche nel desiderio di potere generare una maggiore integrazione tra l’uso degli spazi della CUB e i cittadini, che attualmente sono esclusi, primariamente per ragioni di sicurezza, dalla possibilità di godere di questo luogo. Il testo mette in evidenza, mediante un processo per tappe, il percorso intellettuale che ha portato alla definizione delle scelte progettuali rappresentate nelle tavole finali.

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L'ALMATracker è un sistema di puntamento per la stazione di terra di ALMASat-1. La sua configurazione non segue la classica Azimuth-Elevazione, bensì utilizza gli assi α-β per evitare punti di singolarità nelle posizioni vicino allo zenit. Ancora in fase di progettazione, utilizzando in congiunta SolidWorks e LabVIEW si è creato un Software-in-the-loop per la sua verifica funzionale, grazie all'utilizzo del relativamente nuovo pacchetto NI Softmotion. Data la scarsa esperienza e documentazione che si hanno su questo recente tool, si è prima creato un Case Study che simulasse un sistema di coordinate cilindriche in modo da acquisire competenza. I risultati conseguiti sono poi stati sfruttati per la creazione di un SIL per la simulazione del movimento dell'ALMATracker. L'utilizzo di questa metodologia di progettazione non solo ha confermato la validità del design proposto, ma anche evidenziato i problemi e le potenzialità che caratterizzano questo pacchetto software dandone un analisi approfondita.